Innocenti
Rose Bianche
OCCHI
DI TENEBRE
“E’ l’uomo per me.
Fatto a posta per me. E’ forte con me e da uomo sa dir, parole
d'amor...”
Cantava Mina in una sua celebre canzone. E
quando l’aveva incontrato per la prima volta, anche lei, come tante
altre
donne, aveva pensato a quelle parole.
Lui era l’uomo per lei; quello giusto.
Quello forte, quello dolce, e a tratti sensibile.
Quello che sapeva abbracciarla tanto teneramente da farle tornare il
buon
umore.
Quello che ogni giorno la baciava con la stessa intensità e audacia
della
prima.
Lui era l’uomo per lei.
Eppure, negli ultimi tempi qualcosa si era irrimediabilmente incrinato.
Le liti
erano diventate frequenti così come le scenate di gelosia. E lui non
era mai
stato una persona possessiva a tal punto da divenire geloso per un non
nulla. Qualcosa era cambiato.
E lei non poté che accorgersene quella sera tardi, quando rincasò
dopo le
nove, a causa di un sostanziale ritardo nei mezzi di servizio pubblico.
Quella sera lui l’attese davanti all’uscio della porta.
Era visibilmente adirato e il suo volto era serrato in una cupa quanto
apprensiva
espressione d’ira.
Era certa di non aver mai notato un’espressione simile sul suo volto.
«Dove sei stata? Lo sai che ore sono?» urlò all’improvviso, andandole
vicino «Perché
non hai risposto alle mie chiamate?»
«Perdonami, tesoro. Stamattina mi sono scordata di mettere il cellulare
sotto
carica.» Rispose cordiale, cercando di tranquillizzarlo.
«Stronzate! Perché non sei tornata a casa per cena? Con chi eri?»
sbraitò così
forte che la sua voce risuonò nella stanza. «Perché non ti comporti
come si
deve?» aggiunse sussurrandolo appena e corrugando la fronte in
un’espressione
di disappunto.
«L’autobus era in ritardo e…» non riuscì neppure a finire di parlare
che si
sentì afferrare la mano sgarbatamente per poi essere spintonata con
forza a
terra. Sbatté contro il comodino d’ingresso e nella colluttazione fece
cadere
accidentalmente la lampada in vetro soffiato che si ruppe in mille
pezzi.
Il frastuono generato da quella lampada ancor oggi vive nella sua
mente.
Si abbassò su di lei, così vicino da poter sentire il suo
respiro
contro la propria pelle.
Per una breve frazione di secondo ne fu spaventata. Prima di allora
avrebbe
ricercato con tutte le proprie forze il calore di quelle braccia e
l’approvazione di quegli occhi castani, che mai come in quel momento le
sembrarono due profondi pozzi oscuri.
Il primo schiaffo arrivò così inaspettato da sconcertarla, e prima
ancora che
potesse elaborare quanto successo, arrivò anche il secondo e fece più
male del
primo. Lo guardò con sgomento trattenendo un gemito sofferente,
chiedendosi
semplicemente “perché?”
E forse in quell’attimo, rimase immobile troppo a lungo, scottandosi a
riconoscere quegli occhi di tenebre e non riuscì a
fermare il
terzo ceffone.
La testa le faceva un gran male e le guance arrossate, pulsavano
furiosamente.
Inutilmente si nascose dietro a quella minuta borsa in pelle, era una
preda sin
troppo facile per chiunque.
Lo vide osservarla in silenzio, mentre una tiepida increspatura
sulle sue labbra formava un cinico sorriso sul suo volto. Le parve quasi che
lui provasse piacere. Piacere nell’averla ferita,
nell’averla
sottomessa.
Si sentì morire. E ora che le mani gli dolevano, per la forza
che ci aveva messo in
quegli schiaffi, ritenne appropriato prenderla a calci nello
stomaco. Uno,
due, tre volte. Sino a quando non si sentì sazio e appagato nel
vederla
piangere e supplicare il suo nome.
Qualche minuto più tardi, lo sentì fermarsi e riprender fiato.
Alzò il volto quel tanto da permetterle di scorgere la sua figura.
Nessuna parola.
Lo vide inginocchiarsi a terra, proprio accanto a lei, guardarla con
rammarico
e poi sorprendentemente abbracciarla, chiedendole perdono. Le sue
braccia la
cingevano con forza ma non con durezza, come in precedenza.
Ella, stranita, l’osservò
senza proferir parola alcuna e si lasciò cullare in quell’amaro
abbraccio, consapevole che ogni sua parola sarebbe potuta essere
fatale
quanto la lama di un coltello.
In quegli anni si era convinta di aver trovato la sua anima
gemella –
il suo grande amore.
Un amore eternamente romantico e puro, come lo erano le rose.
Velocemente però, dovette ricredersi e confermare a se stessa che
le rose
senza spine erano soltanto una vanescente fantasia.
Era
davvero l’uomo per lei?
Dopo
quello che era capitato, lo era ancora?
La paura di ricadere una seconda volta in quella tetra spirale di
terrore, la
divorò. E ancor prima che il suo cuore ferito guarisse, ricoperto di
antisettico e cerotti, la sua mente desiderò accantonare ogni pensiero,
fingendo che nulla di quanto successo fosse realmente accaduto.
Solo un brutto sogno. Nulla di più.
E così, giorno dopo giorno, camminando per strada si vide costretta a
celare
quei segni rossastri sulla sua pelle, quelle cicatrici che
lentamente s’apprestavano a rimarginarsi, mentre dalle stesse il
sangue
continuava a cadere e a gocciolare del tutto invisibile agli occhi
dei
passanti.
Quelle ferite: i tagli, le lacerazioni, i lividi… Non era
stato lui a procurarglieli. Non era stato suo marito.
No, lui non centrava nulla.
Era stata lei.
Era stata lei a ferirsi per colpa della sua stessa negligenza.
Le ferite che
continuava a nascondere, sotto a pesanti maglie e dietro scuri
occhiali da sole, non erano altro che stupide ferite provocate dalla
sua stessa
disattenzione.
Era una donna sposata, le difficoltà erano all’ordine del giorno. E non
c’era
nulla di strano se alle volte lei e suo marito litigavano. I piatti
rotti erano
solo dei banalissimi piatti da cucina, e poco
importava se a volte volassero nel salotto
frantumandosi dopo una celere caduta. A tutti poteva capitare di
perdere le
staffe.
Tutti erano umani. E tutti potevano sbagliare.
Anche lui.
Era sempre stato un marito meraviglioso, dolce ed educato. Era
impossibile
credere che il suo matrimonio fosse in crisi. Se lo fosse realmente stato,
sarebbe stata in parte anche colpa sua. In fin dei conti gli errori si
commettevano in due.
Lei lo amava.
Lui l’amava.
Non c’era nulla di cui temere. Doveva solo
essere sincera e ubbidirgli – come facevano i cani – così
non si
sarebbe arrabbiato e la sera avrebbero potuto conversare in tutta
serenità. Perché
alla fine, lui era l’uomo giusto per lei.