Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: LADY ROSIEL    30/11/2012    4 recensioni
「Serie di narrazioni autoconclusive con tematica la violenza sulle Donne」
...
“E’ l’uomo per me. Fatto a posta per me. E’ forte con me e da uomo sa dir, parole d'amor...” – Questo cantava Mina in una sua celebre canzone. E quando l’aveva incontrato per la prima volta, anche lei, come tante altre donne, aveva pensato a quelle parole.
Lui era l’uomo per lei. (...)
A tutti poteva capitare di perdere le staffe. Tutti potevano sbagliare.
Anche lui.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Innocenti Rose Bianche ~ '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
innocenti rose bianche occhi tenebre rev

Innocenti Rose Bianche

OCCHI DI TENEBRE



 “E’ l’uomo per me. Fatto a posta per me. E’ forte con me e da uomo sa dir, parole d'amor...”
Cantava Mina in una sua celebre canzone. E quando l’aveva incontrato per la prima volta, anche lei, come tante altre donne, aveva pensato a quelle parole.
Lui era l’uomo per lei; quello giusto.
Quello forte, quello dolce, e a tratti sensibile.
Quello che sapeva abbracciarla tanto teneramente da farle tornare il buon umore.
Quello che ogni giorno la baciava con la stessa intensità e audacia della prima.

Lui era l’uomo per lei.

Eppure, negli ultimi tempi qualcosa si era irrimediabilmente incrinato. Le liti erano diventate frequenti così come le scenate di gelosia. E lui non era mai stato una persona possessiva a tal punto da divenire geloso per un non nulla. Qualcosa era cambiato.
E lei non poté che accorgersene quella sera tardi, quando rincasò dopo le nove, a causa di un sostanziale ritardo nei mezzi di servizio pubblico.
Quella sera lui l’attese davanti all’uscio della porta.
Era visibilmente adirato e il suo volto era serrato in una cupa quanto apprensiva espressione d’ira.

Era certa di non aver mai notato un’espressione simile sul suo volto.
«Dove sei stata? Lo sai che ore sono?» urlò all’improvviso, andandole vicino «Perché non hai risposto alle mie chiamate?»
«Perdonami, tesoro. Stamattina mi sono scordata di mettere il cellulare sotto carica.» Rispose cordiale, cercando di tranquillizzarlo.
«Stronzate! Perché non sei tornata a casa per cena? Con chi eri?» sbraitò così forte che la sua voce risuonò nella stanza. «Perché non ti comporti come si deve?» aggiunse sussurrandolo appena e corrugando la fronte in un’espressione di disappunto.
«L’autobus era in ritardo e…» non riuscì neppure a finire di parlare che si sentì afferrare la mano sgarbatamente per poi essere spintonata con forza a terra. Sbatté contro il comodino d’ingresso e nella colluttazione fece cadere accidentalmente la lampada in vetro soffiato che si ruppe in mille pezzi.

Il frastuono generato da quella lampada ancor oggi vive nella sua mente.

Si abbassò  su di lei, così vicino da poter sentire il suo respiro contro la propria pelle.
Per una breve frazione di secondo ne fu spaventata. Prima di allora avrebbe ricercato con tutte le proprie forze il calore di quelle braccia e l’approvazione di quegli occhi castani, che mai come in quel momento le sembrarono due profondi pozzi oscuri.  
Il primo schiaffo arrivò così inaspettato da sconcertarla, e prima ancora che potesse elaborare quanto successo, arrivò anche il secondo e fece più male del primo. Lo guardò con sgomento trattenendo un gemito sofferente, chiedendosi semplicemente “perché?”
E forse in quell’attimo, rimase immobile troppo a lungo, scottandosi a riconoscere quegli occhi di tenebre e non riuscì a fermare il terzo ceffone.
La testa le faceva un gran male e le guance arrossate, pulsavano furiosamente. Inutilmente si nascose dietro a quella minuta borsa in pelle, era una preda sin troppo facile per chiunque.
Lo vide osservarla in silenzio, mentre una tiepida increspatura sulle sue labbra formava un cinico sorriso sul suo volto. Le parve quasi che lui provasse piacere. Piacere nell’averla ferita, nell’averla sottomessa.
Si sentì morire. E ora che le mani gli dolevano, per la forza che ci aveva messo in quegli schiaffi, ritenne appropriato prenderla a calci nello stomaco. Uno, due, tre volte. Sino a quando non si sentì sazio e appagato nel vederla piangere e supplicare il suo nome.

Qualche minuto più tardi, lo sentì fermarsi e riprender fiato.
Alzò il volto quel tanto da permetterle di scorgere la sua figura.
Nessuna parola.
Lo vide inginocchiarsi a terra, proprio accanto a lei, guardarla con rammarico e poi sorprendentemente abbracciarla, chiedendole perdono. Le sue braccia la cingevano con forza ma non con durezza, come in precedenza. Ella, stranita, l’osservò senza proferir parola alcuna e si lasciò cullare in quell’amaro abbraccio, consapevole che ogni sua parola sarebbe potuta essere fatale quanto la lama di un coltello.

In quegli anni si era convinta di aver trovato la sua anima gemella – il suo grande amore.
Un amore eternamente romantico e puro, come lo erano le rose. Velocemente però, dovette ricredersi e confermare a se stessa che le rose senza spine erano soltanto una vanescente fantasia.

Era davvero l’uomo per lei?
Dopo quello che era capitato, lo era ancora?

La paura di ricadere una seconda volta in quella tetra spirale di terrore, la divorò. E ancor prima che il suo cuore ferito guarisse, ricoperto di antisettico e cerotti, la sua mente desiderò accantonare ogni pensiero, fingendo che nulla di quanto successo fosse realmente accaduto.
Solo un brutto sogno. Nulla di più.

E così, giorno dopo giorno, camminando per strada si vide costretta a celare quei segni rossastri sulla sua pelle, quelle cicatrici che lentamente s’apprestavano a rimarginarsi, mentre dalle stesse il sangue continuava a cadere e a gocciolare del tutto invisibile agli occhi dei passanti.
Quelle ferite: i tagli, le lacerazioni, i lividi… Non era stato lui a procurarglieli. Non era stato suo marito.
No, lui non centrava nulla.
Era stata lei.
Era stata lei a ferirsi per colpa della sua stessa negligenza.
Le ferite che continuava a nascondere, sotto a pesanti maglie e dietro scuri occhiali da sole, non erano altro che stupide ferite provocate dalla sua stessa disattenzione.
Era una donna sposata, le difficoltà erano all’ordine del giorno. E non c’era nulla di strano se alle volte lei e suo marito litigavano. I piatti rotti erano solo dei banalissimi piatti da cucina, e poco importava se a volte volassero nel salotto frantumandosi dopo una celere caduta. A tutti poteva capitare di perdere le staffe. 
Tutti erano umani. E tutti potevano sbagliare.
Anche lui.
Era sempre stato un marito meraviglioso, dolce ed educato. Era impossibile credere che il suo matrimonio fosse in crisi. Se lo fosse realmente stato, sarebbe stata in parte anche colpa sua. In fin dei conti gli errori si commettevano in due.
Lei lo amava.
Lui l’amava.
Non c’era nulla di cui temere. Doveva solo essere sincera e ubbidirgli – come facevano i cani – così non si sarebbe arrabbiato e la sera avrebbero potuto conversare in tutta serenità.  Perché alla fine, lui era l’uomo giusto per lei.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: LADY ROSIEL