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Autore: Stateira    18/06/2007    4 recensioni
Aminta ondeggiava, nella casa incestuosa di Dioniso e Apollo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Lysios

Premessa

 

Questo breve racconto si è classificato secondo assoluto ed ha ottenuto il “premio italiano” al contest letterario sul forum di Gamesradar che aveva come tema “fede e misticismo”,.

 

Vi passo il link perché ci sono molte altre storie che meritano una letta, vi consiglio vivamente di andare a dare un’occhiata.

 

http://forumgamesradar.futuregamer.it/showthread.php?t=527073

 

Il testo è esattamente quello presentato al concorso, non ho apportato nessun tipo di modifica.

 

 

 

 

Lysios

 

 

Aminta ondeggiava.

 

Dioniso gli sarebbe entrato nell’anima, e gli avrebbe aperto la gola per farlo respirare, gli avevano detto.

 

Lui non lo sapeva, lui ondeggiava.

 

Era entrato nel tempio al calar del sole, brandendo edere e pigne con la mano destra, quella buona per lanciare il disco e per combattere, ma adesso era tutto quanto a sinistra, anche il sole, ribollente e liquido come un’anfora orlata, di quelle che si vedevano al mercato, costose e già sbeccate.

 

La luna, quasi piena, quasi. Come un bocciolo in potenza, quasi vivo, quasi.

 

Aminta ondeggiava, senza sapere perché.

 

Aminta aspettava Dioniso, Aminta cantava con la sua voce dalle corde acute, Aminta si chiedeva come sarebbe stato, cosa avrebbe visto, cos’avrebbe provato, si chiedeva se Dioniso gli avrebbe mai permesso di toccargli i capelli, abbracciati in tanti boccoli ariosi, si chiedeva cosa dire, come sorridere, che cosa chiedere.

 

Aminta peccava, perché a un dio non si chiede di mostrarsi, ad un dio si china la testa, e come massimo gli si offrono le cosce. Hybris, hybris, giovane Aminta.

 

Un cielo quasi notturno spiegò in due ali le sue quasi stelle, con quella luna quasi piena a fare da fermaglio, fiera e debole nella notte di Dioniso.

 

Aminta ondeggiava, non sapeva perché, ma sapeva di non dover smettere.

 

Dioniso che distilla latte dalle rocce, che scioglie l’erba in miele, si faceva aspettare, come un oratore tracotante, come un maestro di sculture, ma Aminta non aveva fretta, Aminta aveva una notte intera, Aminta aveva bevuto abbastanza ambrosia da poter resistere al sonno degli occhi ed assecondare quello del cuore.

 

Aminta aveva bisogno di ondeggiare, di vedere, di credere.

 

Sulla soglia nuda del tempio spirava un venticello che trascinava qua e là l’odore rotondo della roccia scaldata dal sole. La casa incestuosa di Apollo e Dioniso dominava il monte e il mare tagliando l’orizzonte come un vessillo.

 

Aminta non sapeva molto di dèi, ma vieni, gli avevano detto, vieni a conoscere Dioniso, vieni a conoscere il dio bambino, il dio dal sorriso che vince la morte. Vieni a sentire la sua pelle stillare vino bruno, vieni a sgozzare una capra e a bagnare del suo sangue l’edera delicata che gli veste la fronte.

 

La luna, quella quasi piena come quasi vuota, si nascose dietro uno degli abeti imponenti che stavano a guardia del tempio. Le luci del comos guizzavano sulle colonne bianche, sparpagliandosi sui tronchi più vicini, sui tempietti, sulla strada argillosa e bordata di erbacce secche. Non voleva guardare, la luna dai vergini occhi, lei che conosceva il fratellastro dal manto candido, lei che riprovava il fratello di sangue per le sue disattente concessioni. Torse il collo bianco sulle ultime gocciole di sole, sospese come olio sulla superficie grinzosa del mare.

 

Apollo le scese accanto, stretto in un chitone dal panneggio sottile e ventoso. Sorrideva, in un modo che mostrava i canini acuti e candidi.

 

- Perché non lo fermi? – Artemide della luna indicò il pronao del tempio, indicò uno ad uno i fili di vento che vi si radunavano attorno, acquattandosi nelle nicchie in cui le torce avevano già esalato le ultime vampate d’olio.

 

- Perché è mio fratello. –

- E’ anche il mio. –

- Ma tu non oseresti fermarlo. –

- Lo lascerai fare? –

 

Apollo seguì con gli occhi il lento comporsi di figure animali sulle colonne solide e sui gradoni, leoni e tori, e puledri ancora teneri.

 

- Andrò a vederlo. –

- Non lo farai. –

 

Apollo sogghignò. – Suonerò la cetra in suo onore. E in onore delle sue vittime. –

 

La luna diede un sibilo schifato, e si rinchiuse dietro ad una nuvola spessa e tenace. Apollo discese con piedi leggeri, e si infiltrò fra i marmi del tempio robusto come un vento indiscreto.

Il fratello, signore dagli occhi dolci di ogni violenza, lo precedeva di molto, e lui avrebbe dovuto sbrigarsi, se non voleva rischiare di perdersi l’inizio delle danze.

 

Aminta ora non ondeggiava più.

Apriva e chiudeva la bocca come se una membrana resistente, di budello, gliela sigillassero, impedendogli di respirare.

 

Dioniso scorse amorevolmente i capelli disordinati di Aminta. Non sembrava preoccuparsi nemmeno un po’ del suo respiro, ed anzi, ogni volta che Aminta trovava una via d’aria, lui subito gliela riempiva di nettare dolcissimo e delicato.

 

- Guarda, fratello, come sono belli gli uomini. –

- Caduchi. Come foglie d’edera. –

 

Dioniso sorrise come un bambino. – Ma a me piacciono. E voglio salvarli, tutti quanti. –

- Fratello mio bambino, come pensi di fare, con il tuo vino? –

- Con il mio vino. – asserì Dioniso, felice. – Essi tutti berranno di me, ed io mostrerò loro la realtà altra, quella di noi dèi. –

 

Apollo squadrò il corpo di Aminta con compassionevole sufficienza.

 

- Dioniso dolce e terribile, credi davvero possibile, dio come sei, di poter comprendere gli uomini? -

- Naturalmente. Io so per certo cosa essi desiderano. –

- Hai ucciso quel ragazzo con la tua estasi. –

- Ucciso? – Dioniso arricciò il naso in una buffa smorfia. – Fratello mio, non dire sciocchezze. Come potrei uccidere un uomo, io che sono qui per il loro bene? –

 

E così dicendo, sollevò Aminta.

 

- Dorme soltanto, non vedi? Coraggio, giovane uomo, va’, va’ dai tuoi fratelli. –

 

Disse sospingendolo allegramente in avanti, incurante di vederlo crollare a terra scompostamente.

 

- Forse hai ragione tu. – asserì Apollo. – Forse noi dèi compiamo sempre ciò che è giusto per gli uomini. –

 

Dioniso regalò al fratello un grande e dolce sorriso puerile. – E’ così per certo. Noi dèi siamo sempre giusti, ed è per questo che l’umanità è felice. Vedrai tu stesso, domani, quando sorgerai assieme al sole, come questo ragazzo spenderà parole di miele per me, e onorerà Dioniso misericordioso che gli ha concesso di contemplare ciò che sta oltre il cielo. –

- Fratello Dioniso, mi disponi all’impazienza. Torniamo alle nostre dimore, e aspettiamo l’alba di domani, quando tutti questi che tu hai addormentato con la tua ebbrezza si sveglieranno, e ti canteranno. –

 

Dioniso accomodò i piedi delicati nei calzari, e si alzò, luminoso come il riflesso delle stelle.

- Quando si sveglieranno. – disse con un sorriso gioioso. – Perché essi si sveglieranno, proprio come faremo noi due, e tutti gli altri dèi, domani e per sempre, non è così, fratello Apollo? –

 

Apollo scoccò un’ultima occhiata, limpida e ferma, al corpo di Aminta, riverso sul fianco, e a quelli altrettanto immobili di tutti gli altri, uomini e donne, che adornavano il pavimento e le pareti con le loro immobilità contorte, con il loro silenzio muto persino del sibilo regolare di un respiro.

Immobili e pacifici, come se fossero davvero felici.

 

- E’ così, Dioniso. –

  
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