Capitolo 9: Flowers and Snow (I)
Biloxi,
Casa Brandon, 2 dicembre 1917
“Malissimo, Florence. Per carità, portatemi altra acqua.” Mormorò in risposta la bambina, ancora debole per il pianto. Non aveva fatto altro tutta la notte: piangere e pregare. Era molto legata a Zachary e non aveva preso affatto bene la sua morte prematura. Gli incubi, poi, l’avevano tormentata tutta la notte, ogni volta che crollava anche solo per qualche minuto. Sembrava essere cresciuta tutta in fretta, quella bimba dal volto di bambola. Fino a qualche giorno prima sembrava spensierata e felice, piena di vita. Adesso era ridotta uno straccio: pallida in volto, gli occhi gonfi e l’aspetto sciupato. Nessuno avrebbe mai pensato di trovarsi di fronte alla stessa bambina.
Florence, che da sempre l’aveva preferita a chiunque altro, annuì, alzandosi e uscendo dalla stanza. Imboccò il corridoio e incrociò Alice, che al solito le scatenò dentro un moto di rabbia. Era l’unica macchia per quella che si prospettava come l’unione perfetta, quella che l’avrebbe portata al successo.
“Tu, piccolo demonio, porta l’acqua a tua sorella. Sta male e ha bisogno di riprendersi dopo la brutta nottata che ha passato.”
Alice le lanciò un’occhiata carica d’odio.
“Ancora non capisco come faccia tuo padre a tenerti in casa. La gente fuori mormora, per colpa delle tue stranezze. C’è chi dice che porti sfortuna o, peggio, che sei tu stessa ad uccidere chi ti sta intorno. Se non l’avessi negato fino allo sfinimento, a quest’ora penserei che sei stata tu ad uccidere quella povera anima di Dio.”
“Che riposi in pace.” Aggiunse poi Florence, sospirando e alzando gli occhi al cielo, mentre si baciava le mani e faceva il segno della croce.
Alice se
ne andò, ignorandola. Quella donna era un concentrato di
buonismo, ipocrisia e
malvagità. Non le riusciva di sopportare il suo tono, i suoi
atteggiamenti
civettuoli e quella risatina stridula, simile a uno squittio, che
associata al
suo viso scarno la facevano somigliare in tutto e per tutto ad un topo.
Era così che l’aveva vista la prima volta, nella
sua mente, e fu così che la
vide di nuovo la prima volta che se la trovò di fronte. Era
soltanto un topo
ben vestito e con una parrucca bionda.
Non la sopportava affatto e se avesse potuto l’avrebbe
sbattuta fuori di casa
immediatamente. Ma suo padre non era più l’uomo di
un tempo. Si era fatto
affascinare da quella serpe che di sicuro l’avrebbe portato
alla rovina.
Chiuse gli occhi, dandole le spalle, e respirò
profondamente. Doveva solo
resistere. Presto avrebbe trovato un modo per andar via da quella casa.
Ormai
si era arresa: non era più possibile rimanere lì
e difendere quelle quattro
mura. Alla fine sua madre aveva ragione. Andar via, in un modo o
nell’altro,
era l’unica soluzione possibile.
“Che c’è? Neanche rispondi?
Cos’è? Hai perso la lingua?” la
provocò Florence,
destandola dai suoi pensieri.
Alice, esasperata, si voltò verso di lei e con tono acido le
rispose:
“Fareste meglio a tenere a freno la vostra. E ora, se
permettete, vado ad
occuparmi di mia sorella, cosa che invece non fate voi.”
“Piccola, maledetta insolente!” esclamò
la bionda, con stizza.
Ora che suo padre l’aveva presentata pubblicamente come la
sua nuova compagna
si era montata ancora di più la testa e, se possibile, era
diventata ancora più
insopportabile. Ogni occasione era buona per maltrattarla, darle ordini
o
insultarla, col benestare del futuro marito, naturalmente. A Cynthia,
invece,
veniva riservato tutt’altro trattamento.
“Che essere
inutile…” pensò
fra sé Alice, andando difilato in cucina
mentre nella sua testa ancora echeggiavano le parole di quella donna
che con
tanta prepotenza si era inserita nella sua vita. Vi era entrata con
forza,
sgomitando, come molti fanno quando sono circondati dalla folla, senza
alcuna
remora.
Riempì un bicchiere d’acqua e lo portò
a sua sorella con altrettanta rapidità;
il tutto, senza neanche considerare la presenza di Florence, che la
guardava
allibita e al tempo stesso furiosa. Non le piaceva essere ignorata:
Alice
l’aveva capito e ormai amava sfruttare la cosa a suo
vantaggio. Si divertiva a
vedere quell’espressione di sgomento comparire sul suo volto,
per lasciar
spazio al cipiglio severo e collerico, tipico di quando doveva
reprimere
l’istinto di metterle le mani addosso. Più di una
volta negli ultimi tempi
l’aveva vista mentre
meditava di
picchiarla, o mentre diceva a suo padre, disperata: “Quella
ragazzina danneggia
terribilmente i miei nervi, Lewis. Sono così
stanca…”
La cosa più divertente di tutte, però, era sfidarla, imitandola e
riportando parola
per parola le frasi dette da lei non più di qualche ora
prima, lasciandola di
stucco. Era il modo migliore di vendicarsi, secondo Alice. Avrebbe
voluto
tormentarla fino a farla fuggire. Lo avrebbe fatto per sua madre e per
toglierle la soddisfazione di prendere possesso della casa, della
gioielleria e
dei beni di famiglia. Purtroppo, però, col passare dei mesi
la situazione era
degenerata. L’ultima volta che Florence le aveva fatto una
sceneggiata davanti
a suo padre, lui l’aveva minacciata di sbatterla fuori di
casa.
Alice, non avendo ancora un progetto di vita preciso, non si sentiva
ancora
pronta. Il suo piano per lasciare l’odiato nido non era
ancora completo. Del
resto, era da poco che aveva deciso di lasciare che tutto cadesse in
disgrazia.
Così aveva deciso di non dire nulla che non fosse
necessario, per non dover
lasciare prematuramente la città, benché
quell’orribile donna non attendesse
altro.
***
Dopo aver dato da bere a Cynthia e averla tranquillizzata, Alice fece
per
andare in camera sua, seguita come un’ombra dalla crudele
matrigna e
istitutrice, che non l’aveva mollata un attimo quella
mattina. Chiuse la porta
con un gesto di stizza proprio davanti al suo viso, infischiandosene
della
buona educazione, lasciandola fuori e godendosi per un po’ la
quiete della sua
stanza, mentre la sentiva chiaramente brontolare e sbuffare dal
corridoio.
Si sedette sul letto, portando al petto le ginocchia e voltandosi
leggermente
verso la sua sinistra per ammirare il candore della neve che ricopriva
il
paesaggio che si estendeva fuori dalla finestra.
D’improvviso, un colpo di
vento fece aprire violentemente le imposte verso l’interno.
Era un vento
sorprendentemente leggero, ma freddo, tanto da far sentire ad Alice un
forte
pizzicore sulla pelle.
C’era solo una ragione per quell’evento semplice e
insieme straordinario.
Rimanendo seduta sul letto, annusò quell’aria
fresca quasi con avidità, stanca
dell’odore forte del profumo di Florence, che le dava alla
testa.
Odore di fiori, come immaginava.
Qualche lacrima colò spontanea dagli occhi di cioccolato
della ragazza. Era
bello poter sentire ancora la presenza di sua madre. Era
l’unico conforto che
aveva nella sua miserevole vita. Non le mancavano gli agi, ma solamente
per una
questione di formalità. Suo padre e quella che si rifiutava
di definire la sua
nuova madre le compravano ancora degli abiti dignitosi solo per dare a
tutti
l’impressione che la loro fosse una famiglia felice e sana.
L’inferno era
dentro quella casa, quando erano soltanto loro. I desideri di Alice
venivano regolarmente
soffocati. Quando chiedeva gentilmente qualcosa, le veniva puntualmente
negato.
Per questo aveva smesso da qualche mese di disegnare (tranne quando
qualche
volta Cynthia le offriva della carta e una matita). Cynthia, invece,
veniva
accontentata in tutto, ma era dalla sua parte, anche se non poteva
certo
esprimere la propria opinione o andar contro suo padre, essendo ancora
molto
piccola.
Alice lo capiva e non gliene faceva una colpa. Anzi, un po’
le invidiava l’ingenuità
e la docilità che aveva ereditato dalla madre. Simili
riflessioni le
ricordavano inevitabilmente quanto lei fosse più simile a
suo padre nel
carattere, per quanto la cosa la ripugnasse.
“Simili, non
uguali.” Si ripeteva
ogni volta, ricordandosi che lei combatteva, sì, ma per
cause giuste, per
nobili intenti che solo il padre che aveva una volta avrebbe
perseguito. Quando
era a casa, lo guardava con aria di biasimo, mentre lui era girato o
distratto.
“Guarda cosa sei diventato… dubito che questa
donnaccia rimarrà per molto al
tuo fianco. Il tempo sta passando anche per te. Ne vedrai i segni
ancora prima
degli altri, perché per quanto meschino tu sia, non
è facile convivere con le
colpe che ti porti addosso. Uccidere la mamma, prendere con te la donna
con la
quale l’hai tradita per anni, recitare una farsa per essere
ben visto in
società… Stai già pagando il tuo
debito e presto sconterai anche gli interessi.”
Questo pensò fra sé, ricordando quando
l’aveva visto qualche ora prima chino ad
attizzare il fuoco nella sala lettura. Era andato lì di buon
mattino, per
rilassarsi prima di andare a trovare nuovamente sua sorella.
Cynthia entrò in camera, bussando. Salì sul letto
di Alice, sedendosi di fronte
a lei, poi le prese le mani.
“Alice, va tutto bene?”
“Sì, piccola Cindy, benissimo.” Rispose,
esitante. “E tu come stai?”
“Meglio, grazie. Sono ancora sconvolta per la vicenda di Zac.
Mi manca tanto,
lo sai?” rispose Cynthia, ancora malconcia, abbassando lo
sguardo e arricciando
un po’ le labbra.
“Anche a me, Cindy, credimi.”
“Però ho anche paura.”
“Perché?”
“Perché sono una bambina cattiva, Alice. Lui
adesso è in cielo, ma io finirò di
certo all’inferno. Ho pensato una cosa tanto
brutta.” Piagnucolò, sporgendo
appena il labbro inferiore, con gli occhi lucidi.
“Che cosa hai pensato, tesoro? Dimmi.”
“Ho pensato che… un po’ è
stata colpa sua se
ora non c’è più. Ed è anche
colpa
di Ronald. Se solo ti avessero ascoltato…”
“Non hai pensato nulla di male, piccina. Stai tranquilla. Ma
non farti sentire
da Florence o da papà. Non voglio che sappiano.”
“Alice, ma perché indovini tante cose? Come fai? E
perché non puoi dirlo più a
nessuno? Tu non c’entri nulla, ma ho sentito dei signori al
funerale che
dicevano cattiverie su di te. Dicono che porti il malocchio, che
è colpa tua.
Avrei voluto urlargli che non è vero, che tu sei buona,
forte… dovresti
combattere e farli smettere…”
“Cindy, non so neanch’io perché indovino
le cose, come dici tu. Succede e
basta. E non voglio che nessuno sappia cosa ho detto a Ronald e Zac,
perché
tutti credono sia una cosa brutta, come hai visto. Non posso
più combattere
contro tutta questa gente. Non fanno che parlar male di me da quando
ero
piccola, quando mamma e papà non potevano sentire.”
“Ma tu l’avresti salvato!”
esclamò la piccola.
“Lo so” la interruppe Alice “ma tutti
dicono che è solo un segno di sfortuna,
lo sai. Per me a volte è anche divertente, invece.”
“Te lo prometto Alice, non lo dirò a
papà e neanche a Florence. Lo so che non
ti piace neanche un po’.”
Alice arrossì leggermente. Cynthia la conosceva meglio di
chiunque altro…
chissà perché, in quel momento aveva voglia di
abbracciarla forte, mentre
sorrideva, furbetta, compiaciuta per aver indovinato anche lei qualcosa.
L’odore di fiori, che non l’aveva più
lasciata, era sempre più persistente.
Veniva da sua sorella. Che fosse un segno?
La mamma fino ad allora non aveva mai sbagliato. Ancora una volta,
Alice le
avrebbe dato ascolto.
“Visto? Ho i poteri anch’io! Ho i poteri
anch’io!” cantilenò sottovoce.
“Ti voglio bene, Cindy.” Sussurrò,
interrompendola, e la strinse a sé.
“Anch’io Alice. Tanto.” Disse, scossa
dai singhiozzi, la piccola Cynthia,
mentre rispondeva al suo abbraccio, liberandosi ancora un po’
del dolore e
della frustrazione accumulati.
Improvvisamente, si sentì suonare alla porta.
“E’ papà… abbiamo ospiti,
Cindy.” mormorò Alice, il volto teso senza una
ragione apparente.
“Rimettiti in ordine, non vorrai farti vedere
così.” Aggiunse, più dolcemente,
sciogliendo l’abbraccio.
Cynthia
annuì e si risistemò in fretta. Era certa che
Alice avesse visto qualcosa di
brutto, ma non osò domandarle alcunché. Presto
avrebbe scoperto da sola cosa le
attendeva nell’ingresso…
Angolo dello Sproloquio
Vi ho fatto davvero aspettare troppo per questo
nono capitolo. Lo so bene, e spero mi perdonerete.
L'ispirazione ha fatto i capricci e il tempo non è stato
altrettanto gentile con me. Sono stata presa dagli esami e dall'inizio
della scuola al punto da non avere più nemmeno 5 minuti per
scrivere. Quando finalmente avevo la fortuna di avere anche solo un po'
di quel tempo che tanto desideravo, le idee non venivano e il mio
grande progetto era andato
temporaneamente a farsi friggere, per usare un eufemismo.
Spero che abbiate ancora voglia di leggere i frutti della mia mente
depravata. Se lo farete, avrete la mia eterna gratitudine, sappiatelo.
Ma parliamo di cose serie...
Il capitolo è abbastanza fresco. Si parla un po'
più di
Cynthia e del rapporto tra le due sorelle, l'accettazione del lutto da
parte della piccola... il tutto condito da mancamenti e crolli di
nervi, strizzando un po' l'occhio alla mia adorata Jane Austen (lungi
da me l'intenzione di paragonarmi a lei). Ci volevano proprio, direi.
Pur essendo apparentemente semplice,
penso sia un capitolo interessante e ricco di spunti. E' stato un vero
piacere scriverlo. :)
Le prime righe le avevo buttate
giù tempo fa, ma il resto l'ho scritto quasi tutto
in
viaggio. Il più l'ho fatto il 25 ottobre, tornando da casa
di
un'amica, mentre ero su un tram fin troppo simile al Nottetempo. La
cosa mi ha inevitabilmente ricordato il mio buffissimo sogno su Robert
(vedete i precedenti AdS ;D) e, per
l'ennesima volta, ho pensato a voi e a quanto lavoro avessi da fare. :)
Così, durante un viaggio turbolento, tra la
velocità
folle dell'autista, le curve continue, gli "spioni" (ma
perché
tutti vogliono sbirciare mentre scrivo? ç.ç) e le
luci
che si accendevano e si spegnevano continuamente, ho scritto con la mia
grafia tremolante
qualcosa come 3 pagine di quaderno sulla mia amata Moleskine. Dovrei
comprarne una nuova, a proposito.
Insomma, che sia stato l'isolamento da mezzi pubblici o il freddo
autunnale, il capitolo prendeva forma, e più scrivevo,
più mi venivano idee, al punto che ho dovuto fermarmi e dire
"Ok, dobbiamo trovare una fine al capitolo 9, così
è
troppo lungo".
Da questo mio rush creativo, quindi, è nato anche il
capitolo 10, che è ancora in fase di perfezionamento. :)
Scommetto che vi piacerà, perché vi
farà capite
qualcosa in più di un certo personaggio... "Quale
personaggio?"
vi chiederete. Vi rispondo subito. :)
Ho
pensato fosse giusto parlarvi di Florence e della sua storia
personale nel prossimo capitolo. La odiamo tutti, credo (non
è
proprio un angioletto,
in effetti). Il problema è che scrivere di lei come una
"cattiva
per natura" mi sembrava troppo semplicistico, riduttivo. Volevo darle
veramente vita, carattere, perché non amavo che fosse solo
una
specie di fantoccio, di espediente, uno di quei personaggi dalla
presenza passeggera che si odiano e basta, come un punchball a cui si
tirano colpi che vorremmo destinare volentieri a certe persone (ho una
bella lista di "bersagli", in effetti)...
Come Lewis, doveva lasciare
il segno. In questo senso, Florence è un personaggio
più
forte di Emily, che invece era praticamente una santa. Di lei ho
detto qualcosa in meno perché volevo semplicemente che si
pensasse a lei con un nodo in gola, con nostalgia. Volevo che, leggendo
queste pagine, pensaste: "Peccato sia morta, avrei voluto conoscerla
meglio".
Volevo, in pratica, che io e voi
potessimo entrare in simbiosi il più possibile con il
personaggio di Alice, che senza sua madre si sente svuotata, persa, ma
che al tempo stesso cova un desiderio di vendetta, di
giustizia, perché ha visto spegnersi sotto i suoi occhi la
vita
di un essere innocente e assolutamente buono.
Vengono le lacrime anche
a me, a ripensarci... credetemi, scrivere della sua morte è
stato più difficile di quanto non vi abbia detto (ancora non
riesco ad
accettare la cosa). So che potrà sembrarvi patetico, ma amo
i "miei"
personaggi (o meglio, l'idea che ho voluto darvi di loro, visto che
sono stati estrapolati dal background di Twilight), ciascuno in modo
diverso. Ucciderli è come dire "Ok, oggi decido di far fuori
qualcuno".
Non è esattamente una passeggiata. Ma sorvoliamo,
altrimenti dovrò utilizzare persino la carta vetrata per
asciugare le lacrime.
Al contrario di Emily, vi dicevo, Florence è un tipetto
deciso,
capriccioso, egoista e - questa ve la concedo - assolutamente
detestabile (non ve ne eravate accorte, vero? xD). Ma, mettendomi nei
vostri panni, ho capito che non c'era
una spiegazione di fondo, qualcosa che giustificasse il suo
comportamento. Forse non ve ne fregherà niente, ma leggendo
con
attenzione la storia io stessa, da autrice (se così posso
definirmi... .-.) sentivo che questa parte non reggeva.
Mancava qualcosa perché il quadro fosse davvero completo.
Insomma, ho sfruttato i primi capitoli solo per parlarvi della vita di
Lewis ed Emily prima del matrimonio (scavando addirittura nella loro
infanzia)... una digressione anche su Florence ve la dovevo, no?
C'è ancora molto da scrivere - e leggere - sulla nostra
Alice, ma
poiché non ho scritto ancora nulla di definitivo, non mi
sento di andare oltre con le anticipazioni.
Non temete, farò in modo che il prossimo capitolo valga
l'attesa. Sarà il mio personale ringraziamento a voi che mi
seguite e mi avete fatto ritrovare l'ispirazione.
Grazie dal profondo del cuore. :)
K.
P.S.: avevo dimenticato una cosa a cui tenevo tantissimo... una specie
di piccolo sondaggio, per conoscervi meglio e per concedermi un altro
po' di momenti Slice of Life (ne avevo bisogno).
Di solito, quando scrivo, metto musica molto tranquilla o che fa parte
di una playlist (sì, ne creo qualcuna di tanto in tanto, per
aiutarmi) o delle mie "fisse" del momento. Col sottofondo giusto si fa
tutto in modo più piacevole, no? :) Per completare il
quadro,
brucio dell'incenso delle fragranze che più mi piacciono
(incenso semplice o aromatizzato alla lavanda o quello col profumo
dell'oceano, alla rosa...) e bevo dell'ottimo té
(già
d'obbligo per me nel mio "teatime". Ho un orologio biologico con
devianze goth/British.)
Questo è tutto ciò che mi serve per
scrivere/leggere/disegnare/creare... like a sir! xD
E voi? Cosa fate quando scrivete (o leggete)? Mordicchiate le matite,
guardate fuori dalla finestra, cantate coi canarini....? Ditemelo con
un commento, se vi va. E fatemi sapere che ne pensate della storia!
<3