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Autore: REAwhereverIgo    02/12/2012    5 recensioni
è passato un anno dall'addio definitivo di Layton a Claire, dalla partenza di Luke e dall'ultimo caso del professore... A un certo punto Lisa, giovane neolaureata, diventa la sua nuova assistente.
Il suo comportamento fin da subito suscita curiosità in Layton... Che cosa nasconde davvero? Hershel avrà il coraggio di lasciar andare il passato per darsi un'altra opportunità?
Per chi ama la coppia laytonxclaire (come me! quanto ho pianto alla fine del gioco!) mi odierà, ma ero così triste nel pensare che quella fosse la fine per Hershel, che mai più nella vita avrebbe trovato l'amore, che ho deciso di dargli un'altra possibilità! Probabilmente sono stata un po' OOC, vi chiedo scusa... spero che la storia vi piaccia!
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Avevamo tanti... progetti per il futuro. Non lo dimenticherai, vero? Il nostro passato insieme e il nostro... futuro perduto”

“Claire aspetta! Non puoi andartene! Non voglio dirti addio un’altra volta, non posso farlo e non lo farò!”

“Io ti conosco e so che saprai essere forte. Dopo tutto...così fa un gentiluomo. Ora devo andare, Hershel. Grazie di tutto”

“Claire no… CLAIRE!”

 

“CLAIRE!” si tirò a sedere all’improvviso, spaventato e col fiatone.

“Di nuovo” sussurrò. Si asciugò la fronte imperlata di sudore e strinse le lenzuola bianche, tremando. Ormai erano passati dodici mesi da quando l’aveva salutata di nuovo, ma non riusciva a darsi pace, non riusciva a tranquillizzarsi. Non avrebbe dovuto lasciarla andare, non avrebbe dovuto permettere che scomparisse di nuovo, ma non poteva nemmeno trattenerla. Tutto ciò che aveva potuto fare era vederla sparire dietro quell’angolo per tornare al momento dell’esplosione e far sì che ciò che sarebbe dovuto avvenire anni prima avvenisse davvero. Ma non lo accettava, non riusciva a farlo, anche se razionalmente sapeva che era stato giusto così, che i morti non andrebbero tolti al loro destino. Eppure si sentiva ancora terribilmente disperato e solo.

Quell’avventura nella Londra sottoterra lo aveva sul serio messo a dura prova: non solo aveva dovuto affrontare ricordi dolorosi e terribili che lo avevano fatto stare male per giorni e giorni, ma si era anche imbattuto nella sua ex ragazza morta. Anche per lui, che era la razionalità fatta persona, tutto ciò era stato troppo da affrontare e ora si ritrovava pieno di incubi ogni notte. Anzi no, perché il suo non era un incubo, era un ricordo… il ricordo del loro addio definitivo.

“Claire” sussurrò, asciugandosi una lacrima. Non piangeva mai, non si addiceva a un gentiluomo piangere, ma pensarla gli faceva male e non riusciva a trattenersi.

Si alzò dal letto e si mise la vestaglia marrone con le rifiniture rosse che teneva sulla poltrona, per poi andare a prendere un bicchiere d’acqua. Doveva tranquillizzarsi, non poteva passare un’altra notte in bianco. Ormai non riusciva più a contare le ore passate seduto sul divano a leggere per far velocizzare anche solo un po’ il passare del tempo, tutte le albe viste da quella casa in cui non riusciva a prendere sonno. Semplicemente andava avanti fingendo che tutto andasse bene e cercando di non dover affrontare di nuovo il passato.

Certo, il fatto che Flora fosse andata a vivere da sola e che Luke si fosse trasferito non lo aiutavano, visto che era rimasto solo nel suo appartamento, ma era felice per loro. Era il loro mentore, ma desiderava che camminassero sulle proprie gambe. Questo faceva un gentiluomo e questo avrebbe fatto lui.

Si accasciò sul divano con in mano il bicchiere dell’acqua e si mise una mano sugli occhi. Certo, questo faceva un gentiluomo… ma non era sempre semplice seguire le regole.

 

Il mattino dopo arrivò in ufficio pensieroso e piuttosto distratto, e non vide il piccolo caschetto marrone che si muoveva verso di lui fin quando non ci sbatté contro.

“Ma cosa…?” abbassò lo sguardo e vide Lisa ferma davanti al suo petto con il viso rosso. In confronto a lui era obbiettivamente piccola.

Le sorrise e si alzò lievemente il cappello.

“Mi scusi, signorina Simon, dovevo essere distratto e non l’ho vista arrivare” le disse dispiaciuto. Lei rimase ferma a fissare la sua camicia arancione e non disse nulla. Semplicemente arrossì ancora di più.

“Tutto bene?” le chiese titubante. Lisa annuì in fretta, come ricordandosi di dovergli rispondere, poi si spostò di lato.

“S-scusi, non l’avevo vista. Stavo andando a fare delle fotocopie dei suoi appunti per gli studenti” spiegò imbarazzata. In effetti, sparsi a terra c’erano decine di fogli, e lei si abbassò velocemente, cercando di rimetterli in ordine.

“Lasci che l’aiuti” si offrì il professore, inginocchiandosi vicino a lei.

“Non serve, posso fare da sola” disse Lisa.

“Un gentiluomo non lascia mai una fanciulla in difficoltà” ribatté Layton sorridendo. La ragazza capì che non avrebbe potuto dissuaderlo dal darle una mano nemmeno implorandolo, così accettò suo malgrado il suo aiuto.

“E questo cos’è?” domandò l’uomo, prendendo un foglio rosa. Lei alzò gli occhi e arrossì.

“No, fermo, me lo restituisca!” si infiammò, strappandogli di mano la pagina. Lui rimase confuso e stupito da quello scatto.

“Mi scusi, non volevo essere invadente” le disse. Col cuore in tumulto Lisa piegò il foglio e se lo mise in tasca.

“N-no, mi scusi lei, ma… questa è una cosa privata e… non voglio che lei lo veda” balbettò impacciata.

“Ma certo, non deve giustificarsi, la capisco benissimo” la rassicurò. Si alzò finendo di raccogliere gli appunti sparsi a terra e le porse una mano per farla mettere in piedi.

“Ecco a lei. L’aspetto nel mio ufficio non appena avrà fotocopiato tutto quanto, a tra poco” la salutò, proseguendo verso il suo studio.

In realtà, anche se il suo “codice da gentiluomo” gli aveva suggerito di non indagare oltre su quel foglio rosa, adesso Layton si era incuriosito molto. Aveva di sfuggita letto solo un paio di parole, e non aveva potuto capire niente del contenuto, ma il suo “famoso sesto senso”, come si divertiva a chiamarlo Luke, si era appena attivato.

Fu distolto dai suoi pensieri da uno studente che entrò a chiedergli aiuto e si concentrò su di lui per l’ora successiva.

 

“Uff, che fatica” stava dicendo Lisa, piena di fotocopie. Ne aveva almeno un centinaio appoggiate sul tavolo e altrettante strette in mano.

“Mi sa che dovrò fare due viaggi” si lamentò. Aprì la porta e si avviò verso l’ufficio del professore, camminando piuttosto impacciata. Non vedeva bene ciò che aveva davanti e faticava a mantenere l’equilibrio. Alla fine, giunta davanti allo studio, si rese conto che non sapeva come aprire l’uscio.

“Ehm… professore?” chiamò. Sentiva delle voci provenire da dentro e dedusse che fosse con uno studente, così attese per un po’.

Dopo qualche minuto, provò di nuovo a chiamarlo.

“Scusi, professor Layton, mi sente?” disse un po’ più forte. Evidentemente no.

Sospirò sconsolata, arrendendosi all’idea di rimanere lì fin quando chiunque fosse l’ospite del professore non se ne fosse andato e si appoggiò alla porta.

“Mi fanno male le braccia” si lamentò. Non era mai stata particolarmente forte e la sua soglia del dolore era piuttosto bassa.

In quell’istante qualcuno aprì la porta e lei cadde improvvisamente all’indietro.

“Ah!” esclamò. Si aspettava di schiantarsi a terra, di farsi male in qualsiasi modo, invece si ritrovò sorretta da un paio di braccia piuttosto forti. Alzò lo sguardo e vide Layton che le sorrideva.

“Tutto bene?” le chiese divertito. Era la seconda volta che gli finiva addosso.

Si affrettò a ricomporsi e annuì.

“E-ero tornata dalla fotocopiatrice e… insomma, non riuscivo ad arrivare alla maniglia con tutti questi fogli in mano, così… m-mi dispiace” disse mortificata.

“Nessun problema, signorina Simon, non si preoccupi. L’importante è che lei stia bene” la tranquillizzò.

“O-ok”

Appoggiò le fotocopie che aveva portato e corse velocemente fuori dalla stanza per recuperare le altre, con il cuore in tumulto e la voglia matta di mettersi a piangere. “Sono una frana. Non sono adatta a questo compito” pensò disperata.

Era sempre stata un’imbranata cronica e non riusciva a non fare qualche danno, ma non era mai stato un problema. Gli altri ridevano con lei, quando cadeva o inciampava, non DÌ lei, così quella era una delle poche cose di cui non si era mai preoccupata. Ma adesso le cose erano cambiate.

Avrebbe dovuto essere più attenta e circospetta se non voleva farsi scoprire. Prese il foglio rosa e lo rilesse per la ventesima volta, sentendosi sopraffare dalla disperazione.

"Non piangere" si impose. Doveva essere forte e decisa, non c’era possibilità di errore per lei.

 

“Ecco, questi sono gli ultimi” disse, posando sulla scrivania del professore gli ultimi appunti. Aveva le braccia doloranti e intirizzite, ma ce l’aveva fatta a portare tutto senza farsi male.

“Grazie mille, mi ha dato un grandissimo aiuto” la ringraziò Layton sorridente. Ma sorrideva sempre, quell’uomo?

“Fa… ehm, fa solo parte dei miei compiti. In fondo sono la sua assistente, giusto?” ribatté imbarazzata.

“Certo, ha ragione” annuì lui.

“C’è altro da fare?” domandò la ragazza. Il professore ci pensò su, poi scosse la testa.

“Può preparare un po’ di tè, se vuole” le rispose.

“D’accordo”

Si mise a far bollire l’acqua sul fornelletto che c’era nella stanza accanto e nel frattempo mise in infusione le foglie di earl grey tea.

Si affacciò timidamente e sbirciò l’uomo mentre lavorava sui suoi appunti: era molto concentrato, ma anche in quel modo manteneva un contegno e un’eleganza che lei non aveva mai visto a nessun altro. Si rattristò pensando a ciò che gli stava facendo, ma non poteva comportarsi diversamente.

“Ecco a lei” disse, posando il vassoio con le tazze  e il bollitore sul tavolino di legno.

“Ah, grazie mille cara” rispose lui, alzando lo sguardo dagli appunti e invitandola a sedersi sul divano rosso. Lei si accomodò e fu raggiunta subito da Layton, il quale si mise sulla poltrona ricordando il suo disagio del giorno precedente quando le aveva detto di mettersi vicina a lui.

“Non c’è niente di meglio di un buon tè per rilassarsi, non pensa?” le chiese, sorseggiando la bevanda rossastra che c’era nella tazza.

“Già” ammise Lisa. Osservò fuori dalla finestra, rapita dal panorama londinese: la città le era sempre piaciuta.

“C’è qualcosa che non va?” s’informò il professore, vedendola assente. La ragazza sobbalzò, presa alla sprovvista, e arrossì.

"N-no, no, si figuri! Stavo solo ammirando Londra" spiegò ridendo imbarazzata. Layton avrebbe voluto chiederle come mai diventava rossa con tanta facilità, ma si impose di trattenersi: un gentiluomo non fa domande scomode, soprattutto alle fanciulle.

“Eh, già, la nostra amata Londra è meravigliosa, vero?” annuì, orgoglioso.

“Sì, beh… la vostra amata Londra lo è“ ribatté Lisa, senza pensare. Il professore incrociò le braccia, confuso.

“Che affermazione curiosa. Non è inglese?” s’informò.

“No, non lo sono. Io sono italiana” rispose lei.

“Davvero? Sa che non me n’ero accorto? Ha un accento perfetto” si congratulò.

“Grazie, ho studiato l’inglese con molto impegno. Ho sempre desiderato venire a stare qua” spiegò, guardandolo con un sorriso.

“Capisco” concluse Layton.

Finirono di bere il tè in silenzio, senza sentirsi imbarazzati.

“Si è già fatta ora di pranzo! Dovremmo andare a mangiare qualcosa, non pensa?” propose il professore, alzandosi dalla poltrona.

“Mi spiace, ma devo tornare a casa per pranzo” rifiutò Lisa.

“Posso chiederle come mai? Sempre se non sono indiscreto” domandò. La ragazza esitò e distolse lo sguardo, poi fece spallucce.

“Semplicemente non posso permettermi di pranzare fuori” rispose semplicemente.

“Se è un problema posso offrire io” si offrì l’uomo. Lei arrossì e scosse velocemente la testa.

“Non le permetterei mai di fare una cosa del genere, professore, ma la ringrazio. Ora mi scusi, devo andare. Ci vediamo nel pomeriggio” lo salutò.

Una volta fuori dall’ufficio controllò l’orologio: rischiava di arrivare in ritardo e non fare in tempo a rispondere alla telefonata. Si mise a correre, col cuore in gola.

 

  
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