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Autore: _Kali    03/12/2012    2 recensioni
Tutti erano davvero senza cuore, ma lui non lo era, non poteva essere come tutti loro, era impossibile. Ricordo ancora quel volto, a mio parere, impossibile da cancellare.
Dopo che tutto finì, dopo che le “giubbe rosse” come le definì Garrett, se ne andarono, portandosi via anche lui, nel mio petto non rimase che il buio.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alec, Renesmee Cullen, Un po' tutti, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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Mi staccai dall’abbraccio di Alec, ma restando sempre avvolta dalle sue braccia.

Mi guardavo intorno, era un posto immenso e molto luminoso.

Alec prese la mia valigia e prendendomi la mano ci dirigemmo in quella che sarebbe stata la mia camera.

Alec mi aprì la porta, “prima le ragazze.”

Risi sentendo la sua risposta, che si metteva a fare il galante?

Guardai all’interno della stanza, era bellissima, un sogno.

“E’ di tuo gradimento?”

Mi girai per guardarlo, era appoggiato allo stipite della porta e mi guardava sorridendo.

Gli andai vicino e gli buttai le mani al collo, era così tremendamente bello, era la tentazione fatta a persona.

Tutto di lui mi attirava.

Lo guardai meglio, era terribilmente vicino, sentivo il suo fiato sul viso.

Allontanarmi? No, non ne avevo la forza, ma soprattutto non volevo minimamente allontanarmi da lui.

Sospirai e chiusi gli occhi.

Lo sentii farneticare qualcosa, ma non avevo capito bene.

Forse qualcosa l’aveva infastidito, poi capii subito.

Sentii il telefono squillare, e il suo sbuffare dietro di me.

Mi avviai in camera e presi il cellulare per vedere chi era che mi stava chiamando.

Jacob Black, come e quando capirai che non tornerò a casa per stare con te?

Sentii dei passi farsi sempre più vicini: Alec.

Mi girai, sorridendogli e cercando di non fargli vedere il cellulare.

Di sicuro aveva capito che gli stavo nascondendo qualcosa, perché lo vidi incrociare le braccia e guardarmi con l’espressione di uno che sapeva troppo.

“Oh Nessie.. Vita mia, luce dei miei occhi, dammi quel cellulare, ora.”

Si avvicinò a me e mi abbracciò, anche se sapevo benissimo che volesse prendere quel cellulare.

Sentivo le sue mani che cercavano di prendere, anzi, di trovare il mio cellulare.

Mi sorrise, decisivamente con fatica.

Povero.

“Amore, che cerchi?”, gli chiesi con fare innocente.

Poteva implorarmi anche in ginocchio ma non gli avrei mai dato quel cellulare, mai.

Poteva fare tutto che voleva, ma non doveva vedere il nome sul cellulare, Alec Volturi arrabbiato non era un bello spettacolo.

Lo vidi andare via dalla camera, lo seguii ma non lo vidi.

Che era andato via?

“Alec dai, vieni qui, non fare il bambino.”, urlai.

Niente da fare, era cocciuto, un vero bambino.

Sbuffai e con orrore mi accorsi di aver lasciato il cellulare in camera da letto.

Corsi e vidi Alec che controllava tutte le chiamate.

Per fortuna che non si era accorto di me.

Mi avvicinai piano e lo vidi mentre si girava verso di me con fare colpevole, ovviamente.

“Ehm..”

“Alexander Williams Darcy, sei.. un.. bambino.”

Si alzò dal letto e con la sua velocità venne davanti a me.

“Cosa vuole da te quel cane rognoso?”, mi chiese arrabbiato.

Non volevo parlare, non me la sentivo.

Poggiai la mia mano sulla sua guancia per fargli vedere tutto.

“Tu non sei sua, non più..”

“Ora l’hai capito?”, conclusi.

Annuii e mi strinse a lui. “Alec, lui non è niente per me.”

“Giuramelo ora.”

Mi andai a sedere sul letto, mettendomi con le gambe incrociate.

“Te l’ho giuro, Alec, ma ora vieni qui.”

Non se lo fece ripetere due volte.

Venne a sedersi vicino a me, guardandomi fisso, senza distogliere i suoi occhi da me.

Deglutii, non ricordavo come ci si sentisse davvero in imbarazzo, ma ora lo ricordavo benissimo.

Mi stesi supina, “sei strano.”, gli dissi. “Ma tanto strano.”

Mi divaricò le gambe, infilandosi tra loro, per poi stendersi su di me, tenendosi con i gomiti, così da non far gravare il suo peso sul mio corpo.

“Cosa te lo fa pensare?”

Cercai di avvicinarlo di più a me stringendo le gambe sulle sue natiche, ma niente, non lo smuoveva nessuno.

Mi fece cenno di no, ed io sbuffai, era impossibile muoverlo.

Ma forse lo faceva apposta.

Si avvicinò di più a me, “se non mi muovo io, tu non puoi fare niente, Nessie.”

Gli buttai le mani al collo, baciandolo.

Prendere l’iniziativa non era da me, ma con lui era diverso.

Presi ad accarezzare i suoi capelli con una mano mentre con l’altra incominciai a sbottonare la sua camicia.

Stavo per sfilargliela, mentre lui stava per sbottonarmi i pantaloni, ma come sempre, qualcosa doveva interrompere il tutto.

Ringhiò cercando il cellulare, lo trovò e stava per rispondere, ma lo fermai, strappandogli il telefono dalle mani.

Me lo levai da dosso, facendolo stendere dall’altra parte del letto.

“Pronto?”

“Renesmee Cullen, cosa succede? Perché Jacob è così arrabbiato?”, mio padre per poco urlava dall’altra parte, se provava anche solo ad alzare di un po’ il suo tono gli avrei attaccato il telefono in faccia.

Alec mi prese la mano e se la portò sulla patta dei pantaloni.

Cavoli, proprio ora doveva incominciare?

Lo fulminai con lo sguardo, ma lui non si scompose minimamente, anzi, al contrario mimò con le labbra un “dai, solo un po’” Che era impazzito?

Mi arresi, se non l’avrei accontentato si sarebbe messo ad urlare come un bambino, come minimo.

“Papà, Jacob è pazzo, è un’ illuso.”, conclusi in fretta.

Mio padre da un po’ di tempo aveva deciso di difendere Jacob.

Doveva scegliere tra me, che ero sua figlia, o quel cane.

Guardai Alec che era di fianco a me, e per poco non attaccavo il telefono.

Era una cosa incredibile, con un solo sguardo riusciva a farmi andare sulle stelle. Era una tentazione.

Muoveva il bacino poi, vedendo che tolsi la mano dalla sua patta, smise.

Scrollai le spalle. Ne avremmo riparlato dopo.

Mio padre non rispondeva, così decisi di farlo io, “papà, devo andare, un bacio.” E attaccai.

“Che vuole tuo padre?”, mi chiese.

Avevo il fiato corto. Odiavo quando mio padre non mi diceva le cose in faccia, o almeno, direttamente senza fare sempre le stesse domande, o discorsi.

Abbracciai Alec e mi rifugiai tra le sue braccia, che mi cingevano saldamente.

Ora si che potevo definirmi a casa, al sicuro.

Alec ormai era la mia ancora di salvezza.

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Non so quanto tempo passò ma non mi importava.

Alec per tutto il tempo era rimasto in silenzio, facendo si che l’unica cosa udibile fossero solo le mie lacrime e i miei singhiozzi, ormai esauriti per via del mio sfinimento.

Mi asciugai il volto e guardai fuori dal balcone che era alla mia destra: Era sera.

“Alec, che ore sono?” Gli dissi, stiracchiandomi le ossa.

“Le otto. Hai fame?”, mi chiese.

Gli feci cenno di no. Non avevo fame, volevo solo restare con lui.

Si stese sul letto facendomi mettere a cavalcioni sul suo ventre.

Gli scostai i capelli dalla fronte, ma dopo qualche secondo ritornarono al loro posto.

Erano ribelli.

Sorrise, “sei la cosa più bella di questo mondo.”, disse.

Mi abbassai per avvicinarmi a lui.

Ogni parte di lui era una tentazione per me, era la tentazione fatta a persona.

Era un’ essere perfetto.

“Tu lo sei.”, mi stesi su di lui.

Avevo sempre pensato che fosse il cattivo, ma sbagliavo di grosso.

Stare con lui, in sua compagnia risvegliava in me sensazioni ormai sconosciute, ed era bello, lui era splendido, speciale, unico ed era in quei momenti che il vuoto nel mio petto si colmava lasciando spazio solo ad una cosa: la felicità.

Lo guardai meglio, sembrava triste, i suoi occhi erano malinconici, tanto.

“Sembri triste, Alec.”, gli dissi, cercando di capire cosa avesse.

“Non ho niente Nessie”, concluse in fretta.

Mentiva in continuazione e non lo sopportavo.

Non sopportavo il fatto che mi mentisse, non mi andava minimamente giù.

“Parla.”. Guarda come mi aveva ridotta quel ragazzaccio d’un vampiro.

Ero arrivata al punto di supplicarlo per farlo parlare, per avere una misera spiegazione.

“E che.. mi è venuta in mente una persona.”

“Chi? La tua ragazza o una delle tante ex?”, ringhiai, se era una delle sue ex l’avrei trovata e l’avrei fatta in mille pezzi senza esitare.

“Una delle mie ex: Erica.” Ora si che iniziava a ragionare. Ora doveva raccontarmi tutto, per filo e per segno, senza tralasciare nemmeno una parola.

“Chi è questa stron.. ehm ragazza?”

“è stata una cotta, cioè.. per me era  una cotta, per lei no.”, disse cercando di distrarmi.

“Continua”

“E bè, tu stranamente me l’hai ricordata.”

Offesa. Mi sentivo profondamente offesa. Ecco tutto.

“Renesmee.. ehm.. perdonami.”

Lo guarda sbalordita, “perché mi chiedi scusa?”

Si sedette sempre tenendomi  tra le sue braccia, “non è mai stata niente per me, se è questo che pensi.”

Lo guardai, sembrava dispiaciuto, anche se non doveva esserlo.

“Stupido.”

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Alec

Oh, ora ero uno stupido per lei? Tanto meglio, non mi importava molto.

Continuavo a tenerla tra le braccia mentre lei mi guardava, dandomi dello stupido.

La strinsi di più a me, e mi avvicinai a lei, poggiando le mie labbra sulle sue incominciando a muoverle.

All’inizio non sembrava non voler contraccambiare, poi dopo qualche secondo, lo fece.

Mi fece stendere sul letto, restando però sopra di me.

Le tolsi la maglia, continuando a baciarla.

Non volevo lasciarla andare per niente al mondo, avevo aspettato fin troppo, ora l’attesa era finita.

Cercai il gancetto del suo reggiseno e lo trovai dopo qualche minuto.

Dopo averla privata di quell’  indumento si scostò da me, coprendosi.

La guardai, “ehm..”, balbettai. Che stronzo, forse avrei dovuto chiederle se era d’accordo o meno.

Mi guardò e deglutii.

Sospirò e tornò vicino a me, come prima.

L’accolsi tra le mie braccia, tornando nella stessa posizione di qualche minuto prima.

“Sei splendida.”, non mi rispose a parole, vidi solo le sue guance avvampare.

Sentii l’odore del suo sangue farsi più intenso, ma non mi scatenò la sete, mi ero abituato al suo odore e ormai non mi faceva nessun’effetto.

Mi tolse la maglia, ricominciando a baciarmi.

Strinse le sue mani fra i miei capelli mentre incominciò a muoversi su di me, lasciandomi letteralmente senza fiato.

Ma come sempre, qualcosa doveva interrompere il tutto

Sentimmo due cellulare squillare: Il mio e il suo.

Stava per andare a rispondere ma la fermai, mettendomi su di lei.

“Dove vai?”, le dissi inarcando le sopracciglia.

“Ehm.. io dovrei rispondere. Forse è mia madre. Chi lo sa.”

Possibile che quando eravamo sul più bello dovevano disturbarci?

Sbuffai e le passai il cellulare.

La sentii sbuffare, forse era di nuovo quel cane.

“Chi è?”, le chiesi cercando di vedere chi fosse.

Lei con la bocca mimò il nome di sua madre ed io stetti zitto per tutto il tempo della loro conversazione, ma ovviamente, odiavo stare fermo.

La stuzzicai qualche volta, e sembrava piacerle. Era splendida, non avrei mai smesso di dirlo e di pensarlo.

Ma soprattutto.. Era mia.

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