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Autore: Iurin    04/12/2012    7 recensioni
E' il 1992, l'anno scolastico, ad Hogwarts, sta per cominciare, e Silente, grazie a Miss Pince, ha assunto un'assistente bibliotecaria, parente della suddetta Miss Pince, forse, per "un decimo di millesimo di grado". La ragazza, appena ventottenne, si chiama Soleil Scrooge (sì, come Ebenezer Scrooge), ed arriva ad Hogwarts già piuttosto restia a fare quel lavoro, ma poi si deprime totalmente quando capisce di essere praticamente entrata in conflitto con "l'acido" Severus Piton. E, complice una strana tinta per capelli usata per sbaglio (o forse per far colpo su Gilderoy Allock), proprio Severus Piton le affibbierà un soprannome, con il quale solo lui, però - o per fortuna - la chiamerà: Cirque.
Cirque du Soleil.
Genere: Comico, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gilderoy Allock, Nuovo personaggio, Severus Piton, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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....Salve
Lo so, sono inqualificabile. Perdonate la lunga attesa, ma sono stata presa da altre faccende, altre situazioni, altre storie da scrivere... E così avevo un po' lasciato perdere Cirque. Anche perché - non so se l'avete notato - devo essere particolarmente allegra e di buon umore per scrivere questa fanfic xD Perciò la stanchezza o lo stress non agevolano alla produzione xD
Spero possiate perdonarmi!
...E spero mi perdonerete anche il fatto di non aver risposto alle recensioni ç____ç (Sono sempre più inqualificabile, lo so.)
In ogni caso vi lascio col capitolo, sperando che vi piaccia :) In tal caso (o anche nel caso opposto) fatemi sapere che ne pensate!! :D
Un bacione, gentaglia, vi adoro! :*


p.s. chi trova la citazione (non vi dico presa da cosa) si becca 100 punti XD









Capitolo 15



L’anno scolastico era ormai entrato nel vivo.
E quindi era presumibilmente… uscito dal morto, per cui doveva essere un bene per il povero anno scolastico.
La stessa cosa però non si poteva dire per i probabilmente altrettanto poveri studenti.
Sì, c’era un po’ di povertà interiore dilagante.
Anche se così suonava come una mancanza di emozioni e virtù, il che non era vero. Forse. Ma non si poteva neanche dire ‘povertà’ e basta, perché in questo modo la si sarebbe intesa come mancanza di denaro, invece, cosa che non era assolutamente vera, specie per alcuni rampolli di note famiglie che giravano per il castello. I rampolli, non le famiglie. Anche perché sarebbe stato piuttosto imbarazzante per una ragazza o ragazzo che fosse ritrovarsi tutta la famiglia appresso persino a scuola, il luogo per eccellenza il cui la famiglia non era permessa. Sì, beh, fratelli a parte, ma solo per validissimi nonché necessari obblighi di istruzione.
Me lo immaginavo, il povero studente, vagare per i corridoi seguito dai propri genitori, a testa bassa, mentre loro stranamente sembravano comportarsi come dei bambini. O meglio… Agli occhi del ragazzo era sempre così: imbarazzato per la situazione, vedeva suo padre comportarsi come un… deficiente – anche se magari in realtà non stava facendo proprio niente di male. Succedeva nella maggior parte dei casi, e per questo il ragazzo si imbarazzava ancora di più.
Uhm.
Sì, beh… Che stavo dicendo?
L’anno scolastico si era… evoluto, era aumentato di mole, di livello, era diventato un padrone che comandava si suoi sudd-
L’anno scolastico era entrato nel vivo.
Per questo motivo la biblioteca aveva iniziato ad essere affollata ogni giorno di più, tanto che dalla mia scrivania posta davanti al Reparto Proibito non riuscivo più a controllare – o comunque a vedere – cosa stessero facendo tutti quanti, neanche allungando il collo; così dovetti rassegnarmi e abbandonare la mia comoda postazione, cominciando a girovagare per la biblioteca come un’anima in pena. Non che alla fine fossi ossessionata da cosa combinassero tutti quei ragazzi. Cosa potevano fare oltre che studiare o leggere o bisbigliare, dopotutto? Se si fossero messi a fare qualcosa di sconsiderato, come per esempio iniziare una partita di Quidditch utilizzando un libro al posto della Pluffa, come minimo avrebbero fatto un macello infernale, e io li avrei sentiti subito perfino dalla mia scrivania, e in caso avrei fermai sul nascere quell’assurdità. Ergo forse avrei anche potuto rimanere seduta.
Il punto era Miss Pince: dovevo in qualche modo renderla… contenta, no? D’altronde, da quanto avevo udito da ‘voci di corridoio’, Miss Pince era proprio solita controllare tutto e tutti, zittire chiunque al minimo bisbiglio, infuriarsi per un’orecchia fatta per sbaglio alla pagina di un libro.
Ecco, forse quest’ultima cosa l’avrei evitata, anche perché a sapermi tutta rossa a sbraitare, con gli occhi quasi fuori dalle orbite dallo sconcerto, mi sembrava… spaventoso. Per non dire raccapricciante – anche se l’avevo pensato ugualmente.
Il punto era… Perché? Insomma, non sapevo che sarebbe diventato mio compito gestire tutta la biblioteca, cosa che invece spettava proprio a Miss Pince. Ma dov’era Miss Pince? Rinchiusa nel suo ufficio a fare non-si-sapeva-bene-che-cosa. All’inizio aveva parlato di inventario, ma ora mi sembrava un po’ difficile continuare a credervi. Forse se ne stava approfittando giusto un pochino?
Urgeva chiacchierata chiarificatrice.
Ma per il momento mi limitai a fare ‘Miss Pince II – La Vendetta’, girando tra i tavoli e ogni tanto fissando gente a caso strabuzzando gli occhi tanto per interrompere un po’ la monotonia sempre più incombente.
In effetti avrei dovuto venire a patti anche con questo, prima o poi.
In ogni caso alla fine, per forza di cose, parlai con Miss Pince; che poi fu lei a venire a parlare con me, poco prima della chiusura della biblioteca, un venerdì sera.
“Oh, Soleil, non sei ancora di andata via, bene.” Disse venendomi incontro dopo essere sbucata da dietro una libreria.
Avrei voluto risponderle che fosse ovvio che ancora non me ne fossi andata, dato che in quel caso avrei dovuto chiudere lei lì dentro, ma evitai di commentare. C’era una certa… cordialità, tra noi, ogni tanto scappava qualche battuta, ma era comunque il mio ‘capo’. Certo, a parte Silente. E il fatto che lei fosse una mia pseudo-parente c’entrava poco e niente.
Comunque.
“Sì, sì, certo che sono ancora qui.” Risposi infatti “Ed è appena andato via l’ultimo visitatore.”
“Perfetto, almeno riescono a rispettare l’orario di chiusura.” Si fermò accanto a me “Prima che però tu te ne vada vorrei dirti una cosa, veloce, veloce.”
La guardai perplessa.
“Sì, certamente…”
“Mi è appena arrivato un gufo dalla Kni & Son, il nostro fornitore privato. Ha detto di aver appena inviato del volumi da Scrivenshaft, ad Hogsmeade, quindi dovresti andarli a ritirare.”
Beh, a pensarci me l’avevano detto che mi sarebbe toccato questo barbaro e barboso compito, quindi non mi sorpresi più di tanto.
“D’accordo, non c’è problema, e quando arriveranno?”
“Oh, sì, giusto, non l’ho detto.” Miss Pince fece un breve sorriso “Saranno a nostra disposizione domani mattina presto!”
Ecco, questo mi sorprese un po’ di più; e che cavolo, il ‘domani’ sarebbe stato un sabato, ovvero il mio giorno libero! La mia espressione si fece con molta probabilità molto meno accondiscendente di prima.
“Ehm.” Dissi allora cercando di apparire risoluta, per quanto ne fossi capace “Ma la Kni non può inviare il pacco qui?”
“No, vedi,” Miss Pince fece una breve pausa distogliendo per un momento lo sguardo per – supponevo – trovare le parole adatte da dire “c’è uno stretto rapporto di collaborazione tra la Kni & Son e Scrivenshaft. In realtà il rapporto con noi è solo indiretto, Scrivenshaft ci fa un favore a passarci certi libri, quindi ci è sempre parso meglio venire incontro a Scrivenshaft ed andare noi a prendere i vari pacchi.”
Ah. Ok, non era che avessi capito tutto molto bene, e in quel discorso trovavo falle un po’ ovunque, ma… Vabbè, già sapevo i non poter protestare, quindi lasciai perdere ancora prima di cominciare.
…Ma poi ‘noi’ chi?
Era sempre colpa di Silente, ecco. Così, tanto per.
E quindi, morale della favola, la mattina successiva – un sabato – avrei lavorato comunque.
“Ok, uhm… Capito.” Come no – Le risposi allora “E quanti libri sono?”
“Oh, giusto un paio di pacchetti, poche cose.” Ah, beh, almeno quello! “Grazie mille per la disponibilità.”
Oh, beh, meglio di niente.
Così feci anch’io un sorriso. Tanto, finché si trattava di un paio di pacchetti. E poi era il mio lavoro, non è che le stavo proprio facendo un favore, perciò apprezzai la sua gentilezza.
E a quel punto, allora, la biblioteca venne chiusa, proprio qualche minuto prima della cena, giusto il tempo, quindi, di arrivare in Sala grande  e di accomodarsi.
E sebbene avessi accettato l’incarico di Miss Pince da giusto quattro minuti, quasi quasi me ne stavo già pentendo. Ma pentendo cosa? Era il mio lavoro, non un hobby, era ovvio che dovessi fare quello che mi si chiedeva, per quanto barboso fosse!
Era come se un mozzo, su un galeone – la nave, non la moneta – d’altri tempi, si fosse rifiutato di pulire il ponte perché lo reputava noioso. Perché – ehi – lo era davvero. E non pensavo che in un caso simile il capitano ne sarebbe stato tanto contento.
Sei un mozzo? Comportati da mozzo!
Al che poi il capitano l’avrebbe fatto camminare sull’asse e gettato in pasto agli squali con l’accusa di insubordinazione.
Per un momento mi immaginai persino Miss Pince con una benda su un occhio, la bandana in testa e il coltello tra i denti. E il pappagallo verde su una spalla. E i baffi.
Ok, basta.
“Mai accettare il posto di mozzo su una nave.” Mi recitai mentalmente.
E a quel punto mi sedetti sbuffando al mio pasto alla tavolata dell’‘Hogwarts’ staff’.
Dovevo portare a termine l’incarico, sì – onde evitare orde di squali – ma l’entusiasmo faticava a sopraggiungere.
Dopo circa trenta secondi che il mio sguardo si era un po’ perso nel vuoto nei meandri della Sala Grande in attesa che la cena fosse pronta, cominciai a sentirmi… osservata. Mi voltai con circospezione, allora, e mi ritrovai davanti – o ‘di lato’ – Severus che mi stava fissando, mantenendo però la testa girata solo di tre quarti. Lo guardai in maniera interrogativa.
Forse avevo sbuffato troppo forte e lui se n’era accorto? Forse ora si stava chiedendo il perché della mia gioia che non sprizzava da tutti i pori?
O della non-gioia che sprizzava?
O dei pori che si erano chiusi direttamente rendendomi pure la pelle grassa?
Aiuto.
Insomma… gli spiegai, allora, cosa fosse successo, dato che lui ci teneva tanto a saperlo.
“Domani dovrebbe essere il mio giorno libero.” Dissi “E invece dovrò andare ad Hogsmeade a prendere dei libri da sistemare in biblioteca.”
Lui mantenne la sua espressione seria – o, nel suo caso, la sua espressione e basta, e mi rispose solo dopo qualche secondo.
“Oh, sono lusingato che mi reputi tanto importante da rendermi partecipe delle tue… sventure.” Sogghignò appena “Ma io non ti ho chiesto proprio niente, Cirque.”
Io, di tutta risposta, sul momento, mi limitai a strabuzzare gli occhi.
Ma che…
Ma tento ero io la scema.
“Ah, grazie, Severus. Grazie tante, eh.”
“Lusingato anche di poterti arrecare sollievo.”
Il ghigno sulla sua faccia palliduccia si allargò, mentre sulla mia aumentò l’intensità della mia occhiataccia malefica.
Ma che me l’aveva fatto fare, a rivolgergli la parola?
“Oh, ma per favore, chiudi la bocca…” Mi scappò per l’esasperazione.
Subito me ne pentii, ovvio, ma pensai che comunque la mia incolumità fisica non fosse così in pericolo: c’erano, come fortunatamente mi stava succedendo quando non riuscivo a frenare la mia lingua in tempo, troppi testimoni. Ammazzarmi di fronte all’intera Sala Grande, tra studenti e corpo insegnanti al completo, sicuramente non sarebbe andato a suo favore. E meno male che non ero neanche una studentessa! Altrimenti mi avrebbe tolto una caterva di punti e messa in punizione per i secoli a venire nel giro i cinque secondi. E, durante quelle punizioni, non vi sarebbe stato nessun testimone. Senza considerare che dovevano semplicemente essere terrificante.
E invece, quando smisi di immaginarmi mille catastrofi tutte assieme e guardai Severus… non lo trovai furioso. Beh, non si poteva neanche definire felice, però… la sua apparente tranquillità mi spiazzò, per un momento, specie considerando che il ghigno che gli incurvava le labbra non si era affievolito quasi per niente.
“Veramente hai iniziato tu questo noiosissimo – se mi permetti – discorso.” Disse allora Severus, guardandomi con gli occhi quasi scintillanti per il divertimento – che bastardo “Il che potrebbe portare a due considerazioni: soffri di memoria a breve termine con associato sdoppiamento della personalità, oppure potresti semplicemente essere carente di quel qualcosa che fa sì che qualsiasi uomo che ne sia abbastanza dotato capisca che è il momento di. Fare. Silenzio. Ah, sì, l’intelligenza. Io sono incline a prendere entrambe le teorie in considerazione, in realtà.”
La prima volta che avevo scambiato due parole con Severus Piton mentalmente l’avevo mandato a ‘farsi fottere’ – sempre con tanta galanteria, certo – e ora la sensazione si era ripresentata in maniera piuttosto prepotente. Però riuscii a controllarmi e non lo presi a sberle, bensì, con tanta forza di volontà, mi voltai dalla parte opposta alla sua e smisi di guardarlo, considerarlo, di parlare con lui. Nemmeno gli risposi, evitando così di insultarlo e di farmi salire ulteriormente il sangue al cervello.
Idiota. Davvero idiota. Cretino, idiota e deficiente. Stron-
Tanto tra me e me potevo comunque insultarlo, no?
Così andò a finire, appunto, che consumai la mia cena in silenzio, e, neanche a dirlo, Piton  non fece più alcun commento. Che potevo aspettarmi, d’altronde?
Fortuna che perlomeno mentre stavo per uscire scambiai qualche minuto di chiacchiere con la professoressa McGranitt e con Silente, che raccontò, tra le altre cose, un simpatico aneddoto sugli orologi a cucù, e questo contribuì a risollevarmi il morale, almeno per un po’.
Alla fine, comunque, conclusi la serata nella mia stanza, sebbene persino Gilderoy mi avesse chiesto di unirmi a lui e ad altri professori in – appunto – sala professori. Il che era veramente tutto dire. Me ne andai in camera mia, dunque, mi feci una doccia, un tè, indossai il mio pigiama viola e mi lessi qualche pagina del mio libro, alla faccia di Miss Pince e di Severus Piton.
La mattina successiva mi svegliai senza dar peso all’orario. Tanto la libreria, lì ad Hogsmeade, non avrebbe chiuso prima del solito orario pomeridiano, così potei perlomeno permettermi di dormire un po’ di più. Certo, quando guardai l’orologio pensai che ci mancò poco che fossi entrata in letargo, ma poco importava.
Quando allora finalmente uscii mi diressi ad Hogsmeade, bacchetta in tasca, con tranquillità, diretta verso… vero dove? Sì, era una domanda lecita, perché non erano state preparate carrozze per il trasporto – gli studenti non avevano alcuna gita in programma, per quel giorno – quindi ciò voleva solo dire che avrei dovuto materializzarmi a destinazione per non ritrovarmi a vagare magari in un limbo o in un’altra dimensione.
Chissà poi se fosse possibile una cosa del genere… Probabilmente no, già.
E così, rimosse velocemente tanto quanto erano arrivate le mie teorie babbanofilmente fantascientifiche, mi diressi ai confini di Hogwarts, stringendomi nella mia giacca imbottita e, una volta giunta lì, mi smaterializzai. Ad essere sincera dovermi smaterializzare non mi entusiasmava più di tanto: avevo sempre paura di Spaccarmi e di lasciare qualche mio pezzo per strada. Insomma, se mi fossi Spaccata la testa, lasciandola indietro, che sarebbe successo? Sarei morta all’istante oppure no? Ecco, pensieri come questi me la facevano proprio temere, la Smaterializzazione.
Ma arrivai comunque ad Hogsmeade sana e salva, proprio all’inizio della via principale, High Street. Tosca, quant’era che non andavo lì! Troppi anni, in ogni caso. Dovevo per forza fare un giro, prima di andarmene… Mielandia, Zonko, Mondomago… Sì, dovevo per forza rivisitare tutto il villaggio! In effetti forse quell’uscita non si sarebbe rivelata la noia e il disastro che avevo stupidamente ed ingenuamente immaginato. E il fatto che ancora non fosse neanche cominciata, in pratica, la diceva piuttosto lunga a riguardo.
Cominciai a camminare, allora, lentamente, in modo da poter osservare le case, i negozi, il paesaggio senza tralasciare nulla. Era come se vedessi tutto per la prima volta, quasi.
Passai davanti Mielandia, allora. Oh, Mielandia! Il luogo in cui spendevo la maggior parte dei galeoni che mi dava mio padre! Vabbè, anche perché trovandomi in una scuola-collegio e non in vacanza, erano stati ben pochi i luoghi in cui ero potuta andare. I Tre Manici di Scopa a parte. Ma tanto sempre di cibo si parlava, in ogni caso. Beh, passai lì davanti, insomma, ripromettendomi di tornare alla fine del mio ‘tour’ per farmi una scorta dei miei dolciumi preferiti – le Cioccorane! – e così facendo gettai una veloce occhiata alla vetrina colorata e dentro il locale, prima di proseguire.
Solo che poi, dopo aver fatto giusto qualche decina di piedi, mi fermai, feci mente locale su quando avevo appena visto, e allora tornai indietro, camminando con passi lunghi al contrario, neanche fossi stata un gambero. Mi fermai così nuovamente davanti alla vetrina, e sbirciai all’interno di Mielandia. Chi si aggirava camminando tra gli scafali guardando apparentemente annoiato scatole e scatolette, pupazzi commestibili, lecca-lecca e sacchetti di plastica? Severus Piton.
Ecco, questo non me l’ero aspettato. Non che ovviamente l’avessi beccato a compiere le più scabrose pratiche, solo che… Severus mi ispirava sapori amari, non caramelle e cioccolatini, quindi mi sorpresi di trovarlo lì. Poi chissà, magari nella sua stanza in realtà aveva un armadio pieno di praline e merendine varie.
Mi ricordavo, ovviamente, di avercela con lui per quanto mi aveva detto la sera prima, ma ero davvero troppo curiosa di sapere cosa stesse facendo. Ah, le mie alte aspirazioni del sapere…
Entrai, allora, rimandando la visita da Scrivenshaft di qualche minuto. La porta si aprì, ma lui non ci fece caso, anche perché si era appena fermato di fronte alla cassa – stava acquistando qualcosa! – perciò si stava concentrando su quello; così io afferrai al volo una scatola di dolciumi a caso e mi misi casualmente in fila dietro di lui.
“E tu cosa ci fai qui?” Dissi con molta – forse troppa – nonchalance.
Severus al momento non fece alcunché, ma poi, invece, girò la testa quel tanto che bastava per rendersi conto di chi avesse appena parlato – io.
“Secondo te?” Rispose.
Uno dei miei soliti amici si sarebbe voltato e avrebbe detto ‘Oh, Soleil, ciao! Avevo voglia di dolci, tutto qua, e tu?’. Ma Severus ovviamente no, e la cosa non mi sconvolse per niente; probabilmente sarei svenuta se mi avesse salutata nell’altro modo sopraccitato, invece.
“Sì, lo so.” Risposi allora io “Ma non mi aspettavo di trovarti ad Hogsmeade. Specie da Mielandia, poi.”
Lui si girò un po’ di più verso di me.
“In base a quale ragionamento?”
“Non so… Credevo non ti piacessero queste cose.”
Detta così suonava veramente stupido, però…
E proprio allora Severus infilò una mano nella tasca del cappotto, al che pensai che volesse tirare fuori la bacchetta per affatturarmi come punizione per la mia ingenuità, e mi preparai terrorizzata ad affrontare il dolore. E invece prese qualche moneta da posare sul bancone per pagare il contenuto del sacchetto che la commessa gli aveva appena finito di sistemare.
Immaginai di essere sembrata ancora più stupida.
“Ti attribuisci la presunzione di conoscermi, quindi.” Commentò allora lui, riportandomi immediatamente con piedi per terra.
“Era solo una supposizione.” Sminuii, allora, provando a far cadere il discorso.
Severus si spostò, lasciandomi lo spazio per farmi pagare i miei dolci.
“Una supposizione dettata dalla presunzione di conoscermi.”
Sbuffai senza far rumore, e pagai, prima di rispondergli. Stranamente mi stava persino aspettando.
“Beh, anche tu credi di conoscermi.” Dissi poi, mentre ci dirigevamo verso l’uscita “Si nota, dai tuoi commenti!”
“Quali commenti?”
Lo guardai in maniera più che eloquente, e lui incurvò, dopo qualche secondo, un angolo delle labbra.
“Quello che pensi ti si disegna sul viso.” Rispose poi “Ogni tua ruga parla.”
“Ehi, io non ho le rughe!” Protestai.
Severus alzò appena gli occhi al cielo, uscendo da Mielandia, ed entrambi ci ritrovammo in strada.
“Hai capito cosa intendo.” Riprese lui, prima di mettersi a scrutarmi in viso “Credo. In effetti no, non ti si legge proprio tutto in faccia. Aggiungerei un ‘per fortuna’ di circostanza.”
Oh, ma come si permett-
Vabbè, sì, in effetti i miei pensieri spaventavano perfino me, a volte, quindi era sicuramente meglio che inviso non mi si leggesse tutto-tutto.
…E Severus mi aveva appena detto avevo le rughe. D’espressione, sì, ma sempre rughe erano!
Ma comunque… In ogni caso non so cosa mi prese, però fatto fu che in quel momento chiesi a Severus se volesse accompagnarmi da Scrivenshaft, dato che dovevo ritirare queste due famose scatole. In realtà me ne pentii quando neanche avevo finito di pronunciare l’ultima parola della frase, ma il punto fu che lui accettò.
Non con entusiasmo, non si mise a saltellare sul posto, ma perlomeno accettò.
E così Scrivenshaft fu.
Entrando nella libreria mi venne voglia di mettermi a mio agio guardando tra gli scaffali e sfogliando qualche libro, ma dato che avevo un ‘accompagnare’ pensai che non fosse il caso; dato che, in quel caso, il libro me lo avrebbe tirato in testa, lui, lamentandosi che lo stessi facendo aspettare troppo.
Andai dalla ragazza che mi sembrava lavorasse lì, dato che stava guardando non libri, ma gli altri due o tre clienti presenti, e le spiegai la situazione.
“Oh, certo.” Fece subito lei “Ho messo le scatole nel retro, dato che qui avrebbero ingombrato troppo. Prego, sono dietro quella porta.” Indicò, appunto, una porta “Scusate se non vengo, ma devo per forza rimanere qui.” E fece un piccolo sorriso di scuse, che io ricambiai. A parte le scuse, ovviamente, dato che non era che io dovessi farmi perdonare niente.
Ma comunque… Andai sul retro della biblioteca, e Severus mi seguì in silenzio. Stranamente non stava dicendo neanche una parola. Vabbè, ‘stranamente’ neanche tanto, dato che era un tipo più che silenzioso… Anche se per prendermi buffamente in giro la favella la ritrovava sempre.
Comunque. Retro della biblioteca. Individuai subito le scatole che mi interessavano, grazie ad un enorme e provvidenziale ‘Kni & Son’ stampato sopra a caratteri neri a pois rossi – sì, esatto, l’avevo pensato anch’io. Solo che c’era un piccolo problema: non si trattava propriamente di pacchetti, ma di scatoloni, e non erano un paio, erano cinque. E tutti sapevano che era sempre meglio non rimpicciolire nulla che contenesse cose delicate e infilarselo in tasca tra sballottamenti vari e con conseguenze piuttosto devastanti.
“E ora come faccio?” Dissi, più a me stessa che rivolta a qualcuno in particolare.
“Con una cosa chiamata magia, non so se hai presente.”
Sbuffai per l’ennesima volta.
Poi tirai fuori la bacchetta, allora, e pronunciai un Wingardium Leviosa sulla scatole, che si alzarono tutte assieme. Il problema fu farle passare una ad una dalla porta, ma a parte un breve momento panico in cui due scatoloni cozzarono tra loro, tutto andò più o meno liscio come l’olio, il petrolio, o una bottiglietta rovesciata di smalto.
Io e Severus on parlammo molto – a dire il vero praticamente per nulla – durante il tragitto per raggiungere l’inizio di High Street in modo da smaterializzarci nuovamente alla volta di Hogwarts. O meglio, io mi sarei sicuramente smaterializzata, mentre Severus non avevo idea se a quel punto mi avrebbe piantata in asso perché aveva delle cose più importanti da fare. Però, nonostante i miei dubbi, lui continuava a camminare accanto a me, quindi supposi che anche per lui la gita ad Hogsmeade fosse conclusa.
E lo era anche per me, nonostante tutti i programmini mentali che mi ero fatta neanche mezz’ora prima, ahimé.
In tutto ciò io ogni due secondi mi voltavo per controllare che tutti gli scatoloni fossero ancora allineati dietro di me, il che mi creava una certa ansia per il fatto che sarei potuta andare a sbattere contro qualcosa da un momento all’altro, e dubitavo che Severus mi avrebbe avvertita in tempo del pericolo. Ma vabbè, fortunatamente per una volta non ci furono particolari problematiche da affrontare.
E così… Arrivammo ad Hogwarts, dunque, e in meno di qualche minuto. E ovviamente, al momento di dover sparire per poi ricomparire al cancello cercai di non mostrare il minimo cenno di inquietudine. La cosa particolare fu fare in modo che toccassi tutte le scatole simultaneamente per poterle portare con me senza dover fare un viaggio in più, il che mi portò ad assumere una posizione in stile contorsionista che fece sì che mi ritrovassi seduta per terra a gelarmi il sedere.
La faccia che fece Severus fu un qualcosa di indescrivibile. Sembrava sorpreso per il fatto che non avesse mai visto qualcuno rischiare di slogarsi una spalla per una ‘semplice’ Smaterializzazione, cosa che forse lo incuriosì pure, ma non potevo di certo metterci la mano sul fuoco, e allo stesso tempo sembrava anche pensare ‘Avrei preferito continuare a rimanere nell’ignoranza’.
Tipico.
Attraversammo tutto il parco, diretti ovviamente al castello.
“Ma alla fine non ho capito che dolci hai comprato.” Dissi allora, mentre camminavamo, interrompendo finalmente quel silenzio di tomba.
“Questo perché io non te l’ho detto e tu non me l’hai chiesto. A meno che tu non sappia sondare la mente altrui, e ne dubito, specie se si sta parlando di entrare nella mia, di mente…”
“Sì, sì, ho capito questo, non c’è bisogno che ti dilunghi.” Feci una pausa, me ovviamente non mi arresi “E quindi che hai preso? Ora te lo sto chiedendo.”
“Potrei non rispondere.”
Io però avrei potuto iniziare a prendere a testate l’albero solitario che avevamo appena sorpassato.
Notare tutta la manfrina solo per riuscire a sapere cosa diamine avesse comprato da Mielandia. Non che fosse per me un’informazione di importanza vitale, ma ormai era diventata una questione di principio.
“Potrei rubarti il sacchetto e vederlo da sola.”
“Potrei affatturarti.”
“Potrei respingere l’attacco.”
“Oh, no, non potresti.”
Alzai gli occhi al cielo, e tra me e me ammisi la sconfitta. Anche perché non era che mi andasse molto di mettermi a saltellare sul posto rimbambendolo di ‘Mi fai vedere, mi fai vedere, mi fai vedere?’ o di iniziare una lotta greco romana alla scopo di prendergli quel benedetto sacchetto, dato che, comunque, mi avrebbe scagliato non sapevo neanche quale maledizione in entrambi i casi senza farsi troppi problemi.
Lasciai perdere, allora, e così arrivammo dentro le mura del castello; ben presto dovemmo separarci, dato che stavamo per prendere due strade diverse, io diretta alla biblioteca per posare finalmente quegli scatoloni che mi seguivano come fidi cagnolini, e lui… boh, diretto da qualche altra parte.
“In ogni caso” Fece a quel punto lui, probabilmente come frase ad effetto per andarsene con stile – nel caso in cui il mantello svolazzante non fosse bastato “questi congegni da carie non sono per me, ma per Silente.”
Lo guardai sorpresa.
“E quindi sei andato fino ad Hogsmeade solo per comprare delle caramelle per il Preside?”
Lui fece una breve pausa, prima di rispondere.
“Evidentemente mi considera il suo fattorino personale.”
E detto questo se ne andò. Così, di botto.
“Ah, ciao, eh.” Feci io sottovoce alla rampa di scale ormai vuota.
E comunque… Nonostante pensassi che se qualcuno mi avesse ‘usata come fattorino’ l’avrei mandato a quel paese – Vabbè, Miss Pince a parte – in quel momento… con un sorrisetto sulle labbra mi ritrovai a stimare Silente.
Bravo, nonno.
   
 
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