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Autore: Melanto    04/12/2012    6 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
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ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 16: This is War (parte III)

Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

“To the right, to the left /
Da destra a sinistra
we will fight to the death /
combatteremo fino alla morte,
to the Edge of the Earth /
fino al confine della Terra.
It's a brave new world from the last to the first /
È un coraggioso nuovo mondo dall’ultimo al primo.

To the right, to the left /
Da destra a sinistra,
we will fight to the death /
combatteremo fino alla morte,
to the Edge of the Earth /
fino al confine della Terra.
It's a brave new world /
È un coraggioso nuovo mondo,
it's a brave new world /
è un coraggioso nuovo mondo.

30 Seconds to MarsThis is War

La prima cosa che Ryoma Hino si trovò davanti, dopo che la copertura degli Elementi d’Aria si interruppe all’improvviso, fu il ventre di un Agile di Kalavira. Alla faccia di quegli imbecilli che avevano sempre detto e ribadito che: ‘noooo, gli agili sono estinti, ormai!’.
La carica era stata data subito dopo che i quattro folli spuntati dal nulla assieme al Principe avevano aperto le danze, provando a creare un diversivo che tenesse impegnato Gamo e i suoi il tempo necessario per permettere a quello in grado di volare di portare in salvo il figlio del Re.
Lui si era precipitato per raggiungere il proprio destriero e gli uomini già in posizione. Al suo fianco, il Comandante Hongo aveva fatto lo stesso: era balzato con agilità in groppa al proprio animale e si era infilato rapidamente l’elmo. La sua voce era risuonata, accompagnata dallo squillare del corno.
L’Avanguardia di Terra si era mossa ancora prima di loro; aveva visto Master Wakabayashi dare disposizioni appena avevano riconosciuto il Principe. Poi subito dopo si erano mossi anche gli uomini di Master Hyuga e Master Misugi con l’ordine di coprire e facilitare la loro avanzata.
Aveva visto chiaramente la schiera di Gamo che avanzava unita e compatta, proprio come la loro, nera nei colori e negli intenti. L’aveva vista divenire più nitida, più aggressiva e poi la tempesta di polvere aveva reso ciechi entrambi, ma le indicazioni del Magister di Alastra avevano saputo guidarli, almeno fino a un certo punto. Poco prima dell’impatto, quando il suo cuore aveva battuto più forte, aveva capito, in un guizzo, che qualcosa doveva essere andato storto.
Dopo era stato solo il caos.
La cortina di polvere degli alastri si era dissolta e ora il ventre dell’agile era sopra la sua testa.
Ryoma non perse tempo e levò in alto la punta della propria lancia. Si conficcò nella pancia della bestia, squarciandola per tutta la sua lunghezza, tanto da rimanerne bloccata. Il Primo Ufficiale abbandonò l’arma e provvide subito a estrarre la spada. La sua prima vittima giaceva al suolo, schiacciata dall’assalto degli altri animali che non erano riusciti a evitarla. Ma se lui era stato tanto abile, grazie al suo levianto, da poter evitare che un agile gli pestasse il cranio sotto gli zoccoli, lo stesso non avrebbe potuto dirsi di alcuni suoi compagni.
I cavalieri, a dorso degli animali dell’ormai defunto Dogato di Kalavira, erano spuntati all’improvviso, subito dopo la prima fila d’assalto. I loro cavalli erano riusciti a superare, con dei balzi, bestioni di due metri come i Colossi delle Isole Zmyr, tanto da spiazzare anche guerrieri esperti come Bunnaku: per miracolo non era finito egli stesso sotto il peso delle loro zampe, ma per la sua cavalcatura non c’era stato niente da fare.
Ryoma si lanciò verso il prossimo avversario e ringraziò la prontezza di riflessi di Hernandez, che restava in retroguardia. I suoi uomini non avevano perso tempo e la pioggia di frecce stava cercando di arginare l’avanzata degli agili. Poteva addirittura sentire i suoi comandi nell’eco della battaglia serrata.
Incocca!” stava dicendo, mentre lui calava l’ennesimo fendente e la lama della spada aveva ormai perso il colore grigio dell’acciaio per far posto a quello rosso del sangue nemico.
Tendi!
Si volse. Victorino era più distante, ma si stava facendo onore occupandosi di quanti più agili gli capitassero a tiro.
Scocca!
Le frecce sembrarono un mare di stelle cadenti dalle punte infuocate, come infuocate calarono, di colpo, quelle sfere color porpora.
“Porca puttana!” Ryoma tirò le briglie per evitare che il levianto si imbizzarrisse. Anche il suo avversario parve disorientato e prese a guardarsi intorno, quasi non si aspettasse una cosa del genere e, per quanto poco ne capisse, Hino comprese una cosa: non era frutto della magia elementale.
Sollevò lo sguardo e attraverso la celata scorse quei mostri alati che stavano dando battaglia ai cavalli degli Elementi di Fuoco.
“Questa poi! Ho sempre detto di odiarla la magia!” imprecò tra i denti, prima di affondare il colpo nell’altro soldato.
Una delle bestie precipitò di schianto poco lontano da lui; qualche mago doveva averla tirata giù di peso. Solo allora notò che il corpo era grande poco meno del doppio di un cavallo, ma aveva un’apertura alare che faceva impressione e quegli occhi che continuavano a ruotare, impazziti, in ogni direzione, prima di immobilizzarsi privi di vita.
Non aveva idea di cosa fosse o da quale Infero fosse uscita fuori, ma stava di fatto che non sarebbe stata per niente una battaglia semplice.
Tirò le briglie e il cavallo ruotò su sé stesso prima che lui lo indirizzasse in avanti.
Vide Shunjin-Go che aveva già abbandonato la cavalcatura per combattere gli avversari con ‘Onore’, la spada di famiglia, tramandata di generazione in generazione. La lama era lunga e sottile, dalla punta ricurva, mentre l’elsa poteva essere impugnata solo usando entrambe le mani. Il capitano la faceva ruotare sul capo con agilità dando l’illusione che fosse leggera come un fuscello e invece tutti sapevano quanto fosse pesante. Shunjin-Go la teneva costantemente affilata e questo dava i suoi frutti in battaglia. Ryoma vide con quanta facilità la carne si tagliasse a ogni fendente.
Una testa, due braccia e tre zampe di cavallo vennero falciate in un solo, elegante movimento.
Dall’altro lato, più lontano e ugualmente impegnato, Bunnaku menava pugni a tutto andare. La forza delle sue braccia unita alle nocche rinforzate dei guanti dell’armatura frantumavano crani e piegavano l’acciaio degli elmi. Nessuno dei suoi avversari, per quanti sarebbero stati, avrebbe potuto tenere testa alla sua abilità di guerriero. Lo confermò il fatto che un soldato di Gamo tentò di attaccarlo alle spalle, brandendo la propria spada, ma Bunnaku ne spezzò la lama con un calcio.
Ryoma si volse ancora rendendosi conto di non riuscire più a scorgere il Comandante Hongo. Non che fosse semplice individuare bene qualcuno in quella confusione, a meno che non fosse abbastanza vicino. Pensò che l’uomo fosse avanzato per andare alla ricerca di Gamo: prima l’avrebbero eliminato, prima il suo esercito avrebbe finito col disperdersi.
Si rese conto che anche lui doveva darsi da fare e che uccidere soldati alla rinfusa non sarebbe servito a molto: erano i capitani quelli che bisognava falciare. Senza gli ufficiali maggiori, le Legioni avrebbero finito per ridursi a un disorientato manipolo di uomini senza più uno scopo; per loro sarebbe stato semplice, poi, portare avanti la vittoria.
Con gli occhi cercò l’avversario adatto e quando fu sicuro di averne trovato uno, spronò il cavallo a raggiungerlo. La spada era stretta nella mano e pronta a essere caricata e calata sul nemico, quando un levianto pari al suo per colore e portamento gli sbarrò la strada.
Aveva sul dorso una cappa con i colori cupi che nulla avevano a che fare con quegli degli Ozora. Nero era anche il suo cavaliere, ma dalla celata abbassata dell’elmo, il verde degli occhi sembrava un faro, quello che avrebbe guidato i naufraghi fuori dalla tempesta.
Nascosto alla vista altrui, il sorriso di Ryoma si tese con un certo piacere. Non avrebbe mai creduto che sarebbero riusciti a fronteggiarsi davvero in quel parapiglia, ma a quanto sembrava le loro strade erano state destinate a incrociarsi proprio nella fine.
“Questa volta non sarà come nei tornei.” Carlos Santana lo mise in chiaro da subito, anche se non ce ne sarebbe stato affatto bisogno.
Ryoma non si sentì intimorito dal tono freddo e deciso. “Non chiedo di meglio.”
Le lame delle rispettive spade brillarono un attimo nella luce dell’ennesimo incanto piovuto dal cielo.

Yuzo non si era più voltato indietro una volta affidati Principe e Chiave ai suoi fratelli d’Aria. Era sfrecciato verso la battaglia e aveva visto la strada della carica del Re nascosta dalla copertura dei suoi compagni guidati da Magister Pierre. Poi un kamalocha era comparso attraverso la polvere e il suo volo si era arrestato nel momento in cui aveva riconosciuto la creatura.
Non ne aveva mai visto uno dal vivo, poiché non erano animali appartenenti ai Regni degli Ozora. Sui libri aveva letto che nidificavano oltre le montagne del Nord più estremo, oltre la Corona dei Re. Trovarsene uno davanti l’aveva disorientato, almeno sul momento, ma subito aveva ripreso il controllo di sé stesso nell’accorgersi di come quelle bestie avessero praticamente spezzato l’avanguardia magica della fazione degli Ozora. Il loro attacco era stato a sorpresa e di sicuro non erano in molti a conoscere simili creature, nemmeno di nome.
Riprese a volare, domandandosi come avessero fatto gli Stregoni ad addestrarne così tanti e, soprattutto, come li avessero catturati. I kamalocha non erano prede facili, le loro abilità di volo e vista li rendevano imprevedibili e abili a scartare qualsiasi ostacolo o nemico, inoltre, l’artiglio che avevano all’estremità della coda era letale, per non parlare della loro lunghissima lingua coperta da una saliva talmente acida da corrodere l’acciaio.
Tentò di scorgere Mamoru, Hajime e Teppei, ma gli parve un’impresa impossibile. Al suolo la confusione era esplosa tra la polvere della copertura che stava svanendo, le fazioni ormai una nell’altra e gli incantesimi degli Stregoni che riuscivano ad arrivare a terra. Nonostante le forze elementali di alastri e fyrarish cercassero di arginarli il più possibile, la velocità dei kamalocha era superiore a quella dei màlayan e alcuni di loro passarono oltre la linea di difesa.
Yuzo vide la lingua acida di una delle bestie avvolgersi attorno alla caviglia di un suo compagno di scuola, che scomparve tra grida strazianti e scariche di fulmini. Fu in quel momento che comprese che quella era una guerra, e la guerra non sarebbe mai stata una battaglia lui contro gli altri, ma lui e i suoi fratelli contro gli Stregoni. E così come i maghi neri sarebbero caduti, anche gli amici di una vita avrebbero potuto fare la stessa fine. Facevano la stessa fine.
L’uccellino ingoiò a vuoto quel gusto amaro e ferrigno che la consapevolezza del ‘comunque vada, sarà una sconfitta’ aveva assunto, mischiandosi all’odore del sangue che gli parve già di sentire. Inganno della mente.
Strinse gli occhi affinché tutto il dolore che aveva conosciuto potesse smorzare quello che sarebbe seguito. Dentro di lui, l’Autocontrollo serrò i sentimenti che avrebbero potuto intralciarlo cosicché, nel vivo della battaglia, non potesse farsi preda di alcuno scrupolo o ripensamento, cosicché la morte dei suoi compagni non lo rendesse cieco a causa delle lacrime; il tempo per salutarsi sarebbe arrivato dopo e se aveva finalmente imparato a dire addio, adesso c’era un’altra cosa che avrebbe dovuto imparare. O, forse, l’aveva già imparata e doveva solo metterla in pratica.
Nel momento in cui spalancò gli occhi ogni cosa gli apparve in bianco e nero, distante, filtrata dietro un muro di vetro trasparente. Quell’incantesimo era stato il primo che, seppur involontariamente, aveva appreso, e negli anni la sua tecnica si era raffinata e rafforzata. Adesso era come se non fosse neppure lì e stesse osservando il furore della battaglia dagli occhi di un altro. Non ci sarebbe stato dolore ma il rancore non l’aveva fermato, non l’aveva rinchiuso. Come quando si era trovato a Ghoia, la rabbia sarebbe stata il motore per levare la mano, come in quel momento, tendere il braccio perpendicolare al corpo, come in quel momento, creare una lama di vento che corresse – invisibile e tagliente – per tutta la sua estensione, come in quel momento, e lanciarsi contro il kamalocha che arrivava verso di lui a tutta velocità. Proprio come in quel momento.
La rabbia non lo avrebbe fatto esitare.
Gli ci volle un attimo. Si trattò di una frazione di secondo, l’infinitesimo che impiegò a scartare dello spazio necessario il suo avversario e la lama di vento lungo il braccio teso fu la spada che decapitò mostro e cavaliere con innaturale facilità. Fu l’istante in cui creò, con l’altra mano, delle scariche elettriche e le usò per attorcigliare le ali del kamalocha successivo; l’effetto leva e la forza del vento gli permisero di scaraventarlo verso il basso.
Mentre lo vedeva schiantarsi al suolo si rese conto che, sì, lui aveva già imparato. Adesso doveva solo trovare Mamoru e gli altri per ricongiungersi a loro e combattere insieme, fino alla fine.

“Le nostre strade avrebbero dovuto riunirsi, un giorno, l’avevo sempre saputo.”
Il trovarsi accerchiato dai Master non impensieriva Natureza. Anzi, Jun vide chiaramente il suo modo di sorridere, lo stesso che aveva imparato a conoscere quando si trovavano ancora alla scuola e si rivolgeva a lui chiamandolo ‘fratello’.
A dirla tutta, Jun avvertì in maniera palese che il Nero non aveva paura di nulla; sembrava un sentimento estraneo al giovane poiché nei suoi occhi non vi leggeva alcun timore o esitazione, quanto calma e sicurezza e la frase che aveva pronunciato, guardando solo lui e nessun altro, sembrava confermare ancora di più l’impressione dell’Airone di Cristallo.
Perché, sì, Natureza non considerava neppure gli altri Master. Si limitò a rivolgere loro solo un’occhiata fugace, ma poi – forse perché conosceva personalmente Misugi da anni – parlò solo con lui. Lui che, proprio in virtù dei loro trascorsi, sapeva capire meglio degli altri se stesse dicendo o meno la verità.
“Questa volta non arriverà tuo fratello a tirarti fuori dai guai.” Jun tentò di mostrarsi più sicuro, ma dovette ammettere di basarsi solo su supposizioni e speranze.
Di rimando, il Nero allargò il sorriso candido che risaltava ancora di più sulla pelle scura.
“Ne sei sicuro?”
L’attimo dopo, attorno a loro, si scatenò l’inferno.
Per quanto fossero più distanti dal fronte di impatto, le grida allarmate e gli strani versi dei kamalocha arrivarono fino a loro, così come il rumore delle prime esplosioni.
Jun si volse  e Kojiro allungò il collo, per capire cosa stesse accadendo. Entrambi videro bestie nere e verdi solcare i cieli per fronteggiare i màlayan.
“Bastardo…” sibilò la Tigre Ardente, mentre Natureza ridacchiava.
“Mio fratello è già qui.”
Jun tornò a guardare il Nero; non pensò neppure di camuffare la sua evidente sorpresa nel riconoscere creature oltremontane al servizio degli Stregoni.
“Ormai dovresti sapere”, Natureza aveva sollevato le mani e tanto era bastato per mettere in guardia sia lui che il Master di Fyar, “di cosa sono capace.”
Gli incanti partirono insieme da entrambi i palmi, ma la magia cui appartenevano era differente. Nera per la mancina, elementale per la destra.
Niger koi na pìos melia!(1)” Folgori oscure vennero giù dal cielo, copiose e fitte, per attaccare Kojiro Hyuga, mentre Master Misugi si ritrovava a contrastare, vento contro vento, due tornado in miniatura.
Il volto del Nero era la maschera del suo immenso potere: un occhio nocciola chiaro e puro, l’altro puramente oscuro; era la sua abilità di Esecutore attivo quella di poter essere Elemento e Stregone insieme.
Master Hyuga si schermò con una cupola interamente di fiamme che si tese come un arco sopra la sua testa. Gli occhi persero di vista Natureza che con la velocità del volo gli fu accanto in un attimo. Kojiro non ebbe il tempo provare una difesa che un calcio in pieno stomaco lo disarcionò dal màlayan.
Misugi lo vide cadere nel vuoto, ma non se ne preoccupò; sapeva di poter contare su Matsuyama e Wakabayashi, avrebbero pensato loro a farlo atterrare su qualcosa di morbido.
Usando il taglio della mano come fosse una lama, il Master di Alastra segò l’aria dei tornado, creando un vuoto temporaneo di alcune frazioni di secondo, ma sufficienti a dissolvere l’incantesimo dell’avversario. Il Nero, però, era sparito. L’aveva perso di vista un solo momento e non riusciva più a scorgerlo se non quando fu troppo tardi: una corda di vento gli serrò la caviglia e Misugi si ritrovò a essere sbattuto in circolo per mano di Natureza.
Le immagini giravano così veloci da fondersi le une con le altre tanto da non permettergli di contrastare il moto centrifugo fino a che il Nero non lasciò la presa e lui venne lanciato verso il suolo. Le caviglie ancora strette non gli consentivano di acquistare l’equilibrio per poter volare, così si adoperò per sfruttare i propri poteri e riuscire ad attutire l’impatto quando si sentì strattonare. La caduta rallentata di colpo. Era come se una mano gli avesse afferrato l’armatura leggera che stava indossando e lo stesse guidando a terra con calma.
Jun toccò il suolo senza farsi nemmeno un graffio. Subito ne approfittò per liberarsi le caviglie e quando si volse accennò col capo in direzione di Wakabayashi, per ringraziarlo. Quest’ultimo rispose al cenno: l’ausilio della telecinesi era stato l’unico modo che aveva avuto per mettere in sicurezza l’Airone di Cristallo.
Accanto a lui, e stranamente spalla a spalla, Master Hyuga ci aveva messo il tempo di un fugace incantesimo per asciugarsi dell’acqua che l’Aquila di Mare aveva usato per farlo atterrare senza che avesse conseguenze. Master Matsuyama restava alla sinistra del Marmo Nero.
Attorno a loro si era come fatto il vuoto.
I soldati di entrambe le fazioni non si sognavano nemmeno di avvicinarsi nel luogo dove i Master e il Nero erano riuniti, avrebbe significato morte certa se fossero capitati nel mezzo di un attacco magico.
Le iridi dei capiscuola si puntarono decise nel cielo, dove Natureza restava ancora in volo, sospeso nel grigio delle nubi che si stagliavano alle sue spalle disegnando con precisione la sua figura e facendo risaltare il colore oscuro del mantello, dei capelli e della pelle. Li osservava da quella posizione dominante, quasi avesse voluto rafforzare la sua superiorità.  Era accomodato sul dorso del màlayan di Master Hyuga, ma l’animale non ne sembrava infastidito. 
Natureza avvicinò la mano alla criniera di fuoco pur senza entrare in contatto con le fiamme, dopodiché se la portò al viso nel gesto del saluto elementale, con devozione e rispetto. Abbandonò la posizione e sussurrò qualcosa all’orecchio dell’animale, che loro non sentirono, ma che parve convincere la bestia ad andarsene via, ad allontanarsi da quel posto, ad essere di nuovo libero. Il màlayan volò lontano tanto da lasciare senza parole lo stesso Kojiro che quel cavallo lo aveva montato per anni. Poi, il Nero iniziò a planare fino a che non toccò terra con eleganza. Guardò il suolo arido ai suoi piedi e si inginocchiò. La mano sfiorò la superficie e poi venne portata al viso proprio come era avvenuto con il cavallo. La terra, il fuoco e l’aria in cui volava. Avrebbe fatto lo stesso anche con l’acqua, se ne avesse avuta a portata di mano. Natureza onorava davvero tutti gli Elementi che regolavano quel pianeta. Onorava Elementia stesso in ogni sua manifestazione e creatura.
Si portò in piedi e avvicinò la mano al gancio sotto la gola che teneva allacciato il mantello. Lo sciolse e il vento lo trascinò via in un attimo con una raffica improvvisa.
“Non siete voi i miei avversari” disse il traditore pur senza smettere di mostrare la sua espressione sorridente, “ma solo uno dei tanti ostacoli che hanno incrociato il mio cammino. Probabilmente l’ultimo. Una volta che mi sarò sbarazzato di voi, potrò finalmente dedicarmi all’unica persona che merita la mia totale attenzione.”
Per Hyuga erano chiacchiere al vento, utili solo a farsi compagnia quando il silenzio diveniva fastidioso. La Fiamma si lanciò contro di lui, questa volta con tutto il corpo per sfidarlo in un duello senza magia.
“Il ronzare della tua voce” sibilò; i movimenti veloci, decisi e rabbiosi, “mi urta!”
Il calcio volante venne schivato, ma Kojiro seguì il movimento e lo concluse con un sequenziale calcio basso, anche questo schivato con un salto. Un pugno comparve all’improvviso per unirsi ai duellanti, ed era di Genzo. Natureza lo usò come punto d’appoggio: le sue mani si posarono sulle nocche per darsi lo slancio e saltare l’avversario ritrovandosi alle sue spalle. Il Master della Terra colpì con una gomitata, ma il Nero la schivò deviandola col dorso e il palmo delle mani, affiancati. Non ebbe nemmeno bisogno di spostarsi.
Con lo stesso movimento compiuto da Genzo, anche lui gli mollò una gomitata, dalla parte opposta a quella sferrata dal Marmo Nero, e colpì l’elmo in modo da farglielo saltare dal capo. Poi si girò, i pugni stretti vennero mossi insieme, colpendo il Master nel centro della schiena. Le nocche erano protette dal vento, utilizzato come una molla, e Genzo venne scaraventato in avanti con violenza, tanto da rotolare al suolo.
Shiedun(2)” ordinò nel linguaggio proibito e uno scudo magico nacque direttamente dall’onice che aveva nel collo proteggendolo da qualsiasi attacco sarebbe potuto arrivare da Misugi e Matsuyama, dietro di lui. Accanto, invece, Kojiro si era rialzato, ma il pugno arroventato andò a vuoto, poiché Natureza si abbassò un soffio prima di venire colpito e contrattaccò, rilasciando una sfera d’aria compressa nell’addome della Tigre Ardente. Quest’ultimo venne sbalzato via.
Un rumore improvviso gli fece levare gli occhi incrociando quelli di Master Matsuyama. L’Aquila di Mare doveva averlo aggirato quando lui era stato distratto dagli attacchi del Marmo Nero e della Tigre. Ne aveva approfittato per preparare un attacco a sorpresa attraverso i suoi poteri, ma ci sarebbe voluto ben altro per cogliere in fallo l’Elemento reietto.
Natureza vide nettamente quelle tre frecce d’acqua che tagliavano la terra e assumevano la forma minacciosa della pinna degli squali.
Oxidia na barik!(3)
Un guscio nero e lucido di ossidiana purissima e innaturalmente resistente si sollevò dal suolo creando una barricata contro cui l’acqua si scontrò e venne spinta verso l’alto, zampillando in cielo. Sembravano le teste incontrollate di un dragone, oscillavano impazzite.
Matsuyama imprecò, mentre Natureza sorrideva tra divertimento e soddisfazione.
Nel tempo di un battito di ciglia, apparve e scomparve grazie alla velocità acquisita alla Scuola di Alastra. Abbandonò il guscio di ossidiana e anche lo scudo di Magia Nera creato dall’onice scomparve. Effettuò una capriola a mezz’aria pronto a rimettersi in piedi, ma il calcio al volo che gli sferrò Master Misugi interruppe i suoi movimenti, centrandolo nel mezzo della schiena.
Essendo il primo tra gli alastri, la velocità di Natureza non poteva ingannare gli occhi di Jun, che riuscivano a seguirlo ovunque.
Misugi rimase a guardare, leggermente sollevato dal suolo, il corpo del Nero che collideva con la terra. Il forte impatto fece sollevare polvere e frammenti di roccia.
Matsuyama approfittò di quel momento per provare a intrappolarlo. I tre arpioni d’acqua, che ancora si agitavano, indirizzarono le loro punte verso il Nero e in un attimo si lanciarono su di lui, scomparendo nella polvere.
Gli occhi dei Master si assottigliarono, scrutando nella nuvola che andava diradandosi e quando videro l’acqua avvolgere Natureza tanto da bloccarlo un lampo di ottimismo attraversò i loro occhi. Se avessero continuato a unire le loro forze, il traditore avrebbe finalmente capitolato e molto prima di quanto lo stesso Stregone avrebbe mai potuto pensare.
“Lo abbiamo in pugno!” si lasciò sfuggire la Tigre Ardente in un ringhio soddisfatto, mentre Matsuyama sollevava Natureza controllando le corde d’acqua con i propri poteri.
Eppure, nonostante la sua posizione fosse di netto svantaggio, il sorriso del Nero era sempre lì, sulle labbra. Aleggiava come un monito o la benevolenza del padre che ammonisce il figlio convinto di averlo gabbato.
Solo Jun era rimasto più attento; sapeva sempre aspettarsi delle pessime sorprese da quel giovane. Quest’ultimo nemmeno rispose alle parole di Hyuga. Le sue braccia erano immobilizzate lungo i fianchi, ma per lui fu sufficiente riuscire a ruotare appena le mani per poter toccare l’acqua di Matsuyama.
Niger koi(4).”
Un sussurro e folgori porpora e nero si insinuarono all’interno delle corde percorrendole, tanto da non poter essere viste, con una velocità ben superiore a quelle che erano soliti creare gli alastri.
“Che ne facciamo adesso?” Kojiro si era portato le mani ai fianchi, ignorando il dolore che sentiva all’addome per il colpo ricevuto.
Genzo incrociò le braccia. “Dovremo immobilizzarlo del tutto prima che-”
Lascialo andare, Hikaru!” l’esclamazione di Jun arrivò così allarmata, improvvisa e senza senso che gli altri Master lo guardarono con palese perplessità, ma Misugi non fece in tempo ad avvisare del pericolo che le folgori emersero dall’acqua travolgendo Matsuyama.
L’Aquila di Mare gridò per il dolore, ma restò stoicamente in piedi, pur piegandosi in avanti. I denti vennero digrignati e i muscoli contratti dall’elettricità.
Natureza ridacchiò di piacere. “Koi na ssord(5)” formulò e una spada, fatta di quelle stesse folgori nere, prese vita nella mano destra. Approfittò del fatto che le corde d’acqua si stessero allentando e sul punto di scomparire per liberarsene e tranciare il flusso di netto. L’acqua si rovesciò al suolo con uno scroscio, improvvisamente inanimata.
Genzo andò subito in soccorso di Hikaru. Il suo braccio venne avvolto da uno spesso strato di roccia isolante e immerso in quel groviglio di fili elettrici che ancora stringevano l’Aquila. Se li attorcigliò addosso, liberando il compagno, e poi li scaraventò lontano, ma si dissolsero ben prima di toccare il suolo.
L’Aquila cadde in ginocchio; il corpo che si muoveva scompostamente a causa degli spasmi, residuo della corrente assorbita.
“Porti rogna, dannato Gatto Spennato!” ringhiò il Marmo Nero in direzione di Kojiro, anche lui accorso per dare aiuto ad Hikaru.
“Non aggiungere altro!” minacciò in un sibilo. Era già nervoso di suo, ci mancavano solo le parole a vanvera di quel dannato Wakabayashi. Cercò il Nero con lo sguardo e lo vide che stava ferocemente ingaggiando battaglia con l’Airone. Il viso assunse un’espressione sorpresa: non l’aveva mai visto così aggressivo fino a quel momento; sembrava avercela particolarmente con Misugi. Forse per i loro trascorsi comuni alla Scuola dell’Aria? Kojiro non seppe dirlo, ma il modo in cui stava attaccando Jun non gli piacque per niente.
Dal canto suo, Misugi, subito dopo che Natureza si era liberato dall’acqua di Hikaru, l’aveva visto puntare su di sé il suo sguardo di sfida. Uno sguardo improvvisamente carico, quello di chi avrebbe smesso di giocare e avrebbe iniziato a fare sul serio.
Quando la nera figura di Natureza era piovuta verso di lui, Jun aveva subito innalzato una barriera di vento per tentare di fermarla o quantomeno rallentarla. Non era servito a molto. La spada che il Nero continuava a brandire era calata più e più volte sulla sua cupola, costringendolo a indietreggiare e a dare fondo a tutta la sua forza per tenergli testa.
In quel momento, la barriera si era ridotta a poco più di una pellicola in procinto di andare in frantumi.
“Forza, Misugi, forza! E’ tutto qui quello che sa fare il Master dell’Aria? Credevo valessi molto di più!” Natureza rise, gli occhi erano spalancati e riflettevano i due poteri che albergavano in lui. La spada calò per l’ennesima volta, sfrigolando sul vento che circolava velocissimo tanto da prendere una consistenza visibile, d’un colore grigio sporco. I fulmini neri si diramarono dalla spada quasi godessero di vita propria e corsero per tutta la cupola. “Ormai ti ho in pugno, Master!”
Jun strinse i denti. Il sapore ferrigno del sangue gli arrivò sulla lingua, ma non demorse. Chiuse gli occhi per concentrare tutte le energie e tenere a freno quel potere dirompente che sembrava avesse voluto fagocitarlo. Le mani tremarono vistosamente nel controllare i flussi di vento, renderli stabili e impedire che si spezzassero, ma qualcos’altro sembrò spezzarsi nello sforzo eccessivo.
Jun spalancò gli occhi quando una fitta al petto sembrò strappargli il respiro per alcuni, lunghissimi momenti. La cupola scricchiolò pericolosamente.
Il Master tentò di riprenderne il controllo, ma una seconda fitta, più forte della prima, lo fece cadere in ginocchio. La mano corse al cuore, che batteva veloce ma aritmico. Il fiato si fece corto, come se proprio lui, padrone dell’aria, non ne avesse abbastanza. Il dolore lo piegò al suolo, il viso premuto nella terra e una mano stretta in pugno, mentre l’altro braccio continuava stoicamente a rimanere sollevato, ma tremava così forte che in un attimo la cupola si sfaldò, il vento corse via e si dissolse.
Natureza caricò il colpo di grazia, calandolo senza pietà, ma una barriera di roccia sorse per incontrare la sua lama elettrica. Della copertura approfittò la Tigre Ardente che in un attimo prese l’Airone tra le braccia per portarlo più lontano, fuori dalla portata del Nero. La roccia creata dal Marmo Nero andò in frantumi e le schegge volarono ovunque, tanto che lo stesso Master della Terra ne rimase ferito al braccio.
Il Nero tornò ad assumere il suo tipico sorrisetto divertito. Ritirò le folgori e fece scomparire la spada, terminando l’attacco. “Vedo che i tuoi problemi di cuore persistono.”
“Problemi di cuore?!” sbottò Kojiro guardando Jun, ora adagiato a terra. Il giovane continuava a tenersi il petto, ma aveva forza a sufficienza per poter levare lo sguardo sul suo vecchio compagno di scuola. Il respiro era pesante e difficoltoso.
“Sì, problemi di cuore. Altrimenti perché chiamarlo ‘Airone di Cristallo’?” Il Nero si sorprese. “Non lo sapevate? Jun Misugi ha un cuore fragile come il vetro.”
Gli altri tre Master si scambiarono un’occhiata confusa. Erano sempre stati ignari dei problemi di salute di Jun, forse perché non si era mai presentata, ai loro occhi, l’occasione critica che lo mettesse talmente sottosforzo da farlo stare male.
“Mi dispiace…” borbottò l’Airone quasi con rabbia.
“Avresti dovuto dircelo prima, dannazione! Saresti rimasto a guidare le retrovie!”
Jun rivolse uno sguardo furente alla Tigre che si ritrovò ad ammutolire.
“E per cosa?! Conosco il Nero meglio di voi, avevate bisogno del mio aiuto!”
Kojiro scosse il capo. “Che testardo.”
In quel momento, un bastone, piovuto letteralmente dal cielo, si conficcò nel terreno e dalla pietra nera che fluttuava sulla sommità, al centro di una gabbia di avorio e oro, si irradiò una luce che accecò tutti e quattro i Master.
Misugi rimase a terra, il volto coperto dalla mano. Kojiro abbassò il capo e strinse gli occhi; un ginocchio piegato e l’altro al suolo. In piedi, seppur malmesso, era rimasto solo Wakabayashi, il cui braccio sanguinava vistosamente, mentre Hikaru era ancora inginocchiato. Anche i loro occhi erano serrati.
“Che diamine è quella roba?!” Hyuga non riusciva a capirlo. Non solo la luce li rendeva ciechi, ma era come se assieme al bagliore emettesse una sorta di energia che li respingeva fino ad arretrare.
“Hai bisogno di una mano, fratello?”
La luce si spense adagio e Natureza fu in grado di sollevare lo sguardo al cielo, dove ora un’ombra si stagliava in volo, minacciosa. Sorrise.
“Appena in tempo, Cario. La questione iniziava ad andare per le lunghe e io non ho tempo da perdere.”
“Allora lascia a noi il compito di occuparcene.”
Nel cielo, Cario non era da solo, ma i Master furono in grado di vederlo solo quando schiusero gli occhi e la forma della pietra luminosa aveva smesso di rimanere stampata sulla loro retina ogni volta che sbattevano le palpebre. Sollevarono il capo al rumore di strani versi e si trovarono circondati dai kamalocha. Ce n’erano almeno cinque o sei, sui cui dorsi vi erano altrettanti Stregoni. E non erano Stregoni qualunque. Riconobbero Igawa, il cui nome era arrivato fino alle quattro scuole.
La situazione si era capovolta: ora erano loro in svantaggio numerico, e per giunta erano anche stati sfiancati dallo scontro col Nero il quale, per quanto da solo, aveva tenuto testa a tutti loro senza farsi neppure un graffio.
“Trova la Chiave, fratello.” Cario richiamò a sé il bastone con un semplice schiocco di dita e questo ci mise un attimo a sfilarsi dal terreno per correre nel suo palmo.
Natureza annuì, ma non si librò in volo. Spavaldamente si mosse a piedi, passando tra i Master quasi che non avessero mai potuto fermarlo.
Nonostante tutto, Matsuyama tentò di farlo, anche se l’utilizzo della magia a quei livelli così alti l’aveva sfibrato. Provò a creare una fune d’acqua che potesse avvolgersi attorno a un polso o alla caviglia, ma questa si infranse contro una barriera invisibile che seguiva il Nero.
Sul bastone di Cario, la pietra aveva brillato per un momento. “Non è più lui il vostro avversario.”
E per i Master fu chiaro che se non avessero sconfitto quegli Stregoni, non sarebbero mai potuti correre dietro Natureza.

Sawada atterrò nell’accampamento degli Ozora con delicatezza, permettendo anche al Principe di poter finalmente toccare il suolo.
Per tutto il tempo che era stato in volo, dopo che Yuzo lo aveva lasciato agli altri alastri, Tsubasa non aveva fatto altro che guardare in basso e indietro. Aveva fissato i cavalli dell’esercito di suo padre correre velocemente, sollevando polvere. E poi altra polvere, di lontano, tanto che non era più stato in grado di capire cosa fosse avvenuto quando le rispettive armate si erano fuse. Aveva solo visto quelle enormi bestie nere comparire dal nulla e in esse aveva riconosciuto quelle delle sue visioni. Era così che doveva andare.
“Ora siete al sicuro, Vostra Altezza.”
Sawada gli si rivolse con gentilezza e con un sorriso rassicurante, ma lui non aveva bisogno di alcuna rassicurazione. Lui già sapeva la direzione che avrebbero preso gli eventi, anche se non in maniera completa e lucida. Aveva solo sprazzi, sequenze. Ma gli erano sembrate sufficienti nella loro negatività. Eppure rispose al sorriso del giovane alastro, mentre Ryo si faceva subito al suo fianco.
“Finalmente a terra. Siano lodate le mie madri. Non ce la facevo più a venire sballottato a destra e a manca” sbuffò, con la sua solita insofferenza, ma il Principe non gli prestò attenzione e così fu la Chiave a rivolgere lo sguardo al suo padrone. Lo vide pensieroso e con gli occhi che seguitavano a cercare il campo di battaglia, lontano. Poi le sue iridi scure abbracciarono l’intero accampamento e gli uomini che aspettavano di prendere parte alla seconda carica.
“Venite, Vostra Altezza” Sawada gli si era rivolto prima che potesse farlo lo stesso Ryo. “Vi conduco da vostro padre. Non vede l’ora di potervi riabbracciare.”
Tsubasa annuì di nuovo, sempre con il sorriso, ma il senso di irrequietezza traspariva nitidamente dai suoi gesti. Almeno secondo Ryo, che lo conosceva, forse, meglio di chiunque altro.
Mentre passava tra i soldati, questi levavano le proprie armi al cielo, felici di saperlo in salvo. La sua presenza parve risollevare gli animi e Tsubasa fece tutto quello che un futuro Re avrebbe fatto: assecondò il loro entusiasmo e li ringraziò per la loro fedeltà e il loro valore.
L’Elemento Sawada lo guidò fino al rialzo da cui era possibile dominare interamente la Lingua di Serpe, ma era così distante dal cuore vero e proprio della battaglia, che era difficile riuscire a distinguere gli eventi a occhio nudo.
Tsubasa vide suo padre fermo presso la sommità. Il mantello pesante oscillava piano alle sue spalle e indossava l’armatura da guerra. Mentre lo raggiungeva, lesse gioia e sollievo nel suo sguardo e il modo in cui stringeva il pomolo della spada che pendeva nel fodero al suo fianco era quello di chi cercava di contenere la propria felicità.
Tsubasa accennò un sorriso d’affetto nei suoi confronti e, dopo un anno che non lo vedeva, gli apparve improvvisamente più vecchio di quanto lo ricordasse.
In tutti quei mesi si era focalizzato così egoisticamente solo sulle sue visioni da tralasciare troppo il resto. Di colpo si interrogò su sua madre e su suo fratello, sulla loro salute, ma si convinse che dovevano stare bene, altrimenti avrebbe di sicuro avuto dei flash di allarme. O almeno così sperava.
L’Elemento Izawa aveva avuto ragione a rimproverarlo come fosse stato un ragazzino e non il futuro Re di quelle terre. Si mortificò e abbassò lo sguardo. Quando lo rialzò vide Koudai muoversi velocemente verso di lui. Non era riuscito a resistere alla metà paterna del proprio cuore. Con il sorriso che spuntava da sotto i baffi, allargò le braccia e lo strinse a sé.
“Stavo per rassegnarmi all’idea che fosse ormai troppo tardi. Siano benedette le Dee per aver salvato la mia speranza.”
Tsubasa sorrise alle sue parole e ricambiò la stretta, avvertendo il morbido velluto del mantello e la freddezza del metallo. Nonostante l’armatura, il suo odore lo fece sentire nuovamente a casa.
“Non era quello il destino che le Dee avevano scelto.”
“Vorrei ben sperarlo. C’è un Regno che aspetta di essere governato da te.” Koudai si separò dal figlio. Volse un’occhiata eloquente a Ryo, di cui era l’unico a conoscere il segreto assieme ai Consoli, e accennò col capo una riverenza. Avrebbe voluto essere più ossequioso, ma non poteva permettere che altre orecchie capissero la natura del giovane. Volse quindi lo sguardo alla battaglia. “Sempre se riusciamo a ricacciare l’esercito di Gamo e dei suoi Stregoni.”
“La mamma e Daichi?” Tsubasa volle avere la certezza che le sue visioni non l’avessero tradito all’ultimo momento, ma quando vide suo padre sorridere riuscì a rilassarsi, almeno un po’.
“Stanno bene e non vedono l’ora di riabbracciarti. Anche loro hanno sentito tanto la tua man-”
“Vostra Maestà, mi dispiace interrompervi.” Magister Owairan avanzò affiancato dagli altri membri del Consiglio Scolastico di Agadir. “Ma il secondo assalto è pronto per essere lanciato. Gli uomini aspettano solo di vedervi alla loro guida.”
Koudai annuì. “E sia. Il mio elmo” ordinò imperioso, dandosi una sistemata al mantello e controllando un’ultima volta la propria armatura. “Sarà strano non avere Roberto al mio fianco, come al solito.”
“Il Comandante Hongo non è con te?” domandò il Principe.
Koudai sorrise. “Il Comandante Hongo è già nella mischia. Manco solo io, ormai, ma a breve lo raggiungerò-”
“A questo proposito” Tsubasa abbassò lo sguardo per un solo momento. Doveva approfittare dell’argomento, ora che era stato tirato in ballo. “Fammi venire con te.”
Il coro si svolse in una sequenza perfetta, partendo da Owairan e concludendosi con Ryo, nel mezzo ci fu suo padre.
“Cosa?”
“Cosa?!”
Cosa?!
Tsubasa strinse i pugni. “Fammi combattere assieme a te. È quello il mio posto, è lì che devo essere.”
“Sei forse impazzito, figlio? La prigionia ti ha dato alla testa? Sei l’erede al trono, colui che prenderà il mio posto, non posso permetterti di rischiare la vita in questo modo; non sei preparato per affrontare i nemici sul campo.” Il tono di rimprovero di Koudai non era arrabbiato, quanto preoccupato e in buona parte sorpreso.
Tsubasa non si arrese. “Ho già duellato. Roberto mi ha insegnato tutto quello di cui-”
“Hai duellato con spade di legno e una lancia smussata a un torneo, qualche anno fa. E l’unico acciaio che hai brandito era quello di una spada leggera.” L’uomo sospirò pesantemente. “La colpa è stata anche mia che ho rallentato la tua preparazione con le armi, ma essere il detentore della Chiave ha gravato le tue spalle di altre responsabilità e ora-”
“Padre, tu non capisci!” Stavolta Tsubasa lo interruppe con una certa frustrazione e urgenza. “Devo raggiungere il campo di battaglia perché è quello il mio destino! Il motivo per cui sono qui ora!”
“Destino? Quello che capisco io è che non ti lascerò rischiare la vita, perché di questo si tratta, in maniera irresponsabile. Il campo di battaglia non è il posto adatto a te, moriresti ancor prima di raggiungerlo e non posso permettere che accada. Tu resterai qui. Il mio è un ordine.”
“Ma-”
“I ‘ma’ non esistono.”
Koudai non gli diede nemmeno il tempo di replicare, si calcò l’elmo sul capo e si allontanò a passo svelto.
Tsubasa rimase a guardare il simbolo della propria casata che oscillava elegantemente assieme alla stoffa del mantello che l’uomo indossava. Non aveva avuto nemmeno il tempo di parlargli di quelle convinzioni di cui nessuno era a conoscenza a parte Ryo e i quattro Elementi che l’avevano salvato. Non era stato ascoltato e, come sempre, preso sul serio. La condizione di futuro erede al trono era piombata nuovamente su di lui anteponendo tutto ciò che per Tsubasa era davvero importante dietro i doveri che il mondo intero sembrava avere nei suoi confronti. Lui doveva essere preservato, fino a che non fosse stato grande abbastanza per governare il paese. Ma nessuno si era ancora accorto che quel tempo era arrivato, era lì, era tra la polvere delle rocce irte, tra il sangue dei suoi sudditi e tra i cadaveri dei nemici.
Lui non poteva restare a guardare o la guerra sarebbe stata perduta.
“Stai pensando qualcosa, te lo leggo negli occhi.” Ryo si era avvicinato fino a portarsi alle sue spalle. Gli parlò piano in modo che nessuno potesse sentire, anche se ormai erano rimasti solo loro due sul rialzo.
Il Principe si volse e lo stesso sguardo era ora puntato alla Lingua di Serpe dove infervorava la battaglia.
“Non posso aspettare” disse solo.
Ryo sospirò con una certa rassegnazione. “Lo sapevo.”
“Anche tu non capisci?” Tsubasa aveva cercato prepotentemente i suoi occhi, mentre nei propri era evidente la frustrazione di essere visto solo come l’esuberante Principe, un po’ troppo entusiasta e ingenuo. Dentro di lui c’era molto di più che gli altri si ostinavano a non vedere. “E’ questo il mio destino, il modo in cui salverò il pianeta. È qui. Non avevo chiaro perché dovessi viaggiare fino al Sud fino a che non ho incontrato quegli Elementi. Solo allora ho capito che il viaggio si sarebbe concluso al Nord e solo quando i miei occhi hanno incontrato i suoi ho capito che eravamo sempre stati legati, noi due, fin dal principio.”
“Voi… due?”
Tsubasa tornò a guardare verso il campo di battaglia, ma le sue iridi non si puntarono alla terra, bensì vagarono in cielo, alla ricerca – forse impossibile senza un cannocchiale – dei Master.
“Io e Natureza.” Anche se non poteva vederlo in viso, Ryo percepì in maniera netta la sicurezza che velava la sua voce. “E’ per lui che sono arrivato fin qui. Il nostro destino è quello di affrontarci. Siamo nati solo per questo momento.”
La Chiave si mordicchiò, poco divinamente, il labbro inferiore. Non gli piacevano particolarmente le parole del Principe, perché significava che anche lui sarebbe stato coinvolto nell’intera faccenda. Dopotutto, era per il suo possesso che era stata scatenata quella guerra; sapeva che non si sarebbe potuto tirare indietro.
Alla fine emise un lungo respiro e si rassegnò, ancora una volta, alle volontà del giovane che era divenuto il suo padrone indiscusso, l’unico che avrebbe mai seguito. Anche se era un semidio, la luce che aveva visto nello spirito del giovane Ozora era impossibile da confondere: nessuno sarebbe stato più degno di lui di poter usare i suoi poteri.
“E allora dimmi: come pensi di arrivare dal Nero senza farti scoprire? E, soprattutto, senza farti ammazzare?”




[1]“NIGER… MELIA”: “Sacra pioggia di folgori oscure”

[2]“SHIEDUN!”: “Scudo!”

[3]“OXIDIA… BARIK”: “Barriera di ossidiana”

[4]“NIGER KOI”: “Folgori oscure”

[5]“KOI… SSORD”: “Spada di folgori”


…Il Giardino Elementale…

 

Il punto di vista si è spostato per carpire cosa sta avvenendo anche agli altri contendenti. Finalmente vediamo all'opera il Nero contro i Master e come Ryoma Hino se la cavi a doversi scontrare con qualcosa che non aveva previsto come gli Agili di Kalavira.
Ma, soprattutto, ecco che il nostro Tsubasa non riesce a stare fermo, proprio come l'originale XD, ed è pronto a buttarsi nella mischia. Cosa accadrà?

Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi!
Ho deciso che gli aggiornamenti avverranno di Martedì e Sabato. :) In questo modo, potrò darvi l'Epilogo giusto il giorno di Natale, come mio piccolo regalo per voi che siete rimasti con me! :3


Galleria di Fanart (AGGIORNATA! **)

- Elemento: Hajime Taki

Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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