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Autore: cartacciabianca    04/12/2012    7 recensioni
Mar dei Caraibi, 1778. La Welcome con a bordo i rifornimenti per l’Esercito Continentale ha un giorno di vantaggio sull’Aquila e il suo equipaggio. Connor è più determinato che mai a riportare indietro il carico di approviggionamenti rubati ai ribelli, ma la sua determinazione vacilla quando il segugio selvaggio lascia il posto al ragazzo cresciuto nella Tenuta di un uomo che non è suo padre, col quale è invece destinato a scontrarsi.
- Mi parli di dignità e di rispetto, quando probabilmente anche questa nave, - batté con violenza una mano sul legno, - ne ha più di te. -
- Per me va bene, - disse Haytham allargando le braccia. - Anche qui, subito. Che problema c'è? Non siamo mica nel bel mezzo di una Guerra Civile, e non siamo assolutamente sulla rotta di una pericolosa mina vagante per i nostri scopi. Noooo! Già, che fretta c'è? Sediamoci, parliamone! Vuoi che ti racconti di tua madre? Di quant'era bella e dolce? Di come ci siamo conosciuti? Oppure vuoi la favola che ti avevo promesso? Su, avanti! Scegli il libro dallo scaffale mentre ti sprimaccio il cuscino! -

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SPOILER AC III sequenze 9 e 10, con l'aggiunta di qualche missione secondaria :)
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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_Seconda parte

La prugna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faceva ruotare l'anello di Kidd sopra l'Isola di Saint John, nell'arcipelago caraibico, e ritmicamente, ogni due giri, lo tamburellava sul tavolo, diffondendo nella stanza un tintinnio metallico soffocato dalla carta della mappa.

A quella sensazione che gli comprimeva il petto da ore non sapeva dare un nome, mentre sperava con tutto se stesso di scorgere finalmente la Welcome oltre la prua, che fissava dalla poltrona della sua cabina attraversando con lo sguardo l'uscio della porta spalancata e il ponte intero inghiottito dalle tenebre. Voleva liberarsene al più presto, di quella sensazione, e tornare da George Washington con il carico rubato all'Esercito Continentale, i cui membri lo avrebbero accolto come un eroe ringraziandolo per aver riportato la speranza nei loro occhi e il pane tra i loro denti. Ma non era solo Benjamin Church a frapporsi tra lui e la sua causa, perché prima o poi lo scontro sarebbe stato inevitabile… proprio come era accaduto poco prima: nonostante avesse cercato di evitarlo tutto il giorno, Haytham aveva avuto la faccia tosta di venire a ficcare il naso tra i suoi appunti, tra le sue rotte, tra i suoi piani, e questo lo aveva fatto imbestialire senza ritegno. Era stata una sensazione a fargli sfondare la porta della cabina con il dito già attorno al grilletto della flintlock, forse la stessa sensazione che lo tormentava anche adesso e che non gli aveva fatto scollare le mani dal timone per tutta la giornata.

E la causa scatenante non poteva che essere una.

D'un tratto strinse l'anello e si alzò, scostando rumorosamente la sedia e buttando all'aria qualche cartina. Quindi volò fuori dalla cabina e approdò contro la balaustra dove finalmente poté liberarsi. Quell'azione improvvisa aveva suscitato un leggero sconcerto in Robert Faulkner, che dal pianerottolo, con le mani sul timone, alzò gli occhi al cielo.

- E pensa come te la facevi nei pantaloni se ti offrivo da bere! -

- Zitto e guida. -

- Sì, capitano. -

 

Sapeva come arrivare a Church, ma il tempo per raggiungerlo sembrava essersi dilatato nell'attesa di mettergli le mani intorno al collo e rinfacciargli il suo tradimento come il peggiore dei delitti, punibile solo con la peggiore delle pene… E come il tempo si allargava, così la tensione tra lui e suo figlio cresceva, nel rischio di spezzare il filo di una pace fin troppo instabile. Aveva dovuto accettare quel compromesso con se stesso prima di sottoporlo al sangue del suo sangue, e proprio adesso che Connor gli aveva messo a disposizione una nave e garantito una rotta, la sua bussola ruotava di nuovo impazzita come quando aveva conosciuto Ziio

- Ehi, faccia di burro. -

Dalle calze sporche di polvere capì che si trattava di un cannoniere e dalla bottiglia mezza vuota che era ubriaco.

- Sì, dico a te col fiocchetto. Sei stato tu, vero? - gli chiese a tono il marinaio, e strascicando anche qualche vocale.

Haytham alzò gli occhi al cielo e si costrinse ad ignorarlo, tornando a guardare la cresta del mare fuori dal boccaporto del cannone su cui era seduto.

- Sei stato tu a chiedere al capitano di partire subito… - singhiozzò il cannoniere avvicinandosi ancora. - Dio, New York mi piaceva! Avevo trovato certe signore irlandesi… con delle teeeeeeette così! - ma nell'aggiungervi anche una mimica, tanto per rendere l'idea, si rovesciò addosso l'ultimo goccio della bottiglia. Quindi imprecò e se ne andò, inveendo contro suo padre e quella brava femmina di sua madre.

Haytham sospirò.

E sarebbe questa la rispettabile ciurma degli Assassini?

Ma non passò neanche un minuto prima che un gran chiasso salisse improvvisamente fin lì dalla sottocoperta di poppa. Grida e risate si mescolavano al fragore di vetri in frantumi, stoviglie rovesciate e tavoli malamente spostati.

- Per l'amor di Dio, mi era sembrato innocuo…  - borbottò Haytham alzandosi dal cannone e attraversando il locale a grandi passi. Quando vi entrò, notò subito un largo cerchio di folla e i due sfidanti al centro della stanza. Uno era il suo cannoniere che stava a mala pena in piedi, l'altro un colosso con la camicia a righe alto quasi due metri che gli aveva già fatto sanguinare il naso e regalato un bell'occhio nero.

- Basta. È più che sufficiente, - intervenne Haytham senza pensarci troppo e i curiosi accorsi ad assistere lo lasciarono passare. - Qualunque cosa vi abbia detto per scatenare la vostra collera, buon uomo, da adesso vi conviene cercare un'altra maniera per risolvere la controversia. Sempre che non abbiate intenzione di ucciderlo. -

Ma il colosso lo ignorò e assestò un pugno nello stomaco del suo sfortunato sfidante, che piegandosi in avanti urtò una cassa di corde e un attimo dopo inciampava inevitabilmente, rovinando a terra tra le risate dei compagni.

- Con questo cane fradicio, signore, funziona solo il bastone, - gli spiegò il colosso girando attorno alla sua preda come un avvoltoio. - Chiedetelo al resto della ciurma, o al capitano: entrambi ve lo confermeranno. - Sollevò il cannoniere dal pavimento e lo colpì ancora un paio di volte.

- Perché al capitano non lo chiedete voi, signor Beckett? -

Haytham si voltò, mentre alle sue spalle la ciurma dell'Aquila, il colosso e il cannoniere trattenevano il fiato.

Connor superò suo padre e raggiunse il centro della stanza accompagnato dal suono dei suoi tacchi sulle assi. - Sapete che non tollero niente di tutto ciò, - mormorò a bassa voce.

- Sì, capitano, - la risposta dell'irlandese, che mollò la camicia del cannoniere con uno strattone.

- E non sta bene davanti al nostro ospite. -

- Sì, capitano. -

- Dopo che avrete chiesto scusa a entrambi, - disse Connor alludendo anche ad Haytham dietro di sé, - condurrete il signor Barclay in infermeria e lì gli terrete la mano mentre il dottore gli tampona quel naso. -

Risate.

Il marinaio rivolse ad Haytham un cenno col capo e si caricò il cannoniere sulle spalle come un sacco di patate, suscitando altre fragorose risate mentre lasciava la poppa fischiettando. Quindi la folla si disperse e le chiacchiere ripresero di sottofondo al canto del mare.

L'ordine era ristabilito.

- Ne ho visti di ammutinamenti, ma fortunatamente lo spirito dei tuoi uomini li precede, - commentò il Templare, ma prima che potesse allontanarsi, Connor si allungò a sfiorargli un braccio.

- Posso parlarti? -

Haytham lo guardò dritto negli occhi.

- Certamente. -

Ratonhnhaké:ton gli fece strada fino nella cambusa e, una volta entrato dopo di lui, si richiuse la porta alle spalle e si tolse il cappello da capitano.

- Perché ho come l'impressione, padre, che tu mi stia… studiando? - domandò nella penombra.

- Sei mio figlio, - disse Haytham andando ad alzare la fiamma dell'unica lanterna che penzolava sulla colonna al centro della stanza. - E non so nulla di te. A parte, forse, che sembri andare piuttosto… fiero dei simboli che indossi. -

In quel momento l'insegna spezzata sul bracciale di suo padre fu ben visibile, e anzi brillò. Connor non poté che fissarla e quando Haytham se ne accorse, giunse le mani dietro la schiena come faceva di solito, con la differenza che quella volta non aveva risposto ai comandi della sua personalità… quanto piuttosto al dolore dei ricordi, che gli avevano irrigidito la mascella e svuotato gli occhi.

- Commettiamo tutti degli errori, - cominciò il Templare con apparente tranquillità. - Il mio è stato quello di prendere in considerazione la vostra causa, che col tempo ho capito essere infantile, grezza, artificiosa; cagionevole come una vecchia inferma, presuntuosa come una bambina viziata e così dannatamente idealizzata da far impallidire la leggenda di Re Artù e la Tavola Rotonda. -

- Risparmia il fiato per chi avrà davvero voglia di ascoltare i tuoi rammarichi, - sbottò Connor puntandogli il cappello come se fosse un arma. - Non hai il diritto di criticare le mie scelte. Almeno non più. -

- Perché ti ostini a non capire? Se fossi rimasto con tua madre avrei potuto salvarti dall’ignoranza, proteggerti, darti uno scopo migliore per cui combattere. E forse le tue azioni risulterebbero davvero utili e sarebbero ricordate. Così, invece, ti perderai nel vento offuscato dalla scia di qualcun altro e di te non resterà niente. Niente! -

Connor fece schioccare la lingua. - Vedi? È proprio questo il motivo per cui non rimpiango il tuo abbandono. Ti sbagli, perché le mie azioni vivranno molto più a lungo delle tue e di quelle di chiunque altro la pensi come te, a partire da Charles Lee. -

Haytham rubò una prugna da una cassa delle provviste e cominciò a passeggiare avanti e indietro sulle assi, inseguito dallo sguardo di Connor che nel frattempo torturava un orlo del cappello.

- Era questo di cui volevi parlarmi? -

- No. -

- E allora cosa c'è? -

- Speravo… -

- Cosa? Speravi cosa!? - ruggì Haytham.

- Di avere delle scuse. -

- Sei impazzito? Delle scuse per cosa? -

Con un lampo negli occhi, Connor vi incatenò quelli di suo padre. - Per essere rimasto a guardare, mentre Lee, Johnson, Church e Hickey bruciavano il mio villaggio per te. -

- Ti ho già detto di non aver mai dato quell'ordine. -

- E non ti dispiace neanche un po' che sia successo lo stesso? -

Haytham tacque.

- Ricordo i suoi occhi… - sibilò Connor, sempre più sottile e fatale come la lama del suo tomhawk quando lo affilava. - Pieni di crudeltà, ferocia… E li ho rivisti molte volte nei miei incubi, avvolti dalle fiamme e dalle grida della mia gente. Lui non aveva niente, lì. Tu, avevi mia madre. -

- Non puoi capire. -

Senza un fiato Connor si voltò, afferrando la maniglia della porta come si afferra una cima che il vento rende sfuggente. E, come il vento, Ratonhnhaké:ton lasciò la cambusa.

- Non puoi capire cosa sia accettare il sacrificio delle persone che ami per un bene superiore, - gli ringhiò dietro Haytham, inseguendolo. - Perché di questo si tratta, e se ancora non lo capisci, non lo capirai mai. -

Connor non rispose e si rimise il cappello, puntando verso il boccaporto per il ponte, ma d'un tratto Haytham si fermò, in mezzo al corridoio della sottocoperta e con addosso lo sguardo allibito di due marinai che passavano lì per caso, e lo lasciò andare. Tornò a sedersi sul suo cannone. In mano aveva ancora la prugna e dopo averla fatta saltellare due volte, la scagliò fuoribordo con rabbia.

Un gabbiano venne subito a prendersela.

Terra.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'Autrice

 

Ormai è palese che i collegamenti tra questa fan fiction e il mio fumetto su DeviantArt sono del tutto superati. Night Trial ha preso una direzione completamente nuova che mi piace molto, nella mia errante modestia, e mi soddisfa decisamente di più. I cambiamenti maggiori toccano lo stile e la strategia narrativa, senza contare il coinvolgimento della ciurma dell'Aquila al completo e di cui nel gioco sappiamo ben poco. Little Danny e i signori Backett e Barclay sono perciò di mia invenzione e spero che l'ispirazione mi presenti al più presto occasione di conoscerli meglio. Dopotutto una volta le traversate marine non duravano il tempo di un caricamento e quando il tuo miglior nemico vive sotto il tuo stesso tetto (?si potrà dire in nave?) c'è ben poco da fare: o ci convivi o lo ammazzi. E nella maggior parte dei casi la prima è la conseguenza della seconda.

Ci tengo particolarmente a ringraziare di cuore la cara micho, che mi ha assistita in questo e quell'altro capitolo come beta reader. Non è la prima volta che interagiamo in questo senso, poiché in sede unita stiamo pubblicando proprio qui, sotto al vostro naso, una fan fiction-biografia su Yusuf Tazim. Si intitola La Neve e la Sabbia e vi invito sentitamente a leggerla perché, lo ammetto… vedere tutti quei capitoli senza recensioni comincia a demoralizzarmi un po', soprattutto dopo otto mesi quasi di stesura che ci ha portato via tempo, sangue e passione.

Ohibò, tralasciando questo specchietto di pubblicità clandestina, vi do appuntamento a prestissimo con quella che dovrebbe essere la parte conclusiva di questa flash-fic che, spero sia chiaro, racconta di fatti che NON sono avvenuti nel gioco, ma di cui io sola e di mia iniziativa e fantasia mi sono assunta il ruolo di speculatrice.

Credo di non avere altro da aggiungere, se non l'augurio che siate già passati sul mio profilo DeviantArt (il link lo trovate nella descrizione della mia pagina :) a spulciare il sopracitato fumetto (da cui, lo ripeto, da ora in avanti non sarà più possibile attingere spoiler riguardo a questa fiction! Muhahaha!) e che non vi siate lasciati sfuggire la versione aggiornata, ampliata e corretta del capitolo precedente in caso l'avesse letto agli esordi.
Al fine ringrazio i tre eroi che hanno recensito il primo passo di Night Trial, micho, Dark Dream e Aleca92.

 

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