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Autore: Lupus    22/06/2007    9 recensioni
Il nero che si sovrappone al bianco.
Lo sporco che infetta il puro.
Shizune avrebbe intrapreso a breve una dura lotta che avrebbe visto come protagonisti l’istinto e la ragione.
Salvarlo perché si è pentito...
... o reciderlo perché ha peccato?
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kabuto Yakushi, Shizune
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The forgiveness of the sin.
-Testa o croce?-
 
 
 
Pioveva.
Dopo molto tempo, pioveva.
E Shizune lo sapeva, sapeva che quella pioggia non avrebbe portato nulla di buono, ma decise di ignorare quell’ammonizione dettata dal tempo.
 
 
Sbagliava.
Gli esseri umani non riescono a guardare nel profondo delle cose perché soffermarsi all’apparenza gli è più facile e comodo.
[o z i o s i  e  m e s c h i n i]
 
 
 
Lentamente la kunoichi estrasse dal taschino della sua divisa un piccolo foglietto bianco dove vi erano scritte le commissioni che doveva svolgere per conto di Tsunade-sama.
Sobbalzò quando lesse un ‘nota bene’ che doveva essere stato aggiunto all’ultimo momento, dato il colore della penna e la pessima grafia con il quale era stato scritto.
“Ricorda il discorso che ti ho fatto ieri e va a medicare il tuo paziente. Non deludermi.”
Shizune sapeva che quel “medicare” era solo uno stupido [stupidissimo] eufemismo.
Aveva litigato con Tsunade-sama ieri sera proprio per questo.
 
 
“Ma come può permettere una cosa del genere? È disumano quello che volete fare.”
“Shizune, pensa a quante altre vite potremmo salvare, se solo…”
“Se solo cosa? È pur sempre un uomo, signorina Tsunade. Un u o m o. Lo capisce questo, vero?”
“È Kabuto, Shizune. Se riusciamo a scoprire cosa contengono le sue cellule di così speciale da riuscire a riprodursi da sole in pochissimo tempo, potremmo salvare migliaia e migliaia di persone. È non mi interessa se questo costerà la morte di una persona. In fondo, è pur sempre un mukenin, quindi prima o poi sarebbe dovuto morire lo stesso.”
“Signorina Tsunade, sta parlando della vita di un individuo come se fosse carta straccia. Fare esperimenti su una persona viva è ingiusto e disumano.”
“Osi disubbidirmi, Shizune?”
“No, io volevo solo…”
“Bene. Domani andrai a medicarlo. Ci serve sano come un pesce prima che possiamo iniziare a sperimentare su di lui.”
“Ma…”
“Niente ma! Qua l’Hokage sono IO, punto. Domani andrai da Kabuto. Non vorrai deludermi un’altra volta, spero?”
“No, signorina…”
 
 
Come facevano male a Shizune quelle parole.
Un pugnalata in pieno petto.
Lei era sempre stata inutile e deludente.
E Tsunade lo sapeva, sapeva di poter far leva su questa debolezza della kunoichi.
[A volte sono proprio le persone a noi più care a procurarci il male peggiore.]
 
 
 
[Kabuto.]
Shizune masticò il suo nome in bocca per qualche secondo prima di ricordare la sua figura, volgendo la mente al passato.
L’aveva schiacciata come un moscerino, come poteva provare pietà per lui?
Iniziò a tremare e a stringere i pugni, lottando contro le lacrime che premevano sulle palpebre.
Non perché avesse timore, ma per astio nei confronti di quel ninja che si era lasciato sottomettere consapevolmente da un essere ignobile come Orochimaru, segnando, così, il suo destino, una volta per tutte.
Shizune non capiva la devozione verso quell’infima creatura.
E, si sa, tutto ciò che l’uomo non capisce appare inesatto.
La kunoichi non riusciva proprio a comprendere il motivo per il quale alcuni dei migliori ninja dovessero tradire i propri villaggi.
Sapeva solo che era sbagliato, punto.
 
 
Errare humanum est.
Chissà perché, ma ho l’impressione che questa massima venga presa troppo sul serio.
 
 
Shizune aveva sempre creduto nell’uomo e nelle sue capacità fino a quanto esso non si era mostrato per quello che realmente è: una massa corporea che finge di vivere, quando in realtà esiste [vegeta] soltanto.
Allora, e solo allora, capì che ogni individuo non è altro che una piccolissima goccia di un Oceano fin troppo inquinato dalla malignità e dall’ipocrisia.
Se il mondo va in pezzi, la colpa non è di altri che dell’uomo stesso.
 
 
Colpevole.
Colpevole di un crimine troppo grande per essere risolto davanti ad una corte Tribunale.
Gli uomini sono tutti peccatori. E questo la dice lunga sul loro conto.
 
 
 
Un tuono più forte dei precedenti fece trasalire Shizune, tanto da distoglierla dal moto dei suoi pensieri.
Doveva raggiungere Kabuto anche se non voleva.
Non poteva di certo deludere Tsunade-sama. [non un’altra volta, almeno.]
Ricordava ancora quei maledetti occhi che cambiavano a seconda delle situazioni, rimanendo pur sempre vuoti.
Il bravo attore e colui che sa entrare perfettamente nel personaggio.
E Kabuto, in questo, riusciva piuttosto bene.
 
 
Sapeva fingere e mentire.
Ma non sapeva cosa fossero la gioia o il dolore.
Sapeva elaborare piani e strategie con molta facilità.
Ma non sapeva cosa fossero la fatica e il lavoro.
Sapeva persuadere e curare qualsiasi individuo.
Ma non sapeva amare, né odiare.
V u o t o. Era semplicemente vuoto.
 
 
 
 
 
 
Shizune, dopo aver lavorato tutta la giornata, si ritrovò a salire quelle dannate scale - che conducevano ad uno dei rifugi segreti del Villaggio della Foglia - di corsa, fino a trovarsi di fronte ad una grande porta in legno, vecchia e trasandata.
Ivi si fermò un po’ di tempo sia per riprendere fiato sia perché titubava ancora se entrare o meno.
Starnutì più volte: era completamente bagnata da capo a piedi.
E, dopo qualche secondo, con il cuore in gola, decise finalmente di valicare la soglia.
Kabuto era lì, rannicchiato in un angolo di quella tetra stanza, che la stava aspettando.
La camera si presentava come un grosso antro che sembrava essere stato abbandonato da secoli: c’erano ragnatele e crepe dappertutto.
Non c’era nessuna finestra, nessuna luce: era un luogo di tortura, di sofferenza e di disperazione.
Non c’è lume che tenga nelle pene dell’uomo.
[Anche la speranza tace quando la morte passa.]
 
“Chi c’è?”
“Sono io, Ibiki. Mi manda Tsunade-sama.”
 
Il volto di Kabuto sembrò illuminarsi: ricordava quella voce, ma non era in grado di associarla a qualcuno.
Dopo un po’, la  risposta arrivò da sola.
 
“Oh Shizune-san, siete voi. Presumo che momentaneamente il mio lavoro qui sia finito, vero?”
“Sì.”
 
Ora Kabuto ricordava a chi apparteneva quell’esile voce: Shizune, la leccaculo dell’Hokage.
Un ghigno. Un impercettibile ghigno si stampò sul volto del ninja.
Si sarebbe divertito di sicuro.
 
 
Quando il gatto avvista la sua preda si lecca i baffi.
Quando lo fa l’uomo sorride.
[mille misteri può nascondere l’espressione del viso.]
E Kabuto era un vero mago in questo.
 
 
 
A Shizune parve di intravedere un sorriso sul volto del ninja.
E non sapeva se doveva essere preoccupata o meno.
Il suo paziente era un osso troppo duro per essere rosicchiato da un cane di basso rango come lei, eppure doveva farcela, non poteva deludere Tsunade-sama. [non un’altra volta, almeno.]
Al tempo, lei non fu in grado di proteggerla e, se non fosse arrivato Naruto, probabilmente entrambe non sarebbero vive, ora.
 
“A cosa stai pensando?”
 
Shizune si destò dai suoi pensieri e guardò intontita Kabuto per qualche secondo.
C’era qualcosa di strano nel volto del ninja. Qualcosa riconducibile alla rassegnazione.
I suoi occhi erano spenti, vacui, e non più arzilli, come una volta.
 
“Shizune?”
 
La sua voce, invece, era gelida, profonda e, quasi, lussuriosa.
Eva che chiede ad Adamo di peccare per lei.
 
“Osservavo, Kabuto.”
 
Osservavo.
[b u g i a.]
Shizune cercava a stento di mantenere la sua professionalità, ma proprio non ci riusciva.
Le lacrime sembrava volessero venire fuori a tutti i costi.
Era sempre stata molto sensibile, e davvero non ce la faceva a “medicare” [ancora quello stupido eufemismo] Kabuto, sapendo le aberrazioni a cui a breve sarebbe stato sottoposto.
Era pur sempre un uomo.
Aveva sbagliato, certo. Ma chi non ha mai commesso un errore nella propria vita?
Shizune credeva nel perdono come credeva anche nella buona fede.
Peccato che ogni cosa abbia in sé un duplice aspetto.
La tesi e l’antitesi.
[Tutte le monete hanno due facce.]
 
 
“Testa o croce, Shizune?”
“Come scusa?”
“Testa o croce?”
“Mh, croce.”
 
 
Shizune scelse la croce fondamentalmente per due motivi: era un medico, e quindi essa era il simbolo che più la rappresentava, e perché i due bracci, messi uno sopra l’altro, le ricordavano un ciondolo che sua madre portava al collo prima di morire.
 
Kabuto lanciò la moneta in aria, facendola girare, e l’afferrò qualche secondo dopo.
Levò la mano dal braccio, scoprendo la faccia del conio, con un sorriso malizioso stampato sul volto.
Testa.
 
“Non sempre la parte che si appoggia è quella esatta, Shizune.”
 
La kunoichi, dopo qualche secondo di stordimento, afferrò l’allusione, e non poté più trattenersi.
Iniziò a piangere.
 
“Kabuto, io non volevo.”
“Eppure l’hai fatto. Hai accettato.”
 
Shizune smise di versar lacrime per un attimo e fissò attonita il ninja che aveva davanti.
Non si sarebbe mai aspettata una risposta del genere.
Fredda, glaciale, ma soprattutto: vera.
Lei aveva permesso agli uomini ipocriti di usarla, senza difendere abbastanza la sua posizione.
Quindi, ora, aveva peccato; aveva tradito il suo credo, senza lottare, senza opporre alcuna resistenza.
D e b o l e, come al solito.
Kabuto aveva ragione: loro [ lei ] non erano [ era ] molto diversi [ ingiusta ] da Orochimaru.
Aveva capito l’analogia: ogni moneta ha due facce, e non sempre quella per cui si parteggia sta nel giusto.
 
 
“È vero: io non ho lottato. Ma perché, maledizione, perché hai voluto seguire Orochimaru? Che senso aveva?” 
“Nessuno.”
 
L’unico suono che si sentì, dopo questa affermazione, fu quello dello schiaffo che Shizune tirò in pieno viso a Kabuto.
Era arrabbiata, arrabbiata con quel ninja che si stava prendendo gioco di lei.
 
“Scusa.”
 
Shizune abbassò lo sguardo.
Ma come diavolo si stava comportando? Ora, anche uno schiaffo gli aveva tirato.
Non era da lei.
La paura è sinonimo di cambiamento interiore.
 
 
“Non ricordo niente del mio passato. Non so chi sono, né chi erano i miei genitori. Non ho nulla per cui vale la pena vivere.”
“Ma, se non hai nessuna ragione per stare con Orochimaru, perché allora lo segui?”
“Mi piace il suo modo di pensare.”
“Ma è sbagliato, cavolo!”
“Cosa è giusto a questo mondo?”
 
Shizune avrebbe voluto rispondere ‘noi’, ma, dopo quello che stava succedendo, non ne era tanto sicura.
Preferì, quindi, restare in silenzio.
Chi tace acconsente.
 
Kabuto ghignò, come al suo solito.
Mostrò ancora una volta quel maledetto sorriso particolare, che incuteva timore e confusione al contempo.
La kunoichi, dopo una lunga attesa, decise di parlare.
Non riusciva più a sopportare quel silenzio assordante.  
 
“Allora, dimmi tu cosa è giusto.”
“Nulla.”
“Cosa significa nulla? Deve esserci qualcosa che non sia sbagliato, no?”
“Il mondo è come una moneta, Shizune. Gli uomini si schierano in due parti perfettamente opposte tra loro, ma nessuna delle due si trova nel giusto. Entrambe peccano a modo loro, entrambe sbagliano.”
 
 
 
 
 
“Testa o croce, Shizune?”
“Come, scusa?”
“Testa o croce?”
“Mh, croce.”
“Testa, mi dispiace.”
“Ma, Kabuto, tu imbrogli! Su questa moneta non c’è né una testa e né una croce. È priva di immagine da ambo le parti.”
“Questa è la verità Shizune.”
“Come, scusa?”
 
 
 
[ T i m e  U p ]
Tempo Scaduto.
 
 
 
 
Un rumore di passi interruppe i due.
Stava arrivando qualcuno e la medic-nin non aveva ancora svolto il suo lavoro.
 
“Shizune, hai finito?”
“Oh, Tsunade-sama, è lei?”
“E chi sennò? Ma non hai ancora fatto niente?”
“Hokage-sama io…”
“Fa niente, va via, ora. Non ci servi più.”
 
Shizune guardò Kabuto, come se in lui cercasse qualcosa, qualche risposta.
Era spaesata.
Il mukenin le sorrise, o almeno ad essa parve così, e le lanciò contro la moneta di prima.
Quella che non ha né la testa e né la croce.
La stessa che, secondo lui, avrebbe dovuto rappresentare la verità.
La tenne in mano per qualche attimo, poi, guardò di rimando il ninja che glie l’aveva lanciata e sorrise.
Forse, aveva capito l’allusione.
Un’altra volta, Kabuto dimostrò di avere ragione.
Peccato che la verità, il più delle volte, porta al patibolo.
 
 
 
 
***
 
 
“Tsunade-sama, testa o croce?”
“Cosa, Shizune?”
“Scelga: testa o croce?”
“Cosa sono questi stupidi giochetti? Non ho tempo da perdere, io.”
“La prego…”
“Croce.”
“No, mi dispiace. Testa.”
 
Shizune aveva finalmente capito.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N/A
 
Finalmente, dopo tre (o quattro?) lunghi mesi di assenza, sono riuscito a portare a termine questa fanfiction.
Vi prego, innanzitutto, di scusarmi per la lunghissima assenza sul fandom di Naruto e per avervi fatto aspettare tantissimo per il nuovo, ed ultimo, capitolo.
Ma questa storia è veramente stata un parto di quelli madornali. (Nonostante io sia un ragazzo, eh! XD)
Spero, però, che questo abbia comparato l’enorme attesa.
 
A dirvi la verità, quando avevo scritto il prologo, non pensavo che il secondo, ed ultimo, capitolo venisse in questo modo, giuro. Quindi, compatitemi.
 
Si ringrazia, inoltre, vari ed eventuali lettori e/o recensori e tutti coloro i quali hanno recensito lo scorso capitolo.
 
Saluti,
Lupus.
 
 
PS: Purtroppo, non sono riuscito a trovare un beta, in quanto quello mio di fiducia non si fa vivo da un po’.
PS2: Si ringrazia Helen Lance per avermi fatto notare quel maledetto errore che mi era sfuggito. Fulminerò il mio beta, appena riuscirò a trovarlo, per non essere presente in momenti come questo. XD
 
Disclaimer:
I personaggi non sono miei e non ci ricavo un ragno dal buco, con la pubblicazione di questa fanfiction.
   
 
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