Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: yua    06/12/2012    2 recensioni
Iram ha tre cose nella testa: la politica, la sua famiglia, la sua terra; nel cuore invece solo una, Mìcheàl. Ma in vent'anni cambia tutto, dopo vent'anni non vorrebbe altro che vederlo di nuovo.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un minimo di contesto storico: nel 1803 una rivolta irlandese contro il governo inglese, andata particolarmente male, è finita con la deportazione di moltissimi rivoltosi in Australia. Vent'anni di lavori forzati per i sopravvissuti alla traversata.
Non sono sicura che ci siano stati davvero dei superstiti, ma non importa, Iram è uno di questi che torna e si accorge di aver perso tutto.


Giardini di Polvere




Alla stazione, Susan ha la fortuna di sapere che suo fratello sta tornando.
Aspetta il treno che viene dal sud, l'unico della giornata, l'unico che in tutta la sua vita aspetterà a quel modo, l'unico treno che le riporterà quel fratellino partito per l'esilio vent'anni prima – vent'anni di lavori forzati in quel mondo-prigione che chiamano Australia.
Lo sa che sta tornando.
Gli amici, i compagni, hanno pagato a lui e agli altri sopravvissuti il biglietto del treno per tornare a casa.
Ha insistito, Susan, per essere lei la prima a vederlo. Gli altri fratelli sono morti prima che lui partisse, della loro famiglia d'origine non hanno più nessuno.
Fa freddo, ma non importa, lei è lì e aspetta, il treno che viene dal sud sta per arrivare.
La gente che aspetta come lei è tanta, sono tutti silenziosi: aspettano quella dozzina di sopravvissuti a quella pena atroce subita per il miglioramento della vita di tutti – per i sogni, per i peccati di tutti son morti e risorti, come un Cristo moderno, un po' come i suoi apostoli che cercano la verità.
Quando il treno arriva e i passeggeri comuni scendono, loro sono perfettamente riconoscibili, perfettamente fuori luogo tra quelle figura che li guardano commossi dalla banchina.
Estranei vecchi come il mondo, tornano a casa.
Susan riconosce il suo fratellino.
È grande ormai.
Non c'è traccia di adolescenza sul suo viso, come se fosse passata senza lasciar segni – c'è mai stato spazio per la leggerezza su quei lineamenti duri e severi?
Ha la barba lunga di giorni e i vestiti cadono male su quel corpo che pare non si sia riposato mai.
I compagni non hanno mangiato per pagare a lui e agli alti resuscitati il biglietto del treno, e il cibo, e gli alloggi, e i vestiti di cui hanno avuto bisogno da quando son tornati in Irlanda, da una settimana circa.
Lui, poi, la vede, e nei suoi occhi vuoti lei coglie una scintilla di emozione che la fa commuovere.
Finalmente avanza, corre verso di lui e finalmente non pensa più a nulla, lo abbraccia e si fa abbracciare forte, e poi vuole solo sentire se quel volo è reale, se suo fratello è di nuovo lì.
Sembra vivo di nuovo quando la guarda, e lei sta piangendo ancora: guarda negli occhi un uomo risorto, un miracolato; del suo mondo non è rimasta che cenere, e lui ancora non lo sa.
Di quello che amava non è rimasto nulla, e loro non gli hanno fatto sapere niente per paura che non tornasse più.
Ed ora che cosa può fare Susan?
Lei gli darà la notizia, solo non sa come.
«Come... come sei cambiato, fratello mio.
Prendi le tue cose, dalle a me. Starai a casa mia fino a che non ti troveremo una sistemazione migliore, Bobby non vede l'ora di rivederti.» Dice col sorriso.
Il fratello la guarda con una strana espressione e poi sorride anche lui, un po' rassegnato un po' felice, e lei per un attimo riconosce Iram, il suo fratellino, il più giovane dei suoi fratelli – non importa che adesso sembri vecchio e stanco, non importa che sembri portare sulle spalle una croce pesante come il mondo – e lei lo immagina che cosa sta per chiedere, ma lo stesso trema quando lui parla.
«Vorrei vedere Mìcheàl. Mi piacerebbe parlare con lui... sono vent'anni che aspetto di parlare con lui.» Spiega con un sorriso con cui sembra voler chiedere scusa.
È quello il momento di parlare, ma Susan riesce solo a dire che le dispiace, e non può più guardare in viso quel fratello risorto.
«Lo so che è sposato... era giusto così.
Voglio solo vederlo, senza richieste, senza pretese.
Vorrei incontrarlo e chiedergli se è felice, vorrei conoscere sua moglie e giocare coi suoi figli. Non voglio offendere l'ospitalità che mi offri, ma vorrei incontrare lui per primo.» Dice con quel sorriso triste.
L'uomo risorto vuole rassicurare la sorella: il mondo è andato avanti senza di lui, lo capisce, lo accetta.
Ma lei piange ancora quando scuote la testa, quando gli confessa che non potrà parlargli più.
«Se n'è andato?» Boccheggia il risorto. «Ha lasciato l'Irlanda, se n'è tornato in Inghilterra?»
Susan tace. È immobile e tace e considera davvero l'idea di mentirgli: perché fargli sapere qualcosa che gli farà tanto male?
Ma lui è il suo personale Cristo, morto e risolto per l'Irlanda intera, tornato sotto altre spoglie, con una nuova pelle, con occhi che brillano così poco, tanto delusi all'idea della partenza di lui... come potrebbe mentirgli?
Infine scuote la testa, sconfitta «Vieni a casa con me.»
Iram tace. Abbassa la testa adesso, e tace.
Ha intuito qualcosa – non è mai stato stupido, quell'uomo ritornato – ma preferisce tacere; quello è un dubbio che non vorrebbe mai sciogliere.
Per il resto della sera Iram non chiede niente.
Bobby gli racconta che cosa è successo in quegli anni tanto lunghi, gli parla di politica, di religione, di società.I bambini son cresciuti, la maggior parte li conosce quella sera. Sinead, che aveva cinque anni quando è partito, è sposata ormai. La cena finisce e non ha ancora chiesto di lui; come Susan, ha tanta paura.Sa cosa succedeva ai protestanti che vivevano nelle zone cattoliche, sa che sono stati sempre odiati da entrambe le confessioni.
La compagnia è allegra, la casa è accogliente, ma lui non riesce a pensare ad altri che a lui e alla sua vita.
«Bobby, cos'è successo a Mìcheàl?» Chiede dopo cena, quando sono solo loro e parlano dei caduti su sua richiesta.
Susan interviene, lo fa sedere e lui boccheggia già; ha capito già. «Chi è stato?» Chiede prima che possano dire qualcosa che non vuole sentire.
«Ragazzini che non volevano un protestante in queste zone.» Lo dice suo cognato, e Iram lo odia e lo ama insieme.
«Non sapevano chi fosse» interviene Susan immediatamente. «Li hanno fermati prima che entrassero in casa, ma non sono stati abbastanza svelti. Tutti si ricordano di te, di quello che hai fatto. I capi del movimento, quelli rimasti, sono i tuoi vecchi amici, sapevano quanto foste legati. Non avrebbero mai voluto una cosa simile.»
«L'hanno sepolto con tutti gli onori. Ero con loro.» Conclude Bobby.
Iram non piange. Non che se lo fossero aspettati, ma non pensavano a questa reazione; per venti minuti, Iram non muove un muscolo. Ad occhi chiusi, quasi non respira.
Nella stanza non si sentono rumori, ma Susan ha l'impressione che se riuscisse a tendere l'orecchio potrebbe percepire il battito del cuore di suo fratello pulsare con sempre minore intensità, piano, piano, sempre più piano.
«La casa... la casa è ancora in piedi?» Iram si rivolge al marito di sua sorella, perché sa che lei non gli risponderebbe.
«Nessuno ha toccato niente, ce ne siamo occupati noi. Nessuno è più entrato lì dentro.» Garantisce lui.
«Ho bisogno di andare là, ho bisogno... di tornare a casa. L'unico pensiero... l'unico desiderio che mi ha permesso di sopravvivere a vent'anni di Inferno era quello di tornare a casa.» Dice tremando.
Non vede più niente, non guarda più nessuno.
Trema, le mani stringono forte il tessuto pulito dei pantaloni che gli ha prestato Bobby, lui che non ha più niente.
Di suo non c'è più niente.
Si alza di colpo e dice che deve andare, ringrazia sua sorella e suo marito, e loro capiscono che non possono più fermarlo.
La pioggia, fuori, cade incessante, e per Iram non ha importanza: dopo l'Inferno dopo quella tortura durata vent'anni vuole solo tornare a casa sua. Ha sputato sangue ogni singolo giorno nella certezza di poter ritrovare lui, di ritrovarlo in quella casa a sorridergli col suo sorriso gentile.
Esce da Derry da solo, di notte, sotto una pioggia che non sente, che lava via le lacrime che non riesce a versare, che nasconde la rabbia che non vuole sentire.
Ricorda quella strada alla perfezione – la strada che da Derry porta a casa, la strada che dalla casa di Susan porta a lui – l'ha fatta un milione di volte giù all'Inferno, l'ha fatta ogni volta che ha chiuso gli occhi negli ultimi vent'anni.
La sogna sempre. Parte dalla città poco prima del tramonto, stanco per il lavoro e desideroso di tornare da lui. È proprio come lui gli ha sempre detto di volere, nel sogno vivono ancora insieme, adulti, felici, loro due soli in quella fattoria fuori città. Mìcheàl s'è occupato del giardino: gli piacciono le piante curate e ordinate, gli piace che la prima impressione che si abbia di quella casetta sia in ordine. E poi, nel sogno, lui entra dalla porta principale senza dover giare la chiave, Mìcheàl lo sta aspettando. Iram entra in casa e Mìcheàl lo sta aspettando.
Lui rientra un po' prima e gli prepara la cena, che lo sa che Iram non è proprio capace.
Nei sogni che hanno alimentato per anni speranza infrante, lui fa proprio quella strada per tornare ogni sera dalla persona più importante del mondo, e non si accorge del freddo perché non ha nessun valore: il suo mondo è lì, deve solo andare e viverlo.
Nei sogni che l'hanno tenuto vivo...
Non importano più quei sogni, sono finiti in frantumi nel giorno della sua resurrezione.
Le gambe tremano, le sente che non reggono più. Le gambe tremano e le ginocchia cedono, e incontrano il pavimento prima di quanto pensasse.
Cade, e sente le vibrazioni che riverberano in tutto il corpo, le sente che salgono per le membra e arrivano fino al cervello, le sente che scuotono il corpo dall'interno.
E poi arriva il dolore.
È un dolore caldo, si diffonda in fretta seguendo le vibrazioni partite prima, come se quelle avessero preparato il campo per questo, come se ne fossero soltanto il preludio.
Le ginocchia si stanno sporcando di terra, la terra si sta sporcando di sangue; la caduta è stata forte e l'impatto violento, pare si possa vedere anche così, con gli occhi socchiusi per resistere all'impatto della caduta: la ferita è larga, i bordi irregolari son stati tagliati male dall'impatto e la pelle intorno s'è arrossata, protetta solo in parte dalla stoffa dei pantaloni.
Ha camminato a lungo, tanto, tantissimo, fino a sentire male ai piedi, fino a sentire i polpacci bruciare, i tendini sopra ai talloni tirare come se si volessero spezzare – non possono spezzare, vero? - e le ginocchia – le ginocchia cigolavano già prima di cedere.
Il passo era diventato instabile, le spalle pesavano della stanchezza di tanti chilometri passati a camminare per schiarirsi la testa, per cacciare via le idee.
Le mani scivolano verso il terreno, per sorreggere la parte anteriore del suo corpo, ed è ruvido quello che sente sotto i palmi.
Eppure il dolore… il dolore non lo sente poi davvero. Non è dolore quello, non è dolore se paragonato con quello vero, con quello che sente nello stomaco, con quello che sente nel cuore, con quello che sente percorrere ogni fibra del suo corpo da quando gli hanno dato la notizia – Mìcheàl è morto.
Non piove già da un bel po' quando arriva davanti alla casetta; è l'alba ormai, e vede chiaramente il giardino pieno di erbacce.
Sembra che non vi sia mai passata la mano di lui, sembra che non ci sia niente al di sotto di quello strato di verde incolto e prepotente, che ha invaso il vialetto, che ha assediato gli alberelli, che ha affogato le pietre e tutte le decorazioni che chi viveva in quella casa aveva costruito con cura, ma lui le cerca e le trova, le sente sotto i piedi, le vede dietro alle palpebre chiuse dei suoi occhi, sono lì come sempre.
La porta, la porta si apre ancora con la chiave nascosta in quel sottovaso, Bobby è stato di parola, nessuno ha toccato nulla.
La porta si apre ancora, cigola e fa un po' di resistenza – quanti anni sono che non viene aperta più?
Dentro – dentro è il deserto.
Può vedere ancora poco, le finestre son sbarrate e filtra solo quel poco di luce dell'alba che supera la sua figura immobile sulla soglia.
Non c'è lui che sorride, non c''è lui stanco, non c'è lui arrabbiato, non c'è lui sollevato, non c'è lui felice.
E se non è lì, allora non è davvero da nessuna parte.
Solo a questo pensiero Iram si muove, di colpo, senza sapere il perché si avventa contro le finestre e strappa i legni che hanno protetto quella casa per un'indeterminata quantità di tempo.
Si sente male, il vuoto è ovunque.
Cammina piano adesso, nella quiete di quella solitudine che gli pare di aver orrendamente disturbato.
I suoi piedi lasciano orme nere sul pavimento ormai coperto di polvere - leggera e impietosa ha coperto tutto, s'è impossessata di tutto proprio come l'erba selvatica fuori, in giardino – Dio, Dio, quanto tempo fa?
L'hanno ammazzato quanto tempo dopo l'inizio del mio soggiorno all'Inferno, quanto, quando?

La polvere ricopre ogni cosa, e Iram ha paura di non capire più nulla.
Credeva che tornando tutto si sarebbe sistemato, ma il tempo in quella casa non esiste...pare che Mìcheàl sia uscito giusto un attimo – il tempo giusto perché erbacce e polvere divengano sovrane in quel regno dell'uomo.
Iram pensa di poterlo vedere da un momento all'altro – ecco che arriva, lo vede, gli sorride e poi piange perché il suo Iram è tornato alla fine, piange in silenzio, compostamente, come piangeva quando l'hanno portato via, come se non fosse suo diritto farlo.
Lo ha cercato quasi ovunque, ma lui non c'è, non c'è in cucina, non c'è nella sala grande, non è in nessun angolo, non è nemmeno nella loro camera – che è morto Bobby glielo ha detto, lui lo sa che cosa vuol dire, ne ha viste tante di persone morire all'Inferno, le ha viste lui che nemmeno ci credeva che si potesse morire quando si è già laggiù. Lui che non è morto invece, lo ha fatto per rivedere di nuovo qualcuno che al contrario s'è fatto ammazzare, qualcuno che non lo ha aspettato, che non lo ha aspettato! - ma deve controllare.
La scala scricchiola, il legno è vecchio e nessuno la usa più da Dio solo sa quanto.
Non importa, ovviamente.
Di fronte alla porta socchiusa della loro camera, Iram trema di nuovo.
Fa molto rumore nell'aprirsi, e vedere quel letto che ricorda così bene gli fa venire voglia di vomitare. Non ha vissuto lì nemmeno cinque anni, eppure lo vede adesso come non l'ha visto mai: non esisterà mai un posto che saprà di casa più di così.
L'assenza di lui, in quella stanza, è tremenda e insopportabile.
Si accorge allora di essere paralizzato, di respirare a fatica; il suo corpo non è mai stato così pesante, non ha mai sentito così freddo – non c'entra la pioggia sotto cui ha camminato tanto a lungo, è il freddo che sente nel cuore, quel cuore che non ha più motivo per battere. C'è ancora Susan, c'è l'Irlanda, c'è Dio; ma se non c'è lui, allora che senso ha – potrei coltivare questa polvere anche qui, la stessa che ricopre ogni cosa che sa di lui, la stessa che ricopre anche il luogo dimenticato in cui riposa – sposarsi, sposarsi, come ha mai pensato di poterlo fare? Gli pare impossibile ora che vive mutilato di lui.
Ha avuto un assaggio di Inferno in Terra, e sa che è lì che tornerà di nuovo, ma non importa più di Dio, del Paradiso, dell'Inferno; non ha più nulla, cosa può togliergli ancora il suo Dio, cosa può togliergli di più?
Lui. Non. C'è.
E la sua terra? Può pretendere ancora qualcosa da lui, quella terra a cui ha sacrificato la metà della sua vita – che ha preso tutta quella di lui, che irlandese nemmeno lo era?
Finalmente si muove. Entra nella stanza, apre la finestra.
È ancora la sua casa? È ancora casa sua se non verrà mai più illuminata da quel sorriso?
Si gira di nuovo verso il letto, ed eccolo lì, coi suoi occhi grigi e i capelli paglierini, troppo lunghi, scomposti; lui è lì con gli occhi che brillano e che ridono, con gli occhi pieni di parole che non ha detto mai, inclina la testa e gli sorride davvero, seduto sul letto è la cosa più bella del mondo, deve aver fatto un patto con Dio lui, pallido, dolcissimo, con quelle poche lentiggini sul naso, ride con una risata che dall'anima arriva all'anima – deve essere questa la voce di Dio – Dio non è più qui.
Iram sa che non è davvero lì, ma lo vorrebbe così tanto...
Si avvicina lo stesso, un passo, un battito di ciglia, è arrivato al letto e lui non c'è più.
Se tutte le ferite subite durante tutta la sua vita si fossero aperte contemporaneamente, non avrebbe provato un dolore tanto grande.
È allora che piange – bizzarro, tutte le lacrime che pensava di avere era sicuro di averle piante ai confini del mondo, evidentemente ne aveva conservata qualcuna per quell'assurda occasione.
Lui non c'è, al posto suo la polvere a riempire ogni angolo.
Non c'è, ma Iram lo capisce davvero solo in quel momento, tornerà lo stesso a vivere lì, dove può intravedere l'ombra di lui – di loro due insieme, di una vita che è passata, di una vita che non è stata vissuta mai.
Il suo cuore, quello è chiuso per sempre dal giorno della sua resurrezione, sigillato dalle lacrime che sta ancora versando; che la polvere liberi le altre cose che sono state di lui, c'è un cuore pronto, terreno fertile ormai per la conservazione - ecco, cresci qui, non c'è più spazio per altro.

Questa era una storiella che non voleva avere nessuna pretesa: non è bella, non è orripilante, e probabilmente non lascia proprio nulla, ma non importa perché in fin dei conti mi piaceva e avevo voglia di condividerla.
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: yua