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Autore: BlueCandle    06/12/2012    6 recensioni
Persefone, unica figlia di Demetra. Persefone, e il suo destino. Il rapimento, il regno degli inferi. Ade.
Ma non solo.
Questa Persefone, la "mia" Persefone, non resterà una dolce, ingenua e innocente Kore per sempre, come lo resta invece la sua gemella antica di leggende e poemi. Qualcosa, alla fine, scatterà, come un processo di crescita.
Non c'è nulla di più potente di un piccolo cambiamento.
Qui vi propongo il mio, per la dolce Persefone.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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***

D'un tratto muove il braccio, un leggero movimento del polso.

Ecco.

Ora alle mie spalle c'è una sedia. Un trono, in realtà. Uguale al suo, appena più piccolo.

“Siediti".

Non so se sia un ordine, oppure un'offerta.

La voce di lui è così calma. Quasi fredda, distante.

Mi siedo, lentamente, ma non smetto di guardarlo.

"Cosa vuol dire tutto ciò, Ade?"

La voce adirata di Dioniso interrompe bruscamente i miei pensieri.

Si è alzato, e ora sta fronteggiando il suo ospite.

Ade, realizzo.  Quell'Ade?

Il dio degli inferi si volta verso Dioniso, lentamente. Il suo sguardo non mi lascia se non alla fine; mi osserva, pare non mi voglia abbandonare.

"Tu cosa credi, Dioniso?"

La sua voce taglia l'aria, un vento freddo, affilato come una lama di ghiaccio.

E' ancora calmo, ma persino io posso percepire la minaccia che si cela dietro la maschera che sorride, pacata.

Dioniso arretra leggermente.

Sa cosa rischia; ma si fa ancora più scuro in volto, riprova a parlare.

"Sai che si infurierà. Sei ben consapevole di ciò che comporterà il tuo gesto, eppure lei è qui”.

Ha alzato un braccio, mi punta il dito contro.

E' il dio del vino, ma non è un dio debole.

Sento la pesantezza della sua forza che preme su di me, come se mi schiacciasse.

Mi ritraggo sul trono, tiro su le gambe e le circondo con le braccia. Mi fa paura, ho un nodo d'angoscia in gola.

Alla faccia dell'essere spietata.

Ade si alza di colpo.

Adesso. Adesso posso sentire la sua ira.

Come una tempesta, un uragano di ghiaccio e fuoco, inestinguibile, potente, inevitabilmente inarrestabile.
La sua voce rimbomba nella sala. La voce di un dio.

"Non oltraggiare la mia autorità, qui sotto! Non mi interessa di ciò che farà mio fratello, perché provare a negarmi ciò che lui non riesce a negare a sé stesso è stata la peggiore decisione che mai potesse scegliere di prendere!"

Tace.

Echi della sua voce profonda infestano come fantasmi l'ampio salone, vagano tra le colonne nere.

Ade si risiede. Dioniso è immobile. Così anche io.

Rivolgo lo sguardo verso di lui. Quanto sembra inerme, minuscolo, impotente, ora, il dio del vino!

Il dio della morte schiocca le dita affusolate, chiama il suo servo.

“Thanatos".

Il demone di prima, quello che era fuori dalla mia porta, si avvicina di nuovo.

Lo osservo, mentre si muove, sinuoso come un rettile. Aggraziato, letale.

Come Ade, è completamente vestito di nero; ma so che è un guerriero.

Indossa una sorta di armatura di pelle, porta una falce di luna, al fianco, che riluce argentea, in un modo che la fa sembrare viva, persino senziente.

Si inginocchia, abbassa la testa, piega il braccio o porta la mano all'altezza della spalla opposta.

"Mio Signore”.

"Accompagna Dioniso al traghetto. Non avrà bisogno di pedaggio”.

Thanatos si rialza.

Per un attimo soltanto, mi guarda.Vedo come un lampo attraversargli gli occhi rossi, un sorrisetto di sciabole nascoste dietro le labbra.

Ma è solo un attimo, meno di un secondo.

Il demone si avvicina a Dioniso, lo invita a seguirlo.

Il dio del vino sa di non avere scelta; non può rischiare di irritare ulteriormente Ade.

Sospira, fa un lieve cenno con la testa.

"Come vuoi, allora”.

Il tono che usa non è di sfida, tutt'altro. E' rassegnato.

Dioniso si volta, fa qualche passo, svanisce dietro Thanatos. Batto le palpebre.

Mi risistemo sulla sedia, le gambe scivolano giù.

Siamo solo io e lui, ora.

Nessun altro.

“Persefone".

Alzo lo sguardo.

Lui è seduto sul trono, come prima.

Come prima, sento i suoi occhi bruciarmi sulla pelle, la voce di seta che si diffonde morbidamente nella sala.

“Persefone".

Ha allungato il braccio, la sua mano si protende gentilmente verso di me. Un invito.

Non riesco a muovermi.

Lui non sorride. Ma il suo tono è suadente, irresistibile.

"Vieni più vicina, Persefone”.

Vedo le sue labbra pronunciare il mio nome, una lettera alla volta.

Ne seguo i movimenti, fluidi come miele.

Il mio nome sembra quasi dolce, in bocca a lui.

E quando lo sento, un fiotto di lava sembra inondare il mio petto, mi annebbia la testa, tanto è caldo, tanto è insostenibilmente... seducente.

Non so come, d'un tratto sono in piedi.

Un passo dopo l'altro, mi avvicino.

Mi fermo davanti a lui, lo guardo.

E' ancora immobile, proteso verso di me, osserva i miei movimenti sconnessi.

Allungo piano una mano verso quella che lui mi tende.

Sfioro quella pelle di alabastro.

Una scossa intensa, elettrica, si propaga in me, percorre il mio corpo come un’onda.

No, non un’onda. Non è placida, la carezza gentile della marea che avanza e si ritira.

È un maremoto. Inarrestabile, la potenza del vento, un uragano, una tempesta di fuoco liquido. 

Lo sento ovunque, su tutta la pelle, su tutto il mio corpo, riempie interamente il mio cuore.

Rabbrividisco, ma non è paura.

Non è paura.

Ade mi prende la mano con delicatezza, mi tira piano verso di sé.

Io lo lascio fare.

Non voglio ribellarmi. Non voglio che lasci la mia mano.

E' così vicino, ora.

La mia mano è ancora stretta nella sua, un pulcino coperto dalle grandi, morbide ali del genitore.

Così vicino.

Non ho mai sentito con tanta forza la presenza di qualcuno.

Vicino.

Ancora una volta, sono bloccata.

Lui si alza, lentamente. E' davanti a me, in silenzio.

E' alto, non gli arrivo neanche al mento.

Il suo petto sfiora il mio, tanto siamo accostati. Alzo lo sguardo, cerco il suo viso.

Lui china la testa verso di me.

Mi perdo ancora una volta nell'oceano dei suoi occhi. Blu.

Così diverso dai miei, pozze d'ombra, neri come il marmo di questa sala.

Lo sento sospirare.

D'un tratto mi avvolge con le braccia, mi tira contro di sé.

"Sei così... giovane" mormora.

Il mio viso è premuto contro il suo petto, i polmoni si riempiono di quel profumo meraviglioso che – ora capisco – è il suo.
Vento, neve, inverno... il fiore era lui.

Vorrei alzare le braccia, abbracciarlo... vorrei...

Si discosta da me, delicatamente.

"Dolce fanciulla, sai chi sono?"

Mi guarda negli occhi, aspetta.

Io annuisco, piano.

Un lampo solca il blu dei suoi occhi, una cometa che ne taglia la notte con una lama d'argento.

"Chi sono, allora?"

“Ade”, mormoro.

Mi sfiora la guancia con le dita, la mano scivola sul viso, sul collo.

L'indice affusolato si ferma all'altezza del mio cuore.

Sfiora la pelle bianca lasciata scoperta dal peplo di tenebra.

“Sì”.

 
  
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