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Autore: _Lakshmi_    06/12/2012    3 recensioni
[...] ero una cosa che non avrebbe dovuto nascere: il frutto dell’unione fra uno Shinigami e un Demone
L'avventura di Pandora inizia in una grigia Londra di fine XIX secolo. Lei si trovava lì per lavoro, per scoprire qualcosa di più sulla morte di un barone. E sarà proprio qui dove incontrerà dei personaggi un po' speciali, che l'aiuteranno nei momenti più difficili (forse) e che le renderanno la vita un Inferno...
Genere: Avventura, Azione, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Undertaker, William T. Spears
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quinto Capitolo

Quinto Capitolo:

Ricordi dimenticati...

 

Tutt’intorno a me diventò cupo, freddo e silenzioso.
Mi trovavo rinchiusa in un’angusta cella, con i muri grigi screziati di rosso fin troppo vivo e con il pavimento in pietra cosparso di paglia chiazzata di cremisi.
Provavo una strana sensazione di paura.
La fame mi stringeva lo stomaco, non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi, forse a causa anche dell’aria gelida e pungente che sibilava nei corridoi apparentemente deserti. Indossavo unicamente dei grigi pantaloni logori e una camicia bianca anch’essa rovinata.
Il freddo penetrava sin nelle ossa, costringendomi a lottare per non morire congelata.
Quando ormai stavo per accasciarmi su un fianco, una fioca luce di una lanterna illuminò le pareti. Pian piano si avvicinava sempre di più a dove mi trovavo.
Sentivo i battiti del cuore sin nelle orecchie. Temevo quella chiarore, perché portava soltanto sofferenza: più di una volta avevo visto dei bambini venire portati via da quegli uomini con il camice bianco e un lume. Avevo provato sulla mia pelle che cosa succedeva, quali torture utilizzavano per constatare la nostra resistenza e forza.
Davanti alle sbarre arrugginite si fermò un ragazzo di all’incirca sedici anni non molto alto, con la carnagione piuttosto chiara; i suoi capelli erano di un rosso ramato, corti fino alle spalle e molto spettinati, con una frangia disordinata che gli copriva parzialmente gli occhi verdi tendenti al giallo. Indossava anche lui una lunga giacca bianca. Il mio primo pensiero fu quello della gabbia, del sangue cosparso ovunque.
Indietreggiai il più possibile mentre lui apriva la porta. Scoppiai quasi in lacrime quando entrò.

<< Stai calma... sono io, Frederick, non ricordi? Scusa se non sono più venuto, ma... sono stato un po’ trattenuto>> sospirò, poi dalla borsa a tracolla color terra estrasse un panino, un piccolo vasetto di marmellata alle fragole e un cucchiaino << Tieni, ti rimetterà un po’ in forze>>

Lo guardai negl’occhi, dai quali non traspariva nessuna emozione maligna, poi mi concentrai sul pane. Sembrava fresco ed incredibilmente succulento, ma prima di mangiarlo, una domanda mi balenò nella testa.

<< Dov’è la mamma?>> chiesi << mi avevano promesso... mi avevano promesso che non le avrebbero fatto nulla>>

<< Tua madre è...>> fece una breve pausa, un respiro rassegnato, poi continuò << Lilith era una creatura fin troppo speciale... e per questo l’hanno sottoposta ad esperimenti disumani. Il suo corpo, già debole di per sé, non ha retto... mi dispiace>>

Guardai la pagnotta nelle mie mani, l’avvicinai alla bocca, ma non riuscivo a mangiarla. La fame era molta, però le lacrime che mi solcavano il viso erano più potenti.
Frederick mi passò una mano fra gli sporchi capelli corti, poi si sedette al mio affianco, poggiando la testa contro il muro. Estrasse una sigaretta da una tasca del camice, poi, avvicinando appena un dito, si accese una piccola scintilla.

<< Sei uno stupido, invece di scappare resti qui>> singhiozzai.

Vidi la sua espressione cambiare radicalmente: da rattristita diventò piuttosto furiosa.

<< Odio quando la gente mi chiama stupido! Sono uno Shinigami molto intelligente, sai? Io sono lo Shinigami alchimista e fabbro più famoso. Sono rimasto qui perché ho fatto una promessa ad una persona... un patto>> disse, poi spense il sigaro e cominciò a mangiare la marmellata << Ti prometto che finché rimarrò in vita, non riusciranno mai a completare il progetto Pandora>>

 
Aprii gli occhi.
Iperione era stato ferito al petto con un’arma da fuoco. Perdeva sangue rossastro, il quale gocciolava sui miei vestiti logori.
Probabilmente a causa della sua disattenzione, il pentacolo violaceo che mi aveva tenuto sospesa fino a quel momento si dissolse, così mi ritrovai a precipitare sulla cittadina di Londra.
Il mio cuore sembrava un tamburo rullante: troppe emozioni, troppe cose a cui non sapevo dare una risposta erano accadute. Non riuscivo più a ragionare con la mente lucida: il mio pensiero fisso era quel sogno così reale. Ma possibile che fosse solamente un’insignificante fantasia? Quelle lacrime, quel freddo, quel sangue...
Provai un’atroce fitta al petto che mi fece tornare al presente. Sulla schiena, lacerandomi la pelle, comparvero delle gigantesche ali scheletriche, sulle quali si formò un vellutato strato di pelle bianca come il latte. Grazie ad esse riuscii a volare, anche se la trasformazione –per niente indolore- continuava, allungando sia i denti, facendoli diventare delle proprie zanne, sia le unghie delle mani, le quali ora somigliavano a degli artigli di rapace.
La vista cambiò drasticamente: se prima vedevo un mondo sfocato, in questo momento riuscivo a scorgere anche gli edifici più lontani, notando i più piccoli dettagli.
Persino la mia chioma crebbe di almeno una ventina di centimetri e per ultimo il mio corpo (tranne sul viso e le ali) fu avvolto da un soffice piumaggio bianco.
Dopo un attimo di smarrimento, recuperai quota in un batter d’occhio, poi, richiamando la mia ascia bipenne, tentai di colpire Iperione, ma questo evitò l’attacco.

<< Un demone albino? Sei una vera perla preziosa, Pandora>> sorrise lui << Io, l’angelo impuro e dio del sole e tu, il demone bianco della distruzione, pari agli dei...>>

<< Non paragonarmi alle divinità, Iperione. Rispondi piuttosto alle mie domande: cosa vuoi da me? E che cos’erano quelle immagini che ho visto?>>

Iperione guardò la città, facendo poi un ampio sorriso.

<< Oh... sono spiacente, ma non posso risponderti mio piccolo demone. Non adesso almeno... Londra sta vivendo un’eclissi fuori programma e non voglio proprio perdermi lo spettacolo>> detto ciò, l’angelo scese in picchiata sparendo poi nello spesso strato di ombra che aveva inghiottito la capitale.

Era successo tutto in brevissimo tempo, tutto in un battito di ciglia.
Seguii il nemico e atterrai in un’oscura strada. La luce del sole quasi non riusciva a penetrare in quel manto cupo, ma possedendo una vista demoniaca non era un grande problema per me.
Una donna, presumibilmente di alta società, osservava stupita il suo compagno mentre quest’ultimo le porgeva una rosa rossa. Non c’era nessuna parola, nessuna emozione.

Tutto era immobile, silenzioso. I passanti erano fermi, come in una fotografia o in un quadro. Eppure mi parve di udire in lontananza un combattimento...

<< Tic... Toc... Tic... Toc...>> scandì una voce femminile e alquanto fastidiosa << Gli umani spendono il tempo in modo inutile>>

Mi voltai, ma non vidi nessuno.

<< Tic... Toc... Tic... Toc... ma a quando pare questo vizio non è solo degli umani>>

<< Chi sei?! Fatti vedere!>> ringhiai, continuando a cercare con lo sguardo.

<< Tic... Toc... Tic... Toc... io sono Crono, l’esperimento del tempo>>

Davanti a me comparve una ragazza con un ampio sorriso smagliante dipinto sul viso, l’unica parte del volto non celata da quella folta frangia corvina. Per il resto, i capelli erano lunghi fino alle spalle, sciolti e scuri come la notte, mentre gli occhi appena visibili erano assai cupi, probabilmente di un colore tendente al nero.
Aveva una corporatura minuta con una carnagione fin troppo pallida, la quale le donava unicamente un’aria malaticcia. Quel gracile corpo era coperto da un voluminoso abito corvino, composto da un corsetto decorato con pietre preziose e un’ingombrante gonna ricca di balze e drappeggi che toccava il suolo. Si riusciva appena a vedere delle scarpe con un tacco piuttosto alto, quasi sui nove o dieci centimetri, naturalmente scure.
Nel complesso sembrava una ragazza di quattordici anni, forse anche a causa dei lineamenti infantili del viso o per il suo atteggiamento irritante che di certo non l’aiutava a guadagnare qualche anno in più.
Rideva, scherzava e addirittura faceva delle battute fin troppo irritanti sul mio conto e soprattutto sulla mia non elevata statura. Doveva morire.

<< Tic... Toc... Tic... Toc... la tua ora è giunta, Pandora>> ridacchiò questa guardando un orologio d’oro sul polso sinistro, mentre alzava lentamente l’indice della mano destra.

Non riuscii nemmeno a pensare ad una frase di senso compiuto che una potentissima onda d’urto mi scaraventò parecchi metri più in là. Appena feci per alzarmi, un secondo attacco allo stomaco mi spedì addirittura dentro un negozio, frantumando persino la vetrina.
Sputai sangue, il quale non solo sporcò il pavimento piastrellato del negozio, ma anche i peluche e le bambole sotto cui ero finita.
Ma gli attacchi non erano ancora terminati.
Sentii una dolorosa fitta al petto. Un’enorme spada a due mani dalla lama color pece mi aveva trapassato il ventre, aprendomi una profonda ferita.
Per salvarmi, colpii Crono con una potente scarica elettrica, poi, trasformandomi per qualche attimo in una saetta, riuscii ad uscire dal negozio.
Era troppo veloce. Non riuscivo nemmeno a scorgere i suoi attacchi, figurarsi a pararli o tentare un contrattacco.
Caddi in ginocchio, assaporando il sangue che velocemente mi risaliva la gola. Con un calcio ben assestato, la ragazzina mi aveva colpito la parte indebolita.

<< Muori, demone!>> ridacchiò lei alzando l’arma, pronta a tagliarmi la testa.

Guardai la scia rosso scarlatto, poi osservai il suo sorriso divertito. Serrai il palmo destro, così quel liquido cremisi si tramutò in energia elettrica e, essendo sotto i piedi della ragazzina, la fulminò.
Guadagnai qualche attimo per togliermi dalla portata dell’arma, anche se così facendo mi ritrovai in un vicolo senza vie d’uscita.

<< Tic... Toc... Tic... Toc... è arrivato il tuo momento>> ringhiò, mentre schioccò le dita. Diventò assai veloce, tuttavia ciò non bastò per uccidermi, infatti per puro miracolo evitai il suo attacco, trasformandomi in un fulmine.

<< Impossibile! Come fai ad essere più veloce del tempo?>>

<< Semplice: hai il vestito inzuppato del mio sangue elettrico... questo grazie a tutte le pulsazioni ti rallenta e ti indebolisce>> dissi ritornando normale, poi cominciai a ridacchiare << Se tu usi i tuoi poteri per velocizzarti, io sono le catene che ti impediscono ogni minimo movimento>>

<< Prova ad evitare questo!>>

Sentii il mio corpo rallentare sempre di più, fino a diventare quasi come una statua, mentre lei si muoveva liberamente e, saltando alle mie spalle, fece per darmi il colpo di grazia.
Chiusi gli occhi.
In pochi istanti tutto sarebbe finito. Il dolore, la rabbia, la paura e molte altre emozioni sarebbero diventate soltanto parole al vento.
Ecco, il freddo alito della lama mi sfiorò il collo.
Era finita, avevo perso la partita... per sempre.

Fine Quinto Capitolo!

  
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