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Autore: HikariVava    06/12/2012    6 recensioni
"Infondo, cos'è un inutile goccia di acetone che ti scende sulle unghie per cancellare lo smalto?
Beh è semplice, è un modo per risolvere i problemi: ma non affrontandoli,
e ci si dovrebbe rendere conto che così si scappa solo,
esattamente come scappi da un passato turbolento a cui non sai dare una giusta soluzione."
Storia di un'adolescente complessata che vive la sua vita un un collegio, ha tanti amici, ma siamo sicuri che la sua vita è così facile?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                  - Capitolo 6 - Rissa.


Alzo la testa e sento che non c’è più il chiasso di prima, non c’è neppure più Luca.

 

Sono sola, sola con me stessa e sola in quell’aula, nascosta in quell’ombra piena di insicurezze e fragilità.

Da un certo punto di vista sembra che i muri mi vogliano stringere in una morsa letale e pare che quei banchi, di cui ho sempre odiato lo stato fisico fatiscente e deleterio mi stiano fissando tutti e ventisei, ma senza i miei compagni: no, quegli stupidi scapestrati pieni di vitalità non ci sono e c’è silenzio, quasi morte in questa stanza.

Apro i miei piccoli e vispi occhi verdi e guardo verso la lavagna ormai decrepita e così  tanto vecchia, che dovrebbero inserirla in un museo per quanto è deteriorata. 

Alzandomi dal banco con un passo lento e apatico, mi avvicino a quel cimelio enorme e nero con un gesso e mentre osservo il disegno tirato via della mia professoressa  di Scienze della terra sul sistema solare, con la mano disegno un altro pianeta simile a Saturno e mi chiedo “Ci saranno altri pianeti oltre a quelli che conosciamo? E ci sarà vita in questi pianeti?” forse non è importante, probabilmente è un pensiero superficiale e flebile, che non ha né capo né coda, ma io voglio saperlo, in fondo sono curiosa per natura. Sento un rumore e spaventandomi faccio cadere il gesso a terra, che si spezza. 

Mi giro e vedo Andrea che si china a raccoglierlo da terra dicendo «Certo che sei proprio una fifona eh!» mentre riduce in polvere i gessi stringendoli con un pugno e si avvicina a me.  

«Cosa vuoi?» gli chiedo dubbiosa e scattante arretrando di un passo. 

«Voglio che mi aiuti ad evadere da quest’inferno» mi dice con uno sguardo cattivo e bieco. 

«Scusa, puoi ripetere?» gli chiedo sbalordita. 

«Hai capito benissimo, voglio scappare dal collegio» mi dice spazientito 

«Perché?» gli rispondo di rimando. 

«Non mi trovo più bene qui... Mi sembra un manicomio. Ho amici che mi verranno a prendere fuori dal cortile, ma tu devi coprirmi» mi urla con la pazienza a pezzi «Ma perché io? Perché non chiedi a Serena, a Tanya o a Elena?»Gli chiedo perplessa «Ci ho provato, ma loro non vogliono!» mi risponde strafottente.

«Beh, neppure io voglio!» gli replico convinta.

«No tu vieni e mi aiuti, cavolo!» continua ad urlare e mentre dice quest’ ultime parole mi stritola il braccio in segno di dominio. 

«Ti ho detto di no! Lasciami in pace o urlo!» 

Lo guardo incavolata, e mentre apro la bocca per tirare fuori un grido fortissimo, lui me la chiude con la mano e mi guarda serio negli occhi: iridi cioccolato nero, sguardo da terrore. Chi non avrebbe paura? Titubante gli dico «Va bene, ti aiuto». Lui, allentando la presa mi dice «Così si ragiona» facendomi un collino che non faccio in tempo a evitare. 

«Ti aspetto il prossimo sabato, in quest’aula. Da sola.» 

Faccio in tempo appena a sussurrare un lieve “Fa che muori prima, con la droga che ogni giorno si sniffa Serena!” che lui allarmato mi prende per il maglione e mi sbatte al muro urlando «Serena non si droga, stupida! È la mia ragazza e l’ho aiutata a smettere!» 

Mentre continua a urlare, sbatte sempre la mia schiena al muro. 

«E tu che ne sai?» gli rispondo io con sfrontatezza e strafottenza intanto che mi da un pugno sul viso e si incazza urlandomi le peggio parolacce che si possano mai dire a una donna, mentre le mie lacrime non tanto per il dolore fisico, ma per le parole cominciano a sgorgare in modo inesorabile. 

«Mollala» 

Sento una voce. È Giovanni. Ma che ci fa lui qui? Perché è venuto a scuola? Che motivo aveva? 

«Ti ho detto mollala, stronzo!» 

Andrea, vedendo la stazza di mio fratello mi poggia a terra delicatamente e si prepara a scappare, quando mio fratello lo prende per il colletto della camicia e lo sbatte al muro calciandogli il ventre e le parti basse. 

«Tu non la devi toccare, è chiaro? Lei è mia sorella, e se le rimetti anche solo le mani addosso io ti ammazzo. Ti ammazzo! Hai capito idiota, pezzo di merda che non sei altro? Vuoi che ti rovino quella faccia da cesso  che ti ritrovi?» 

Gli sferra un pugno in pieno volto e poi un altro, un altro e un altro ancora, fino a fargli comparire grossi lividi, dopo corre da me, mi osserva per vedere se sto bene e mi abbraccia notando il livido che mi ha causato il pugno di Andrea. 

«Piccola, non piangere, ora ci sono io con te...» 

«Fratellone...» 

«Shhh, non dire nulla... Noi ci capiamo al volo...» mi accenna un sorriso 

«Ti ha dato un pugno in faccia, vero?» 

«Sì...» 

«Perché?» 

«Voleva costringermi ad aiutarlo in un suo tentativo di fuga dal collegio e perché ho detto la verità, cioè che la sua ragazza si droga, lui mi ha sbattuta contro il muro un paio di volte...» rispondo piangendo e stringendo il lembo della camicia di mio fratello.

«Tu non lo devi aiutare, chiaro?» mi fa promettere guardandolo negli occhi

«Sì frà... Ma ora andiamocene... Ho paura» lo fisso ancora negli occhi 

«Okay» mi sorride e nel frattempo che voltiamo le spalle ad Andrea, Giovanni lo guarda in modo truce. Mentre passeggiamo in cortile, mio fratello continua a chiedermi del collegio, delle mie amicizie, dei professori... E io gli chiedo come ha fatto a trovarmi nell’ aula di scienze. Lui mi risponde che voleva vedermi, salutarmi, e che ha chiesto informazione alla preside. Mentre camminiamo, scorgo due teste a fungo, e capisco al volo di chi si tratta: sono Marco e Luca che giocano a carta, sasso, forbici. Li saluto e corro da loro facendo cenno a mio fratello di seguirmi: voglio presentarglieli!  

«Ragazzi, lui è mio fratello! Giovanni Atlassi»

«Ciao Giò, noi siamo Marco Santopietro» indica se stesso «E Luca Belvedere» indica l’amico. 

«Piacere ragazzi! Faremo le presentazioni un altro giorno, devo scappare a lavoro! Voi due mi fate una promessa? Dovete proteggere Aisha. Okay?» 

«Va bene! Tranquillo, ci pensiamo noi!» e mentre Giovanni corre via, io racconto tutto ai miei amici, che sbalorditi mi chiedono «Ma parli seriamente di Andrea Giro?!» 

«Sì, sì, proprio lui... E' stato lui che mi ha aggredito...»

«Ai, tu rimani sempre vicina a uno di noi, eh! Non stare mai da sola! Hai corso uno di quei pericoli!»

«Lo so… Speriamo non capiti mai più, ma... Andiamo dalle altre ragazze?» 

«Va bene!» rispondono entrambi in coro, avviandosi per il corridoio, mentre incrocio lo sguardo delle mie tre amiche segrete e del ragazzo che prima mi ha aggredita, venire verso di noi. Erano Serena, Elena e Tanya. 

«Ecco la troietta che si fa difendere dal fratellino!» esordisce Andrea.

«E quella che non si fa i cazzi suoi»  continua Serena. 

«Chi siete voi?» chiedono in coro Francesca , Noemi e Simona. 

«Vi dopo raccontiamo tutto io, Luca e Marco» gli dico io. 

Parte una discussione, e Andrea cerca di mettere le mani addosso a Luca, che gli blocca la mano e lo allontana spingendolo via. Serena, Tanya e Elena mi attaccano in gruppo, fa un male cane quando una ragazza ti tira i capelli, sembra che una piastra li mangi, quando ti assesta un pugno ben dato nello stomaco o uno schiaffo, dove ti accasci a terra e non riesci ad alzarti... Partono tanti altri dolorosi calci, pugni e botte... Attorno a noi si è radunato tutto un gruppo di studenti che incitano e scommettono su uno o l’altro gruppo con voci acute e gravi. Nessuno è rimasto illeso tra tutti, ma il mio gruppo riesce a scappare dalle grinfie dell'altro e corriamo verso le nostre stanze, quando un professore che ha visto la rissa ci ferma e ci fa promettere domani di presentarci tutti in presidenza.  

Alla fine, ritirati nelle nostre stanze, tutti decidiamo che dobbiamo inserire altri due maschi nel gruppetto: almeno saremo di egual numero se dovesse  succedere il peggio. Mi alzo dalla sedia e faccio cenno a Simona di seguirmi in bagno: mi tuffo tra le sue braccia e piango, piango e ripiango. A volte è bello sentirsi tra le braccia materne e desiderare di essere consolata, di sentire che qualcuno ti è vicino, ti vuole bene, che qualcuno ti ama e ti stima per ciò che sei, per ciò che senti e anche per le tue lacrime… Perché secondo me un mondo senza lacrime non potrebbe  mai esistere... Devi sempre avere quel tuo piccolo punto di riferimento che solo una mamma può dare, anche se io purtroppo non posso con la mia. Andrea oggi mi ha chiamata “troia”. Nessuno mi ha mai chiamato così... 

Ma lo sono davvero o è tutta mia invenzione? Devo credergli o mandarlo a quel paese? Cosa che non mi sarei mai aspettata di fare, mi sciolgo dall’abbraccio di Simona, scendo giù al piano di sotto e attraverso il corridoio fino ad arrivare alla fatidica porta. E' la porta n° 17… Sospiro e…

Perdonatemi per l'enorme ritardo.. spero in qualche recensione e... prometto di aggiornare più spesso :)

   
 
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