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Autore: Liz_95    08/12/2012    2 recensioni
“Se è vero che la natura umana è fragile e contraddittoria, è vero allora che non si può fermare l’amore per ciò che ti fa sentire amata, ed io dopo tanto tempo ero di nuovo amata.”
Dopo quel giorno nella foresta, Edward se n’è andato e non è più tornato indietro.
Bella è rimasta da sola, abbandonata nelle macerie di un cuore ferito, con un corpo incapace di sentire di nuovo.
Con Jacob, il suo dolce e paziente Jake, la luce di una vita quasi dimenticata sembra tutto d’un tratto più vicina.
Non cedere al suo amore è quasi impossibile.
Ma che cosa succederebbe se in un giorno di pioggia Edward facesse ritorno nella cittadina di Forks? Come reagirebbe Bella, divisa tra la fedeltà al suo nuovo fidanzato licantropo e il suo indelebile amore per il vampiro?
Storia ambientata dopo i primi eventi di New Moon, la mia personalissima versione degli eventi che vedrà i nostri tre amati protagonisti impegnati in nuovo, complicato triangolo amoroso.
* EDIT: SISTEMATO PROBLEMA CON I CAPITOLI: ORA SI PUO' LEGGGERE IL PROLOGO.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Ciao a tutti : )
Fa freddo anche da voi? Perché qui da me in Veneto la neve ha preso il controllo su ogni cosa! Adoro l’inverno *.*
Comunque, veniamo al capitolo. Ecco, questo che leggerete è un capitolo di svolta.
“Il secondo capitolo uno di svolta?” Vi sarete chiedendo scettici, e fate bene, perché di solito non è così.
Questa però  è una long - fiction, deve attirare e far venire voglia di continuare la lettura tra le migliaia che ci sono nel sito, e io personalmente ho sempre preferito quelle che partono subito, facendomi incuriosire. Quindi mi è sembrato giusto dare un colpo d’azione all’intera trama, gettare le basi per gli innumerevoli e catastrofici avvenimenti futuri, inserire nuovi attesi personaggi. Non vi preoccupate, ci saranno moltissimi capitoli dove il ritmo rallenterà, mi piacciono così tanto le scenette di dolce amore, solo, devono accadere alcune cosucce carine prima! : )
Detto questo, ringrazio i preferiti e i seguiti che aumentano, e naturalmente chi ha recensito. Grazie. <3
Aspetto i vostri commenti, fatemi sapere che ne pensate di questo scorcio della trama!
Come al solito, buona lettura
Liz.

Capitolo 3.


“Rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte il tempo che serve per crollare”

Suzanne Collins


Mi agitai ansiosa sul sedile, abbassando il finestrino e lasciando che l’umidità entrasse nell’abitacolo della macchina.
Accesi anche l’autoradio; c’era troppo silenzio.
La strada bagnata alla mia destra era completamente deserta, nessun segno di macchine all’orizzonte, la foresta sulla sinistra premeva i suoi occhi invisibili sul mio viso.
Perchè avevo accettato di seguire Jake fino a qui?
"Non voglio lasciarti da sola" mi aveva detto, con quei suoi occhi da ragazzo abbandonato.
Avrei dovuto ricordare a "Mr Paranoia" che a vent'anni ero più che capace di badare a me stessa.
Non mi serviva che il mio migliore amico si trasformasse in un'ansiosa guardia del corpo.
Cercai di concentrarmi sul foglio, ancora vuoto sotto le mie dita, ma sapevo benissimo che neppure questa volta sarei riuscita a scrivere qualcosa.
Seguire il corso di scrittura creativa dell’università mi era sembrata la cosa giusta da fare, o almeno così mi aveva convinto Jake.
Mi era sempre piaciuto scrivere, le parole erano così duttili e malleabili, non c’era cosa più semplice ed efficace che costruire nella scrittura il falso mondo che non resiste nella confusione della nostra testa.
Ma quando si è così infettati dalla realtà da non riuscire neppure più a capire che cosa si vorrebbe desiderare, allora scrivere diventa nient’altro che la profonda, ennesima consapevolezza che c’è qualcosa di sbagliato.
Ed io non dovevo neppure faticare molto per capirlo, sapevo già che cosa c’era di sbagliato.
Io.
“ Bella!”
Jake sbucò da dietro un grosso tronco d’albero nero come la pece.
Finalmente.
La sua espressione sollevata mi irritò più del dovuto.
Come succedeva ogni volta dopo la trasformazione, quando si sedette al posto di guida il suo profumo colpì prepotente i miei sensi, riempiendomi di terra bagnata, muschio e resina.
Era buonissimo.
“ Che cosa voleva Sam?”
Jake mise in moto e si passò una mano sui corti capelli neri, ravvivandoli, un gesto abituale in Jake, se non fosse che le sue guance sorprendentemente si tinsero di rosso sotto la pelle ramata.
“ Oh niente, la solita routine di controllo.”
Il tono basso e controllato, la sfumatura della voce disinteressata al punto giusto, non mi sarei mai accorta della sua bugia se non fossi stata un’incallita bugiarda io stessa, e sapessi ormai riconoscere lo sguardo sulla difensiva di chi ha paura d’essere scoperto.
“ Niente nuove storie d’amore?”
Solo poche settimane fa l’imprinting, il magico sentimento che lega indissolubilmente un licantropo alla sua anima gemella, aveva colpito un altro membro del branco di la Push.
Nessuno voleva ammetterlo, ma vedere che il proprio cuore alla fine non conta nulla contro una forza trascendente e ultraterrena come l’imprinting, era inquietante e spaventoso.
Anche i lupi avevano paura delle leggende.
 “No, i pensieri rivoltanti di Sam e Quil sono più che sufficienti.”
Più che disgustato, sembrava arrabbiato.
Pensai a quante volte l’immunità della mia mente mi aveva salvato, a quanto contassi sul luogo sicuro ed inaccessibile che essa era diventata.
Chi custodisce i tuoi segreti quando anche la tua stessa mente ti tradisce?
Non c’era privacy per Jake, appena perdeva le sembianze umane i suoi pensieri urlavano da una mente all’altra tutte le sue paure, le sue vergogne, i suoi desideri più reconditi, e non c’era niente, assolutamente niente che potesse fare per trattenerli.
Per non parlare del senso di colpa quando, al contrario, si trovava incastrato nei ricordi d’amore di Sam, nell’odio nero di Leah, nell’insicurezza adolescenziale di Quil.
Rabbrividì.
Lui non aggiunse altro, e io decisi di non chiedere più nulla.
Almeno con me, volevo permettergli di avere dei segreti.
Il verde muro compatto della foresta scivolava ai nostri fianchi, mentre le gomme dell’auto mangiavano chilometri d’asfalto grigio.
Non stavamo andando a casa mia.
Jacob intercettò il mio sgaurdo sorpreso.
“Jared mi ha detto d’aver visto tuo padre a casa del mio vecchio, ti porto lì.”
Charlie e la sua ritrosia per i cellulari.
“ Va bene, ma sono senza macchina, e questa sera dovrai portarmi indietro.”
“Non c’è problema.”
Chiusi gli occhi, e anche nel silenzio della macchina, potevo percepire la sua calda presenza.
Sapere che fino a pochi secondi fa il corpo umano che ora respirava a pochi centimetri da me era stato sostituito da un’enorme lupo ringhiante non mi turbava più.
Certo, i primi tempi era stato difficile accettare la sua seconda natura, e non tanto perché avevo appena scoperto che l’ennesimo personaggio delle fiabe del terrore non fosse solo frutto di qualche mente ispirata, ma perché sembrava impossibile che il sovrannaturale avesse colpito proprio lui.
Jake, il dolce e innocente ragazzo della riserva, quello che non lasciava nessuno toccare la carrozzina di suo padre e accarezzava con le sue grosse mani i delicati pezzi di un motore, quasi fossero bisognosi d’affetto.
La prima volta, era stato diverso.
Scoprire l’intera esistenza di un altro mondo, così saggiamente celato agli occhi degli umani, era stato paradossalmente molto meno sorprendente, quasi rassicurante.
Avevo sempre saputo che in lui c’era qualcosa di diverso, non potevo essermi immaginata tutto, non ero pazza.
 “Non è possibile.”
Jake parcheggiò di fronte alla piccola casetta rossa, accanto alla macchina della polizia di Charlie.
Poco più in là, due motociclette erano malamente state abbandonate sul ciglio del vialetto.
L’eco rombante di risate lontane vibrò nell’aria fino a noi.
Una tonfo sordo, un’imprecazione ad alta voce, altre risate.
“Vado a cacciare quei due deficienti e poi ti raggiungo.”
“Vai.”
Lo osservai sparire dietro la prima fila di alberi.
L’agilità sorprendente con cui si muoveva, i muscoli che si flettevano guizzanti quando toccava il terreno, la figura allungata, tonica; una volta era stato goffo e strambo come me.
Incastrai in borsa il quaderno abbandonato sul sedile ed entrai in casa, seguendo la voce di mio padre.
Era seduto sul divano vicino a Billy, tutti e due con il busto proteso verso il telecronista che dal televisore urlava incitamenti ai giocatori di baseball.
Decisi di non disturbarli; non avevo voglia di perdermi nei soliti convenevoli.
La porta della stanza di Jacob era aperta, la finestra dischiusa sul cielo grigio che si preparava all’ennesima pioggia della giornata.
Mi distesi sulle coperte ancora calde, appoggiando la schiena alla tastiera di legno.
Il profumo del legno, la felpa sgualcita appesa alla maniglia, la mensola storta sopra la scrivania, tutto sapeva d’abitudine, di familiare, di casa.
Tirai fuori il quaderno e mi allungai per prendere una penna sopra il comodino.

Appartenere ad un luogo come ti appartiene solo quando si è stati felici.

“ E’ passato troppo tempo da quando ti ho vista seduta lì.”
Jake si era appoggiato con una spalla allo stipite della porta, mi osservava compiaciuto.
“ Forse perché sono contraria alle camere incasinate.”
Lui rise e ignorando il paio di scarpe abbandonate al centro della stanza si coricò accanto a me.
“ Se avessi saputo che saresti venuta, avrei almeno rifatto il letto.”
Lo guardai di sottecchi.
“No, non l’avresti fatto comunque.”
“Hai ragione.”
Il tremore del suo petto si trasmise sulla mia pelle attraverso la sua risata, la testa posata sopra la mia pancia.
Così distesi sul letto, con le sue mani che mi sfioravano ancora timide i fianchi, tornai indietro nel tempo, quando in quella stessa camera mi aveva tenuta stretta a sé, pregandomi di credergli, di dargli fiducia, perché non tutte le persone se ne vanno, c’è chi resta.
E dopo tre anni, eccolo ancora raggomitolato su questo letto troppo corto, gli stessi capelli e lo stesso sorriso, la stessa cieca fiducia nel futuro, la speranza che avanti ci sia tutto un nuovo modo d’essere felici.
Le sue mani si fermarono.
Alzò la testa e mi baciò velocemente, le labbra rigide e... fredde.
“Odio quello che sto per fare, ma c’è una cosa che devo dirti Bells, e lo so che dopo darai di matto, e io sarò incazzato con me stesso per non aver aspettato ancora un po’, ma se c’è una cosa che ho capito è che non conviene tenerti dei segreti, però tu promettimi che…”
Le parole gli si bloccarono in gola, e quelle poche che non erano riuscite ad uscire si riversarono nel suo sgaurdo, angosciato e mortificato, fisso sul mio volto come se stesse facendo una preghiera.
Capì al volo.
“Che cosa ti ha detto Sam? Questa volta intendo realmente Jake.”
Si appoggiò al cuscino, borbottando al soffitto.
“A volte penso che sia tu quella che legge nel pensiero.”
Oh, non sapeva quanto si stava sbagliando.
Il lettore era sempre stato qualcun altro.
“ Forza Jake, sputa il rospo.”
Aspettai qualche minuto, e quasi mi sembrava di sentire la pressione dei suoi pensieri ingarbugliati che premevano sulla sua gola, desiderosi di uscire, tutti spezzettati e mezzi rovinati.
Girai anche la testa verso la parete, perché di solito per me era più difficile trovare il coraggio per parlare se qualcuno mi fissava.
Ma i minuti passarono, e i centimetri di lenzuola tra i nostri corpi sembrarono dilatarsi.
In un’altra vita, il silenzio mi avrebbe messo paura, l’inquietudine e l’ansia avrebbero cominciato ad infettarmi in sangue nel giro di poco tempo.
Ero stata paurosa, ero stata apprensiva, ero stata in piedi sull’orlo di un burrone, aspettando il momento in cui ci sarei caduta dentro, e temendo la fine ogni secondo della giornata.
Perchè lo avevo sempre saputo, non poteva essere tutto così perfetto, le cose perfette non durano mai.
Ma ora, ora ero finalmente caduta,  le ossa si erano rotte sul cemento duro del fondo.
Non c’era nulla da temere oltre la fine.
Il suo petto si gonfiava sempre più velocemente, poi sputò fuori quella parola
come se fosse acido, ansimando per la fatica.
“Victoria.”
Jake non era mai stato bravo con le rivelazioni.
Anche allora, seduto di fronte a me su un masso umido della spiaggia, il suo sussurro si era incastrato sulle labbra, confondendosi con lo sciabordio dell’acqua, così umido e fragile, così pieno di velata rassegnazione.
Come se non glielo avessi appena detto io, come se non lo avessi appena capito.
“Licantropo.”
Ed ora eccolo qui, a sparare nell’aria un’altra parola, una sola e semplice parola per racchiudere un mare di spiegazioni, dubbi e certezze, una parola che rimbalzò sul mio scudo mentale senza nemmeno strisciarlo.
Era più o meno quello che facevano tutte le chiacchiere di Clare sul suo shampoo e sulla pioggia, rimbalzavano sulla pellicola trasparente che nei giorni di passato buio aveva ricoperto la mia mente, crescendo come erbaccia su un terreno arido, senza che qualcuno che l’avesse seminato.
La mia non era cattiveria, certo che no, e neppure indifferenza, solamente non riuscivo a farne a meno.
Il mio corpo aveva imparato a proteggersi da solo dalle minacce, e io avevo paura delle parole.
“Ti prego, di qualcosa.”
Com’erano finite la mani di Jake sul mio viso?
“ Non devi avere paura Bella, non devi. Ci sono io, ti proteggerò a qualsiasi costo.
Sam mi ha detto che la cosa migliore sarebbe stata metterti al corrente del suo ritorno, visto che… visto che, bhe, sappiamo tutti qual è il suo obbiettivo. Ma così sarai ancora più protetta, e io ti prometto che non ti abbandonerò neppure un attimo.”
Mi lascia accarezzare, perché ogni brivido mancato era ancora una conquista per me, una pelle calda che non si faceva rifiutare dal mio corpo.
“ Davvero Bella, non temere.”
“Victoria è morta.”
Volevo dirgli che non avevo paura, che gli unici bisognosi di protezione erano lui e quei suoi stupidi amici lupi, convinti di vincere contro un furbo essere di marmo freddo, ma in qualche modo sentivo che mostrarmi scioccata e persa era la cosa migliore da fare per non destare sospetti.
Una volta avrei avuto paura.
“Il suo corpo non è mai stato ritrovato dopo l’incendio, ma nessuno ha mai realmente preso in considerazione l’idea che fosse potuta sopravvivere. Dannazione, l’abbiamo buttata dentro le fiamme!”
Jake aveva paura.
“Ma noi la cattureremo Bells, e questa volta faremo a pezzi quella maledetta succhiasangue, io stesso getterò ogni arto del suo corpo dentro il fuoco, e sarà morta, una volta per tutte.”
L’azione gli accendeva lo sguardo, sembrava già lontano chilometri da questo letto, ricoperto di una folta pelliccia rossiccia, con le unghie nel fango del bosco.
Fissai le punte degli alberi fuori dalla finestra.
Lei era lì fuori, Victoria era lì fuori ed era tornata solo per finire ciò che l’ultima volta non era riuscita a fare.
Uccidermi.
L’incontrollabile sensazione di freddo che mi gelò la schiena riportò a galla vecchi ricordi d’ore infinte di terrore, di corse disperate verso stanze d’albergo con le tende tirate contro il sole.
Una stanza da ballo, un morso sul polso.
Lo sguardo di mio padre mentre guardava anche sua figlia rifiutare la sua vita.
“Charlie.”
Scattai in piedi e la consapevolezza del ritorno di Victoria invase all’improvviso ogni fibra del mio essere.
Mio padre era in pericolo.
Lo sentii, sentii lo scudo sbriciolarsi lentamente sotto quella consapevolezza, e in pochi attimi ritornai a sentire.
Come se non fosse successo niente.
Come se non avessi vissuto ripiegata in me stessa per tre maledetti, eterni anni di sofferenza.
“Bella, tuo padre è andato via poco fa, ma Quil e Embry lo tengono sotto controllo, non corre nessun rischio!”
Mi afferrò il braccio, cercando di trattenermi, di farmi ragionare, ma tutto ciò che riuscivo a vedere era Charlie e il suo sorriso appena accennato sotto i baffi incolti quando mi aveva abbracciato davanti alla porta di casa.
“Lasciami Jacob.”
Non servì neppure che lottassi, ritirò la mano come se si fosse scottato.
Vidi il dolore pungere le sue iridi scure, che si fecero di colpo più nere, grandi.
Non lo chiamavo quasi mai Jacob.
Recuperai la borsa dal letto e mi precipitai verso la porta.
Sentivo passi seguirmi fino all’ingresso, poi fuori sul prato.
Poi mi bloccai davanti al vuoto.
 “Cazzo.”
Ero senza macchina.
“Lascia almeno che ti accompagni a casa.”
Non gli risposi neppure, salì sul pick up sbattendo forte la portiera, le mani tremavano così tanto che non riuscivo nemmeno ad infilare la cintura.
Lui scivolò silenzioso sul posto di guida.
Sembrava impossibile che la ragazza di qualche ora prima che si era seduta su quello stesso sedile di pelle fosse uguale alla me stessa che si tendeva verso il parabrezza, pregando che la striscia grigiastra della strada si esaurisse, che mi portasse da mio padre.
Tutta questa ansia, questo terrore dilagante che sentivo strisciare nello stomaco aveva un retrogusto familiare, come una canzone che ti sembra di aver dimenticato, finchè non la senti di nuovo alla radio, e allora ti accorgi di sapere ancora tutte le parole a memoria.
Il cambio repentino d’umore mi aveva colorito le guance, che ora non erano più pallide, grigiastre come prima, le sentivo ardere assieme alla pelle del collo.
Ci stavamo lasciando ormai la foresta alle spalle, eravamo quasi arrivati.
Fu il particolare dei grandi alberi verdi che mi sfrecciavano vicino che accese un campanello nella mia testa, come succede in tutte le situazioni adrenaliniche, quando sono i particolari più insignificanti a diventare protagonisti.
Jacob che aveva insistito così tanto perchè andassi con lui, Jacob che guidava ogni giorno fino a Port Angelse solo per farmi d'autista.
Jacob che sapeva.
“Da quanto tempo lo sai?”
Lui sobbalzò, sentendo la mia voce.
Prima di rispondermi prese un gran respiro, e parlò lentamente, la rassegnazione gli incupiva il tono.
“ Ero in pattuglia assieme a Sam quando abbiamo visto le prime impronte vicino alla foresta. All’inizio però non ci abbiamo fatto caso, può capitare che alcuni campeggiatori si indirizzino verso le foreste, e la scorsa settimana è stata relativamente soleggiata per gli standard di Forks, quindi era assai plausibile. Poi oggi Quil stava tornando a casa dopo essere stato da Emily, ed ecco che BUM!, una folata di puzza gli colpisce il naso. Ha subito riconosciuto quell’odore dolciastro e freddo, così si è addentrato nel bosco finché eccola lì, una traccia ancora fresca su un grosso pino abbattuto e sopra tutti i rami circostanti.”
Una settimana.
Jacob lo sapeva da una settimana e non mi aveva detto niente.
Tutti i passaggi così veemente offerti per tornare a Forks, tutte le sue visite inaspettate e le chiamate frequenti di Billy a Charlie, tutto adesso prendeva un nuovo significato.
Ma non mi importava, la strada stava per finire, eravamo quasi arrivati.
Forse aveva ragione Jacob, forse mi stavo allarmando per nulla, forse non c’era bisogno di tutto questo, forse avevo esagerato.
Forse, ma da tempo ormai avevo smesso di dare un senso alle mie azioni.
Farlo, avrebbe sottointeso un mucchio di strane riflessioni sulle motivazioni e suoi sentimenti e sulle vecchie convinzioni, e io avevo deciso di chiudere con tutto questo.
No più perché, non più come.
Non più Bella.
Solo, avevo bisogno di vedere mio padre, e questo mi doveva bastare.
Le luci di casa erano tutte accese, dalla finestra del soggiorno filtrava il luccichio azzurrognolo della televisione. Sembrava tutto tranquillo.
 “Ti prego Bella, non andare. Devi essere protetta, resta qui. Charlie è in buone mani, con c’è bisogno di tutto questo.”
Il mio corpo premeva per uscire subito dalla macchina, ma mi costringi a girarmi verso di lui.
“Jake, non capisci.”
Quasi sorrisi.
Certo che non capiva,  non mi capivo neppure io.
“Bella ... ”
Scesi prima di commettere qualche sciocchezza.
Ero ben consapevole del fatto che le mie difese fossero quasi pari a zero, e Jacob aveva sempre creato dei problemi al mio malsano equilibrio mentale, anche quando all’inizio non ero ancora consapevole di esserne ormai prigioniera.
Mi girava terribilmente la testa, lottavo feroce contro il risucchio della mia mente.
Resisti, mi dissi, resisti e poi tutto potrà tornare come prima.
Faceva freddo, tanto freddo.
Entrai in casa e subito vidi il distintivo di mio padre abbandonato sul bancone della cucina, gli stivali sporchi di fango accanto alla porta.
Sta bene, sta bene.
“Charlie?”
La televisione accesa a tutto volume inquinava l’aria con le sue urla singhiozzanti, un fastidioso tifo da stadio si alzava dalla folla urlante che sullo schermo si eccitava per una palla sbattuta dentro ad un cerchio.
Se non mi fossi sentita già abbastanza in colpa d’ aver abbandonato mio padre per una nuova città, gli avrei fatto oscurare di sicuro i canali di sport.
“Charlie?”
Lo richiamai, e non ricevendo riposta nemmeno questa volta mi avvicinai al divano, dov'era di sicuro sepolto con il plaid macchiato sulle ginocchia.
Fu allora che lo vidi, e fu allora che capì qual’era il mio segreto.
Schizzai fuori con il biglietto mezzo accartocciato nel pugno, lo strato leggero di pioggia appannava i contorni delle case.
Il pick-up di Jacob non c'era più.
Correvo in mezzo alla strada, senza curarmi delle macchine che suonavano invasate il clacson, schivandomi di poco con le loro carrozzerie lucide, l’acqua che si infrangeva dalle ruote sui miei vestiti ormai fradici.
Quella non poteva essere la scrittura di Charlie, mio padre non mi aveva mai chiamato Isabella.
Mio padre non sarebbe mai uscito senza il suo vecchio giubbotto di pelle nera.
Correvo, correvo sull’asfalto nero, inciampando nei miei stessi piedi, correvo e mi sentivo morire, perché lo sapevo, sapevo che lo aveva già ucciso, e allora io sarei morta per una seconda volta, e questa volta non ci sarebbe stato nessun salvatore improvvisato in grado di riportarmi indietro dal mondo dei morti.
Sentii tutto.
Sentii l’acqua che scendeva lungo il collo, l’aria gelida che si infilava sotto la maglietta, su per la pancia, il dolore alle piante dei piedi e il contrarsi asmatico dei polmoni, sentii la vecchia voragine aprirsi di nuovo, salutandomi come una vecchia amica; mi aveva aspettato per così tanto, non se n’era mai andata davvero.
Non importava che non me ne fregasse più nulla, non importava che mi fossi cancellata il futuro, quando si trattava delle persone che amavo, nulla era cambiato, ero rimasta ancora la ragazzina di diciassette anni che decide di sacrificarsi per sua madre, che rischia la sua vita per una promessa di un amore, e questo nessuno, nessuno avrebbe mai potuto cancellarlo, nemmeno l'estranea me stessa.
Così, quando intravidi dalla fessura bagnata dei miei occhi una sagoma sfuocata uscire dai confini della foresta, nulla poteva più davvero farmi effetto.
Non la riconobbi dai capelli, neppure dalla statura, neppure dagl'occhi.
Vidi solo l'espressione rigida della sua bocca, tipica di
 quando veniva colta di sorpresa, così rara in quel volto sempre preparato alla vita prima di tutti gli altri.
“Alice.”
E poi fu buio.
Alla fine, neppure io ero brava con le rivelazioni.

  
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