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Autore: Melanto    08/12/2012    6 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
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ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 16: This is War (parte IV)

Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

“A warning to the prophet, the liar, the honest /
Un avvertimento al profeta, al bugiardo, all’onesto:
this is war /
questa è Guerra.

30 Seconds to MarsThis is War

Magister Owairan non si mise subito alla testa del gruppo d’assalto assieme a Levin, già schierato, ma deviò il percorso all’ultimo momento, immergendosi tra le fila di feriti, accuditi dagli Elementi d’Aria. Il Re, invece, aveva tirato dritto, immerso e combattuto tra i pensieri per il proprio figlio e quelli per la battaglia.
Owairan cercò qualcuno con lo sguardo e quando l’ebbe trovato, lo puntò con passo svelto.
“Elemento!” chiamò, afferrando un giovane alastro per un braccio. Il ragazzino si volse, più basso di lui, e lo guardò con palese perplessità.
“Posso esservi utile, Magister?”
“Sei tu che hai condotto qui il Principe Tsubasa, vero?”
Takeshi Sawada annuì. “Sì, signore.”
“Bene, allora controllalo. Non perderlo mai di vista, intesi?” tirò un profondo respiro nervoso. “Credo abbia in mente di andare a combattere assieme a suo padre, nonostante gli sia stato impedito. Tienilo lontano dai cavalli e se hai il sospetto che voglia progettare una fuga, bloccalo.”
Takeshi parve perplesso, nonché preoccupato. “E… e come posso fermarlo?”
Owairan sistemò il lungo fazzoletto che gli copriva il capo e non mutò l’espressione dura nel rispondere. “Come ti pare. Tramortiscilo se necessario, ma non lasciarlo andare.”
Takeshi assunse un’espressione accigliata mentre l’osservava andare via senza aggiungere altro. Poi si levò in volo per raggiungere il rialzo su cui aveva lasciato il Principe. Ripensò al modo accorato con cui Yuzo si era raccomandato di proteggere il giovane Ozora e alla fatica che avevano impiegato per trovarlo. Immaginare che potesse di nuovo lanciarsi in quel massacro lo preoccupò, soprattutto per l’impegno dei suoi compagni che rischiava di andare a gambe all’aria.
Quando atterrò sulla parte più alta dell’accampamento, ovvero il luogo che il Re e i Master avevano scelto come nodo di comando, la prima cosa che notò fu che il Principe non c’era e nemmeno l’altro giovane che Yuzo aveva affidato loro.
“Divina Yayoi…” Takeshi lo masticò cercando di non farsi prendere dal panico, ma guardando dappertutto. Gli occhi si mossero verso la linea del secondo attacco che stava per essere sferrato. Gli ultimi soldati e agadiri stavano raggiungendo di corsa le postazioni. Si librò in volo ancora una volta e iniziò a domandare a tutte le altre persone che incontrava.
“Avete visto il Principe?”
“Sua Altezza Tsubasa si è diretto da questa parte?”
“Il giovane sovrano è per caso andato a riposarsi o si è diretto alle tende dei Naturalisti?”
Ma ad ogni nuovo ‘no’, la questione cominciava a farsi più seria, fino a che anche gli altri Elementi o Magister si trovarono a negare o scuotere il capo, prima di tornare svelti alle loro frenetiche incombenze.
“Ma… l’avevamo lasciato con il Re, sul rialzo di roccia.” Manfred Margas si grattò la testa con perplessità, mentre vedeva il compagno di scuola impallidire di colpo. “Perché? È forse successo qualcosa, Takeshi?”
Ma Takeshi era troppo impegnato a mettersi le mani nei cortissimi capelli neri per rispondere, era troppo impegnato a spalancare occhi e bocca e a rendersi conto che era già troppo tardi. Magister Owairan non l’aveva messo in guardia per tempo e proprio in quel momento arrivò anche il suono della seconda carica: gli agadiri e il Re stavano scendendo sul campo di battaglia.
“Oddee… ho perso il Principe!”

“Sei sicuro che funzionerà?”
Tsubasa calcò bene l’elmo sulla testa della Chiave che sembrava del tutto a disagio con addosso la bardatura d’acciaio. “Certo che funzionerà, se tieni abbassata la celata.”
Avevano rimediato tutto ciò di cui avevano bisogno all’interno di una delle enormi tende allestite dai membri della Guardia Cittadina mandati al fronte. Raggiungere il Nero significava gettarsi nella battaglia e non potevano certo sperare di farlo senza una buona difesa. Erano così sgattaiolati dal luogo in cui avevano parlato con il Re per raggiungere, con la giusta circospezione, la zona dell’accampamento occupata dalla Guardia Cittadina. Non era stato difficile, tutti erano troppo impegnati a prepararsi per il secondo assalto per pensare a loro due, i cui abiti che indossavano, ormai rovinati, li facevano passare più per due attendenti o assistenti dei Naturalisti che per giovani di alto lignaggio.
Memore degli insegnamenti di Roberto e del loro particolare obiettivo, Tsubasa cercò di non appesantire né sé stesso né Ryo. Corazze e spallacci, assieme a cosciali e schinieri avrebbero coperto i punti più critici, mentre gli elmi avrebbero celato le loro identità. Le spade che portavano al fianco servivano solo per il travestimento: non era con le armi comuni che avrebbe affrontato il suo avversario, Tsubasa lo sapeva. Rimediare i cavalli era stato altrettanto semplice, ma per sellarli c’era voluto un po’ di più perché Ryo non era affatto capace.
“Mi raccomando, tieniti saldo.” Il Principe aveva legato le briglie dei due animali tra loro affinché non venissero separati ma potessero avanzare insieme, fianco a fianco. In questo modo, non avrebbe perso di vista la Chiave.
Ryo annuì goffamente. La testa era così pesante con quell’affare d’acciaio. Non riusciva neppure a vedere molto bene, perché la celata aveva feritoie strettissime e la visuale era molto limitata.
“Non si respira qui sotto!” si lamentò, mentre Tsubasa indirizzava entrambi verso l’ultima fila di soldati.
Accanto a loro, videro volare a pochi centimetri dal suolo il giovane Elemento cui Yuzo li aveva affidati: li stava cercando, ma non li riconobbe.
“Ormai ci siamo, tieni duro.” Tsubasa drizzò la schiena. Conosceva il peso dell’acciaio e quello che aveva addosso era anche minore rispetto quello cui Roberto lo aveva abituato. “Seguiamo i soldati fino a un certo punto, poi ci dirigeremo dove si trova Natureza.”
“Ma hai sentito che a quanto sembra sono spuntati dei mostri, vero?” Ryo aveva ascoltato distrattamente alcuni soldati che ne parlavano.
“Supereremo anche loro, vedrai.”
“Oh, mammine. Proteggete il vostro figliolo adorato” La raccomandazione della Chiave rimase intrappolata nell’elmo proprio l’istante prima che il suono del corno penetrasse lì dentro e rimbalzasse all’interno dell’acciaio.
Miei uomini! Carica!
Tsubasa riconobbe la voce tonante di suo padre. Non si capacitò come potesse arrivare fino a loro che erano così lontani dalla prima linea, eppure la udì in maniera netta e nell’attimo che le parole del Re presero pieno significato, lui aveva già spronato il proprio cavallo.
La seconda calata era appena iniziata.

Mamoru affrontava, da terra, gli Stregoni che sfrecciavano nei cieli, cercando di dare il proprio supporto o, almeno, tentava di colpire quelli più in basso perché i suoi incantesimi avevano comunque un limite di gittata.
Nel mentre, si occupava anche dei soldati che gli capitavano a tiro e che, incautamente, cercavano di ingaggiare battaglia, e gli Stregoni che non erano a dorso dei mostri volanti.
Era una follia.
Riuscire a tenere tutti a bada, avere occhi ovunque, dimenticarsi addirittura di respirare a volte. Tutto quello era una follia, ma lui non poteva permettersi di distrarsi neppure per un attimo, perché proprio quello avrebbe potuto essergli fatale.
Mamoru lanciò un’ultima fiammata verso il cielo riuscendo solo a bruciare la coda di un kamalocha che si era abbassato troppo, e poi si dedicò a un soldato che era accorso, spada sguainata, verso di lui. Gli bastò emettere un calore intenso pur senza generare fuoco per farlo soffocare all’interno della propria armatura di metallo. Il semplice tocco delle mani arroventò spallacci e corazza e l’uomo guaì per il dolore, liberandosi dell’armatura senza curarsi di rimanere completamente privo di difese; venne ucciso da una freccia vagante l’attimo dopo.
Mamoru se ne disinteressò subito, concentrandosi, invece, sull’ennesimo kamalocha in attacco e i suoi occhi erano così concentrati sulla bestia, da non rendersi conto d’esser divenuto preda di uno Stregone che, invece, attaccava da terra. Eccola lì, la famosa distrazione fatale.
La Fiamma sentì solo un grido di dolore provenire dalle proprie spalle e un uomo volare letteralmente via, allontanato da una potente folata di vento. Di sicuro, se non avesse avuto un buon metodo per atterrare, il malcapitato si sarebbe rotto qualcosa il che equivaleva a una probabile morte.
Mamoru scorse il suo salvatore dargli le spalle. Non seppe dire se fosse più felice o più preoccupato di ritrovarlo di nuovo sul campo, accanto a lui. Preferì andare sul classico e abbaiare. “Che diavolo ci fai qui?!”
Yuzo gli mostrò fugacemente la trequarti, poi liberò una raffica di spilli di vento verso gli avversari che aveva davanti. “Mi sentivo solo.”
“Beh, qui non sarai certo a corto di compagnia” sbuffò Mamoru, arretrando di un passo. Erano davvero spalla contro spalla, ora, tanto che la toccò addirittura. “Il Principe?”
“Stai tranquillo, è al sicuro.”
“Dove avresti dovuto essere anche tu.”
“No. Io devo essere con i miei amici. Per questo sono qui.”
Si volsero entrambi, Mamoru con uno sguardo che era un misto tra rimprovero e, sì, una sorta di orgoglio un po’ camuffato; mentre Yuzo aveva la determinazione di chi non si sarebbe smosso neppure di un passo dalle proprie convinzioni.
Fu la Fiamma a capitolare. Scosse il capo e distolse lo sguardo. Nel movimento, le sue iridi captarono qualcosa di ben peggiore. Un kamalocha era appena sceso oltre la linea di volo dei màlayan e viaggiava radente al suolo travolgendo chiunque fosse stato così stolto da provare a ostacolarlo e da non spostarsi in tempo. Puntava dritto verso di loro.
“Credo che abbiamo un problema.”
Yuzo guardò attentamente la bestia, sfruttando le sue capacità di alastro per trovare una soluzione immediata. “Una possibilità ci sarebbe. Hai mai fatto una combo?”
Mamoru scosse il capo; non gli era mai piaciuto fare gioco di squadra, lui era più per dettare ordini o riceverli esclusivamente da chi riteneva essergli superiore – molto pochi, in verità. La cosa però non lo preoccupò. “C’è sempre una prima volta, no?” cercò lo sguardo dell’uccellino e questi lo incrociò.
I problemi che avevano lasciato nell’Avamposto Sud non erano scomparsi, questo era certo, ma entrambi sapevano che non gli avrebbero permesso di intralciarli ora, nel vivo della battaglia, col rischio di mettere l’altro in pericolo. Per il momento si sarebbero limitati ad accantonarli, con l’intenzione di riprendere il discorso da dove l’avevano lasciato.
Yuzo accennò un sorriso complice. “Allora fammi accendere.”
Il sopracciglio di Mamoru si inarcò su un ghignetto divertito. Scosse il capo e sollevò la mano destra. Il palmo aperto aspettava che quello di Yuzo gli si poggiasse contro per creare un flusso tra i loro poteri.
Il volante, invece, apparve più titubante o forse solo insicuro. Desiderava fortemente avere un contatto con lui, anche se così misero come la stretta di una mano, ma temeva che il loro litigio avesse in qualche modo minato la fiducia che la Fiamma aveva riposto in lui. Temeva che lo rifuggisse all’ultimo momento. Per questo la sua mano si muoveva forse troppo lentamente, avvicinandosi a quella di Mamoru un po’ alla volta, come per sondare il terreno ed essere preparata nel caso venisse respinta. Invece, furono proprio del dita del fyarish ad annullare la distanza. Si intrecciarono con sicurezza alle sue in un tocco che era molto di più della semplice sovrapposizione di palmi.
Yuzo sentì il cuore battere più forte per un solo attimo, mentre riprendeva la piacevole familiarità col suo calore, sempre più intenso degli altri. Si concesse di illudersi che l’avesse perdonato per avergli taciuto la verità. Strinse a sua volta le dita e sorrise con dolcezza nel vederle unite. Infine distolse lo sguardo e lo levò al compagno. Quest’ultimo, seguitando a fissare il kamalocha in avvicinamento, porse la mancina. In un gesto rapido fece scivolare il pollice tra anulare, medio e indice: sulla sommità del dito si accese una viva fiammella.
Mamoru ruotò le iridi nere e ardenti verso le sue. Le catturò col calore della pece e accennò una smorfia ironica e divertita. “Esprimi un desiderio.”
Il sorriso di Yuzo si allargò tanto da snudare i denti. Gli prese la mano portandola alle labbra. Inspirò profondamente e infine soffiò.
La vampa si espanse a dismisura, molto più vasta e profonda di quella che un fyarish avrebbe potuto creare da solo. L’ossigeno dell’alastro alimentava vigorosamente le fiamme e queste arrivarono al kamalocha, lo investirono in pieno fin quasi a inglobarlo. Le urla strazianti della bestia giunsero subito fino a loro, che rimasero a guardarlo mentre si schiantava al suolo e si rotolava con frenesia per riuscire a spegnersi. Fu tutto inutile.
Mamoru sciolse la presa in un attimo e con slancio, spezzando anche il sottile legame che si era instaurato tra loro.
“Questo sì che si chiama ‘fare flambé’ qualcuno!” esultò con le braccia al cielo.
Yuzo, invece, guardò per un momento la propria mano ora vuota, ripensando al fatto che quella era stata la loro prima combo insieme. La pelle ancora formicolava per il calore e per la presenza del potere di Mamoru che si era fuso al proprio. Piano stava svanendo, come un’eco che si spegneva sul fondo.
Hajime e Teppei arrivarono di corsa, dopo essersi liberati dei loro avversari.
“Ehi! Per poco non arrostivate il mondo!” esclamò Teppei dando una sonora pacca sulla spalla della Fiamma.
“Credo sia il caso di muoversi, ne stanno arrivando altri” fece notare Hajime, guardandosi intorno. Per un attimo si era creato una specie di vuoto attorno a loro, ma gli scontri erano tornati a farsi serrati e loro erano intenzionati a spostarsi per raggiungere i luoghi in cui gli Stregoni a terra erano in numero maggiore.
Yuzo!
Prima che si muovessero, un alastro si precipitò in volo fino a loro. Atterrò quasi a rotta di collo e col rischio di travolgerli. Doveva aver volato a tutta velocità e vista la fretta sembrava essere successo qualcosa di grave.
“Takeshi?” Il volante apparve perplesso. “Che è successo?”
“Yuzo… mi dispiace… io…” Il ragazzino aveva il fiatone tanto da rimanere piegato in avanti.
“Fai un bel respiro e parla con calma.”
“Giuro che l’avevo portato all’accampamento, aveva addirittura parlato con suo padre!”
“Ma di cosa stai-”
“Il Principe!”
A quella parola i quattro Elementi si fecero improvvisamente attenti.
“Ho perso il Principe!”
“Cosa?!” sbottarono in coro, prima che fosse Mamoru a sovrastare le altre voci.
“Come sarebbe a dire che l’hai perso?!”
“L’avevo portato all’accampamento e l’avevo lasciato col Re. Poi il Magister dell’Acqua, Owairan, mi aveva detto di tenerlo d’occhio perché pensava volesse gettarsi nuovamente nella battaglia” spiegò Sawada quasi con le lacrime agli occhi. “Ma quando sono andato a cercarlo… non sono riuscito a trovarlo da nessuna parte! Credo si sia mischiato ai guerrieri della seconda carica!”
“Maledizione!” ringhiò la Fiamma, girando nervosamente in tondo.
Dopo tutta la fatica che avevano fatto per portare Tsubasa al sicuro, quello stupido irresponsabile si metteva in testa di voler giocare alla guerra. Non immaginava che diavolo gli fosse saltato in mente, ma appena l’avrebbe trovato questa volta nessuno avrebbe potuto impedirgli di prenderlo a pugni. Nemmeno l’uccellino!
“Va bene, d’accordo, ci pensiamo noi.” Quest’ultimo stava dando disposizioni al compagno. “Tu torna all’accampamento per aiutare gli altri con i feriti. Cercheremo noi Sua Altezza, non preoccuparti.”
Takeshi annuì, visibilmente mortificato per quanto la colpa non fosse sua, e in un attimo sparì in volo per tornare indietro.
“Questa volta mi sente” ringhiò la Fiamma. Le mani ai fianchi e lo sguardo torvo. “Giuro che mi sente.”
“Dobbiamo trovarlo.”
“E come speri di fare?!” sbottò in direzione di Yuzo. Non avrebbe voluto scaricare su di lui la frustrazione, ma era il primo a essergli capitato sotto mano. “Ti rendi conto che è come trovare il classico ago nel pagliaio, vero?”
“Certo che me ne rendo conto, ma non possiamo fare altrimenti.” Il volante replicò con lo stesso tono aspro, tanto che l’altro incassò la consapevolezza di avere esagerato e non rispose. “Dobbiamo trovarlo.”
E mentre lo ripeteva, tutti e quattro mossero attorno lo sguardo comprendendo che non sarebbe stato affatto facile.

“Aspettavo da tanto di poterti dare la lezione che meriti, Golem.”
Santana non si mostrò impressionato dalle parole di Hino, che invece mostrava un mezzo ghigno divertito e desideroso di scontrare le proprie lame. Attraverso la celata chiusa i suoi occhi verdi apparivano immobili, privi di qualsiasi emozione. Era per quello che lo chiamavano ‘Golem’, perché sembrava solo un pezzo di carne che camminava ed eseguiva gli ordini. Il soldato perfetto.
- Umphf. Pure troppo. - Ryoma inarcò un sopracciglio con fastidio, ma poi si leccò le labbra nascoste dall’elmo al pensiero di prendersi la rivincita.
La lama venne fatta ruotare nella mano come a prenderne una maggiore confidenza. Poi, la deflagrazione di un incantesimo ruppe l’attesa che si era creata e entrambi i cavalli vennero spronati per portare avanti l’attacco. L’incrocio di spade fu violento e generò delle piccole scintille nello sfregarsi del metallo. Nessuno dei due ebbe la meglio sull’altro, ma entrambi rimasero in sella.
Ryoma era abituato a disarcionare gli avversari al primo colpo, però era preparato nei riguardi di Santana, sapeva che con lui non sarebbe stato così facile.
Girò il cavallo e lo spronò di nuovo, senza perdere tempo. Portare un attacco serrato era tipico della sua strategia; in questo modo non dava tempo all’avversario di riprendersi subito. Il suo obiettivo era di riuscire a cogliere la difesa del Golem in fallo almeno un po’, giusto il necessario per costringerlo a scendere da cavallo e metterlo in svantaggio.
Al secondo tentativo, Santana rimase perfettamente in groppa al levianto. Lo scalpicciare dei cavalli era inquieto mentre spingevano il fianco l’uno contro l’altro, spostandosi di pochi centimetri per lato.
I due contendenti non si separarono, ma rimasero fermi facendo forza sulle lame.
Ryoma ringhiava, all’interno dell’elmo, e il suo fiato riscaldava l’ambiente stretto. Carlos, invece, appariva imperturbabile. Non era affannato, non era irato. Respirava con regolarità, come stesse facendo una tranquilla passeggiata.
Il levianto di Hino scalciò quello di Santana e questi si spostò maggiormente di lato lasciando alle spade un margine di azione.
Il Primo Ufficiale tentò due affondi in sequenza: uno diretto e uno traverso, ma vennero entrambi parati e le lame fermate l’una contro l’altra. Hino approfittò di quella stasi e afferrò il polso dell’avversario per trattenerlo e provare a colpirlo ancora. Santana però lo anticipò, sferrandogli una sonora testata.
Il cozzare dell’acciaio contro l’elmo rimbombò tanto da stordirlo e la forza impressa al colpo fu tale da fargli perdere l’equilibrio e cadere dalla sella. Nell’impatto, l’elmo volò via.
Ryoma riuscì a non perdere la presa sulla propria arma e forse fu un bene l’essersi liberato di quell’affare che gli copriva buona parte della visuale. Era vero che lo difendeva dagli attacchi, ma era anche vero che non lo faceva sentire perfettamente libero di muoversi e avere tutto sotto controllo.
Rimanendo al suolo e tentando di mettersi a sedere, si massaggiò il setto nasale e la fronte. La testata lo aveva colpito giusto tra i due e gli aveva dato l’idea che tutte le ossa della faccia avessero tremato. Nemmeno lui era capace di tirare dei colpi di testa tanto forti; con indosso l’elmo, addirittura.
Nel frattempo, Santana era sceso dal proprio destriero con un movimento elegante. Non gli importava avere il vantaggio restando a cavallo, cercava lo scontro diretto, proprio come Ryoma.
Il suo elmo era seriamente ammaccato nel punto in cui l’aveva usato come arma contundente. Del tutto dimentico del luogo in cui si trovavano e del rischio che avrebbe potuto correre se lo tolse, gettandolo a terra.
Ryoma lo guardò da sotto in su studiando quei gesti e quelle scelte così avventate, prese quasi con sprezzo del pericolo. Si sentì come se l’altro lo stesse sottovalutando e la cosa non fece che mandarlo in collera. Tentò di rialzarsi, ma Santana caricò il fendente sopra la testa con entrambe le mani: voleva spaccargli il cranio.
Hino rotolò su un fianco e la lama ricadde al suolo, conficcandosi tra roccia e terra. In un attimo fu in piedi e attaccò di lato; Santana si abbassò giusto in tempo per evitare che gli tagliasse la testa. Estrasse la lama e portò un affondo che partiva dal basso, ma Ryoma si piegò sulle gambe e utilizzò la propria arma per far perno e spingere quella avversaria verso l’alto, lontana dal suo corpo.
Tornarono a separarsi di qualche passo. La strategia cambiava a ogni mossa perché entrambi erano in grado di opporre resistenza all’altro e conoscevano i rispettivi stili di combattimento; erano anni che si affrontavano nei tornei.
Hino ruotò la spada con un gioco di polso; lo faceva spesso quando era in procinto di attaccare e questo lo sapeva anche Santana, per questo non si fece trovare impreparato: parò l’affondo dall’alto e quello dal basso che lo seguì e quando Ryoma provò a mollargli un pugno in pieno viso, ora che le lame erano impegnate, riuscì a bloccare anche quello fermando il colpo nella mano libera. La doppia presa gli permise di tirare un calcio all’addome dell’avversario, spingendolo via con talmente tanta forza da farlo cadere di schiena.
Tra loro due si era sempre trattato di essere veloci; entrambi avevano capacità di ripresa così rapide che non potevano permettersi di perdere neppure un attimo tra un affondo e l’altro o lo scontro avrebbe finito con l’andare per le lunghe. Nessuno dei due lo voleva.
Il Golem tentò di infilzarlo approfittando di essere ancora in piedi, ma il Primo Ufficiale non era di certo un tipo che si scoraggiava dopo un paio di schienamenti. Parò l’affondo e velocemente afferrò un pezzo di roccia lungo e appuntito. Lo piantò nella gamba di Santana sfruttando uno dei punti deboli tipici delle armature: nella parte posteriore tra coscia e ginocchia. Si era accorto durante il combattimento che l’altro non indossava la cotta di maglia. Gli era parso davvero assurdo, in un primo momento, poi ne aveva ghignato: se credeva di essere così invulnerabile, beh, avrebbe avuto una pessima sorpresa. E lui adorava consegnare pessime sorprese.
Eppure, tra i due, chi ricevette la sorpresa peggiore fu proprio Hino e non perché il suo colpo non andò a segno. Tutt’altro. Lo spuntone di roccia si conficcò nella carne con una certa facilità, ma il Golem non emise un fiato. Non un lamento, niente. La sua espressione rimase impassibile e distaccata come sempre, quasi che non l’avesse nemmeno toccato, eppure aveva almeno venti centimetri di roccia infilata tra coscia e ginocchio. Soprattutto, si accorse che non sanguinava.
“Ma che diavolo…”
Ryoma si distrasse, troppo sconcertato, e l’altro fece per approfittarne quando tre frecce lo colpirono negli altri punti critici costringendolo ad arretrare. Di nuovo, non emise un fiato.
“Allontanati, Ryoma!” Il Capitano Gino Hernandez manteneva l’arco teso con la freccia incoccata per dargli copertura.
Il Primo Ufficiale non se lo fece ripetere e sgusciò via dalla linea di tiro. Non smise di fissare Carlos che, con tutta la calma di questo mondo, sfilò dapprima lo spuntone di roccia e poi le frecce. Le ferite continuavano a non sanguinare e lui non seppe dire cosa gli apparisse più assurdo se il suo distacco o il fatto che non perdesse  neppure una goccia di linfa vitale.
Deglutì e si rimise in piedi, la posizione di difesa, ma nessuna voglia di fare il primo passo perché non aveva idea di come si potesse battere un uomo che, forse, non era uomo affatto.
“Che diavolo sei?!” Gli sputò contro, ma l’altro non rispose. Da che avevano iniziato a lottare era rimasto trincerato in un mutismo ottuso e fastidioso. Ryoma era abituato a sentire le grida degli avversari, così come le proprie. Il rumore che le emozioni esternavano gli faceva sentire con maggiore lucidità la realtà di uno scontro. In quel caso, invece, andava tutto come non doveva e la cosa lo confondeva.
“Adesso provo a fargli un buco in fronte” mormorò Hernandez. Aveva l’arco teso davanti al viso e la guancia appoggiata sulla mano che teneva la coda della freccia. “Distrailo.”
Per una strana convinzione, Hino era sicuro che non avrebbe funzionato, anche se gli avesse trapassato il cervello. Si prestò comunque al piano del Capitano e scartò di lato, attaccando a lama bassa ma pronta a squarciargli il ventre dal fianco fino alla spalla opposta.
Gino lo teneva sotto tiro, tese l’arco di un millimetro ancora, ma si sentì strattonare e cadere di lato proprio nel momento in cui stava per scoccare la freccia. L’attimo dopo un incanto si infranse a vuoto proprio nel punto in cui avrebbe dovuto esserci lui.
“Carlos, stai bene?” Una voce sconosciuta fece la sua comparsa e l’intrigo sembrò infittirsi ancora di più, almeno secondo Ryoma.
Il nuovo arrivato, uno Stregone visti gli occhi neri e l’incantesimo che ancora fumava tra i palmi delle sue mani, indossava… l’armatura della Legione del Nord. A giudicare dai gradi doveva essere un Comandante in seconda. La gerarchia dell’esercito di Gamo vedeva il Generale come soldato di grado maggiore, poi vi erano i Capitani di Legione e dopo i Comandanti.
Vedere un comandante che usava la Magia Nera non gli piacque per niente e gli fece balenare in testa un’unica risposta.
“Spie!” Infiltrati tra le stesse fila dei Gamo, ma al servizio del Nero, probabilmente per tenerlo d’occhio il più da vicino possibile. “Non ci si può proprio fidare di nessuno, a quanto vedo” ironizzò poi, scuotendo appena il capo.
“Non c’era bisogno che ti esponessi, Leo. Ti avevo detto di restare più in disparte.” Santana manteneva il suo tono solito.
“Questi bastardi ti stanno dando filo da torcere, ero venuto a darti una mano.”
“Hai fatto saltare la copertura.” Lo rimproverò pur senza che l’asprezza emergesse dalla voce.
“Allora vuol dire che li uccideremo tutti.” Lo Stregone nuovo arrivato, spia al servizio del Nero sotto le mentite spoglie di un Comandante in seconda, si chiamava Leo Luciano e si poteva considerare l’unico amico di Carlos Santana.
Il Generale del Nord era noto per non essere affatto di compagnia, non parlava mai con nessuno oltre il necessario, non aveva famiglia; la maggior parte delle persone non sapeva nemmeno da quale città provenisse. L’unico che sembrava essere in grado di stargli vicino era Luciano; ben più basso, capelli biondi e un viso pulito, quasi innocuo, ma la sfera di energia che lanciò in direzione di Hernandez ancora a terra dopo essere stato spostato dal raggio di tiro del primo colpo dimostrò l’esatto contrario. L’apparenza sapeva ingannare piuttosto bene.
Shunjin-Go, colui che era intervenuto per salvare Hernandez, levò Onore e l’incantesimo si riflesse sulla resistentissima spada del giovane.
“Di loro due mi occupo io, tu pensa al Primo Ufficiale.” Nonostante la differenza di grado fosse evidente, la confidenza e l’autorità con cui Leo dava ordini a Santana pareva invertire i ruoli con estrema facilità. Hino si ritrovò ben più confuso di prima e lui odiava non capire come stavano le cose.
“Sai che faccia farà il caro Gamo quando scoprirà che sei un traditore?” ghignò affrontando il Generale. Quest’ultimo non si scompose e parò, per l’ennesima volta, l’assalto di Hino.
“Chi ti assicura che farai in tempo a riferirglielo?”
Poco distante, Leo sfruttava abilità guerriere e magiche contro i capitani dell’armata reale. Non era al livello degli altri Stregoni; il suo periodo di studi era stato interrotto per permettergli di infiltrarsi tra le fila di Gamo, ma non se la cavava male. D’altra parte, Shunjin-Go ed Hernandez avevano esperienza da vendere.
Shunjin-Go lo affrontava in maniera più diretta, levando Onore con eleganza e maestria. Era l’unica lama presente sul campo di battaglia a saper affettare anche l’acciaio. Più lontano, Hernandez forniva copertura al compagno.
Leo parò con difficoltà l’assalto dello spadaccino e contemporaneamente indirizzò la sua magia contro Gino. A lungo andare, di sicuro l’avrebbero spuntata loro perché lo Stregone non avrebbe potuto tenere il ritmo. E questo non lo sapevano solo i tre impegnati nel duello, ma anche Santana. Ryoma si accorse di come il suo sguardo si spostasse, impercettibili volte, in direzione dello Stregone e lo sorprese il fatto che proprio un uomo di pietra come lui avesse a cuore le sorti di qualcun’altro.
Ryoma ne approfittò e la spada riuscì ad affondare lungo la coscia, ma rimbalzò sull’acciaio dell’armatura. Poco male, seppure l’avesse colpito, quel mostro non avrebbe sanguinato e ancora di più la cosa gli fece chiedere chi o cosa fosse davvero Carlos Santana.
“Ehi! Il tuo avversario sono io, cerca di non distrarti!” Lo rimproverò e finalmente negli occhi del Generale balenò un guizzo. Poco piacevole, a dirla tutta.
Attaccò con maggiore ferocia e velocità, la sua forza fece arretrare Ryoma che per un attimo si pentì di aver parlato troppo. Ramon glielo diceva sempre di tenere a bada quella sua dannata linguaccia. Poi, un nuovo sguardo di lato fece condurre a Santana un attacco sbrigativo che ebbe solo l’effetto di sbilanciarlo, ma Carlos non gli diede il colpo di grazia, anzi lo lasciò lì e corse verso lo Stregone.
La combinazione delle forze di Shunjin-Go e Hernandez l’aveva messo alle strette. La spada gli era stata tolta di mano, spezzata alla base dell’impugnatura dalla forza di Onore, e lui era arretrato fino a inciampare in un altro cadavere. Ormai a terra, a Shunjin-Go sarebbe bastato un solo, rapido fendente per porre fine alla sua vita.
Purtroppo Santana fu più veloce della sua mano.
Onore cozzò contro la spada del Generale e sebbene quest’ultima ebbe la peggio, la forza di Carlos fu sufficiente a scaraventare lontano il Capitano dell’esercito avversario e a fargli perdere la presa sull’arma che scivolò al suolo, distante dal proprietario.
Con tutto il suo corpo coprì quello di Leo, facendogli da scudo umano.
“Carlos…”
“Ti hanno ferito?”
Lo Stregone si mise lentamente in piedi. “No, ma-”
“Allora vattene da qui.” Stavolta era sua la durezza nelle parole, anche se prima era stato l’altro a dargli degli ordini. “Prendi un cavallo e cerca un posto in cui restare al sicuro.”
“No che non vado! Hai bisogno del mio aiuto e poi questi soldati hanno scoperto che noi-”
“Penserò io a loro, ma tu-”
“E’ la mia volontà!” Leo si impose. “Siamo sempre rimasti insieme e combatteremo fianco a fianco.”
Hino rimase profondamente colpito da quel comportamento così ‘strano’ per uno come Santana. Allora forse un cuore ce l’aveva anche lui, dopotutto, nonostante le espressioni sul suo viso dicessero tutt’altro: era come guardare fisso una statua. Eppure, Ryoma non perse una sola parola del loro dialogo e quando Santana rispose, d’improvviso gli fu tutto più chiaro.
“Se me lo ordini, sai bene che non posso disobbedire.”
Hino allargò lo sguardo, la sua testa macinava strategie in maniera veloce e un po’ disorganizzata, ma doveva tentare.
“Frecce a raffica, Gino!” ordinò, correndo poi piegato in avanti verso la spada di Shunjin-Go.
Hernandez non perse tempo, diede fondo a tutti i dardi che aveva nella faretra, colpendo Santana ovunque trovasse uno spiraglio. In piena fronte, sotto il braccio, alla gamba. Vederlo restare stoicamente in piedi come se niente fosse gli fece gelare il sangue nelle vene, ma il Primo Ufficiale doveva avere un piano e lui non si risparmiò.
Santana sollevò un braccio per liberarsi dei dardi, con l’altro faceva segno a Leo di non muoversi e continuare a restare nascosto dietro di lui che con la bardatura riusciva a offrirgli una copertura sufficiente.
Hino si lanciò in scivolata, afferrò con entrambe le mani l’elsa di Onore e grazie alla spinta datagli dalla corsa riuscì a sollevarla, seppure con estrema fatica. Si rimise in piedi e tenne l’arma stretta lungo il fianco.
La spada di Santana era andata in frantumi quando aveva cercato di proteggere Leo, così il Generale si preparò a fermare il nuovo fendente a mani nude, anche a costo di vedersele tagliate.
Hino correva mantenendosi in posizione raccolta, sfruttò la rincorsa e si lasciò cadere di nuovo in scivolata, con un ginocchio a terra. Le mani di Santana erano pronte per afferrare la lama, ma Ryoma effettuò una torsione del busto e la spada eluse la difesa del Golem per colpirlo al petto, perforare l’acciaio e trafiggergli il cuore.
Solo quello e nient’altro, non la freccia al centro della fronte o lo spuntone di roccia nella gamba, lo fermò. Sul viso gli si dipinse un’espressione che era a cavallo tra l’incredulo e il sofferente.
Santana rimase immobile, le mani a mezz’aria e le labbra leggermente aperte. Il verde brillante degli occhi si fece di vetro e finalmente qualcosa iniziò a sgorgare dal petto. Sangue. Tutto quello che non aveva perso tramite le altre ferite venne fuori in maniera copiosa, scivolando sull’acciaio della spada e dell’armatura. Corse fino all’impugnatura dell’arma e sporcò i guanti di Hino che era rimasto nella posizione in cui l’aveva trafitto: piegato all’indietro con la spada sopra di lui e il mondo che gli appariva capovolto.
Il Primo Ufficiale lasciò andare la presa e si sollevò. Vedendolo ora, Carlos Santana sembrava ancora di più una statua perfetta. Ryoma lo spinse appena e il cadavere ricadde al suolo di schianto con la schiena a terra e lo sguardo vitreo puntato verso il nulla.
Alle sue spalle il volto di Leo era una maschera di terrore e rabbia. “Carlos!” gridò, ma non ottenne alcuna risposta. Sotto al corpo, la chiazza di sangue andava allargandosi in maniera inverosimile.
“Cosa avete fatto?” mormorò lo Stregone. Negli occhi la collera guizzò con ferocia rendendo ancora più nere le iridi e la sclera. “Che cosa avete fatto?!” Nei palmi il bagliore della Magia Nera si fece intenso; sfere porpora ruotavano come impazzite e divenivano sempre più grandi. Ryoma si trovò sulla linea di tiro.
Con decisione fissò il mago negli occhi un solo momento ancora, prima di abbassarsi di slancio.
La visuale di Leo si trovò così libera dall’ostacolo giusto in tempo per mettere a fuoco la punta della freccia, l’ultima della faretra, che Hernandez aveva incoccato. L’attimo dopo era piantata nella sua fronte, uccidendolo all’istante.
Sul suo volto si disegnò un’espressione simile a quella avuta da Santana solo che oltre alla sorpresa, la sofferenza era terribilmente evidente, anche se non sembrava più una sofferenza fisica. Ryoma non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma credeva che lo Stregone stesse soffrendo per la perdita dell’amico.
Se poi si poteva considerare davvero ‘amico’ quella cosa.
Ryoma guardò dall’alto i due cadaveri che giacevano vicini: Leo in posizione prona e Santana supina. Il corpo del Generale si stava liquefacendo in argilla.
“Chi l’avrebbe mai detto…” mormorò Gino che aveva raggiunto il Primo Ufficiale fermandosi al suo fianco.
Shunjin-Go fece capolino all’altro lato. “Allora Santana era davvero un golem.”
“Così pare.” Ryoma l’aveva compreso quando il Generale aveva parlato di obbedire agli ordini. I golem erano creature forgiate nella terra e non potevano in alcun modo negarsi a un comando del proprio padrone; e quel padrone doveva essere lo Stregone al suo fianco.
Era stato per quello che aveva usato tutta la sua forza per brandire Onore: la sua lama era l’unica ad affettare il metallo come fosse stato burro e visto che l’unico modo per uccidere un golem era trafiggergli il cuore, Onore aveva fatto al caso suo, altrimenti non sarebbe mai riuscito a perforare la corazza che lo proteggeva.
Mentre vedeva Shunjin-Go estrarre la spada di famiglia dal cadavere, Ryoma non poté non pensare che dopotutto era vero: Santana un cuore ce l’aveva avuto sul serio, un cuore umano, visto il modo in cui si era mischiato tra gli uomini come fosse stato uno di loro. Forse la premura verso lo Stregone non era stata altro che il frutto del legame di fedeltà assoluta che legava il golem al padrone, però nel modo in cui Santana aveva difeso Leo e nel modo in cui questi fosse letteralmente impazzito nel sapere morta la propria creatura c’era qualcosa di diverso. Qualcosa che sembrava andare oltre.
Si narrava che alcuni golem fossero nati dal desiderio ardente di far rivivere una persona cara, morta prematuramente.
Di sicuro lui non avrebbe mai saputo la vera storia, ma era certo che non avrebbe mai dimenticato Carlos Santana e il suo devoto creatore.

Vederla da lontano e trovarsene nel mezzo erano due cose completamente diverse.
Tsubasa se ne stava rendendo conto solo in quel momento, che la carica era piombata sul campo di battaglia e nel vivo dello scontro. Gli agadiri avevano aperto la strada restando in piedi su enormi cavalloni di cui ignorava la provenienza, visto che si trovavano in una piana piuttosto arida.
Lui si era sentito come trascinare dagli altri soldati. Aveva faticato a mantenere il proprio cavallo al giusto passo per non essere di intralcio e non perdere Ryo per strada, anche se le briglie erano legate tra loro.
La sensazione che aveva avuto era di volersene disperatamente tirare fuori ma non poterlo fare, perché non esistevano vie di fuga e tutto quello che doveva fare era correre. Correre e lasciarsi travolgere dal rumore scoordinato di centinaia di zoccoli, di grida, di tintinnare metallico che veniva sguainato e levato al cielo.
Poi il primo kamalocha gli passò sulla testa e lui lo seguì con gli occhi senza perderlo di vista fino a che il suo padrone non iniziò ad attaccare i soldati sottostanti. Istintivamente tirò le briglie di lato e costrinse entrambe le cavalcature a deviare il percorso. Giusto in tempo. Il fragore dell’esplosione e delle grida venne attutito dalla protezione offerta dall’elmo.
Accanto a lui, piegato sul cavallo, Ryo borbottava probabilmente una preghiera alle Dee sue madri.
Uscire da quella mischia per provare a raggiungere Natureza gli apparve di colpo un’impresa impossibile. Tsubasa si domandò se non avesse commesso un enorme errore di valutazione. I Master non erano più nemmeno visibili in quel caos immenso di bestie volanti, agadiri, fiamme e cozzare d’acciaio. La roccia spuntava dal nulla e gli Elementi di Terra si facevano strada a mani nude contro i loro avversari. Tutti combattevano, attorno a lui, e così tanti morivano.
Dalla feritoia della celata, Tsubasa vide un soldato cadere al suolo con tutto il cavallo; la testa staccata e altri zoccoli che lo pestavano senza alcun riguardo. Degli alastri precipitarono trascinati dagli animali degli Stregoni le cui lingue corrodevano tutto ciò che toccavano. I corpi degli Elementi di Aria venivano separati in due mentre erano ancora in aria e l’acido dei kamalocha faceva il resto.
D’un tratto, un agile balzato alle spalle di un altro cavallo atterrò a un soffio da loro. Le proprie cavalcature si impennarono, spaventate, e sia Ryo che Tsubasa vennero disarcionati.
L’abile cavaliere aveva lunghi capelli biondi legati in rasta; spuntavano da sotto l’elmo che gli copriva il viso solo fino al naso. Le labbra erano chiaramente visibili e tese in un orribile ghigno.
Ryo corse a nascondersi dietro al Principe, ancora a terra. Per un attimo, Tsubasa si vide spacciato; la superiorità del guerriero era evidente, ma un’altra spada si frappose tra quella del soldato di Gamo e loro.
Il Capitano Victorino aveva istruito la sua squadra d’assalto dicendo l’oro di occuparsi solo dei Veloci e lui aveva appena incrociato la sua lama col ‘pesce grosso’ del gruppo.
Lazon emise un verso contrariato, ma subito si disinteressò ai due a terra per dedicarsi al nuovo e più degno avversario.
Tsubasa si alzò svelto, trascinando via Ryo. Approfittò dell’aiuto dell’uomo agli ordini di suo padre e iniziò a correre lungo il campo di battaglia, tra soldati che gli piombavano davanti combattendo senza esclusione di colpi e magie che piovevano dal cielo.
Di Natureza neppure l’ombra.
In un gesto disperato, Tsubasa si tolse l’elmo e poté finalmente riempirsi i polmoni con delle profonde boccate d’aria. Quell’affare stava quasi per soffocarlo; aveva il viso completamente madido di sudore. Ryo seguì il suo esempio benedicendo le Dee per ogni respiro che prendeva.
“Non si respirava lì sotto, maledetta miseria!” si lamentò; gli occhi vagavano dappertutto terrorizzato all’idea di venire attaccato all’improvviso.
“Se restiamo fermi saremo prede ancora più semplici.” Tsubasa glielo disse prendendogli il polso e mantenendosi flesso sulle gambe, pronto a scattare, per correre ancora.
L’altro aveva il fiatone. “Ma io non vedo il Nero da nessuna parte!” si impuntò. “E quest’armatura pesa!”
“Lo so, ma non possiamo lasciare che ti colpiscano. Se si accorgono che non muori capiranno che c’è qualcosa che non va!”
“Devi usarmi! Non puoi aspettare ancora!”
Tsubasa scosse il capo. Sapeva che sarebbe stato il momento sbagliato, perché la sua energia non poteva essere mantenuta a lungo. Per quanto divina, la Chiave Elementale restava comunque un manufatto creato per gli uomini e le Dee non erano state così stolte da far loro dono di un’arma definitiva.
“Non adesso!”
Ryo ruotò gli occhi e poi li fermò. La smorfia di protesta si sciolse in una più spaventata. Puntò il dito al cielo e riprese a sbraitare. “E allora quando?! Aspetti forse che quello ci divori?!”
In picchiata, un kamalocha stava caricando chiunque si trovasse a terra nel suo raggio d’azione, e loro ci ricadevano in pieno.
Tsubasa afferrò la Chiave per un polso, ma d’improvviso si rese conto che seppure si fossero messi a correre, probabilmente non avrebbero avuto scampo. Dove sarebbero mai potuti andare a nascondersi in quella piana immensa?
Nel momento in cui iniziava a convincersi che forse avrebbe dovuto usare i poteri di Ryo, un enorme monolite emerse da terra e infilzò la bestia con tutto il cavaliere.
“State bene, Vostra Altezza?”
Tsubasa riconobbe la voce dell’Elemento di Terra che, assieme a quello di Aria, Acqua e Fuoco lo aveva liberato dalla prigionia degli Stregoni. Quando si volse, scoprì che non era da solo; i suoi compagni erano al suo fianco e liberavano lo spazio attorno a loro da qualsiasi pericolo.
La possibilità di riuscire a districarsi in quell’inferno e poter finalmente scontrarsi col Nero tornò a brillare e lui sorrise, realmente felice di vederli.
“Elementi! Siete arrivati giusto in tempo, dobbiamo trov-”
Il pugno in pieno viso lo mandò a terra, disteso.
Mamoru lo aveva caricato come un bufalo e non aveva neppure prestato ascolto alle sue parole. Aveva avuto quella voglia di tirargliene uno con tutto il cuore da che l’amico di Yuzo era comparso quasi in lacrime per comunicare loro che il Principe si era lanciato alla carica. Come un perfetto imbecille.
Ryo tentò di intervenire, ma il volante lo fermò con decisione. Una mano gli sfiorò appena il braccio e quando la Chiave incrociò il suo sguardo lo trovò severo. Yuzo scosse appena il capo per fargli intendere di rimanerne fuori.
“Non so più se rivolgermi a voi con Vostra Altezza o Vostra Suprema Idiozia!” abbaiò la Fiamma.
Tsubasa si portò una mano allo zigomo che pulsava per il dolore, ma non rispose.
“Che diavolo vi è saltato in mente, eh?! È così che rispettate tutta la fatica che abbiamo fatto per trovarvi e fare in modo di mettervi al sicuro?! Vi rendete conto di aver mandato a puttane un anno di duro lavoro?! E mi sono fatto andare bene le vostre fottute ‘convinzioni’, ‘visioni’ o come diavolo volete chiamarle, ma questo non posso tollerarlo!” Mamoru gesticolava animatamente, puntandogli l’indice dritto in faccia. “Ci sono persone, qui, che stanno morendo per voi e altre che sono già morte! E per cosa?! Per permettervi di comportarvi come un moccioso sciagurato?! Pensate, dannazione! Pensate prima di agire come un fottuto egoista!”
“Io dovevo!” Tsubasa tentò di difendersi.
Dovevate?!
“Sì! Dovevo! Non ho mai pensato che fosse piacevole o una scelta ‘rispettosa’ e io comprendo benissimo tutto il tuo rancore, ma dovevo farlo!” Tsubasa si mise in ginocchio, sedendosi sui talloni con una certa rassegnazione. “So bene quanto dolore ci sia stato per arrivare fin qui, me lo hai già detto e io l’ho sempre saputo, ma devo affrontare il Nero. Siamo nati per trovarci, per confrontarci. Noi siamo uguali e anche se ci sono tantissime vite in gioco, anche se migliaia di uomini si stanno battendo adesso, questa è la nostra guerra. Mia e sua.” Le sopracciglia si aggrottarono conferendogli un’espressione di chi desiderava ardentemente essere ascoltato senza vedere in lui solo il figlio del Re, ma ben altro. “Gamo è stato un pretesto per coinvolgere più gente possibile e permettergli di facilitare il massacro cui aspira. Niente di più. Il suo disegno è così chiaro… e io non potevo restarne fuori, perché ne faccio parte.”
Mamoru aveva le mani ai fianchi e una smorfia furente a piegargli le labbra. Masticò a vuoto e poi si volse. Tra i compagni cercò lo sguardo del volante, desiderandone un consiglio, un parere. Nemmeno Yuzo aveva un’espressione rilassata; sapeva che il Principe meritava tanto la strigliata quanto il pugno, ma nelle sue parole percepì la verità: lui e il Nero erano davvero uguali. Incrociò lo sguardo della Fiamma per qualche momento, poi accennò affermativamente col capo.
Mamoru apparve sorpreso e non lo nascose, cercò conferma e l’altro annuì ancora.
Lui sospirò a fondo, alzando poi il viso al cielo e tentando di recuperare almeno un briciolo di sanità mentale in quella situazione che richiedeva la maggiore lucidità possibile. Quando lo riabbassò, la severità apparve stemperata.
“E questo non potevate dircelo prima invece di farci scorrazzare per tutto il campo di battaglia come dei deficienti?” Mamoru gli tese la mano.
Il Principe distese un piccolo sorriso in segno di gratitudine e accettò il suo aiuto. “Non tutto mi appare chiaro fin dal primo istante. Sono mortificato.”
Ryo raggiunse subito Tsubasa, lamentandosi del fatto che il pugno gli avrebbe lasciato un dannato occhio nero. Mamoru non se ne curò e gli permise di borbottare. Si avvicinò invece al volante; le mani ancora ai fianchi e la schiena rivolta a tutto il resto.
“A me sembra un’assurdità, sappilo.”
In un’altra occasione, Yuzo non gli avrebbe dato torto, ma in quel caso le cose erano diverse. Molto diverse.
“Ricordi quando ti dissi che di persone come Natureza ne nascevano una ogni mille anni?” Il suo sguardo non era puntato in quello del compagno al suo fianco, ma sulla figura del Principe. “Beh, in questo millennio ne abbiamo ben due.”
Mamoru sospirò indeciso se pensare che fosse una cosa positiva o meno, mentre il volante continuava.
“Quelli come loro finisco sempre per ritrovarsi e non è un caso se ora sono qui. Se il vero nemico di questa guerra è Natureza e non Gamo, allora l’unico che può batterlo è solo Tsubasa.”
“Mi stai dicendo che siamo tutti nelle sue mani?”
“Sì.”
“Fantastico” masticò con ironia. Sapere di non essere in grado di poter neutralizzare il Nero in prima persona non era una piacevole sensazione per uno orgoglioso come lui, ma visto che non c’erano altre alternative avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutare Tsubasa. Rivolse di nuovo lo sguardo ai suoi compagni e prese la sua decisione. “Muoviamoci, dunque, e andiamo a stanare quel bastardo di un traditore.”
“Quanta fretta!”
Una voce profonda e tonante fermò i loro propositi. A sbarrargli la strada, uno Stregone restava fermo a braccia conserte. La cappa nera oscillava col cappuccio abbassato e la sua stazza imponente non prometteva nulla di buono.
“Il potente Nero ha di meglio da fare che occuparsi di voi moscerini. Ma io sono libero, e a vostra disposizione.”
Hajime lo riconobbe, anche se la prima volta che l’avevano incrociato aveva le mentite spoglie di un vecchio. “Konsawatt.”
“Sono esterrefatto. Trovarvi ancora vivi, dopo che eravate stati rinchiusi nella base Sud, ha un qualcosa di epico. Ma la vostra corsa finisce qui.”
I fratelli Konsawatt non erano avversari facili e loro ne avevano assaggiato le abilità in prima persona, ma non si sarebbero certo farti fermare dal primo ostacolo. Nulla era stato semplice in quella missione, era ovvio che non lo fosse nemmeno il finale.
Senza nemmeno discuterne con i compagni Teppei avanzò di un passo, facendo schioccare le nocche. Significava che era pronto a dare battaglia e non ci sarebbe andato affatto leggero. “Il bestione è mio.”
“Cosa?” Hajime non fu per nulla d’accordo e non nascose le proprie remore. “Vorresti affrontarlo da solo? Quello per poco non ti ha ucciso! Combattendo insieme avremmo-”
“Perderemmo solo del tempo prezioso!” Lo interruppe il tyrano, guardandolo con una strana serietà. “E non possiamo permettercelo. Più tempo sprechiamo, più tardi saremo in grado di fermare tutto questo.”
“Allora resto io con te!”
Finiscila!
Hajime incassò l’inaspettato rimprovero. Di solito Teppei non era mai così brusco, ma l’urgenza della situazione non permetteva discussioni futili.
“Me la so cavare meglio di quanto pensi, non temere.” Accennò un sorriso ironico. “Io e questo bestione abbiamo un conticino aperto e lo sai che detesto avere debiti.”
Il Tritone sospirò con una certa rassegnazione. “Fai come vuoi, maledetto testardo! Ma ricordati che-”
“Abbiamo un patto, lo so. Ci vediamo alla fine.”
Hajime non ebbe bisogno di aggiungere altro, anche perché avrebbe finito col non andarsene. Quindi si limitò a cercare tutte le certezze di cui aveva bisogno nelle sue iridi scure, ad annuire e poi voltargli le spalle minacciandolo mentalmente delle peggiori atrocità se avesse osato non mantenere fede alla sua parola.

 


…Il Giardino Elementale…

 

Dite un po', sono riuscita a sorprendervi con la storia di Carlos? :3
Lo chiamavano il Golem e alla fine... era golem davvero XD. All'inizio non sarebbe dovuta andare così. Quando ho inserito il suo pg, avevo idea che fosse un pg normale, solo molto legato al suo signore, ligio al dovere ecc ecc e dal cuore di ferro, per questo l'appellativo di Golem (che faceva il paio con Cyborg X3). Solo che mentre scrivevo questa battaglia e pensavo a come farlo morire... ecco che è spuntata l'idea. E se fosse stato davvero un golem? :3 Questo mi ha permesso di avere una sorta di sottotrama che mi sembrava fosse adattissima per permettere al Nero di sapere sempre tutto quello che riguardava Gamo. E poi mi sembrava un buon approfondimento anche per Carlos, nonostante sia solo accennato, e motivasse il perché lui fosse 'senza cuore'. :3 (ma legato a Luciano!). Carlos aveva avuto un cuore, ma che probabilmente si è fermato troppo presto e non c'è dato sapere come mai. :3333
Abbiamo poi il Principe che viene finalmente ritrovato prima che possa finire ammazzato (XD un po' se lo meriterebbe!) e infine... arrivano i Konsawatt!!!
La battaglia si fa sempre più intricata! :DDDD


Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

- Elementia: Fanart

Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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