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Autore: Mary P_Stark    09/12/2012    2 recensioni
TERZA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Sono passati dieci anni dalla visita del principe Ellessandar di Akantar nel regno di Enerios. Tra i due regni, da quel giorno, intercorrono rapporti di amicizia e rispetto reciproci, anche grazie all'accorato lavoro di intermediaria portato avanti da Naell, principessa terzogenita del regno di Enerios. Principessa che, incalzata dal Consiglio della Corona e dal suo stesso padre, non può più nascondersi dietro mille scuse per evitare un matrimonio che non vuole. Perché a una principessa di Enerios è vietato vivere liberamente... amare liberamente. E a Naell questo va stretto, molto stretto. Libera di pensiero e d'animo, non vuole rinchiudersi entro quattro mura, con un uomo che non ama. Inoltre, su di lei, incombe ben di più di un matrimonio non voluto. Le parole del Dio-Lupo sono ancora fresche, nella sua mente. Tenebra e Luce devono ancora affrontarsi, e lei ne sarà direttamente implicata. Come, resta da vedersi. La sua unica consolazione è di non essere sola, sulle soglie di quel baratro. Ma i suoi cugini sapranno aiutarla nel momento del bisogno, come le ha predetto il Dio-Lupo? (riferimenti presenti anche nelle 2 storie precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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••2••

 

 

 

 

Il vento le sferzava il viso come a volerla schiaffeggiare, ma a lei non importava molto. Forse, anzi, se lo meritava.

Come tutti avevano ipotizzato, l’abbigliamento di Naell non solo aveva irritato il padre ma, durante il corso del pranzo, il sovrano non aveva proferito parola all’indirizzo della figlia.

Silenziosa spettatrice di quella dolorosa lotta in seno alla famiglia, Renke aveva cercato di mediare tra i due, intrattenendosi con entrambi e cercando di dispensare da ambo le parti i medesimi sorrisi.

Alla fine di quella battaglia a suon di silenzi, anche lei ne era comunque uscita distrutta.

Meriton e Staryn, pur non potendo schierarsi apertamente dalla parte della sorella, ne avevano compreso pienamente i sentimenti.

Con sguardi ammiccanti e mezzi sorrisi, le avevano fatto capire quanto fossero d’accordo con lei e la sua personale lotta per la libertà.

Ylvire ed Emelde si erano occupate di tenere impegnati i gemelli in frivole quanto divertenti chiacchiere, ben sapendo quanto velocemente, altrimenti, quel pranzo avrebbe potuto diventare un campo di battaglia.

Era risaputo che Ruak e Naell possedevano una cocciutaggine pari a quella del vecchio re e, non sempre, essa si rivelava essere un pregio.

Ridurre a un’inutile sequela di insulti una delle poche occasioni in cui la famiglia poteva dirsi più o meno riunita, non sarebbe stata cosa gradita a nessuno.

Le due donne, perciò – uniche a poter sostenere simili conversazioni senza infastidire nessuno – , si erano impegnate perché il pranzo si svolgesse nel miglior modo possibile.

L’approssimarsi del meriggio li aveva visti partire alla volta del porto di Elior, riducendo così a zero i pericoli di una lite furibonda.

Quando Naell si era finalmente trovata oltre i confini di Rajana, si era concessa il lusso di piangere in silenzio, protetta dal cappuccio levato del suo mantello.

Ylar aveva mugolato al fianco del suo destriero, preoccupato per la padrona, ma lei non aveva in alcun modo trovato le parole per chetarne le ansie.

Alla fine, Enyl l’aveva richiamato al suo fianco, pregandolo di lasciare in pace per un po’ l’amica.

Di mala voglia, Ylar era rimasto al fianco di Kell, il lupo di Enyl e, per tutto il tempo, i suoi occhi erano corsi alla figura ingobbita della sua amica e padrona, condividendone le ansie e i dolori.

Con la luna piena e il cielo sgombro di nubi, erano salpati su stessa richiesta della principessa.

In quel momento, col sole che stava sorgendo all’orizzonte e scure nubi di tempesta che solcavano i cieli a ovest, Naell lasciò che l’aria di mare le strappasse via di dosso l’amarezza provata nell’abbandonare Rajana.

Non aveva desiderato litigare col padre ma, alla fine, la rivalsa aveva prevalso sul buonsenso.

Senza poterne fare a meno, aveva mostrato apertamente cosa ne pensasse delle leggi restrittive del regno di Enerios.

Non era consentito a nessuna donna della corte indossare brache, solo Enyl – pur se principessa per diritto di nascita – le poteva portare in quanto figlia sacra ma, di sicuro, questo privilegio non era mai stato concesso a Naell.

Inoltre, non essendo Enyl in linea di successione per il trono, non era sottoposta allo stesso, restrittivo regime riservato alla cugina.

Per questo, l’ingresso di Naell nella Sala Piccola– dove solevano tenersi i pasti della  famiglia reale – abbigliata con i costumi classici di Akantar, aveva subito fatto risentire il re.

Questo aveva dato luogo, per diretta conseguenza, a una serie infinita di chiacchiere tra la servitù.

“Far male a chi si ama non può produrre nulla di buono” motteggiò al suo fianco Kalia, osservando al pari della principessa le cupe nubi temporalesche.

Volgendosi a mezzo, Naell lasciò perdere i suoi cupi pensieri e scrutò il viso arrossato dal vento dell’amica.

“Solo chi ti ama può farti veramente male.”

“E farvene reciprocamente è cosa buona?” ribatté la figlia sacra, sorridendole.

“Lui è re, e io capisco i motivi che lo spingono. Il consiglio della corona non può essere sopravanzato. E’ ciò che ci distingue da una comunissima dittatura, ma io non posso comunque sopportare che essi decidano del mio futuro senza tener conto dei miei desideri” brontolò Naell.

“O di ciò che non posso dire, ma so benissimo che avverrà” pensò poi tra sé la principessa, imprecando mentalmente per l’ennesima volta.

Se solo avesse potuto dire la verità…

“Forse, se avessi mostrato una preferenza per questo o quel partito, tuo padre non si sarebbe irritato così tanto, di fronte ai tuoi continui tentativi di circuire la legge” le rammentò Kalia, scrollando le spalle.

Naell si morse il labbro inferiore reclinando il capo con fare colpevole, non potendo mettere a parole ciò che pensava.

A nessuno avrebbe mai detto ciò che risiedeva nel suo cuore, neppure a Kalia.

Poiché era tutto talmente assurdo, talmente impossibile che, anche il solo metterlo a parole, l’avrebbe uccisa.

No, non ne poteva parlare, soprattutto ora che sentiva, in ogni più piccola parte di sé, che il momento era giunto.

Non avrebbe condannato l’unica persona che veramente le interessava, a un calvario senza fine.

Con una pacca sulla spalla e un’ammiccata, Kalia la lasciò sola ai suoi pensieri.

Mentre il cambio degli uomini in coperta veniva dato al suono di una campana appesa all’albero maestro1, lei si scostò dal mascone di dritta2 per tornare alla sua cabina.

A che pro pensare a cose che non poteva realizzare?

Doveva essere realista e, nella realtà, il suo sogno non poteva avverarsi.

***

Non potevano semplicemente evitarla?

No, sembrava quasi che il tempo, come il Fato, ce l’avesse con lei.

Con il cambio del vento, la tempesta si era avvicinata a loro invece di allontanarsi.

In quel momento, potenti mareggiate si stavano abbattendo contro le paratie della nave, sballottandoli come un tappo di sughero gettato in un fiume impetuoso.

Gli uomini in coperta, impegnati con il ritiro delle vele e il fissaggio delle cime, urlavano ordini e richieste a gran voce.

All’interno della cabina reale, invece, Naell, i cugini, Kalia e il Ministro Korissar tentavano senza grosso successo di rimanere in piedi nonostante le mareggiate possenti.

Più semplicemente, i lupi si erano sdraiati a terra e, pur non apparendo al meglio delle loro condizioni, sembravano sopportare abbastanza agevolmente quella traversata movimentata.

Un cuscino abbondante e di seta scura ben stretto al petto, il ministro caracollò a terra durante l’ennesimo maroso.

Avvicinandosi a lui per conoscerne le condizioni, Naell si ritrovò a camminare gatton gattoni per poterlo raggiungere senza danni.

Con un mezzo sorriso di circostanza, domandò a Korissar: “Tutto bene?”

“Potrei… stare meglio” gorgogliò l’uomo, abbozzando uno sguardo coraggioso, subito annullato da un’ondata di dritta, che fece diventare verde il viso del ministro.

Un attimo dopo, la sua mano destra corse a prendere uno degli incensieri e, senza troppa grazia, lasciò che il suo stomaco si liberasse con gran conati e lamenti vari.

Non potendo fare nulla per lui, Naell gli sfiorò una spalla con una pacca consolatoria, dopodiché arretrò fino a raggiungere Kalia.

Piuttosto sbattuta, la figlia sacra stava scrutando il mare da un oblò rimasto miracolosamente intatto e, con tono stanco, le domandò: “Novità, là fuori?”

“Sembra interminabile” sibilò Kalia, accigliandosi non appena vide Enyl e Rannyl diretti alla porta della cabina. “Ehi, voi due! Dove pensate di andare?!”

“A dare una mano” sentenziò Rannyl, sfidandola con lo sguardo a replicare.

Enyl, più diplomatica, le sorrise affabile, rammentandole un particolare non da poco.

“Con la freoha sempre attiva, possiamo fare quello che dieci di questi uomini non potrebbero, con un tempo simile. Non ci accadrà nulla, Kalia. Tu occupati della principessa e del ministro. Noi faremo il resto.”

Detto ciò, la dolcezza nel suo sguardo svanì come d’incanto e, al seguito del fratello, uscì nel mezzo della tempesta prima di richiudersi la porta alle spalle con un sordo tonfo.

“Oh, dèi, se succederà qualcosa ai principini, il re mi scotennerà!” si lagnò il ministro, non avendo però il coraggio di muovere un dito per andare a riprenderli.

Naell lo fissò serafica, dicendogli soltanto: “Enyl e Rannyl rispondono solo a loro stessi. Mio padre non riterrà voi responsabile della loro sorte.”

Ciò detto, si diresse alla porta e, attraverso il largo vetro colorato del battente di quercia, cercò di intravedere i cugini sul ponte di prua.

***

Sotto gli occhi sgomenti della cugina, i gemelli ascoltarono seriosi gli ordini che il capitano della nave dispensò loro.

Dopo aver annuito al suo indirizzo, corsero in direzione dell’asta di fiocco3 e si aggrapparono al sartiame fino a raggiungere il gran fiocco4.

A causa dei marosi, la vela aveva perso il suo ancoraggio all’albero di trinchetto5 e stava svolazzando in modo più che pericoloso proprio dinanzi ai suoi cugini.

Impossibilitati a salvarla – il sartiame si era quasi interamente sfilacciato – restava loro un unico compito.

Strapparla di peso dall’albero e gettarla in mare perché non li portasse a scuffiare6, cosa che nessuno di loro desiderava. Per nulla.

La mano di Rannyl ben stretta a quella di Enyl, che si teneva al sartiame dell’asta di fiocco, il giovane afferrò saldamente il telo ruvido e robusto del gran fiocco e, con un grido possente, iniziò a tirare.

Enyl fu subito con lui, aiutandolo a sua volta nell’ardua impresa, incurante delle ondate che li colpivano inclementi e del mare che, di volta in volta, si faceva loro più vicino.

La goletta sbatacchiò ancora e ancora in balia della tempesta, mentre i marinai mettevano in sicurezza tutto ciò che avrebbe potuto creare danni alla struttura.

Nessuno di loro stava risparmiandosi, mettendo ogni stilla di sudore e fatica in tutti i loro  movimenti, ma ciò che Rannyl ed Enyl fecero andò ben oltre l’umana concezione del possibile.

Mentre i loro muscoli si tendevano allo spasimo, affiorando ben visibili sotto la lastra sottile e morbida della loro pelle perfetta, il gran fiocco venne estirpato, raccolto e ricondotto a bordo.

Il tutto, sotto gli occhi sgomenti dei presenti, Naell compresa.

Incuranti della tempesta, che avrebbe potuto rendere impacciati i loro movimenti, i  gemelli ripiegarono la vela per poi legarla con il suo stesso sartiame.

Fatto ciò, la fissarono contro la paratia di dritta e, infine, si avventurarono fino al timone della goletta per ricevere altri ordini.

Pur se bagnati fino all’osso e, forse, provati per la prova ardua appena superata, i due giovani parevano pronti a scalare le stesse calotte di ghiaccio dei Mari del Nord, pur di rendersi utili.

Al capitano non restò altro che impiegarli in mille piccoli lavori in coperta, poiché entrambi si rifiutarono di rientrare in cabina assieme ai loro compagni di viaggio.

Qualcosa, nei loro sguardi, lo spinse a non vietare loro di rimanere sul ponte.

La femmina, in particolar modo, gli parve la più convinta tra i due.

Quando, molte ore dopo, la tempesta si placò e il sole tornò a splendere sul mare ora più calmo, i gemelli rientrarono infine in cabina.

Basita, Naell li fissò mentre, con i volti stremati dalla fatica e le mani livide, andarono a sdraiarsi a terra accanto ai lupi, addormentandosi pochi attimi dopo.

Kalia, con un mezzo sorriso, rassicurò Naell dicendole: “E’ l’effetto della freoha. Quando cessa, crolli a terra sfinito.”

“Sì, lo capisco ma… quello che hanno fatto…” esalò Naell, ancora sbigottita.

Kalia allora scosse il capo e, pensosa, mormorò: “Nessuno capisce perfettamente come funzioni il loro potere. Sono potenti, ma non c’è solo questo.”

“Provengono da una forte dinastia” commentò ammirato Korissar, annuendo a più riprese.

“Su questo non c’è dubbio” assentì Kalia, scrutando con occhi guardinghi i gemelli.

Naell li fissò a sua volta, chiedendosi cosa avesse voluto dire Kalia con quelle parole.

Soprattutto, voleva capire fino a che punto, quei due, fossero quello che sembravano.

Non le era sfuggito il cambio di espressione di Enyl che, da placido e gentile, si era fatto glaciale e pericoloso.

Non sapeva quanto di quello sguardo fosse da attribuirsi al Marchio di Hevos, la freoha, e quanto al suo reale cipiglio.

Possibile che la dolce, ammaliante Enyl, nascondesse due facce?

***

La tempesta aveva lasciato i suoi strascichi sulla goletta, ma il bastimento procedeva ora spedito lungo la sua rotta.

Il cielo era nuovamente sgombro da nubi, e un caldo sole illuminava il lavoro dei marinai, intenti a sistemare i danni provocati dai marosi.

Enyl e Rannyl, presisi personale carico di risistemare il gran fiocco all’albero di trinchetto.

Armeggiarono ad altezze importanti come se si fossero trovati sulla terra ferma e non su una nave, con il suo costante rollio a render più complesso qualsiasi movimento.

Naell li osservò ansiosa, desiderando più di tutto che scendessero dall’albero per averli accanto.

Kalia, al suo fianco, ammirò semplicemente la loro abilità e la sopraffina armonia con cui si muovevano all’unisono.

“Quei due ragazzi sono straordinari. Sono sempre stati affiatati ma, negli ultimi anni, la cosa ha raggiunto livelli impensati.”

Ridacchiando, Kalia allungò una tazza di tè caldo all’amica e aggiunse: “Continuare a guardarli non li farà scendere prima, sai?”

“Sarà anche vero ma, se a quei due succede qualcosa, gli zii mi daranno in pasto ai loro lupi” brontolò Naell, dando subito dopo una sbirciata al suo lupo, oltre a quelli dei gemelli.

Erano tranquillamente seduti al suo fianco, gli occhi chiusi e le membra rilassate, come se quello che era avvenuto solo il giorno prima non fosse mai avvenuto.

“Aken ed Eikhe non ti farebbero mai del male. Inoltre, conoscono i loro figli” ammiccò Kalia, allontanandosi da Naell per tornare in cabina.

Forse, Kalia aveva ragione.

Forse, starsene lì impalata sotto il sole a fissarli mentre loro, senza alcun problema, terminavano i lavori che si erano auto imposti, era un’autentica perdita di tempo, ma non riusciva a smuovere i piedi dal mascone.

Era terrorizzata all’idea che potesse succedere loro qualcosa e, più di una volta, si era sentita in dovere di richiamarli a terra.

L’attimo dopo, però, si era azzittita prima di proferir parola quando si era resa conto che, un comportamento del genere, avrebbe potuto essere frainteso.

Lei non voleva mettere in dubbio la loro bravura, né tanto meno smentire la fiducia che aveva in loro.

A conti fatti, non voleva imporsi come suo padre aveva fatto con lei.

Reclinando il capo, Naell sospirò affranta, atterrita all’idea che, al suo ritorno, la sua libertà sarebbe stata cancellata per sempre.

Le sue mosse sarebbero state controllate a vista da un marito che non poteva avere, al momento.

La sua intelligenza sarebbe stata per sempre messa in secondo piano, sopravanzata in ogni cosa dall’uomo scelto per lei dal padre.

Piegatasi su un ginocchio, accarezzò placidamente la schiena del suo lupo che, a dieci anni, era nel fiore dell’età, possente e forte come pochi, alfa tra i fratelli che erano giunti con loro a Rajana.

Il suo pelo, di un grigio scuro striato di bianco, era lievemente irruvidito dalla salsedine portata dal vento.

“Vorrei fare come te, amico mio. Passeggiare placida per il bosco in cerca di un  compagno, senza alcuno a dirti chi scegliere, o quando scegliere” mormorò la principessa, sentendo feroci lacrime pungerle gli occhi.

Ylar si svegliò a quell’accorata confidenza e, mugolando una risposta nella sua direzione, le leccò la mano che lo stava accarezzando prima di rizzarsi sulle forti zampe e sfiorarle il viso con il muso.

Naell sorrise, stringendoselo al petto con braccia tremanti e, tra i singhiozzi, esalò: “Ovunque il Fato mi porterà, tu sarai con me. E’ la mia unica consolazione. Nessun marito potrà dividerci, Ylar.”

Il lupo abbaiò con veemenza, sottolineando quella promessa.

Più tranquilla al pensiero che, almeno lui, le sarebbe rimasto accanto, Naell prese un gran sospiro e si levò in piedi, mormorando al suo amico quadrupede: “Resta pure qui a prendere il sole con i tuoi amici. Io torno in cabina per dare un’occhiata ai documenti che presenteremo ai reali di Akantar.”

Ylar annuì, dandole un ultimo colpetto alla gamba con il muso prima di rimettersi steso a terra con gli altri lupi.

Dopo averli guardati con bramosa invidia, la giovane si allontanò con passo strascicato non senza un ultimo sguardo ai cugini.

Quello che vide, la sconcertò.

Appesa al pennone7 più alto con la sola forza delle gambe, le sartie ben strette in mano, Enyl stava osservando il fratello che, con abilità di mani, stava legando la vela all’asta di fiocco.

La distanza che li separava era notevole, e lo sciabordio delle onde produceva un frastuono tale che, solo urlando a gran voce, ci si sarebbe potuti sentire agevolmente.

Eppure, la ragazza rise alcuni attimi dopo aver guardato il fratello, annuendo come a un comando implicito.

Con abilità, si sedette sul pennone, terminando di legare il gran fiocco.

Aggrappatasi poi al sartiame, scese in poche, rapide mosse prima di ritrovarsi sul mascone, al suo fianco, tutta sorridente e gaia.

“Abbiamo finito di farti preoccupare, cugina” le strizzò l’occhio lei, dando una pacca al suo lupo prima di schizzare via di corsa in direzione della cabina.

Rannyl la seguì dopo un attimo, ammiccando a Naell e imitando subito dopo i movimenti della sorella.

Sempre più basita, a lei non restò altro che seguirli, chiedendosi il perché dello strano comportamento di Enyl e del fratello.

***

Fu la guardia di sentina a regalare a Naell il primo, vero sorriso da quando si erano imbarcati a Elior, alla volta di Yskandar.

Con un gran vociare e un potente colpo di campana, avvisò gli uomini in coperta dell’avvistamento delle coste dell’amichevole paese a cui si stavano avvicinando.

Accorrendo fuori dalla cabina, la principessa si aggrappò all’impavesata8 di dritta e osservò la nebbiolina leggera all’orizzonte e sì, la linea scura della terra di Akantar.

Ormai molte volte aveva scorto quei paesaggi, ma l’impatto su di lei fu il solito. Fascino e sospiri.

Già sapeva, però che, prima di giungere al porto, avrebbero dovuto circumnavigare le Isole Arcobaleno, poiché non correva buon sangue tra la corona di Akantar e il dignitario di tali terre.

Era meglio tenersi lontani dalle loro catapulte, se era possibile.

Sarebbero perciò occorse ancora diverse ore, prima di attraccare a uno dei moli del porto fortificato di Ylleru.

La città portuale era collegata alla capitale da una lunga e diritta strada, protetta da alte mura difensive.

Il solo fatto di poter vedere quelle terre a lei tanto care, comunque, bastò a metterle il buon umore in corpo.

Sapeva che non tutti, molti in verità, comprendevano la sua passione per Akantar.

A parte poche miglia di terreni verdeggianti e disseminati lungo la costa, vantava solo distese quasi infinite di deserti e montagne impervie color del fuoco vivo, eppure lei ne era rimasta incanta già al suo primo viaggio.

Tornare lì ogni anno, non aveva fatto altro che aumentare il suo amore per quelle terre impervie e così difficili da domare.

Forse perché, un po’, le ricordavano se stessa.

“E così, quello è Akantar?” chiese Enyl, in piedi al suo fianco e intenta a intrecciarsi distrattamente i lunghissimi capelli.

Il sole di quelle settimane aveva contribuito a far brillare la sua pelle - già bellissima - di un caldo bronzo dorato.

“Sì, Enyl. E’ decisamente diverso dai luoghi dove siete cresciuti tu, Ran e Kalia, ma spero vi farà una buona impressione.”

Nel dirlo, Naell sorrise.

“A me piace” chiosò Kalia, scrollando le spalle. “E poi, ho ancora un conto in sospeso con il capo delle guardie di palazzo. Mi deve una partita a rileko.”

Sogghignando, Rannyl le domandò curiosamente: “Ti sei lasciata battere al tuo gioco preferito?”

“Mi ha stracciata con una mossa che non avevo mai visto prima ma, dall’anno scorso, mi sono allenata parecchio” sbuffò Kalia.

Con un sospiro esasperato, Naell lo confermò.

“Mi ha fatta ammattire, posso confermarlo. Io, nei giochi da tavolo, sono negata, e non potete immaginarvi quanti insulti io abbia collezionato, in questo ultimo anno.”

“Io non ti insulto. Ti… redarguisco” precisò Kalia, prima di scoppiare a ridere con Naell.

I gemelli si unirono all’ilarità di gruppo mentre Korissar, poco lontano da loro, li studiava con espressione curiosa.

Al pari loro, la vista delle terre di Akantar aveva portato un sorriso rasserenato sul suo volto pallido e sottile.

Avvicinatosi al gruppo ridente, il ministro sorrise loro cordialmente, asserendo: “Con un tempo simile, e con i venti a noi propizi, toccheremo terra entro breve.”

Naell annuì, sorridendogli di rimando.

“Sì, mio buon ministro. Mi spiace solo che vi siate dovuto sobbarcare un viaggio così pericoloso, e con simili marosi.”

Ridacchiando con fare lievemente nervoso, Korissar scosse il capo, replicando: “Oh, ma principessa, voi non c’entrate affatto col tempo. E poi, prima che voi nasceste, altre volte ho solcato mari altrettanto agitati, in nome della corona.”

“Allora, avete più coraggio di me. Io ero atterrita, durante la tempesta” esalò Naell, fissandolo con un misto tra sorpresa e orgoglio.

Lanciando un’occhiata melliflua all’indirizzo dei gemelli, Korissar si derise, chiosando: “Oh, no, mia gentile signora. Nessun coraggio. Dedizione alla corona, forse, ma coraggio direi di no. Non, almeno, quello che hanno dimostrato questi due giovani figli sacri.”

Enyl si esibì in un sorriso scintillante che, letteralmente, ammaliò il più che maturo Korissar.

Con voce mielata, mormorò grata: “Ricevere complimenti simili da un uomo così devoto a nostro zio, non può che farci piacere. Non meritiamo davvero riconoscimenti così altisonanti. Abbiamo semplicemente fatto ciò che eravamo in grado, nel limite delle nostre misere possibilità.”

Aprendosi in un largo sorriso, il ministro le batté affettuosamente una mano sul braccio nudo, replicando giocosamente: “Tutt’altro, bambina. Avete dimostrato una tempra degna dei più grandi eroi del regno, anche se non mi dovrei stupire di questo, visto che siete i figli di Eikhe, la nostra più importante eroina, e del possente principe Aken.”

Naell non seppe dire chi dei due, se la giovane cugina o l’attempato ministro, stesse esponendosi con le più eclatanti sviolinate.

Ma non fu quello ad attirarne l’attenzione quanto, piuttosto, l’espressione attenta di Rannyl, ritto in piedi a un passo da Enyl.

Gli occhi fissi sul volto di Korissar, non aveva perso una sola battuta del loro scambio di convenevoli e, apparentemente, stava studiando ogni minimo mutamento di espressione dell’uomo.

Che fosse geloso della sorella a quel punto?

Difficile dirlo, visto il carattere ermetico di Rannyl.

Che fosse sempre, e in ogni situazione, l’ombra di Enyl, già lo sapeva, ma non aveva idea che si preoccupasse anche di uomini molto più anziani della sorella.

Con un mezzo sorriso, trovò la cosa a suo modo divertente e sì, gentile.

Rannyl, dopotutto, si sentiva in dovere di proteggere la sorella come avrebbe fatto Aken, se si fosse trovato lì.

Naell non poté che sentirsi fiera di avere un cugino così dolce.

Ma non glielo avrebbe mai detto perché, sicuramente, avrebbe negato recisamente qualsiasi addebito.

Quando, però, i gemelli si scusarono con il ministro per allontanarsi e raggiungere il giardinetto9, Naell li vide lanciarsi uno sguardo strano, colmo di mille parole non dette.

E, tra esse, la gelosia non v’era proprio.

 

 

 

 

__________________________________________________________

1. Albero maestro: su una nave, è l’albero principale, il più grande.

2. Mascone di dritta: Parte anteriore della nave, o prua. La dritta è la destra.

3. Asta di fiocco: viene dopo il bompresso ed è l’albero posto quasi in orizzontale sulla prua della nave.

4. Gran fiocco: una delle vele latine (triangolari) che sono ancorate all’Asta di fiocco.

5. Albero di trinchetto: è il primo albero a prua della nave, che è collegato all’asta di fiocco tramite le vele latine di prua (trinchettina, gran fiocco, contro fiocco, secondo fiocco, etc.)

6. Scuffiare: E’ l’evento che porta la nave, o la barca, a capovolgersi.

7. Pennone: E’ la robusta trave di legno, perpendicolare all’albero, dove sono fissate le vele.

8. Impavesata: Alto parapetto della nave, a protezione delle persone.

9. Giardinetto: zona a poppa (sul retro) della nave.

  
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