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Autore: Stateira    26/06/2007    16 recensioni
Quando succedeva, lui era l’unico che riusciva a mettere in qualche modo una pezza alla situazione.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PREMESSA: questa è la mia prima shot ambientata nel mondo di FMA

PREMESSA: questa è la mia prima shot ambientata nel mondo di FMA. Spero di aver  fatto un buon lavoro, e auguro a tutti una buona lettura!

 

 

Asylum

 

 

 

Non era colpa sua, si ripeteva Ed.

Non era colpa sua, se ogni tanto capitava. Se succedeva, maledizione, succedeva e basta.

 

E quando succedeva, lui era l’unico che riusciva a mettere in qualche modo una pezza alla situazione.

 

E nemmeno questa era colpa sua.

 

- Cosa ci fai qui a quest’ora, Fullmetal? –

 

Ed detestava essere chiamato Fullmetal.

Ma in momenti come quelli suonava persino rassicurante, anche se Ed non pensava mai volentieri all’eventualità che fosse così perché a chiamarlo in quel modo era lui.

 

- Colonnello. –

 

Si sentiva uno stupido. Un maledetto poppante con la faccia gonfia e il moccio al naso.

Ma non era colpa sua, maledizione, non era colpa sua.

 

- Uhmpf. Vieni dentro, dai. –

 

Era strano pensare che il colonnello Mustang vivesse da qualche parte che non fosse il suo ufficio, fra le sue scartoffie contorte, la sua scrivania sempre uguale a sé stessa, le sue cose consuete e familiari. E invece aveva una casa, come ogni comune mortale di questo mondo, una casa da single, non particolarmente grande, e nemmeno ordinata. Aveva una cucina grande, con dei finestroni enormi, una camera piuttosto spoglia, di quelle che capisci alla prima occhiata essere la stanza meno vissuta della casa, una sala, un bagno con la doccia, per far prima la mattina probabilmente. E una camera per gli ospiti. In assoluto la stanza che dava di più da pensare, perché a chiunque, davvero a chiunque sarebbe suonato improbabile che il colonnello ricevesse mai degli ospiti. Chissà che la sua non fosse una sorta di predisposizione scaramantica, in vista del giorno in cui, chissà, qualcuno sarebbe andato a trovarlo. Brutta bestia schifosa, la solitudine.

 

Edward entrò a passo spedito, superando l’ingresso senza pensare nemmeno per un momento al cappotto, o a qualsiasi cosa riguardasse le formalità.

Roy lo seguì in salotto senza scomporsi, e con un cenno gli indicò il divano basso e morbido, di pelle, un po’ vecchiotto.

 

- Di nuovo in crisi? –

- Oh, chiuda il becco. –

- E’ già la seconda volta in questo mese. Tuo fratello si preoccuperà. –

- Basta! Zitto! –

 

Edward lo minacciò con gli occhi arrossati dall’astio e dalla collera. Ma Roy Mustang non era tipo da lasciarsi fermare da un così insignificante tentativo di liberarsi del suo sguardo inquisitore.

 

Ed si accucciò su sé stesso, cercando di difendersi da lui, dal suo silenzio pregno del rumore soffuso del suo respiro adulto, lo stesso respiro che gli metteva addosso i brividi, quando si avvicinava troppo, valicando il sottile filo rosso, di lana cotta, che lui aveva prudentemente teso sul confine del suo cuore e della sua coscienza, per segnalare un territorio minato e instabile. Ma Roy passava oltre con lo sguardo fisso in avanti, ogni volta, ignorandolo e facendogli vedere la sua barriera per ciò che era: solo un misero filo di lana rosso.

E i brividi, quei brividi, ogni volta che oltrepassava il confine, lui li sentiva anche attraverso l’acciaio.

 

- Sono stanco. –

- Lo so, Fullmetal. –

- No, no. Non lo sa. –

 

Non lo sai, Roy. La mia stanchezza è come una malattia.

 

- Credi che la accetterò come giustificazione? –

 

Ed si mordicchiò l’interno del labbro inferiore e aggrottò le sopracciglia, formando sulla fronte due o tre linee leggere e labili.

 

- Sono un tuo superiore. Se ti dico di non arrenderti, sei tenuto a farlo. –

- La prego. Ti prego. Fammi il favore. –

 

Roy sospirò, ammettendo il fallimento del suo primo approccio. La tecnica urto aveva effetto immediato sull’orgoglio di Edward, quando funzionava, ma Ed raramente si rivolgeva a lui, se la sua crisi constava solo in un po’ di desolazione superficiale, un momento di sconforto naturale e passeggero.

Tutte le volte che se lo vedeva comparire alla porta di casa, piccolo nel suo cappotto pesante, piccolo con il suo braccio ostinatamente coperto e nascosto, ai suoi occhi innanzitutto, piccolo ed orgoglioso nella sua compostezza disperata e dignitosa, Roy sapeva che lui era lì per avere una cura, era lì per pretendere una soluzione, una certezza, un miracolo.

Ma tutto ciò che lui aveva da offrirgli erano i suoi giochi di fuoco, tanto belli e caldi quanto, in ultima analisi, inconsistenti.

 

- Sei solo un bambino, Fullmetal. –

 

Edward fu scosso dal brivido gentile del tono triste e roco del Colonnello. Come quello di un padre, come quello di un fratello che una volta tanto facesse sentire lui quello minore, quello da proteggere e da rassicurare.

Senza dire una parola, gli si fece vicino, e gli abbracciò la vita. Roy lo strinse e gli sospirò fra i capelli, scompigliando i pochi che erano sfuggiti alla sua treccia e facendoli danzare per qualche istante sulla sua testa.

 

E in quel momento, Ed avrebbe voluto essere un po’ più piccolo, piccolo abbastanza da credere ancora nei fantasmi. Per poter chiedere a Roy di cacciarli via, e sentirsi rispondere che i fantasmi, piccolo Ed, non esistono.

 

Il braccio di metallo stridette leggermente, mentre Ed lo affondava di più.

 

Perché a volte, sai, fa davvero tanto male.

 

Roy riuscì a percepire distintamente il suo sforzo per cercare di sentire qualcosa, sentì il suo tentativo di accarezzarlo, di avvertire il calore e la consistenza della sua camicia e del suo corpo sul suo automail.

Riuscì a seguirne passo dopo passo l’inevitabile, dolorosa resa.

 

- Non sento niente. –

- Sei solo un bambino, Fullmetal. –

 

Chissà come mai, a Ed non faceva un effetto particolare sentirsi chiamare bambino dal Colonnello, in quella situazione. Lo faceva spessissimo, quasi tutte le volte che lui andava a trovarlo perché non aveva più nemmeno la forza di far finta di averne, e non aveva più voglia di combattere, di cercare, di bruciarsi gli occhi sui libri, pagina dopo pagina, fallimento dopo fallimento, e allora tutto ciò che gli restava era lui, era sempre lui. Era il colonnello Mustang, era il Flame Alchemist, era Roy.

 

- Lo so. Sono solo un bambino. –

 

Ma non era colpa sua.

A ben guardare, lo era sempre stato, non era mai davvero cresciuto, da quel giorno di tanti, troppi anni prima.

 

- Nemmeno questa è una scusa accettabile, Edward. Sai benissimo dove cercare la forza di andare avanti, se vuoi. –

 

Già, Al.

Edward strinse la mano destra di Roy, priva del guanto, e lasciò che le dita di lui, tanto più grandi e forti, e adulte, consolassero la sua unica mano di carne.

Era persino difficile cercare di capire che genere di rapporto li legasse, era impossibile dare un nome a ciò che nasceva fra loro in quei momenti di pace malinconica, e malinconica solitudine, quando le ore trascorrevano senza far rumore sul divano della casa di Roy, basso e morbido, di pelle, un po’ vecchiotto. E loro parlavano poco, si toccavano con pudore e bisogno, Roy cercava di scaldarlo un po’, di rimetterlo in piedi, di oliare il metallo perché sembrasse un po’ meno artificiale, e lui in cambio cercava di medicare ferite che nemmeno sapeva se esistessero, dove fossero, e quanto potessero far male.

 

- Strappami il braccio, Roy. E anche la gamba. –

- Smettila. Non ti priverei mai del piacere di farlo tu stesso, quando sarà tutto finito. –

- Non credo… -

- Quando avrai trovato la soluzione. –

- Ma forse… -

- Quando ce l’avrai fatta. –

- Roy… -

- Quando tutto tornerà normale, e tu sarai riuscito a ridare a tuo fratello il suo corpo, e a riprenderti ciò che manca a te. –

 

Roy aveva un modo tutto suo di zittire il suo pessimismo. Un modo efficace, doveva ammetterlo.

Si sentiva già meglio.

Chissà se era per le sue parole, dette con militaresca durezza, o per la sua mano ancora stretta, o per il suo corpo che emanava un calore mite, ed un odore leggero e pulito e rilassato, che lavava via tutte le colpe, vere o presunte che fossero.

Chissà se era davvero grazie a Roy Mustang che tutto questo succedeva, però Ed sapeva che ogni volta che andava da lui, i suoi arti di metallo smettevano di stridere e cigolare come trappole per topi.

 

Chissà, poi, se era un merito di Roy, o piuttosto una sua colpa.

 

- Vieni qui. –

 

Ecco, ora veniva il momento dei baci. Erano baci strani, i loro, lo erano sempre stati. Cominciava sempre Roy, era lui che faceva il primo passo e guidava quelli successivi. E questo non significava che Ed non lo volesse. Almeno, non più.

I primi tempi, le primissime volte in cui Edward si era presentato a casa sua, alla ricerca di uno sfogo, alla ricerca di qualcuno a cui poter dire che odiava quelle maledette protesi, e odiava sé stesso, e tutto quanto, e maledizione, basta, non ne poteva più, quei pochi baci che c’erano stati erano venuti naturali, ma allo stesso tempo Ed li aveva avvertiti come una sorta di pedaggio inevitabile, un dovuto dare in cambio.

 

Poi c’era stato un pomeriggio in cui era da solo in camera sua, perché Al stava rovistando per conto suo fra qualche libro raccattato chissà dove, e improvvisamente si era ritrovato a toccarsi le labbra, e a pensare.

E da quel momento i baci di Roy si erano trasformati da un peso ad un motivo in più per andare da lui, quando la spalla di acciaio cominciava a cigolare sotto il peso di troppe responsabilità.

 

Un motivo sempre più urgente, più pressante, più fisico.

 

- Vorrei essere capace di aggiustarti, Fullmetal. –

 

Roy lo mormorò fra un bacio e l’altro, con la sua voce così strana, solenne e malinconica, vorrei esserne capace, vorrei poterti aggiustare, Edward, vorrei davvero. Vorrei essere io a farlo.

 

Ed singhiozzò per la sorpresa, e perché no, per l’imbarazzo. Mustang non gli aveva mai detto niente del genere prima, niente che somigliasse così tanto a parole di comprensione autentica, di condivisione. Si sentì alleggerito e sollevato, stupidamente, come se Roy gli avesse appena promesso di farsi carico di tutti i suoi problemi, come se gli avesse appena offerto il suo braccio e la sua gamba in cambio delle sue ferraglie, e ritrovò la forza, quel po’ di forza che gli serviva, per confessare fra i sussulti della sua voce rotta il suo crimine senza colpa, la sua speranza ingenua ed egoista.

 

- Allora aggiustami. Aggiustami, Roy. Ti prego. –

 

Roy gli sfiorò la punta del naso con il suo, sigillando la sua promessa.

 

- Sai una cosa, stupido Fullmetal? Ogni tanto dovresti provare a passare di qui anche quando non sei in crisi nera. –

 

Edward rabbrividì senza troppa discrezione. La bocca di Roy lo aspettava a pochi centimetri di distanza, senza mettergli fretta, e lui si appoggiò sul suo automail per raggiungerla. Così potè avvolgere l’altro braccio attorno al collo di Mustang e sentirlo, almeno con quello, sentirlo bene, sentirlo caldo e umano.

 

- Chiama tuo fratello. Digli che non si preoccupi, digli che resterai fuori a dormire, stanotte. –

 

Ed annuì senza fare domande. Non ce n’era bisogno, e in ogni caso ce ne sarebbe stato tutto il tempo. Si alzò, Mustang gli indicò il telefono e lui lo raggiunse, lo sollevò, compose il numero e aspettò di sentire la voce di Al all’altro capo. Gli parlò in modo rassicurante, come sempre, gli disse che non sarebbe rincasato senza aggiungere altro, senza includere spiegazioni di sorta.

Salutò, un sorriso, buonanotte Al, e mi raccomando, poi riattaccò.

 

E tornò dal colonnello per farsi abbracciare, per farsi dare ancora qualcosa, per ascoltare i rumori regolari del suo corpo nel silenzio della sua casa, sul suo divano basso e morbido, di pelle, un po’ vecchiotto.

Cercò un po’ di pace, per sé e per lui, e per quel loro segreto indefinibile e pudico, quel loro amarsi inconsistente, quel loro accettarsi passivamente, come una punizione l’uno per l’altro, e come una redenzione, come una condizione necessaria ed imprescindibile al loro voler essere a tutti i costi umani, umani nonostante tutto.

 

E questa non poteva essere una colpa.

 

Si lasciò andare alle carezze che Roy gli stava dedicando ad occhi chiusi, percependo la consistenza diversa dei loro mondi, separati da quelle cose strane che chiamano anni. Lui si sarebbe fermato anche lì, ma Roy aveva un corpo adulto da nutrire, aveva esigenze più spinte e più profonde, bisogni e stimoli che lentamente, volta dopo volta, stavano cominciando ad infettare anche lui con il loro potere infame di far scordare ogni cosa, per qualche immenso secondo, ogni singola cosa di questo pianeta che non fosse Roy, il viso di Roy, le mani di Roy, la sua pelle che si arroventava e si contraeva inseguendo una chimera sensuale.

 

- Hai la testa così piena di pensieri che ti si leggono negli occhi. –

- Lo so. Ma tanto non è nulla di importante. –

- Tuo fratello Alphonse? –

- No, no. –

- I tuoi automail? –

- … -

- Ricerche? –

- Colonnello Mustang? –

- Uhm? –

- Che cosa penseresti se ti dicessi che stavo pensando a te? –

- Beh, penserei a un po’ di cose. Una quantità non indifferente di cose. Ma poi credo che finirei con il dirti poco più di niente. –

- Capisco. –

- Hey, Edward. –

- Cosa. –

- Ti prometto che troverò il modo. E un giorno riuscirò ad aggiustarti. –

 

Edward annuì senza crederci troppo.

No, bugia.

La verità è che non voleva crederci, non voleva illudersi, non voleva rischiare di proiettare su Roy la sua disperata incapacità di arrendersi a quella sua vita a metà.

 

- Però, Fullmetal, quando ci sarò riuscito, tu dovrai restare con me. Non ti premetterò assolutamente di andartene. –

- Tanto non avrei nessun altro posto dove andare, nemmeno dopo. –

 

Non del tutto vero. ma non c’era nessun altro posto al mondo dove sarebbe voluto andare, questo sì. Nessun posto al mondo lontano da Roy, perché il fatto era che Ed non poteva dirsi certo che, anche dopo aver risolto ogni cosa con Al e con sé stesso, lui non avrebbe più avuto bisogno di una valvola di sfogo per i suoi momenti bui.

Ed era soltanto una questione di tempo, prima che il suo egoistico bisogno della maturità e dell’esperienza del Colonnello passasse in secondo piano. Sarebbe diventato adulto anche lui, e allora Mustang avrebbe cominciato ad assumere un ruolo diverso nella sua vita, più profondo e radicato, meno pratico.

Meno àncora di salvezza, più umano abbraccio.

E comunque, fino ad allora, lui avrebbe continuato a cercarlo, e ad usarlo come un cuscino di piume da stracciare e sbattere ovunque per dar sfogo alla sua voglia di cambiare le cose. E Roy avrebbe continuato ad aprirgli la porta, ad ospitarlo sul suo divano basso e morbido, di pelle, un po’ vecchiotto, e ad offrirgli un riparo sicuro per una notte, un’altra effimera notte.

Perché le cose stavano così, così e basta.

 

Non era colpa sua.

E nemmeno di Roy.

 

Non era colpa di nessuno.

  
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