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Autore: Gelidha Oleron    10/12/2012    1 recensioni
Ventitré come i miei anni.
Ventitré come le stagioni in cui ero stato lontano dalla mia Sophie.
Ventitré come i passi che feci per raggiungere l'indegno.
Ventitré come i secondi che mi separavano dalla morte.
(CP9: KAKU.)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaku
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Soqquadro. L'isola giudiziaria era stata messa a soqquadro.

I lumacofoni impazzavano, i marines urlavano, tutta l'organizzazione ci stava velocemente sfuggendo dalle mani. 

E mi sembrò per un attimo di essere caduto al centro dell'inferno, con quei dannati allarmi che non la smettevano di trapanarmi le orecchie e quell'assurda fretta di mettere tutto a tacere.

Enies Lobby bruciava come Kodama molti anni prima. A provocare il tumulto erano stati, anche questa volta, degli sporchi pirati.

A quante stragi un uomo deve assistere, per sentirsi realmente tale?

Spandam si portò le mani ai capelli e quasi li strappò, infuriato "UCCIDETELI! NON ABBIATE NESSUNA PIETA'!" dopodiché ci consegnò delle chiavi che sarebbero servite a confondere la ciurma di Cappello di Paglia, sotto lo sguardo spaventato della prigioniera.

"E' inutile che ti dai tante arie, naso squadrato" mi distrasse Jabura "Fukuro avrà anche detto che sei più forte di me, ma è tutto da vedere"

Gli risposi con un ringhio, ma nello stesso istante io e Califa fummo richiamati dal capo "Ho un regalo per voi, ragazzi" ci mise di fronte due frutti del diavolo colorati che sembravano tutto fuorché buoni.

"Un frutto del diavolo?" ripetei pensieroso "Non ci avevo mai pensato..."

"Che aspetti a mangiarlo?" mi rivolse un gran sorriso Spandam, come a voler dire 'così potrai proteggermi meglio', ma io feci finta di niente.

Quello che avevo sentito dal balcone della Torre della Giustizia mi aveva aiutato a capire che per sconfiggere quei pirati sarebbe stata necessaria una spinta in più: quei matti, infatti, erano riusciti a raggiungere l'isola nonostante il mal tempo e ora si ritrovavano a dover combattere contro l'intero governo mondiale solo per salvare una loro amica.

La mia considerazione di quella ciurma di scalmanati oscillava tra gli incoscienti e gli stupidi.

Il loro cecchino aveva addirittura bruciato la nostra bandiera e il capitano aveva fatto uscire la vita da Nico Robin: "IO VOGLIO VIVERE!" erano state le angoscianti parole della ragazza, in preda alle lacrime.

Non capii se si trattasse di un piano premeditato o semplicemente di una donna che decide di sacrificarsi per salvare chi ama ma che, inevitabilmente, è salvata a sua volta. Erano pur sempre criminali, in qualsiasi caso.

Seppi con certezza che ciò che stavo vivendo era molto potente: per via informativa, lavorativa ed emotiva.

Insomma, Nico Robin: i tuoi amici devo desiderarti almeno quanto il governo stesso, se hanno deciso di scavalcarci tutti pur di riprenderti insieme a loro.

Erano arrivati anche gli amici di Cutty Flam, il quale però aveva appena dato fuoco ai progetti di Pluton.

Volete la guerra? E guerra sia.

Mentre i pirati mettevano a ferro e fuoco l'isola, io mi ritirai nella mia stanza e provai i poteri appena acquisiti: sentii un lieve formicolio all'altezza della nuca, dopodiché prese atto la trasformazione: alta, imponente, agile e scontrosa, ero diventato un'enorme giraffa.

Immediatamente, un pensiero deluso mi attraversò la mente: Lucci si trasformava in un leopardo, Jabura in un lupo...perché la giraffa era toccata a me? 

Decisi di non pensarci, anzi, di sfruttare al massimo le possibilità che quella mutazione poteva offrire e mi chiesi invece quali poteri avesse acquisito Califa.

Tornai alla mia forma naturale e mi accomodai nella poltrona davanti al camino: neanche un attimo di attesa, che arrivò subito uno di loro con aria minacciosa "Tu hai una chiave che potrebbe aprire le manette di Nico Robin, vero?" fu con mio immenso piacere che mi ritrovai di fronte Roronoa Zoro, lo spadaccino "Dammela, sennò ti faccio secco"

Mi voltai verso di lui e sorrisi beffardo "Oh, andiamo! Mi è dispiaciuto quella volta alla sede della Galley Company di non aver potuto vedere le tue qualità" confessai, dopotutto combattere contro una taglia come la sua avrebbe fatto gola a chiunque "Ma sai...non mi aspettavo certo che dei pirati fossero in grado di arrivare fin qui" fui di nuovo sincero.

Era quasi una fortuna che fossero riusciti a raggiungerci, si prospettava una battaglia molto interessante.

I suoi occhi si fecero più rabbiosi e riuscii a percepire il tintinnio delle sue spade impazienti "Sta' attento, perché adesso sono più forte di quella volta"

"Sì, ti credo" risposi cordiale "Sento la tua energia. Sei come una creatura selvaggia, ti reputo un uomo molto temibile" afferrai le armi ai lati della poltrona, a metà tra l'adulatore e lo scontroso, e mi preparai ad entrare in guerra "Tuttavia, ti avverto che sono il miglior spadaccino della CP9: non mi sottovalutare" cominciai a far roteare le spade, fino a creare delle lame invisibili.

"Tecnica a due spade?" chiese conferma, lievemente disorientato.

Risi "Veramente a quattro" e colpii con ferocia.

Battermi con Roronoa Zoro si rivelò una delle cose più avvincenti che avessi mai fatto: il giovane era sfrontato, coraggioso, la mia stima nei suoi confronti cresceva ad ogni attacco. 

Diedi il meglio di me, come di consueto, nonostante i commenti sarcastici di Jabura che, malauguratamente, avevo trovato nella stanza in cui eravamo precipitati dopo essermi tramutato in giraffa "Kaku, grandioso il tuo potere!" era scoppiato a ridere sguaiatamente, seguito a ruota da quello stupido ragazzino che doveva essere il cecchino di Cappello di Paglia "Eccezionale!" 

Infastidito, offeso e troppo orgoglioso per dargliela vinta, decisi di dare una dimostrazione del potere distruttivo della giraffa "Amanedachi!" e in quattro e quattr'otto tagliai in due la Torre della Giustizia.

Non riuscivo ancora a controllare alla perfezione il mio nuovo corpo, ma la mia professionalità mi permetteva di trarre a mio vantaggio anche gli imprevisti "Lascia perdere, ragazzino. Non puoi battermi" 

Lo spadaccino persisteva, continuando imperterrito a schivare colpi e a lanciarne di nuovi, sembrava davvero che le sue motivazioni fossero delle più forti. Per un momento, mi ricordò terribilmente me stesso qualche anno prima: durante l'addestramento, andavo avanti con la stessa invidiabile ambizione ed era stato proprio grazie a quest'ultima che mi trovavo dov'ero adesso: non avrei permesso ad un piccolo pirata di sconfiggermi.

"La pagherete cara" sentenziai velenoso, ricorrendo alla necessaria formazione della violenza verbale, da utilizzare per indebolire moralmente l'avversario. Non era una delle tecniche che preferivo: mi faceva peccare di arroganza e di superiorità, ma dopotutto era questo che mi aveva sempre indottrinato Rob Lucci.  

Per di più, in una situazione come quella, non mi sarei fatto scrupolo ad usarla "La pagherete cara voi e la vostra amica Nico Robin, in nome della giustizia!"

Fu la goccia che fece traboccare il vaso: s'iniettarono di sangue gli occhi di Zoro, come due fuochi ardenti mi minacciarono di morte e il suo corpo divenne improvvisamente ambiguo.

Sgranai gli occhi: erano davvero tre teste quelle che avevo visto?

"La determinazione, se è sincera, può travolgere qualsiasi avversario" fece sdegnoso, saltando in aria e preparandosi a scagliare un attacco che avrebbe segnato la mia fine "Asura Ichibugin!"

Fu un istante...

Grigio, grigio davanti agli occhi e nell'anima. Di un grigiore cupo e tetro che mi avvolgeva e mi voleva fare sua preda. Niente più davanti alla vista, semplicemente un profondo dolore lungo tutto il corpo e una caduta al suolo morbida, stanca e sconfitta.

Asura, è dunque questo il nome del demone che prenderà la mia vita?

Tutt'a un tratto, mi sembrò che il tempo si fosse fermato: era finito il tempo degli scontri, ora era il momento di godersi questa tregua momentanea e arrendersi all'evidente, seppur incredibile, superiorità di quei ragazzi.

Era finita, era finita per davvero.

Non c'era più niente: solo il rumore del ruscello della stanza di Jabura, le mani insanguinate sul prato fresco e l'affanno del vincitore, il quale si apprestava a togliersi la stoffa verde dalla testa, mormorando pacato "Ho un messaggio per te da parte di Paulie, il capo della Galley Company"

Annaspai sentendo quel nome, ma ogni mio respiro risultava difficile, ostacolato dal sangue, dalla stanchezza e da inguaribili tormenti "Mi dispiace, ma sei stato licenziato"

Poi vennero ad illuminarmi il viso i raggi del sole filtrati attraverso la torre tagliata. Avevo distrutto io quell'edificio, come avevo distrutto migliaia di altre cose...

"Vi ho sempre considerati amici, dei meravigliosi compagni, persone di cui potevo fidarmi!" 

Tornarono a scalfirmi la memoria le parole di Paulie, intrise di dolore e delusione, parole che non avrebbero dovuto avere effetto alcuno sul cuore cinico di un assassino, ma che proprio non riuscivo a neutralizzare: non voleva andarsene dalla mia testa l'immagine della sua espressione affranta, quella sera nella stanza del Signor Iceburg

Piangeva, Paulie, piangeva come un bambino, constatando che a guardia della camera c'erano solo due pupazzi e che i cattivi eravamo noi: probabilmente si era visto crollare il mondo addosso, forse aveva pensato che i suoi amici erano morti e che le persone che aveva conosciuto durante quei cinque anni non esistevano nemmeno.

Non pensare che la nostra amicizia sia stata una farsa, amico mio. Faceva parte del piano, ma non era mia intenzione. 

Quello che hai visto a Water Seven era Kaku in tutto e per tutto: era Kaku che ti dava di gomito quando Iceburg si metteva le dita nel naso, era Kaku che ti diceva di piantarla ogni volta che ci andavi giù pesante con il gioco d'azzardo, era Kaku che trascorreva con te gli assolati pomeriggi al cantiere e con cui ridevi per le sciocchezze più banali.

"E' così che ha detto Paulie? Certo, non posso fargliene una colpa..." 

Perdonami, amico mio, se puoi...

"Ma purtroppo se sei un killer, non ci sono molti altri lavori che puoi fare"

Mai più mi chiameranno Vento di Montagna, mai più i bambini m'indicheranno, mai più potrò saltare nel sole su quei meravigliosi tetti...

"Però potresti sempre provare in uno zoo" sdrammatizzò Zoro, evidentemente accortosi del mio essere assorto.

"Niente male" mi sforzai di sorridere, ma ciò che avrei voluto veramente fare era piangere, piangere a dirotto e senza vergogna, liberando tutti i rimorsi che si stavano prendendo gioco di me e che ora mi danzavano davanti agli occhi come dei sogni infranti.

"Questa è davvero buona" allungai la mano ferita e gli consegnai la chiave numero cinque. Dopotutto, se l'era sudata.

Eccomi, papà. Sto venendo a riabbracciarti. ©

 

 

 

 

 

 

Ebbene, spero di essermi fatta perdonare almeno un po’ per la figura di merda  per il capitolo precedente! Rileggendolo, ho avuto l’impressione di aver, come si dice dalle mie parti, arronzato parecchio…però, come vedete, ho cercato di rimediare J

Stavolta mi sono preparata proprio bene: ho rivisto gli episodi dello scontro tra Kaku e Zoro e ho riportato le stesse parole. Spero, essendo una missing moment e una delle scene su cui si scrive tanto, di essere stata abbastanza personale. Ma ovviamente a voi l’ardua sentenza!

Questo capitolo mi ha presa così tanto che ora sento di portare addosso anch’io un po’ di tristezza di Kaku! L’ultima frase, naturalmente, è il suo pensiero credendo che sia giunta la sua ora.

Però la storia non finisce qui, eh u.u

 

 

  
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