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Autore: Alice Morgan    10/12/2012    2 recensioni
La diciassettenne Ariel Green non ha mai creduto di essere una ragazza normale. Perché Ariel, dopo la perdita del padre, è venuta in possesso di un potere terribile ed oscuro: percepire la morte imminente di chi le sta a fianco. Per le vie sporche e strette che si srotolano dal centro cittadino, negli ospedali e persino sui mezzi pubblici … ogni volta che qualcuno sta per morire, lei lo sente. E non può fare nulla per fermarlo. Fino a quando, un giorno, un terribile presentimento fa tremare ogni singola cellula del suo corpo e la lascia senza fiato. Per la prima volta la Morte non sembra cercare nessuno. Perché, questa volta, la Morte vuole lei.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5 – prima parte
Fuoco e fiamme

 

Se un uomo non ha scoperto nulla per cui vorrebbe morire, non è adatto a vivere.
Martin Luther King
 

Le lancette del campanile accanto alla scuola segnavano le otto in punto, mentre Ariel attraversava il cortile di ghiaia, abbozzando passi scoordinati verso l’atrio ormai privo di studenti. Le possibilità di arrivare - almeno una volta - in orario sfumarono insieme alla consapevolezza che quella mattina non avrebbe potuto interrogare nessuno degli amici di Zac e scoprire dove si fosse cacciato. Si sarebbe dovuta accontentare del pomeriggio.
Entrò nell’aula di trigonometria proprio mentre il professor Campbell finiva l’appello.
«È un piacere che si voglia unire a noi, signorina Green», disse l’insegnante, con fare ammonitore.
«Mi scusi», balbettò la ragazza, mentre prendeva posto in uno degli ultimi banchi, decine di occhi improvvisamente puntati su di lei, quasi fosse in balia di un occhio di bue.
«Gradirei che domani mi portasse una giustifica», continuò l’uomo.
«Certo».
Il professore drizzò le spalle e prese a schiarirsi la gola. Le rughe d’espressione sul suo volto lasciavano trapelare una forte emozione, un misto di preoccupazione e aspettativa , e Ariel non poté fare a meno di chiedersi cosa – o chi – ne fosse la causa.
La ragazza si fece scappare uno sbadiglio, mentre attorno a lei i suoi compagni si scambiavano le ultime battute prima dell’inizio della lezione. Incredibile quanto ci si possa sentire soli in una stanza affollata.
La voce di Campbell ruppe quello scrosciare incessante di mormorii, zittendo la classe.
«Ragazzi», parlò. «Vi prego di prestarmi almeno cinque minuti di attenzione, prima che la lezione di trigonometria vi faccia addormentare, più di quanto non lo siate già questa mattina».
Alcuni ragazzi accanto ad Ariel ridacchiarono e, forse, avrebbe potuto sorridere anche lei se solo fosse stata dell’umore. Invece di ascoltare quello che aveva da dire l’insegnante, concentrò la sua attenzione sulle scritte incise maldestramente nel legno del suo banco, constatando quanto fosse ingente la quantità di dediche d’amore riportatevi. La ragazza si domandò il perché di tanto disturbo: non si capacitava del motivo per cui la gente sentisse il bisogno di gridare al mondo di amare qualcuno.
L’amore non fa rumore. L’amore è silenzioso, non ha bisogno di parole o di dediche scalfite in malo modo. L’amore non è superfluo, eppure in quella scuola parevano avere tutti la necessità di fare più del dovuto, di mettere in scena l’ennesima commedia sentimentale. Si promise che, quando – e se – si fosse innamorata, avrebbe conservato tutto quel pandemonio di emozioni per sé. Non vi avrebbe reso partecipe nessuno.
«Oggi è un giorno importante», dichiarò la voce del professore, giungendo quasi da lontano, un bisbiglio occultato dai mille brusii dei suoi compagni di classe che a quanto pare, proprio come lei, avevano deciso di ignorarlo. Era evidentemente felice, ma le motivazioni di tanta trepidazione le apparivano ignote. Poteva avvertire la stessa confusione nei profili distratti dei suoi coetanei. Probabilmente le loro menti erano tutte attraversate dal medesimo pensiero: era ora che Campbell se ne andasse in pensione.
«Ho l’onore di accogliere nel mio corso la campionessa nazionale delle olimpiadi di matematica», disse, picchiettando rumorosamente i polpastrelli in un applauso alla stregua del ridicolo, gli occhi che facevano a lotta per non far sgorgare lacrime di commozione.
Ecco svelato l’inghippo. Chissà perché, la ragazza non ne rimase stupita. Soltanto una cosa tanto sciocca aveva il potere di mandare fuori di testa il professore. Lo immaginava, la sera precedente prima di andare a dormire, mentre ripeteva lo stesso discorso decine di volte, onde non deludere le aspettative del nuovo genio matematico della classe.
Ariel, la sua concentrazione ancora volta a uno studio scrupoloso del piano del suo banco, poté a malapena percepire il respiro mozzato di decine dei suoi compagni, quando la novellina mise piede nell’aula.
«È un piacere averti con noi, Xena!», esclamò Campbell, il sorriso che metteva in mostra una fila di denti leggermente storti.
A quel punto Ariel non seppe trattenersi e dovette alzare lo sguardo per calamitarlo verso l’esile figura che apparteneva alla sua nuova compagna. Necessitava di sapere chi fosse stato tanto sfortunato da incappare in un nome così stupido. Eppure, di fronte alla ragazza dovette obbligarsi a non spalancare la bocca.
Per essere una che si chiamava in quel modo, di guerriera non aveva proprio nulla: sul viso diafano spiccavano due grandi ed innocenti occhi azzurri e, giusto per conferirle un’aria ancora più angelica, una cascata di capelli dorati le incorniciava i lineamenti delicati e perfetti. La sua bellezza era disarmante, al limite del disumano.
Xena, sottoposta allo sguardo indagatore di decine di occhi, abbassò lo sguardo, le gote che le si tingevano di un rosa tenue.
«Bene», proseguì Campbell. «Sono certo che ti troverai benissimo, qui», disse, ma pareva non esserne certo neanche lui. «Siediti pure dove vuoi».
La ragazza annuì timidamente e si fece largo in mezzo ai banchi scrutandoli alla ricerca di un posto libero.
Soffocando un’imprecazione, Ariel realizzò che, quello accanto al suo, era l’unico fra i soli due banchi rimasti vuoti. Non era brava a fare amicizia, il suo essere schiva non la faceva essere la compagna ideale e l’avere vicino la più – probabilmente - bella ragazza della scuola non avrebbe sicuramente giovato alla situazione. Pregò con tutta se stessa che non fosse una fissata con manicure e pedicure, mentre Xena, ignara di tutto, adagiava le sue cose sul banco a lei vicino e prendeva elegantemente posto sulla sedia.
«Ciao», disse.
«Ciao», rispose Ariel, sentendosi improvvisamente fuori luogo accanto ad una persona così fine ed incredibilmente affascinante.
«Piacere di conoscerti», fece quella, gli angoli della bocca carnosa che si incurvavano leggermente fino a plasmare un timidissimo sorriso. Ariel non poté fare a meno di notare quanto azzurri fossero i suoi occhi, con quelle iridi profonde quasi quanto l’oceano. Le sembrava persino vederle animarsi, squassate dalle onde che vi si celavano dietro. Eppure, rimase stupita nel trovare in mezzo a quel caos un tenue bagliore violaceo, che conferiva al suo sguardo un potere penetrante e allo stesso tempo tranquillizzante. Quelle iridi le ricordavano così tanto …
«Come ti chiami?», domandò, arrossendo un po’.
«Ariel», fece, alzando leggermente le spalle, come se la cosa avesse poca importanza.
«Che bel nome!».
«Mai quanto il tuo», ribatté lei, quasi senza pensarci.
Xena abbassò lo sguardo, mentre il viso le si imporporava violentemente.
Che idiota, si maledisse Ariel. Chissà quante volte i suoi compagni di scuola avevano avuto l’occasione di prenderla in giro per il suo nome e, adesso, ci si metteva pure lei con le sue constatazioni del cavolo.
«Ehm», riprese, sperando di rimediare a quella terribile gaffe. «Da dove vieni?»,  domandò, con la consapevolezza sempre più lampante di non essere per niente in grado di intavolare una conversazione.
«In realtà sono del posto. Ho sempre studiato da privatista, questa è la mia primissima esperienza a scuola», ridacchiò, quasi per schermirsi.
Oh.
Non seppe dire il perché, ma improvvisamente Ariel vide quella ragazza sotto una prospettiva diversa. E’ assurdo come la gente faccia così poca fatica a giudicare le persone. Xena poteva sembrare a primo avviso una biondina perfetta, probabilmente sempre sicura di sé e della sua bellezza. Eppure, osservandola meglio, sotto gli occhi chiari, le borse scure parevano evidenti, seppur celate da un velo di fondotinta. Le mani tremavano leggermente mentre cercava di farsi qualche amico, di non sentirsi sola ed emarginata, come probabilmente lo era stata fino a quel momento.
Ariel non era una gran chiacchierona, ma per quella ragazzina, così gentile e carina, avrebbe fatto uno sforzo. Era … okay. Come non lo era, invece, la maggior parte delle ragazze di quell’istituto. E il fatto che non si fosse ancora lamentata di qualcosa era da considerarsi alla stregua del miracoloso.
«Se studiare da privatista rende così intelligenti, probabilmente farei bene a ritirarmi, da questo liceo», disse, il tentativo di fare una battuta completamente rovinato dal suo tono di voce tirato e poco socievole.
Devo fare un po’ di pratica.
Xena, nonostante tutto, abbozzò un sorrisetto. «Se ti servono delle ripetizioni di trigonometria, io sono disponibile», si offrì.
Ariel si limitò ad annuire distrattamente, quasi dando la questione per persa. Temeva che per farle capire anche solo vagamente cosa fossero seno e coseno, ci volesse qualcosa di più che semplici ripetizioni.
Che so, tipo magia nera.
Per un momento ebbe la folle idea di chiedere a Mitch di farla diventare brava in matematica. Chissà se ci sarebbe riuscito … Già se lo immaginava con la sua stramba palandrana a scrivere con il gessetto formule di disequazioni impossibili.
Mmh … probabilmente si rifiuterebbe. Deve proteggermi e la trigonometria nuoce gravemente alla salute.
Il frusciare delle pagine la riportò al mondo reale, dove, in quel momento, Campbell aveva iniziato a spiegare e i suoi compagni, compresa Xena, aprivano il libro a pagina settantacinque.
Tirò svogliatamente il suo volume vecchio e ingiallito fuori dallo zaino e notò, non senza una punta di imbarazzo, che il testo della sua compagna era perfettamente intatto, in uno stato decisamente più decoroso del suo.
Il professore si cimentò in una lezione noiosa ed improponibile, quasi a non voler deludere le aspettative della nuova arrivata, mentre Ariel pregava affinché qualcosa ponesse fine alla sua vita seduta stante.
Durante il corso della spiegazione, notò più volte gli occhi chiari di Xena posarsi sui suoi, mentre un sorriso incoraggiante le spiccava gioviale sul volto, quasi volesse spronarla a tener duro: era ormai certo, quella ragazza le stava sempre più simpatica.
 

***

La giornata proseguì a rilento sino al suono della campanella dell’intervallo.
A quel punto, Ariel si costrinse ad assumere un’aria che non ricordasse l’espressione di una narcolettica e raccolse tutte le sue cose, mentre i suoi compagni facevano altrettanto e iniziavano a dirigersi verso la lezione successiva. Stava per salutare Xena, quando quest’ultima le porse un bigliettino. Su di esso spiccava la calligrafia di dieci elegantissimi numeri. «Nel caso in cui tu cambiassi idea», fece quella, gli angoli della bocca timidamente tirati all’insù. «Per le ripetizioni, intendo».
«Oh, grazie!», rispose e, questa volta, non dovette obbligarsi a ricambiare il sorriso.
 

***

Mentre saliva le scale che portavano all’ingresso, Ariel cercava le chiavi di casa imprecando sotto voce. Era passata da Tobia’s – il fast food in cui lavorava Zac – per chiedere informazioni sull’amico, ma la sua visita si era rivelata un totale fallimento. Pensò, non senza una certa nota di tristezza, che la sua carriera da detective era finita esattamente là dove era cominciata.
Aprì la porta con uno strattone e, nella fretta, non badò troppo all’ultimo scalino. La punta del piede non trovò terreno stabile e finì inevitabilmente per terra. Lo scontro delle ginocchia col pavimento la fece sussultare, mentre la borsa le cadeva dalle mani e tutti i libri si sparpagliavano con un sonoro tonfo .
Merda.
«Bell’atterraggio», fece una voce, evidentemente divertita. Ariel non dovette guardare per capire chi fosse.
«Taci, Mitch».
Si alzò barcollando e fece per rimettere le cose a posto quando notò qualcosa di strano. Un libro particolarmente lindo e intatto spiccava in mezzo agli altri, stropicciati e malconci. Lo prese tra le mani, rigirandone le pagine. Sulla prima era riportato il nome del proprietario: Xena Carter. L’ennesima imprecazione le uscì dalle labbra.
Tastando freneticamente le tasche del suo giubbotto, recuperò il bigliettino con le dieci cifre e compose il numero. Xena rispose al secondo squillo.
«Pronto?».
«Xena!», fece la ragazza, a mo’ di saluto. «Sono Ariel».
Dall’altra parte del telefono, la sua interlocutrice ridacchiò. «Accidenti, ci hai messo poco a cambiare idea!».
«No, non è per quello», spiegò l’altra. «Temo di aver scambiato accidentalmente il mio libro di trigonometria con il tuo».
Un istante di silenzio e, poi, il rumore del frugare in una borsa. «Hai ragione», rispose infine Xena. «Ho il tuo libro. È un problema se passo da te? Così te lo restituisco …».
«No problem!», fece Ariel e si cimentò in una breve spiegazione di dove abitasse e di come raggiungere casa sua.
Attaccò con un sospiro di sollievo. Per qualche strana ragione, si sentiva inquieta e terribilmente stanca, quasi quei pochi minuti di chiamata l’avessero prosciugata di tutte le forze.
«Chi stavi chiamando?», domandò Mitch alle sue spalle, facendola sobbalzare.
«Una mia compagna di classe», rispose osservandolo: ancora non si capacitava di quanto potesse apparire normale con quei vestiti addosso. «Per sbaglio, abbiamo scambiato i nostri libri di trigonometria. Sta venendo qui così ce li restituiamo», precisò.
Il ragazzo annuì distrattamente, quasi non gliene fregasse assolutamente nulla del libro. A chi importa di trigonometria, dopo tutto? «Hai scoperto qualcosa sul tuo amico?».
«Robert Collins non lo vede al lavoro da circa una settimana. Precisamente, da quando Zac ha preso l’influenza», disse, mentre un velo di inquietudine le attraversava gli occhi, appannandoli di lacrime. «Pensi che sia vivo?», domandò, senza un vero e proprio motivo.
«Non lo so», ammise Mitch. «Ma farò di tutto per trovarlo, te lo prometto».
E, per l’ennesima volta, le cellule del corpo di Ariel furono scosse da quella stessa certezza che aveva sperimentato da che lei e il suo Genio si erano incontrati: non era sola, era al sicuro e tutto sarebbe andato per il verso giusto. L’interagire con emozioni così positive, la sollevava da qualsiasi peso e tutto pareva trasformarsi in un gioco da ragazzi. Avrebbe voluto essere capace di esprimere a parole tutta la sua sorpresa e meraviglia nel trovarsi ad essere così spensierata, ma le frasi sembravano accavallarsi l’una sull’altra, incapaci di dare consistenza ad un pensiero coerente.
Il ragazzo fissò lo sguardo nel suo, certamente già a conoscenza di tutto, un piede portato in avanti e una mano tesa verso il volto di lei. Ariel si rese conto distrattamente di aver iniziato a piangere.
Il suono del citofono fece sobbalzare entrambi.
«Però!», disse la ragazza, improvvisamente imbarazzata. «Ci ha messo poco ad arrivare».
«Ci penso io ad aprire», fece Mitch. «Tu vatti ad asciugare il viso».
Quella stava per replicare, per dirgli che non era necessario, ma l’ondata di terrore che seguì la sua vergogna nell’ essere stata colta mentre piangeva, la paralizzò. Le ginocchia le cedettero mentre il suo corpo veniva percosso da brividi di terrore.
«Mitch!», gracchiò. Il Genio si voltò, la mano sulla maniglia pronto ad aprire la porta.
«Ariel?».
Ma probabilmente dovette percepire immediatamente quello che stava accadendo visto che sul suo volto si dipinse la stessa espressione nauseata che aveva la ragazza.
«È qui, Mitch!», riuscì a dire quella, quasi soffocandosi. «La Morte è qui!».
La risposta del Genio fu sovrastata dal rumore dei cardini della porta che saltavano in aria e dalle possenti lingue di fuoco e fiamme che inghiottivano imperturbabili la casa.
 
Note dell’autore:
Ho sempre meno scuse per giustificare il mio costante ritardo nella pubblicazione. La verità è che non avevo ispirazione e, a me – ahimè – l’ispirazione serve, altrimenti non riesco a scrivere nemmeno una sillaba. Oggi ho il cuore spezzato e, ironia della sorte, riesco a finire di scrivere la prima parte di questo capitolo. Ultimamente la vita non collabora. Dov’è finita la sua smania di voler cambiare le cose? Per me, rimane tutto lo stesso. #depressioneportamivia(?)
 
Bando alle ciance, parliamo della storia: finalmente un po’ d’azione uhuh. Ho deciso di aggiungere questa chicca alla storia pochi mesi fa, spero non vi spiaccia. Riuscirà Ariel a trovare Zac? Mitch la aiuterà? E chi è questa nuova e misteriosa ragazza che si è intrufolata nella vita della nostra giovane e balda protagonista? Scopritelo nel prossimo capitolo :) #stodelirandoloso
 
NEWS!
 
Probabilmente la prossima pubblicazione sarà una Slide Story completamente dedicata a Mitch. Affronterò l’episodio del suo incontro con Ariel dal suo punto di vista. Cosa ne pensate?
 
ANGOLO MINI SPOILER
[ATTENZIONE! STANNO PER SEGUIRE SPOILER PIÙ O MENO CONSISTENTI. SE NON GRADISCI LEGGERE, EVAPORA. DILEGUATI. SPARISCI. CAMALEONTIZZATI. INSOMMA, VEDI DI ANDARTENE].
SICURO? VUOI CONTINUARE? OH, BEH, SE LO DICI TU :)

 
All’interno del polso raggrinzito, spiccava flebile e rossastra una piccola macchia. All’inizio la ragazza pensò si trattasse di una leggera scottatura poi, però, osservandola meglio, ne dedusse il delicato disegno di una rosa: una minuscola cornice di petali si diramava dal fulcro del fiore in uno schema elegante e perfetto. «Cos’è?», domandò, più di una punta di curiosità della voce.
«Oh, questo?», rispose ***, indicando con il dito quella strana voglia. «Piccola mia, questo è il marchio»
”.

  
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