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Autore: _Dark Side    10/12/2012    8 recensioni
E' un ragazzo normalissimo. E' come se mi avesse attratto a se col solo potere dello sguardo. Lui non vive con la famiglia, perchè non ce l'ha. Lui non studia perchè non va a scuola e non corre in camera sua quando ha voglia di stare da solo, perchè non ha una casa. Lui è un senzatetto. Mi sono innamorata, tutto qui. Cosa importa se non può farmi vivere nel lusso o non potrà accompagnarmi a casa con una macchina? Non mi importa assolutamente nulla.
Genere: Fluff, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Cercai di bussare alla porta più forte che potei. Sarei stata lì fino a quando qualcuno non mi avrebbe aperto, anche se le mani iniziavano a farmi davvero male. Possibile che Verdiana non aveva messo un campanello? Sentii un altro urlo. Il cuore mi si straziò nel sentire quelle urla provenire dal mio ragazzo. Francesco non si meritava di soffrire. Poi, si spalancò la finestra del soggiorno e comparve il viso compiaciuto di Verdiana, la madre, se così si poteva definire, di Francesco.
 
«Eccoti, finalmente. La festa è finita, ma se vuoi, ancora un po’ di vino rosso è rimasto» Urlò lei ubriaca, attirando l’attenzione di un signore in bicicletta, che sfrecciò via a gran velocità, forse spaventato.
«Aprimi! Dov’è Francesco?» Urlai io cercando di mantenere la calma, ma senza riuscirci.
«Cosa ti importa ormai di un corpo esanime?» Quella donna sorrise. E proprio in quel momento, notai che sulla mano destra teneva un coltello dal manico nero come il carbone. Ed era sporco di sangue.
«Aprimi! Ho detto di aprirmi! Che hai fatto a Francesco? Apri o chiamo la polizia!» Sbraitai, completamente furente.
«E a cosa servirebbe? Tanto la polizia non potrà mai ridarti il tuo amore in vita»
E a quelle parole mi bloccai. Il sangue mi si gelò e con lui la saliva, in gola. Ero incapace di parlare, di muovermi, anche solo di pensare. Incapace di vivere. E Verdiana continuava a sorridere, talvolta a ridere proprio di gusto. Mentre io rimanevo lì, senza vita. Perché se era vero ciò che lei aveva appena detto, Francesco era…morto. Le ginocchia le sentivo troppo pesanti, così alla fine cedettero e mi accasciai a terra, completamente senza forze.
 
«Vuoi entrare? Ti ripeto, del vino rosso ancora ne è rimasto»
Ma non riuscivo proprio a muovermi. Stavo piangendo. E stavo anche grondando di sudore freddo. La testa iniziò a girarmi, tutto intorno a me si muoveva vorticosamente, senza sosta. Sempre più veloce. L’ultima cosa che vidi, fu Verdiana puntarsi il coltello sullo stomaco con entrambe le mani, e in seguito premette la lama fino in fondo. Sangue, molto sangue, si era suicidata. E ancora sulla faccia aveva quel sorriso beffardo. Poi, le mie palpebre, pesanti si chiusero.
 
Al mio risveglio, stavo distesa su un letto comodo e intorno a me i visi preoccupati di mio fratello e mia zia, scrutavano un macchinario accanto al mio fianco, che lampeggiava continuamente di una accecante lucetta rossa. Appena si accorsero del mio risveglio, mi abbracciarono facendo attenzione a non staccarmi un grosso tubo da dosso.
«Elisa…riesci a sentirci?» Urlò felice mia zia, ed io la sentii. Ma appena provai ad aprire la bocca, mi accorsi di essere paralizzata. Non riuscivo né ad emettere alcun suono, né a muovermi.
Gabriele, mio fratello, mi sorrise, prendendomi la mano, ma io non potevo sentire la sua stretta.
«Dottore! Dottore! Mia nipote si è risvegliata!» Urlò mia zia uscendo dalla stanza, in cerca del medico.
Comparve sulla porta un omone alto quasi il doppio di me, con la classica macchietta di sudore sotto le ascelle che traspariva dal lungo camice bianco. Trafelato, mi sistemò uno dei tubi che avevo attaccati e dallo sguardo, capii che no ero in pericolo di vita. Ma avrei voluto fare a mia zia mille domande. Perché ero lì, cosa era successo a Francesco, che ne era stato di Verdiana. Mille domande.
 
Passarono quattro settimane e due giorni. Mia zia guidava la sedia a rotelle sulla quale ero stata messa. Ormai avevo ripreso a muovere le braccia, parlavo abbastanza bene, ma le gambe non le sentivo ancora. Probabilmente avrei riacquisito l’uso degli arti inferiori nelle settimane successive, se non mesi. A casa, Gabriele e mia zia mi accudivano con amore. Il giorno prima di uscire dall’ospedale, seppi cosa accadde a Francesco. Verdiana, si era ubriacata e lo aveva ucciso. Poi si era tolta la vita. Ancora oggi, a distanza di anni, piango al ricordo dei momenti meravigliosi passati insieme a Francesco, alla prima volta che lo vidi, lì sulla panchina della stazione. A quando mi portò nella sua “casa”, o come lo chiamavamo noi “il calcinaccio”, alla sua prima volta a scuola e alla faccia che hanno fatto le femmine della mia classe nel vedere un ragazzo così bello come il Sole. Alla nostra prima volta, in quel divano letto a casa mia. Allo schiaffo che gli diedi quando, per l’equivoco della collana, litigammo in palestra. E a quel sorriso indimenticabile ogni volta che mi svegliavo e lo vedevo lì, che al mio fianco mi ammirava da ore mentre dormivo. Al suo “ti amo” sibilato che seguiva ogni nostro bacio. E a tutte le volte che, per paura di fare la cosa sbagliata, ci allontanavamo un po’, ma poi ritornavamo sempre uniti come non mai.
 
Del mio amore con Francesco, oggi rimane soltanto un piccolo biglietto. Lo stringeva nella mano, lo avevano trovato i poliziotti quando hanno analizzato la scena. Quando piango, seduta sulla mia sedia a rotelle, incapace di correre per sfogarmi, riguardo le foto scattate insieme a lui, quando eravamo felici, e stringo forte forte il biglietto. Come abbia fatto a scriverlo prima di morire non ne ho la minima idea, ma poi lo leggo, e ogni domanda si annulla. C’era scritto così:
 

“Sei felice? Io sì, Elisa. Sì perché ho vissuto questi pochi mesi con te. Sì perché sei riuscita a farmi apprezzare quella parte di me, il cuore, che non era in grado di amare da anni. Sì perché ad ogni tuo sorriso io vedevo il mondo intero, e ogni cosa che mi sussurravi prima di baciarci erano profezie d’amore. Ti prego, sii felice, perché se lo sei tu, lo sono anch’io. Anche se non ci sarò più quando stringerai questo biglietto tra le mani. Ti amo, Ely. Non dimenticarlo mai.”

  
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