CAPITOLO 2 – CHE HO FATTO
DI MALE NELLA
VITA?
“Conoscendoti,
avresti eretto una barriera attorno al palazzo dove abiti, pur di non
farmi
entrare. E poi – il viso del Barone si fece serio –
è una faccenda delicata,
dovevo parlartene in un luogo sicuro.”
“E
va bene, ti ascolto.” Dopotutto aveva fatto la strada fin
lì, che almeno quella
visita avesse un senso.
“Due
mesi fa Schloss Berth ha subito un furto.”
Oleander
si strinse nelle spalle: il maniero che ospitava
“Il
furto è avvenuto nell’ala nord.”
Aggiunse suo zio.
“Ah.
– La zona interdetta a pubblico e studenti e protetta da una
potente barriera
magica eretta da suo padre – Il vecchio perde colpi. E cosa
hanno rubato, una
stele runica?” chiese, in tono ironico.
“No,
il vaso di Pandora.”
Oleander
emise un fischio di sorpresa: bel colpo! Quel vaso era un pezzo
pregiato della
collezione di antichità dei suoi parenti.
“E
per la cronaca, tuo padre non sta perdendo colpi. La barriera magica
non è
stata infranta.”
“Questo
è impossibile. Non si può entrare in quella zona
ed uscirne impunemente con un
oggetto magico senza che la barriera non registri il passaggio, nemmeno
una
persona della famiglia può farlo. Sarà stata per forza neutralizzata
in qualche modo.”
“Ti
dico che non è così: la mattina Miss Roth ha
trovato una finestra della sala
spalancata e il vaso era scomparso, ma la barriera era
intatta.”
“Non
sarà stata una bravata di qualche allievo, per potersi
vantare dell’impresa con
gli amici?”
“Lo
escludiamo: i quartieri degli studenti sono stati perquisiti da cima a
fondo e
nulla è stato trovato. Abbiamo diffuso la notizia il
più possibile, nella
speranza che venisse ritrovato, così siamo venuti a sapere
che, poco dopo la
sparizione del vaso, si sono verificati alcuni strani incidenti nei
paesi
babbani vicini.”
“Strani
incidenti?”
“Elettrodomestici
ribelli, lampioni che cadevano al suolo senza motivo, porte e finestre
che si
chiudevano o aprivano all’improvviso.”
“Potrebbero
essere poltergeists.” Disse stancamente Oleander.
Sinceramente non capiva dove
suo zio volesse andare a parare nè perché le
stesse raccontando tutte quelle
cose. Lei aveva tagliato i ponti con Schloss Berth e la famiglia Von
Athala
molti anni prima, quando, undicenne, era partita dal Tirolo alla volta
dell’Italia
per frequentare l’Istituto
Mediolanensis
e non più era mai tornata a casa, neppure per le vacanze
estive. Al termine del
ciclo di studi aveva deciso di restare lì e trovarsi un
lavoro. “Insomma, io
cosa c’entro in tutto questo?”
“Il
Consiglio di famiglia si è riunito e ha decretato a
maggioranza che sarai tu a
cercare il ladro del vaso di Pandora.”
Nella
stanza calò il silenzio. Oleander sbattè le
palpebre più volte, cercando di
assimilare l’assurdità di quella richiesta e poi
scattò in piedi “NO! No e poi
no! Mi rifiuto! Mi rifiuto categoricamente!”
Le
urla della donna fecero saltar via la lunga penna d’oca dalle
mani di Magda.
“Oh, per tutti i protettori, quale sfacciataggine! Rivolgersi
a un Barone di
così alto lignaggio con quel tono.” La donna si
sistemò gli occhialetti sul
naso e storse la bocca in una smorfia di disapprovazione.
“Il
Barone è suo zio, saprà come prenderla.
Spero…” rispose Michele Cardano;
altrimenti avrebbe dovuto pensare a un controincatesimo per trasformare
un rospo
in un essere umano.
“Oleander
ti prego, calmati – Raginmund fece cenno alla ragazza di
sedersi – e ascolta
fino in fondo quel che ho da dirti.”
La
donna camminava nervosamente per la stanza “Oh no no no no!
Ho già ascoltato
fin troppo. Perché proprio io? Non puoi chiederlo a tuo
figlio?”
“Hans
si trova presso il Ministero della Magia Cinese per svolgere alcuni
affari per
conto della nostra scuola.”
“Tua
figlia?”
“Ilda
è incinta, partorirà tra due mesi.”
“Uhm…
ehm… Markus!” Oleander cercava disperatamente di
mettere insieme una lista di
tutti i suoi parenti, che avrebbero potuto occuparsi di quella rottura
al posto
suo.
“E’
in Transilvania per uno studio antropologico sui vampiri: deve
scriverci un
libro.”
“E…
quella mezza lontana parente di papà… quel cavolo
che è… e come cavolo si
chiama… Nerella…”
“Intendi
zia Norina? E’ morta tre anni fa.”
“Ops.”
“Ascolta
Oleander, so che i nostri rapporti non sono buoni…”
“Dì
pure che sono inesistenti. E poi io non sono
un’investigatrice, sono
un’artigiana!”
“Tuttavia
questa è una richiesta che viene dal Consiglio della tua
famiglia.” Insistè l’uomo,
come se questo giustificasse tutto.
“La
mia famiglia è morta vent’anni fa.”
Rispose glaciale la maga.
“Che
ti piaccia o no, tu non sei figlia soltanto di Ortensia Silvestre. Che
ti
piaccia o no, nelle tue vene scorre sangue Von Athala, anche se usi il
cognome
di tua madre. Che ti piaccia o no,
Oleander
era arrabbiata al punto che le veniva da piangere. Non vedeva quella
gente da
vent’anni, si era costruita una vita per i fatti suoi, non
gli aveva più dato
fastidio, non aveva mai chiesto aiuto, neanche uno zellino, aveva messo
da
parte i risparmi lavorando ogni estate per potersi mantenere da
sola… ed ora
arrivava quella imposizione… non ne avevano alcun diritto.
Non
riusciva a capire: perché proprio lei? Per poterla
sbeffeggiare ancora una
volta se avesse fallito? O forse si trattava di una faccenda di troppo
poco
conto perché un nobile membro della famiglia Von Athala si
scomodasse? Già,
sembrava che tutti avessero di meglio da fare! Ad ogni modo sentiva il
sangue
ribollire nelle vene. Deglutì un paio di volte, per
sciogliere il nodo che le
stringeva la gola e ripetè l’antica formula usata
per accettare gli incarichi
del Consiglio di Famiglia “Conscia dell’importanza
e del prestigio
dell’incarico affidatomi, ringrazio la mia famiglia ed
accetto. Come se poi
avessi altra scelta!” esclamò sprezzante. Infatti,
un membro della famiglia si
fosse rifiutato di pronunciare la formula di accettazione entro una
settimana
dalla richiesta, sarebbe stato colto da lancinanti dolori di pancia e
si
sarebbe ricoperto di pustole verdastre fintanto che non avesse cambiato
idea.
Si
alzò per lasciare la stanza, poi si fermò: aveva
sulle labbra una domanda… non
sapeva se era il caso di farla… “Tanto,
peggio di così…”
pensò infine.
“Zio
Ragin? Ti… ti ha detto di riferirmi qualcosa? E bada bene a
come rispondi,
perché questa volta userò la
legilimanzia.”
“No,
Oleander. Tuo padre non ha nessun messaggio per te.”
“Già,
lo immaginavo.” Uscì, raggiunse di corsa la sua
macchina e si sedette al
volante, esausta come se avesse combattuto contro un drago. Si
abbandonò contro
lo schienale del sedile e chiuse gli occhi “Oh insomma, ma
che ho fatto di male
nella vita?”
Il
preside Cardano rientrò nel suo ufficio e si rivolse al suo
ospite: “Barone,
lei è assolutamente certo che sia una buona idea affidare
una missione del
genere a quella ragazza? Non è un salto nel buio troppo
azzardato? Non per
offendere – insistè l’uomo –
ma ho avuto Oleander come studentessa per 8 anni e
non era nulla di speciale. Nella media, mai un’insufficienza,
ma non è mai
stata particolarmente brillante, tranne che per la creazione di oggetti
magici,
lo ammetto, lì è sempre stata insuperabile,
infatti è l’unica materia per cui
ha seguito il corso M.A.G.O. e ha preso E… ma comunque, quel
suo carattere
ribelle… mio dio! Al Ballo dell’ultimo anno
arrivò alle mani con una
studentessa dell’alta
nobiltà…” un brivido scosse il preside,
mentre ricordava
l’episodio che aveva coinvolto anche una allieva, figlia di
una famiglia di
maghi purosangue. “E se non ricordo male pure con la madre
successe un episodio
simile. – si asciugò il sudore dalla fronte
– E’ una maledizione! Se avrà dei
figli, spero non li mandi a studiare qui, il mio cuore non reggerebbe a
un
altro incidente.”
Il
Barone ridacchiò sommessamente “Già,
già. La volta del Ballo rischiammo davvero
l’incidente diplomatico! A Schloss Berth arrivarono delle
strillettere
fenomenali, mai visto nulla del genere: Miss Roth ebbe un esaurimento
nervoso.
Oleander è tutta sua madre, sangue latino e testa calda.
Ortensia Silvestre era
una donna impulsiva, passionale, esuberante. Non mi stupisce che mio
fratello
si sia innamorato follemente di lei e non mi stupisce che non riesca a
parlare
più con la figlia, che è il ritratto vivente del
suo amore perduto. Troppo
dolore. – agitò una mano nell’aria, come
a voler spazzar via la malinconia che
si era impadronita di lui – Per quanto riguarda le
capacità della ragazza non
deve preoccuparsi: le uve tardive danno un vino delizioso.”
“Eh?”
chiese l’uomo, che del discorso del Barone non aveva colto
né il senso né
l’utilità.
“No,
nulla, pensavo solo ad alta voce.” Rispose il Barone.
Due
giorni più tardi Oleander appoggiava sfinita la testa sul
tavolo della cucina, lasciando
ciondolare le braccia lungo il corpo e chiedendosi per
l’ennesima volta che
avesse fatto di male per meritarsi quell’incarico. “Devo aver commesso qualche orrendo
crimine in una vita precedente… del
tipo che sgozzavo ridendo un intero villaggio di indigeni inermi,
sennò non si
spiega!” La superficie del tavolo era invasa da
vecchi numeri della
Gazzetta del Profeta, mappe e cartine su cui aveva segnato luoghi e
appunti, rapporti
e denunce degli ospedali e della polizia babbana su diversi incidenti
apparentemente inspiegabili.
Esistevano
diversi vasi di Pandora nel mondo magico. In effetti quello era il nome
generico di un contenitore nel quale si metteva qualcosa di insolito o
pericoloso che non doveva essere usato; poteva dunque essere paragonato
ad un
sigillo. Quello custodito a Schloss Berth conteneva un potente liquido
in grado
di far muovere gli oggetti con cui veniva in contatto o conferire loro
poteri
magici. Ma poiché la sua origine era sconosciuta e neanche i
più grandi maghi
del passato erano stati in grado di controllarne pienamente gli
effetti, un
lontanissimo antenato della famiglia sigillò il liquido nel
vaso e ne proibì
l’utilizzo: da allora nessuno aveva avuto il permesso di
aprirlo, anche solo
per studiarlo e l’oggetto era stato esposto nella sala
dell’ala nord di Schloss
Berth. L’episodio veniva citato anche nel libro
“Storia della Magia in Europa,
Volume III – Il Medioevo”.
Il
ladro si era spostato dal Tirolo alla Svizzera, dove, due settimane
prima, le
sue attività erano cessate. Non sembrava avere un obiettivo
od un bersaglio
preciso, i suoi tiri mancini colpivano indifferentemente esseri magici
e
babbani, non lasciava messaggi né rivendicazioni ed anche il
suo percorso era
privo di qualsiasi logica apparente: il giorno prima terrorizzava con
pietre
rotolanti gli gnomi di una foresta, il giorno dopo faceva impazzire una
ruota panoramica
ad una festa popolare a trecento chilometri di distanza.
Era
un rompicapo: non ci capiva niente!
“Serve
una pozione ricostituente?” chiese suo zio, vedendola in
quella posizione.
“No,
basta questo: Accio caffè.” Agitò la
bacchetta facendo levitare vicino a sé una caffettiera
fumante. Dato che la
nipote non era in vena di chiacchierare, fece per andarsene, ma lei lo
fermò
“Aspetta, zio.”
“Ti
ascolto.”
“Perché
io? Guarda, non voglio fare polemica, ma se devo rincorrere un ladro
per tutta
Europa, vorrei almeno capirne il motivo.”
L’anziano
parente annuì: “E’ giusto. La scelta
è caduta su di te per due ragioni: la
prima è che questo individuo si muove anche in territorio
babbano e nessuno di
noi ha familiarità con il mondo comune. La seconda
è che il vostro campo di
azione è lo stesso: entrambi create oggetti magici. Solo che
lui ricorre ad una
pericolosa scorciatoia, tu lo fai con il tuo impegno e la tua
conoscenza.”
“Non
adularmi, non serve a niente, tanto lo so bene che né a te
né a mio padre è mai
andato a genio che io sia diventata un’artigiana.”
Sua mamma era l’unica che
aveva sempre incoraggiato le sue creazioni e i suoi oggetti magici, fin
da
piccola: quando aveva creato quei sonagli che vibravano al passaggio di
un
fantasma, quando aveva creato una rete magica per tenere lontane le
dispettose
Nixe [1] dal laghetto del parco… era stata lei ad insegnarle
che le cose e gli
oggetti erano speciali e andavano trattati con cura, perché
il loro creatore
aveva messo un po’ di se stesso dentro di loro e rispettarli
significava
rispettare il suo lavoro. Se non fosse stata per lei, adesso
probabilmente non
farebbe quel lavoro.
Un
gufo messaggero atterrò sul davanzale
dell’abbaino, strappandola a quei ricordi
dolceamari. “Aspettavi posta?” chiese.
“No.”
Il
volatile aveva una pergamena legata alla zampa, si trattava di un
messaggio
animato, veniva da una fata di stagno della Val Vigezzo: segnalava che
un
intero boschetto di abeti in una notte si era spostato attraverso la
sua
vallata, seminando il panico tra gli animali e distruggendo due malghe.
“Sarà
lui?”
“Nipote
cara, dovrai metterti in viaggio ed accertartene. Buona
fortuna.”
La
sera stessa Oleander ascoltava il racconto concitato dalle labbra della
fata in
persona, lo sgomento che aveva provato vedendo il gruppo di alberi
migrare come
una mandria di mucche impazzita e la fatica che avevano fatto lei e le
sue
colleghe per rimettere le cose a posto prima che qualche babbano
insonne si
accorgesse del misfatto. Menomale che la stagione turistica non era
ancora al
culmine e le baite rase al suolo erano vuote.
“E
dopo quell’episodio non è più successo
nulla?”
Le
ali gialle della fata impallidirono “No, e francamente mi
auguro di non dover
rivivere più un’esperienza così
traumatizzante. Lei pensa che non ricapiterò,
vero?” la guardò speranzosa.
“E
io che ne so? Accidenti a zio Ragin,
che mi va presentando in giro come se fossi
un’esperta!” Rivolse alla creatura fatata un
sorriso molto
diplomatico “Non si preoccupi, non è mai successo.
Finora. Credo. Adesso penso
che… andrò a dare un’occhiata a questo
boschetto podista.”
“Lumen,
accompagnala!” ordinò la fata ed una lucciola si
materializzò davanti ad Oleander.
Nonostante le ridotte dimensioni, illuminava il buio come un faro.
“Oh, sapesse
come la invidio, signorina.” Disse la lucciola con la sua
vocetta sottile.
“Sul
serio?” chiese Oleander, senza troppo entusiasmo.
“Oh
sì! Lei sta vivendo una fantastica avventura, piena di
inseguimenti, azione, mistero!
Lei sta vivendo in prima persona tutto questo!” si
entusiasmò l’insetto,
ballando davanti alla maga e trasformando quell’angolo di
bosco in una piccola
discoteca, salvo poi dichiarare, nelle vicinanze del boschetto
incriminato “Io
mi fermo qua.”
“Alla
faccia dello spirito di
avventura.” Oleander si inoltrò tra
gli alberi facendosi luce con la sua bacchetta magica: sembrava un
normalissimo
gruppo di abeti, tre pigne le caddero sulla testa, ma beh…
non c’era nulla di
strano, dopotutto era in un bosco. Poi però
illuminò più da vicino una di
queste pigne: era coperta da una sostanza iridescente,
all’apparenza sembrava
resina, però non era appiccicosa, ma viscida,
dall’odore pungente di yogurt
andato a male ed evaporava piuttosto velocemente. La
allontanò dal naso con una
smorfia di disgusto, si chinò per prendere una provetta
nella sua borsa e
raccogliere quella cosa, quando una pigna la colpì con forza
su una natica. “Eh
no, questo no!” la ragazza si rizzò di scatto,
illuminando nella direzione da
dove era partita la pigna “Non ti permetto di mancarmi di
rispetto! Avanti,
fatti vedere, maiale!” Un ramo si spezzò e cadde,
qualche metro avanti a lei,
Oleander si mise a correre in quella direzione: era buio e non
notò che una
giovane pianta era piegata in modo innaturale. Appena le fu di fronte,
l’albero
scattò in avanti e la colpì in pieno petto,
sbalzandola all’indietro e
facendola atterrare in una grossa pozza fangosa. Le sembrò
che il vento,
passando tra le cime più alte, producesse una risatina
beffarda “Io ti uccido!
– proclamò Oleander – Vuoi la guerra? Ti
accontenterò.”
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[1]
= creature della mitologia tedesca simile a sirene, che abitano le
acque dolci.
Note:
ok, a questo punto molti di voi staranno pensando: questa stordita ha
sbagliato
sezione, che c’entra con Harry Potter? Avete pazienza di
aspettare fino al
prossimo capitolo? Hogwarts sta arrivando ^_^