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Autore: Hotaru_Tomoe    29/06/2007    15 recensioni
Oleander Silvestre, creatrice di oggetti magici, riceve suo malgrado l’incarico di inseguire un ladro che si è appropriato di un oggetto potenzialmente pericoloso e le sue indagini la condurranno a Hogwarts. Il primo impatto non sarà dei più positivi, perchè si scontrerà con il professore più burbero e odiato della famosa scuola di magia e stregoneria. I due sono diversissimi: lei ha un temperamento di fuoco, lui un carattere di ghiaccio. Riusciranno ad andare d’accordo?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Severus ed Oleander'
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DISCLAIMERS: “Harry Potter” e tutti i suoi personaggi appartengono a J.K. Rowling, Warner Bros, Bloomsbury, Salani Editore e a chiunque altro ne detenga i diritti. La seguente fiction non è in alcun modo connessa con il lavoro della Rowling né ha alcuno scopo di lucro.

I dialoghi sono tra virgolette, i pensieri anche, ma sono scritti in corsivo. Alcune formule magiche, invece, sono scritte con un carattere diverso.

DEDICA: Questa storia è dedicata a Vale e Gegè, potteriane d.o.c., colleghe e supporters impareggiabili, e a tutti coloro che amano sognare ad occhi aperti: non smettete mai di farlo! Spero che vi piaccia e che vi divertiate a leggerla quanto io mi sono divertita a scriverla.

CAPITOLO 1 – UN BRUTTO PRESENTIMENTO

Il piccolo negozio “La Gemmapietra” si trovava a Milano, a ridosso della Darsena del Naviglio Grande, in un quartiere dove ancora era possibile respirare un’atmosfera d’altri tempi, tra vecchie case di ringhiera con gli scuri scrostati dal sole e piccoli abbaini coperti da tegole in cotto, piccole drogherie e negozi di dischi in cui ancora ci si poteva trattenere a scambiare due chiacchiere in tutta tranquillità. Un quartiere dove, camminando lenti nel Vicolo delle Lavandaie e lungo il vecchio canale o sostando su uno dei ponticelli a schiena d’asino che lo scavalcavano, ci si poteva rilassare, lasciandosi alle spalle, per qualche momento, la vita accelerata e frenetica della città.

Se ci foste passati davanti, l’unica vetrina de “La Gemmapietra” avrebbe probabilmente attirato la vostra attenzione: su uno scaffale d’acciaio nero erano posati gioielli in argento, titanio, rame e pietre dure, tutti di pregevole fattura, realizzati a mano ed artigianalmente. All’interno avreste potuto trovare anche una gran quantità di vasi, soprammobili e piccole sculture in giada, corniola, malachite od ossidiana.

La proprietaria, Oleander Silvestre, era una donna di trent’anni, di statura e corporatura media. La prima cosa che avreste notato di lei sarebbero stati senza dubbio i capelli: lisci, cortissimi e di un color prugna molto cupo e spento. Nessuno pensava mai che fosse quello il loro colore naturale, nonostante le sopracciglia e le ciglia della donna avessero la stessa improbabile tonalità, pertanto le domandavano sempre che marca di tinta utilizzasse. Domanda alla quale rispondeva brevemente “Una miscela di mia creazione.” Di lei avreste poi osservato due occhi castani, nascosti dietro grandi occhiali dalla montatura di metallo sottile, sareste scesi con lo sguardo lungo il naso forse un po’ stretto, che le conferiva una voce leggermente nasale, e sulle labbra rosate, morbide e mai coperte di rossetto, solo, quando il freddo era più intenso, da un velo di burrocacao. Infine, sicuramente avreste notato le sue mani e non per la loro bellezza: molto robuste, per appartenere ad una donna, con le unghie corte, spesso macchiate di smalto o solvente, piene di spellature, calli, graffi o piccoli tagli, sempre intente a piegare abilmente metallo, impugnare martelli e pinzette, sfregare carta vetrata sulla superficie delle pietre. Intente, insomma, al loro lavoro.

La nostra storia ha inizio in un limpido pomeriggio di giugno: Oleander stava consegnando una coppia di orecchini di ambra ad una ragazza, quando entrò un’altra cliente, la quale aspettò che la prima uscisse e mormorò con voce musicale alla padrona del negozio “Cerco la mia pietra.”

“Capisco. – Oleander sorrise e fece cenno alla donna di sedersi di fronte al bancone – non le spiacerà mostrarmi un documento, vero?”

La cliente aprì la borsetta e le mostrò un cartoncino bianco rettangolare, sul quale comparvero, come scritte da mano invisibile, le seguenti parole: Mieko Sonoda, nata il 1 agosto 1750, sirena del clan Sonoda.

“Molto bene.” Approvò Oleander. Prese una sottile bacchetta di legno chiaro e la agitò in direzione della porta, la cui serratura si chiuse all’istante, mentre le veneziane scendevano a celare l’interno del negozio, poi si alzò e dal retro del negozio portò una boccetta contenente un liquido bianco lattiginoso ed un sacchetto di raso bianco pieno di pietre dure. Invitò la sirena a sceglierne una e posarla sul palmo della mano aperto.

La ragazza obbedì, pescando un’ametista a forma di cuore. Oleander con un contagocce ci versò sopra due gocce della sostanza lattiginosa, ma non accadde nulla. La cliente provò allora con un cristallo di rocca e dell’ossidiana, però la padrona del negozio continuava a scuotere la testa. Al quarto tentativo scelse una luccicante sfera di ematite e quando Oleander versò le gocce del liquido, esso divenne di un brillante color celeste, come gli occhi della sirena.

“L’abbiamo trovata: l’ematite aiuta a purificare ed incanalare l’energia. Spero che lei e la sua pietra andrete d’accordo.” Disse Oleander.

Contenta del suo acquisto, la sirena pagò 10 falci ed uscì.

Oleander si alzò e scomparve nuovamente nel retrobottega: un babbano avrebbe visto solo una nicchia, grande poco più di una cabina del telefono, due pareti della quale erano piene di scaffali fino al soffitto, sui quali giacevano affastellati e senza alcun ordine gli attrezzi ed i materiali che servivano alla creazione dei gioielli (in effetti Oleander era una casinista nata e mantenere una parvenza di ordine, di là in negozio, le richiedeva un grande sforzo!), mentre la terza parete era vuota, presumibilmente per muoversi meglio in quello spazio angusto. Ma una qualsiasi creatura, nelle cui vene scorresse un po’ di magia, su quella nuda parete avrebbe invece visto una porta di legno di noce, con incise numerose formule magiche anti-intrusione. La maga la varcò ed entrò nel laboratorio nel quale svolgeva il suo vero lavoro: infondere la magia negli oggetti, in modo da creare amuleti incantati. Si mise ad impacchettare i vari ordinativi aveva ricevuto, guardando Petrolio, il suo corvo imperiale che già saltellava impaziente sugli scaffali “Lo so, lo so, hai voglia di fare un po’ di moto. Ti accontento subito.”

Dopo un’ora circa si udirono alcuni colpetti decisi su una delle finestrelle del laboratorio, ma non era Petrolio già di ritorno: un grazioso allocco con un piccolo foglietto di pergamena legato ad una zampa stava bussando con il becco sul vasistas. Oleander Silvestre non aveva poteri divinatori, ma avrebbe giurato che quel volatile ed il suo messaggio preannunciavano guai, comunque aprì la finestra e fece entrare l’animale, che planò, silenzioso ed elegante, sul tavolo. Sperava fosse solo il cliente che le aveva commissionato un eliotropio stregato, un folletto molto assillante, ma non era così. Lesse il messaggio, aggrottò la fronte un po’ sorpresa e parlò con l’animale “D’accordo, sarò lì il prima possibile, non c’è bisogno che porti una risposta.” Il rapace piegò il capo in segno di assenso e volò fuori.

La donna sospirò pesantemente: la sensazione di andare incontro a grossi grattacapi a passo di marcia divenne più forte, il mittente del messaggio non si sarebbe azzardato a far volare in pieno giorno, in città, un rapace così vistoso, se non ci fosse stato un motivo serio. Chiuse il negozio e andò a prendere la sua auto, una vecchia 500 rossa fiammante, parcheggiata nella corte interna del palazzo. I maghi e le streghe di sua conoscenza le rimproveravano spesso di avere abitudini troppo babbane, compresa quella di guardare un sacco di quelle cose chiamate “film” e di voler guidare un autoveicolo. Come si poteva paragonare – chiedevano scandalizzati – la comodità e la rapidità di una scopa o di una passaporta a quella trappola puzzolente e rumorosa?

Ma Oleander faceva le spallucce: guidare era per lei un’attività molto piacevole. Ascoltava il motore salire di giri, schiacciava la frizione e cambiava marcia, lasciava scorrere il volante di pelle sotto le mani, fissava il nastro d’asfalto che scompariva sotto le sue ruote e si distendeva come non mai. Con la radio in sottofondo, poteva guidare per ore senza stancarsi.

Però quel pomeriggio il suo tragitto era piuttosto breve: percorse un tratto dell’accidentato pavet che costeggia il Naviglio, poi si infilò in una strada senza uscita, tanto angusta che a malapena ci passava una macchina, stretta tra alti palazzi dell’inizio del Novecento, in fondo alla quale stava un vecchio cancello di ferro arrugginito, che pareva restare in piedi solo grazie ai numerosi rampicanti che nel corso degli anni vi si erano avvinghiati. Oltre il cancello si scorgeva un filare di tigli malaticci e striminziti, dei campi incolti che non vedevano da anni la mano di un buon contadino, pieni di erbacce e pietre e, in lontananza, una fattoria abbandonata, nelle stesse pessime condizioni del cancello. Oleander lasciò la macchina di fronte all’ingresso, pronunciò la parola d’ordine “Carlus Porta” [1], lo aprì e oltrepassò la barriera che teneva celato al mondo esterno l’Istituto Mediolanensis, la scuola di magia della città lombarda, nel quale lei stessa aveva studiato da ragazza e sua madre prima di lei.

I tigli, in realtà, erano nel pieno della loro fioritura ed emanavano un profumo dolcissimo, quasi stordente, mentre le grandi foglie creavano una piacevole frescura. Il vialetto di sampietrini che conduceva all’edificio principale era cosparso di piccoli fiori gialli e i prati che circondavano la scuola, puliti e curati alla perfezione, erano verdi e rigogliosi, punteggiati da vivaci papaveri rossi e grandi margherite. Le lezioni erano finite da pochi giorni e la scuola era semideserta; Oleander salutò il giovane giardiniere che stava annaffiando una siepe di tasso con la sua bacchetta magica ed entrò nell’edificio, salendo fino in presidenza. Bussò alla porta e quando le fu risposto “Avanti!” entrò. Conosceva abbastanza bene Michele Cardano, discendente di Gerolamo [2], fondatore di quell’Istituto, e dopo i soliti convenevoli la donna andò dritta al punto: “Perché mi hai fatto chiamare con tanta urgenza? Se è per un’altra lezione dimostrativa agli studenti dell’ultimo anno sugli amuleti protettivi, posso vedere di organizzare qualcosa in settembre…”

“No, non si tratta di questo.” rispose Cardano, un ometto magro e completamente calvo che si avvicinava al secondo secolo di età, mentre si agitava a disagio sulla sua poltrona.

“Lo sapevo: rogne.” La donna si massaggiò la fronte con una mano, un’espressione disgustata sul volto, come se le fosse scoppiato d’improvviso un gran mal di testa.

Il preside spalancò gli occhi “Co-come… fai a… n-non avrai…”

“No – sospirò Oleander – non ho usato la legilimanzia, non ce n’è bisogno: ti comporti come se avessi un diavolo nascosto sotto la scrivania.”

Il viso dell’uomo divenne paonazzo, perché in un certo senso la sua intuitiva ex-allieva non era andata molto lontana dal vero “Ecco… c’è una persona che desidera vederti.”

“E chi sarebbe?”

“Cerca di capire… è una faccenda delicata, importante, altrimenti non mi sarei mai permesso di…”

“Chi è?” chiese Oleander, la cui voce era salita di un’ottava per l’irritazione.

Un uomo sulla sessantina, dai capelli bianchi e gli occhi grigi, che indossava un completo bordeaux a fini righe dorate ed una camicia di seta bianca si staccò dalla parete alle sue spalle: “Ciao nipote, ti trovo bene.”

Un gemito sconsolato sfuggì dalle labbra di Oleander: non aveva affatto bisogno di voltarsi per sapere di chi si trattava. “Barone Raginmund Von Athala, preside della scuola di magia di Schloss Berth.” [3]

“Come sei formale. Non mi chiami più zio Ragin?”

Oleander lanciò un’occhiataccia prima al preside dell’Istituto e poi al Barone “Che sta succedendo qui?” chiese, con la sensazione di essere piombata in quel film babbano: “Chi ha incastrato Roger Rabbit?”

Michele Cardano si affrettò a congedarsi “Dunque, penso sia meglio lasciare che il Barone ti spieghi tutto.” Ed uscì dallo studio di gran carriera.

Lo zio si accomodò di fronte alla donna ridacchiando: “Forse temeva che lo avresti trasformato in un rospo.” Di fronte all’ostile silenzio della donna proseguì “Ho sentito che come copertura per la tua attività hai un negozio di gioielleria, aperto anche ai babbani. Non hai paura di essere scoperta?”

“No, sono prudente.” rispose asciutta la donna.

“E come vanno gli affari?”

“Bene, grazie.”

“Buon per te. Ma se ti trovassi in difficoltà, a Schloss Berth c’è sempre un posto per te.”

“Cos’è, la donna delle pulizie si è licenziata?”

Il Barone ignorò la caustica domanda, si alzò in piedi e andò alla finestra, scostando la tenda “Originale il tuo mezzo di trasporto…”

Oleander esplose “Sei venuto fin qui per criticare il mio stile di vita? Allora potevi limitarti a spedirmi una lettera, avresti risparmiato tempo ed energie. E poi mi spieghi che cos’è questa pagliacciata? Non c’era bisogno di farmi venire qui con l’inganno: se avevi bisogno di parlarmi, sai benissimo dove abito.”

L’anziana segretaria dell’Istituto Mediolanensis, il cui ufficio si trovava di fianco a quello del preside, sussultò. Sapeva che Oleander Silvestre aveva un carattere tutt’altro che pacato. Si rivolse al suo superiore “Sicuro che vada tutto bene, lì dentro?”

“Me lo auguro Magda, me lo auguro.” Rispose, con un sorrisetto nervoso, assai poco convinto e convincente. Di certo non convinse Magda, che continuava ad occhieggiare la porta come se dovesse esplodere da un momento all’altro.

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NOTE:

[1] = lo so, non dite niente: è un gioco di parole agghiacciante, me l’hanno già detto… però non ho resistito! XD

[2] = Gerolamo Cardano fu un medico e filosofo lombardo del ‘500. Poiché nella sua vita si interessò anche di astronomia e di magia, ho pensato che sarebbe stato il fondatore ideale di questa scuola. ^_^

[3] = ehm, io il tedesco non lo so e non l’ho studiato, quindi per inventare questi nomi mi sono servita di Internet: spero di non aver scritto castronerie ciclopiche (nel caso, correggetemi). Insomma… prendeteli un po’ con le pinze! Raginmund dovrebbe significare “protezione del consiglio”, Athala “nobiltà”, Schloss “castello” e Berth “splendore”.

Mi sono accorta solo alla fine della storia che il nome che ho scelto per la mia protagonista, Oleander, assomiglia molto a quello del signor Olivander e me ne sono resa conto solo perché mi ero rimessa a leggere “La pietra filosofale” (questo da un’idea del grado di stordimento della sottoscritta). La cosa non è voluta, mi piaceva come suonava e l’ho scelto per questo.

   
 
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