Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Melanto    11/12/2012    6 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 16: This is War (parte V)

Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

"To the leader, the pariah, the victor, the messiah /
Al leader, al reietto, al vincitore, al messia:
this is war /
questa è Guerra.

30 Seconds to MarsThis is War

“Come suolsi dire: ‘chi non muore si rivede’, vecchio mio.”
Teppei stava sorridendo con un certo divertimento. Non aveva immaginato che si sarebbe ritrovato nuovamente di fronte a colui che, sul Nohro, stava per ucciderlo e l’idea di prendersi la rivincita lo allettava. Eccome se lo allettava.
Sakun sbuffò con una certa ironia. “Tsk. Rivedervi, morti o vivi, non rientrava nei nostri piani, se vuoi saperlo.”
“Oh, quanta scortesia.”
“Avremmo dovuto accertarci che moriste sul serio quando vi avevamo catturato all’Avamposto. Eravate sopravvissuti una volta, non avremmo dovuto commettere lo stesso errore.”
“Già.” Teppei annuiva piano, il labbro tirato appena verso sinistra e l’aria predatoria. “Un gravissimo errore. Lo direbbe anche quello con i capelli biondi. Sai, lo Stregone addetto alla tortura. Mi sembra si chiamasse Fredericks.”
Sakun si fece più attento e assottigliò lo sguardo. L’ironia aveva abbandonato il suo volto. “Che fine gli avete fatto fare?”
“Niente di meno di quella che farai tu.” Teppei sollevò entrambe le mani in un gesto deciso e centinaia di frammenti acuminati di roccia si sollevarono dal suolo e infilzarono lo Stregone come fosse stato un puntaspilli.
La sorpresa si dipinse sul viso di Sakun, dalla bocca aperta in una ‘O’ perfetta, mentre il corpo era ora stritolato in una posizione innaturale.
Ma se c’era una cosa che Teppei aveva imparato durante quel lungo cammino era di non abbassare mai la guardia né tantomeno credere che sconfiggere uno Stregone potesse essere così facile.
Istintivamente si girò e col braccio parò l’affondo del vero Sakun; l’altro non era che una sua manipolazione che si sciolse in fumo scuro e corse verso il proprietario per venire assorbita dal suo corpo.
“Immagino sia morto, quindi” ringhiò il giovane che era almeno due volte Teppei.
“Oh, puoi dirlo forte. E se mi permetti un filo di presunzione: l’onore è stato tutto mio.” Caricò il calcio e questo colpì l’altro allo stomaco, allontanandolo violentemente da sé.
“Fredericks avrebbe dovuto uccidervi tutti subito.” Sakun massaggiò l’addome e poi assunse una postura dritta. “Scommetto che ci è andato leggero solo perché Faran si era incaponito con quello di Alastra.” Si portò due dita all’altezza del viso e poi lanciò il suo incantesimo. “Rab na bela, rei!” La sfera di energia corse verso Teppei che non si spostò, ma afferrò telepaticamente uno scudo e lo rivolse dalla parte dell’impugnatura.
L’incantesimo rimbalzò sulla superficie liscia del metallo e tornò indietro, costringendo Sakun a schivarlo di lato. Quando volse nuovamente il viso, Teppei era a pochi passi da lui, il pugno carico.
Il fratello mediano dei Konsawatt lo scansò all’ultimo momento. Tra le dita il fumo con cui creava le sue manipolazioni assunse la forma di tre pugnali sottili dalla forma ricurva che tentò di infilzare nel braccio avversario.
L’incantesimo Scudo ne spezzò le lame, lasciando Teppei illeso.
Quest’ultimo afferrò l’altro per la nuca e gli fece sbattere il viso contro il gomito, duro come la roccia.
Sakun arretrò con un latrato. Le mani andarono a coprire il volto dove il sangue scendeva copioso; aveva il naso rotto.
Il giovane tyrano ne approfittò per caricare ancora, ma dal corpo dello Stregone si levò un’altra nuvola scura e una bestia dalla forma simile a un rankesh gli corse contro con le fauci spalancate.
Teppei ne venne travolto e nel cadere di schianto lo teneva stretto per la bocca affinché non lo azzannasse. Il siero violaceo e velenoso che aveva già conosciuto scivolava dai canini molto più lunghi e affilati, mischiandosi alla bava che gli sporcò le mani. L’animale aveva una forza maggiore rispetto a Sakun e si dimenava con violenza, tanto che anche lui faceva fatica a trattenerlo.
D’un tratto gli artigli di tenebra gli si conficcarono nella carne delle spalle, strappandogli un ringhio di dolore. Anche quelli erano pregni di veleno, e visto che era già stato ferito, tanto valeva usare un altro metodo.
Gli infilò un braccio tra le fauci, tenendo i muscoli ben tesi. Lo affondò in profondità, tanto che la belva riuscì ad azzannarlo solo con i molari posteriori. In questo modo sfruttò la mano libera per afferrare il primo sassolino che riuscì a trovare. Con i suoi poteri ne manipolò la consistenza e la forma. Lo poggiò sotto al mento dell’animale e lo fece allungare, infilzando l’ombra da parte a parte. Lo spuntone di roccia la trapassò in obliquo, uscendo dal cranio. La creatura si immobilizzò e poi si dissolse.
Teppei si rotolò su un fianco, respirando con affanno.
“Non so come hai fatto a salvarti la prima volta…”, la voce di Sakun era beffarda anche se dolorante. Il sangue gli aveva sporcato buona parte del viso. “…ma stavolta non avrai scampo. Il Veleno di Rankesh-”
“E’ il più mitico di tutti, sì, lo so già.” Adagio e con ferite evidenti il tyrano si rimise in piedi, eppure c’era un mezzo sorriso divertito sulla sua faccia. Il sorriso di chi ne sapeva una più del diavolo. “Ma questa volta sono venuto preparato, che credi?” Incurante dei segni lasciati dalla bestia d’ombra, Teppei caricò di nuovo Sakun.
Rab na bela, rei!” tentò di difendersi ancora, ma il tyrano bloccò la sfera di energia con la mano sana, tanto da lasciare sbigottito lo stesso Stregone.
L’Elemento di Terra usò la forza di tutto il proprio corpo per contrastarne la potenza, rispedendola poi al mittente. Lo sforzo si ripercosse fino alla spalla dove i capillari esplosero, letteralmente, ma il giovane neppure se ne rese conto: l’adrenalina pompava velocissima nel suo petto tutta l’irresponsabilità di cui aveva bisogno per battere l’avversario. Non c’era spazio né per provare paura né per farsi sopraffare dal dolore.
Sakun venne colpito in pieno dal suo stesso incantesimo. Era stato così esterrefatto da non aver neppure cercato di evitarlo. La sfera centrò l’addome e lo trascinò con sé per alcuni metri prima di schizzare verso l’alto e trovare altrove la sua fine.
La sensazione era la stessa di venir calpestati da centinaia di cavalli in corsa, tanto che neppure la grossa stazza gli tornò utile. Sakun aprì e chiuse la bocca emettendo dei rantoli che volevano imitare estremi tentativi di respirare, ma con pessimi risultati. Nel suo raggio visivo, il tyrano fece la sua comparsa e non stava di certo messo meglio di lui, ma almeno si reggeva in piedi.
“Fa maluccio, vero?” Lo schernì.
“Fottiti… moccioso…” Poi sbuffò un mezzo ghigno soddisfatto. “Tanto… per quanto ti… pavoneggi… non sopravviverai al veleno… Goditi… i tuoi ultimi momenti… e dopo… abbraccia le pene… dell’Infero.”
“Ullalà, quanto parli.” Teppei si tenne il braccio dove il segno dei morsi era evidente. “Risparmia il fiato per esalare il tuo ultimo respiro.”
Tsk… allora uccidimi… che aspetti?”
Il tyrano scosse il capo dopo averlo guardato fisso per qualche momento. “La ‘morte con onore’ la concedo solo ad avversari degni di questo nome, ma ci sono Stregoni che non la meritano. Rientri nella lista, vecchio mio.” Gli volse le spalle e iniziò ad allontanarsi, strisciando leggermente i piedi.
“E… e allora?! Mi lasci… qui?!” Nell’alzare la voce, Sakun sentì come se i polmoni stessero per esplodergli. Di sicuro aveva le costole rotte e qualche organo perforato. L’idea di morire lentamente e tra atroci sofferenze gli si presentò orribile.
Teppei si fermò e si inginocchiò. Dall’interno dello stivale estrasse, avvolta in un pezzo di velluto, una piccola fialetta. Era stato uno Stregone, ma doveva ammettere che Shibasaki la sapeva più lunga di tutti. Si rialzò con una certa fatica e ne tolse il tappo. Per fortuna durante la prigionia non gli avevano perquisito gli stivali, altrimenti sarebbe stato davvero spacciato per la seconda volta e, soprattutto, meno male che non si era rotta con tutte le botte che aveva preso in quella battaglia. Anche per quello il Naturalista ne sapeva una più del diavolo, secondo lui: a chi sarebbe mai venuto in mente di usare vetro di resina?
“Non ho mai detto questo” rispose a Sakun, arricciando le labbra e sputando un grumo di sangue a terra. “Solo che non ho bisogno di guardarti mentre ti faccio fuori.”
La Telecinesi Cieca agì con un semplice schiocco di dita. Una decina di spade abbandonate al suolo e ancora strette tra le mani dei cadaveri si sollevarono e abbatterono sul corpo di Sakun, uccidendolo all’istante.
Teppei guardò un ultimo istante la fiala contenente siero di zaikotto, prima di portarla alle labbra e sorridere. “Grazie di nuovo, Silver.”

Minato Gamo non si era mai tirato indietro e se in passato aveva piegato il capo davanti a Koudai Ozora era stato solo per prendere tempo.
Il tempo era stato il compagno che lo aveva fatto andare avanti, con i suoi alti e i suoi bassi. A volte gli era sembrato non passasse mai e che il suo piano non prendesse mai forma, altre, invece, gli aveva dato l’impressione di essere ormai a un passo, di aver completato i preparativi, di avere tutto ciò di cui aveva bisogno.
Il Nord era sempre stato il ‘regno del nulla’, come l’aveva ribattezzato lui. Le città principali erano poche e lontane tra loro e anche se oggettivamente la distanza che separava l’imponente catena montuosa della Corona dei Re da Raskal era minore rispetto quella da Punta Maar, che invece si trovava all’estremo Sud, la presenza degli Ozora, lì, sembrava praticamente nulla. Il Nord era isolato, abbandonato a sé stesso, o forse talmente autosufficiente da non aver bisogno di un Re qualunque a comandarlo.
Tutte le volte che Koudai aveva cercato di mandare emissari, lui li aveva presi in consegna fornendo resoconti fasulli e facendo in modo che la separazione tra le Terre del Nord e le Terre Centrali divenisse quanto più netta possibile. Convincere i bifolchi che aveva per abitanti che il tanto decantato sovrano li aveva abbandonati era stato piuttosto facile.
Senza contare che nel Nord gli Stregoni avevano eretto la loro fortezza, Huria, nella sperduta Valle della Meteora.
Koudai gli aveva affidato il regno più infausto per tenerlo buono grazie alla amorevole intercessione di Natsuko, ma non aveva capito quale madornale errore avesse commesso.
I suoi legionari erano gente sopravvissuta al vecchio Dogato di Kalavira, soldati fedeli alla sua famiglia da generazioni ed esiliati dal resto dei Regni degli Ozora, c’erano mercenari e infine c’erano tanti di quei cittadini che si erano sentiti abbandonati dal proprio Re da non riconoscerlo più come tale.
Koudai non aveva mai davvero capito né conosciuto la reale situazione del Nord. Troppo preso da questioni più vicine, probabilmente l’aveva ignorata. Pessima mossa, ma ottima per sé stesso.
Richiedere un supporto magico al Nero era stato quanto di più ovvio potesse fare. Sapeva cosa avrebbe significato scatenare una guerra contro gli Ozora e sapeva che quel vigliacco si sarebbe avvalso dell’aiuto elementale. Lui, di conseguenza, avrebbe puntato sulla Magia Nera. Tanto, in generale, della magia non gliene importava nulla, anzi. Il Nero l’avrebbe aiutato a fare piazza pulita degli Elementi e poi lui avrebbe fatto piazza pulita degli Stregoni. I suoi piani erano sempre stati così lineari da essere, a volte, fin troppo prevedibili, ma lui era così credibile nel suo modo di trattare con le persone, che il precedente Nero aveva acconsentito quasi subito a schierarsi in suo favore.
Poi era arrivato Natureza.
Ecco, se c’era qualcosa che forse lo preoccupava in tutto il suo enorme disegno, quello era proprio Natureza. Il nuovo Nero, che aveva preso il posto del vecchio canuto con cui aveva stipulato il patto, era… diverso. Diverso da qualsiasi Stregone, diverso da qualsiasi persona avesse mai incontrato. E il fatto di non riuscire a capire davvero, fino in fondo, le sue intenzioni non gli era mai, mai, mai piaciuto. Eppure aveva continuato a fare buon viso a cattivo gioco, dopotutto il sostegno degli Stregoni gli era fondamentale. Senza dubbio doveva averlo capito anche Natureza, per questo si prendeva incredibili confidenze verso di lui. Come catturare il Principe Tsubasa e tenerglielo nascosto, ad esempio.
In tutto il tempo in cui aveva preparato la grande rivincita, non aveva mai capito quale fosse il suo scopo. Aveva solo compreso che era pericoloso, ma niente di più.
Adesso però tutto era divenuto irrilevante. Mentre correva nella carica, mentre la lama della sua spada affondava nei corpi degli avversari e si sporcava del sangue di coloro che servivano gli Ozora, non gli importava più di nulla se non di fare pulizia.
Ovviamente, l’ordine imprescindibile che aveva imposto a tutti era stato: “Non toccate il Re”, l’onore di ucciderlo spettava solo a lui.
Si era separato dal Golem praticamente quasi subito e non s’era neppure premurato se il Generale gli rimanesse accanto per vegliare su di lui. Era dimentico di ogni cosa. L’adrenalina della battaglia, la voglia di uccidere, il traguardo della rivalsa che era così vicino da poter essere quasi toccato, afferrato, abbracciato e poi fatto a pezzi avevano cancellato tutto il resto dalla sua mente.
Lui aveva continuato ad avanzare; da che era partita la carica il suo scopo era stato ‘andare avanti’. E avanti stava andando anche adesso. Tranciava corpi, il Colosso calpestava cadaveri, dal cielo piovevano incanti elementali e neri, le bestiacce guidate da Cario stridevano con versi insopportabili ma lui procedeva spedito.
Come aveva pensato, quel vigliacco di Koudai non era stato alla guida del primo assalto. Il fegato di scendere sul campo ce l’aveva solo lui, ce l’aveva sempre avuto solo lui. L’unica ricerca che i suoi occhi si erano concessi oltre le feritoie della celata era stata rivolta al Comandante Hongo. Di sicuro il Re gli aveva affidato il battesimo del sangue. Non l’aveva visto e non si era applicato più di tanto a cercarlo; ci avrebbe pensato qualcun altro a dargli il ben servito, probabilmente lo stesso Golem.
Poi era arrivata la seconda carica e lì, oh sì, lì lo aveva sentito che c’era anche Koudai.
Se prima a difendere l’avanzata dell’Armata c’erano stati gli Elementi d’Aria con la loro tempesta di polvere, non era rimasto sorpreso nel vedere il muro d’acqua cavalcato dagli agadiri sulla estesissima cresta.
Tsk. Neppure quello l’avrebbe fermato e poi non sarebbero stati così stolti da travolgere anche i propri uomini con quell’onda anomala.
Minato aveva continuato a cavalcare, il desiderio di spezzare le loro acque e tagliare dritto, finalmente faccia a faccia con Koudai era stato soddisfatto. Il muro degli agadiri si era aperto, i soldati erano emersi e la fusione tra le fazioni era stata totale.
L’idea di trovare subito il Re, però, era stata nuovamente disattesa. Il fronte era così ampio che era impossibile sapere dove si sarebbe trovato, ma lui era andato avanti.
Andava avanti.
Solo i perdenti si guardavano indietro.
Qualcuno cercò di fermarlo, un agadiro, ma forse lui era l’unico essere umano privo di magia a poter competere con un mago perché aveva una determinazione fuori dal comune e la determinazione l’avrebbe portato alla vittoria. Levò lo scudo per proteggersi dall’incantesimo d’acqua e poi impennò il Colosso: il cranio dell’agadiro venne schiacciato senza via di scampo, ma non prima che potesse lanciare un’ultima, disperata magia. La lama di ghiaccio però prese la traiettoria sbagliata e trapassò la gola del cavallo. Il Colosso delle Isole Zmyr si agitò in maniera disperata, muovendo il capo da una parte all’altra fino a che non crollò di lato e a nulla valsero i tentativi di Gamo di tenerlo su; ormai era morto.
Minato riuscì a scendere dalla sua groppa prima di rimanerne schiacciato.
“Fottuta bestia” sputò con disappunto. Crepare proprio in quel momento che aveva bisogno delle sue zampe possenti per muoversi e trovare… al più presto…
Il suo sguardo, subito alla ricerca di un nuovo animale da montare, si fermò, frugando tra la folla e riuscendo a individuare un altro Colosso, meno brutale del suo, e con i colori dei drappi granato e blu. Un uomo in armatura lucente, che sembrava quasi brillare nella battaglia, lo cavalcava dando ordini ai suoi uomini e affrontando altri soldati dai colori differenti, neri.
“Ozora…” lo esalò come avesse avuto una visione insperata. Lentamente, Gamo levò la celata dell’elmo per guardarlo meglio ed essere sicuro che fosse davvero lui.
Le vestigia preziose e ricche, piene di intarsi e lavorazioni particolari non lasciavano adito a dubbi, così come lo stemma della casata inciso sul pettorale. L’elmo piumato seguiva i movimenti del capo e mentalmente si appuntò di dover uccidere tutti i suoi legionari che stavano ingaggiando battaglia con lui nonostante l’ordine ricevuto di stargli alla larga.
“Eccoti lì, vecchio bastardo” ridacchiò. Una risata sottile e divertita, folle.
Gli sembrò quasi che l’altro lo udisse perché dopo aver affondato la lama tra spalla e collo di un soldato pivellino si fermò, mantenendo la spada a mezz’aria. Il suo capo si volse, quasi a cercare chi stesse ridendo con così tanto gusto.
Gamo sentì di venire individuato. Quello stesso capo si fermò nella sua direzione, impossibile confondersi. Ozora lo aveva visto e lui aveva visto Ozora. Entrambi sapevano che erano separati da una manciata di metri e che le sorti della guerra erano tutte lì, in quella stessa manciata. Bisognava solo ridurla a zero e fare ciò che tanti anni prima avevano lasciato in sospeso.
Minato vide Koudai indirizzare la cavalcatura verso di lui, la spada ben salda nella mano e puntata verso l’alto; all’ultimo momento l’avrebbe caricata per menare il fendente, lui lo sapeva, erano entrambi guerrieri, e il modo per evitare lo scontro e portarsi alla pari era già nella sua testa.
Con un gesto lento abbassò la celata senza smettere di sorridere, piantò bene i piedi e tenne bassa la lama della propria arma. L’impugnatura era salda nella mancina. Quando Ozora caricò il colpo con un movimento circolare che dell’alto andava verso il basso, Minato cadde in ginocchio afferrando l’elsa con entrambe le mani per avere una presa maggiore. Lo scudo era stato poggiato a terra, al suo fianco. La lama venne sollevata e le zampe del Colosso di Koudai Ozora tranciate con un colpo netto.
Il Re cercò di tenere la presa sulle briglie, mentre la bestia cadeva di schianto in avanti con un impatto violento. Lui venne sbalzato dalla sella, tanto da rotolare nella terra e sporcare di fango e sangue l’acciaio lucido delle proprie vestigia. Quando riuscì a fermarsi e a rendersi conto di tenere ancora stretta la spada nella destra e lo scudo attorno al braccio, Koudai levò il viso. Attraverso le feritoie vide la figura nera di Gamo in piedi, perfettamente illesa e pronta a combattere.
“E allora, Vostra Maestà, che sapore ha la polvere?”

I tre Elementi rimasti col Principe si muovevano mantenendosi in cerchio attorno a lui e tentando di arginare ogni attacco provenisse di lato e dall’alto. Sembravano avere occhi ovunque e orecchie così attente da riuscire a discernere, nel marasma di rumori, quelli che indicavano pericolo per loro.
“E allora? Riuscite a vederlo?” Mamoru lo chiese mentre spezzava un braccio a un legionario; dopo gli spezzò anche la schiena.
“No! E’ impossibile anche solo riuscire a concentrarsi oltre il proprio naso!” rispose Hajime. Le sue corde di acque stavano soffocando un paio di soldati e nel mentre che li teneva sollevati dal suolo cercava di guardarsi meglio intorno.
Yuzo respinse un paio di attacchi da parte di un insistente kamalocha, ferendolo a tre delle sei ali e costringendolo ad allontanarsi e ripiegare. “Posso provare a cercare dall’alto. È la posizione migliore, magari riuscirei a scorgere il Nero!”
“No!” Mamoru lo fermò, una fiammata abbrustolì uno Stregone. “I cieli sono il caos, in questo momento, non sarebbe sicuro, saresti una preda facile sia per quei mostri che per qualsiasi altro incantesimo incontrollato.”
Da quando avevano lasciato Teppei assieme a Sakun, il gruppo aveva deciso di muoversi a piedi: era il modo migliore per riuscire a restare compatti. Inoltre, volare non era sicuro e Yuzo non avrebbe potuto portare più di due persone per volta, il che avrebbe significato lasciarlo di nuovo senza protezione.
Nel centro del cerchio, Ryo restava sempre vicinissimo a Tsubasa che si guardava intorno cercando di scorgere il suo avversario. Era difficilissimo se non impossibile riuscire a trovare volutamente qualcuno.
“Avete visto nulla?” La domanda di Mamoru lo colse mentre gli dava le spalle e guardava oltre quelle di Hajime.
Scosse il capo con un moto rassegnato. “No, niente!”
“Non temete, Vostra Altezza.” Yuzo atterrò l’ennesimo avversario che venne schiacciato dalla corsa di un cavallo solitario privo di cavaliere. “Conosco Natureza e so per certo che se anche lui vi reputa l’avversario da battere, allora saprà di sicuro come trovarvi.”
Tsk. Questo dovrebbe rincuorarci in qualche modo?!” sbuffò la Fiamma con ironia.
“Almeno ci facilita il compito o no? Non è per questo che stiamo avanzando in questo inferno? Non è per cercare lui?”
“Ooooh, vedo che qui c’è qualcuno che ha voglia di fare polemica.”
Yuzo ruotò gli occhi e scosse il capo, ma quando si volse scorse una bestia volante allungare la sua lingua su Mamoru, impegnato in un altro duello. Con uno scatto rapido spiccò il volo, gli avvolse la lingua in un fascio di vento e fece in modo che gli si attorcigliasse addosso. L’animale perse il controllo del volo e precipitò lontano dal gruppo.
Mamoru vide il ventre verde e nero passargli quasi radente sul capo e poi crollare al suolo tra roccia e polvere. Il volante atterrò al suo fianco. Aveva le braccia incrociate al petto e l’espressione che voleva essere supponente, ma cercava strenuamente di non ridere.
“Invece di contraddire me, la prossima volta tieni gli occhi sui kamalocha.”
Kamache?”
“Kamalocha. Ovvero quelle sgradevoli bestiole nere che vengono dalle terre che si estendono oltre la Corona dei Re.”
Mamoru gonfiò il petto, assumendo la stessa postura con le braccia conserte e l’espressione supponente. Detestava quando quel diavolo di un piccione lo faceva passare per un ignorante totale.
“E tu che ne sai?”
“Essere un secchione serve a qualcosa, dopotutto.”
Vedergli quel sorriso così sfacciatamente trionfante non seppe se lo istigò di più a mollargli un sonoro pugno o un soffocante bacio. Mamoru girò il viso masticando un mezzo sorriso, poi gli mollò una manata sul braccio senza guardarlo, ma sentendo chiaramente che stava ridacchiando.
“Diamoci una mossa.”
In tutto quello, nonostante gli Elementi attorno a lui tentassero di alleggerire la tensione che si poteva quasi toccare, il Principe non era tranquillo.
Uno dei quattro era rimasto indietro, si era separato dal gruppo. Nella sua visione ben tre lo facevano e poi li rivedeva tutti a terra, feriti, forse morti, e su di loro torreggiava il Nero. Per questo sperava di trovarlo il prima possibile, per affrontarlo e mettere fine a ogni cosa una volta per tutte. Eppure i suoi occhi, per quanto lo cercassero senza sosta, sembravano non essere in grado di trovarlo in quel continuo correre e combattere, cozzare d’armi e grida. Il sangue disegnava rigagnoli come un torrente. Ma lui doveva avere fede. Fede nelle proprie capacità, nella Chiave e in quelle visioni che, proprio perché gli attraversavano il cranio in anticipo, potevano essere cambiate.
D’un tratto una muraglia di lunghi tentacoli neri si erse davanti a loro, fermandone la corsa.
Mamoru tentò di deviare il percorso, ma l’incantesimo li circondò, chiudendoli in un perfetto cerchio. Per uscire, avrebbero dovuto farsi strada tra di essi e la cosa non sembrava impensierire i tre Elementi, almeno fino a che non comparve il fautore della magia.
“Allora la lezione non vi è proprio bastata. E devo ancora capire come abbiate fatto a fuggire dall’Avamposto.” La voce un po’ stridula e fastidiosa come il gracchiare di una cornacchia risuonò familiare a tutti e tre loro ancor prima che Chana si palesasse, passando tra i tentacoli. “Brolin si è davvero rammollito.”
La risata querula da iena riportò le menti degli Elementi a quando si erano trovati sul Nohro e quel bastardo li aveva attaccati sotto le mentite spoglie di un bambino.
“E due” mormorò Hajime, mantenendosi in una posizione attenta. Era avanzato per affiancare Mamoru che si manteneva in testa, mentre Yuzo restava più indietro e vicino a Tsubasa e Ryo.
Chana li guardò con attenzione stringendo appena gli occhi fortemente a mandorla. “Mi sbaglio o ne manca uno? Non eravate in quattro l’ultima volta? Che fine ha fatto l’Elemento di Terra sopravvissuto miracolosamente al veleno di Rankesh?”
Hajime tirò via un mezzo sorriso di sfida. “Sta facendo fuori tuo fratello Sakun.”
Chana stette alla provocazione. “O magari è il contrario.”
Si guardarono fisso per alcuni momenti e nei loro occhi non brillava nulla di buono. Fu il Tritone a decidere.
“Voi proseguite. Resto io.”
Mamoru si innervosì. “Non ti ci metterai anche tu, vero? Basta Teppei che vuole fare il superuomo.”
“Andate ho detto!” ribadì Hajime con fermezza. “Capisco la sua urgenza di farvi andare avanti. Prima si trova Natureza e prima si chiude la faccenda, quindi non protestare.”
“Allora lascia che sia io a-”
“No!” La testardaggine era una caratteristica che sembrava accomunare un po’ tutti gli Elementi, ma Hajime di solito non si impuntava sulle cose. Era abituato a lavorare in squadra e non era quasi mai d’accordo nel portare avanti azioni in solitario, ma quella faceva eccezione. “Tu sei il leader del gruppo e devi indicare agli altri la strada da percorrere. Yuzo invece serve nel caso la situazione sul campo di battaglia diventi insostenibile. Quindi prendete il Principe e proseguite. Io provvederò a trattenere questo bastardo per tutto il tempo necessario.”
Mamoru sbuffò. Protestare oltre non avrebbe avuto alcun senso con lui, tanto non si sarebbe smosso.
“Apritevi un varco. Vi copro” concluse infatti il Tritone.
La Fiamma lanciò una fugace occhiata al volante e accennò leggermente. Dalle mani fece partire una fiammata che avvampò le spire nere, ma queste non volevano saperne di bruciare. Così lasciò che il fuoco le avvolgesse singolarmente, manovrandole come fossero state i fili di un esperto marionettista. Le fece districare a forza aprendo uno spiraglio sufficiente a permetter loro di continuare la ricerca.
Yuzo passò per primo offrendo una difesa al Principe e alla Chiave, che lo seguirono subito dopo. Mamoru fu l’ultimo, ma arrivato a metà del passaggio guardò il Tritone. “Se non vi vediamo arrivare, verremo a cerarvi.” E si riferiva anche a Teppei.
Hajime non rispose né si volse, ma sorrise. L’attimo dopo furono solo lui e Chana Konsawatt in quella specie di ring isolato da tutto il resto.
“Credi davvero che possano sopravvivere per molto? Non dimenticare che c’è ancora mio fratello Faran in giro, e come io ho trovato voi, lui troverà loro.” Chana assunse una posizione di attacco, ma le sue parole non sembrarono intimorire il Tritone.
“Come se la cosa dovesse impensierirmi. Faran è morto tanto quanto lo sarai tu a breve.”
“Faran è il più forte tra noi tre ed è quello che meno è disposto a mollare la preda una volta che l’ha scelta. E, se vuoi saperlo, ne ha già una.”
Il piccolo Stregone toccò una pietra e questa assunse la forma di un lupo. Somigliava all’incantesimo che aveva adoperato quando si trovavano sul Nohro; solo che in quel caso era stato proprio il famoso Faran a essere mutato in bestia. Era di sicuro uno Stregone Metamorfo.
“A questo proposito” ridacchiò con il suo tono fastidioso e l’espressione cattiva. “Avresti fatto bene a dire addio al tuo amico di Alastra.”

Era stato tutto veloce e lento contemporaneamente.
Scorgere Minato tra la moltitudine di soldati, cavalcare verso di lui, fendere la spada. Tutto lento. Rallentato.
Poi la caduta. La lama che andava a vuoto e quella di Gamo che trovava, di proposito, le zampe del suo cavallo. La durezza della terra. Quello era stato veloce. Accelerato.
E ora che lo guardava da sotto in su, ora che era Minato a torreggiare su di lui, che velocità aveva il tempo? Che forma? Forse nessuna perché in quel momento non era importante; il tempo si era riavvolto, tornato indietro a quando erano giovani, a quando il destino di quel preciso futuro era nelle sue mani e sarebbe potuto essere diverso da com’era adesso. Sarebbe potuto essere migliore.
“Lo assaggerai in prima persona.”  La voce di Koudai venne attutita dall’elmo, ma i suoi movimenti, per quanto impacciati dal metallo che aveva addosso, furono veloci quanto bastava a muovere il braccio con lo scudo e colpirlo alle caviglie, farlo cadere. Entrambi a terra, lo svantaggio venne azzerato.
Minato cadde con un sonoro clangore, ma riuscì a scorgere il movimento di Ozora giusto in tempo per opporvi una parata con lo scudo. Nemmeno da sdraiati si sarebbero risparmiati; la misericordia di una volta era bastata a entrambi: chi per imparare che non bisognava averne mai, e chi che non bisognava mai concederla due volte alla stessa persona.
A fatica, come scarafaggi finiti a zampe all’aria, riuscirono a mettersi in piedi. Faccia a faccia. Celata contro celata. Scudo contro scudo e lama, levata contro l’altra lama.
“Da quanto tempo stavi preparando tutto questo, eh? Da quanto stavi tramando alle mie spalle, maledetto traditore bastardo?” Koudai affondò di lato, Minato deviò col piatto della lama ed effettuò una mezza piroetta per colpirlo di taglio al fianco, con lo scudo. Ozora barcollò, ma non cadde.
“Da quanto, mi chiedi? Da quando ti ho incontrato! Da quando la tua strada s’è incrociata con la mia! Da quando mi hai portato via tutto quello che avevo! Dammi un solo fottuto motivo per esserti riconoscente, vecchio cane rognoso!” Minato tentò un affondo diretto, ma la punta della spada venne divelta dallo scudo.
Lo smalto dell’effige della casata Ozora venne scheggiato, ma non era importante. Koudai ne approfittò per calare un fendente dall’alto; venne schivato.
“Hai ucciso mio padre! Rubato la donna che avrei dovuto sposare! Rubato il titolo di Re che era già mio prima ancora che tu imparassi a infilare il tuo dannato cazzo tra le gambe di una puttana qualunque! Non sei mai stato niente di meno che un usurpatore, Koudai! Ed era ora che io provassi a riprendermi tutto! Tutto quello che mi avevi sottratto!”
Era un continuo attaccarsi e difendersi, un’arte guerriera forse troppo antica e cavalleresca, movimenti prevedibili per entrambi e magari adatti ad atterrare soldati con minore abilità, ma tra loro era come combattere allo specchio.
“Niente di quello t’era mai appartenuto se guidato dalla smania di cancellare il bene fatto dal vecchio Re! Sei sempre stato accecato dalla tua maledetta brama di potere, Minato, e non ti sei mai accorto che avevi già perso tutto!”
“E tu non ti sei mai accorto di quanto, invece, sono riuscito a sottrarti, pallone gonfiato!”
Il colpo di Minato calò con maggiore forza, andando a cercare proprio il braccio munito di scudo. Riuscì a fare in modo che Koudai vi perdesse la presa, poi lo allontanò con un calcio.
Il Re indietreggiò di qualche passo per mettere una certa distanza tra loro. Ora aveva l’attacco, ma era privo di difesa.
“Non so di cosa tu stia parlando!”
“E’ ovvio che tu non lo sappia!” Minato rise sguaiatamente allargando le braccia e girando in tondo affinché la sua voce risuonasse forte e beffarda. “Ecco il grande e benevolo Re Koudai Ozora! Così benevolo da essere troppo impegnato a pensare alle Terre Centrali e alle Terre del Sud per ricordarsi di avere anche un Nord da comandare! Eccolo qui! Applauditelo! Inchinatevi ai suoi piedi!”
“Ma che vai blaterando?!”
Che vado blaterando?!” Minato gli fece eco e la sua carica fu feroce, tanto feroce da far indietreggiare il Re senza dargli scampo. Un fendente a sinistra, uno a destra, uno dal basso. Sembrava una furia. “Chi credi che siano i legionari che stanno versando il loro sangue contro i tuoi privilegiati soldati?! Come credi abbia fatto a trovare così tanti disposti a combattere per me, un fottuto reietto esiliato?!
Koudai non rispose, non ci riuscì, ma venne disarmato con un ultimo colpo ben piazzato all’impugnatura dell’arma. Minato gli puntò la propria alla gola.
“Esatto, Vostra Maestà. Sono i tuoi sudditi. Sono le genti del Nord. Sono il popolo di cui ti sei dimenticato e che ha capito di non aver alcun bisogno né di te né delle tue fottute leggi!”
In quell’istante al Re sembrò di venire trafitto al petto, in pieno cuore, eppure la spada era ancora lontana, con la punta ferma alla gola ma senza toccarla. Si guardò intorno, cercò e vide quello che gli sembrava assurdo dovesse vedere.
“Stai mentendo!”
“Una menzogna così ben costruita non può essere che la realtà!” Gamo finse un affondo e Ozora inciampò nei suoi stessi passi tanto da cadere a terra, seduto. “Guardali bene, Koudai! Questa gente non viene da luoghi lontani e fuori dal tuo Regno, non vengono dalle terre che si estendono oltre la Corona dei Re. Guarda che vessilli hanno assieme ai miei! Li riconosci? Beh, dovresti! O forse te ne sei talmente tanto fregato da essertene addirittura scordato?!”
Koudai strinse lo sguardo, ma dalla celata tutto appariva più uguale di quanto non fosse. Con un gesto frustrato si privò dell’elmo mettendosi ancora più in pericolo. Cercò, mise a fuoco.
Ecco un legionario contro un suo soldato. Sullo scudo c’era il simbolo della famiglia Gamo che spiccava, ma non era da solo, ce n’era un altro più piccolo, sotto. Maledizione, se solo la sua vista fosse stata migliore. Abbassò lo sguardo un pezzo di mantello era abbandonato proprio accanto alla sua mano inguantata d’acciaio. Ora sì, ora poteva vedere. Il simbolo dei Gamo e accanto un disegno mezzo strappato. Corna di toro rosse.
Corna di toro rosse.
Corna di toro rosse
“Il Dogato di Sagharò…” Koudai lo sospirò piano e il dolore al petto si fece più forte. “…delle Terre del Nord.”
“Congratulazioni, vecchio, hai vinto un premio” esultò Minato levando la spada. Il suo colpo di grazia era pronto, l’aveva desiderato da tanto e quando vide Koudai afferrare la stoffa e poi mettersi in ginocchio non gli parve vero. “Oh, sì… quanto ho desiderato vederti prostrato ai miei piedi, Koudai. E venga il tuo premio e la mia rivalsa. Tua è la colpa e io sono il boia!”
La spada compì un mezzo giro, ma la lama venne intercettata da un’altra quando fu a un soffio dalla carne del Re.
Minato levò lo sguardo, negli occhi ardeva l’iride nero come brace per la rabbia. Attraverso la celata, l’altro elmo apparve nitido e difficile da confondere. Non era per la forma particolare, quanto per quell’incisione d’oro brillante a sagoma di fiore che spiccava a coprire la calotta. E non un fiore qualunque, ma una tabebuia(1). C’era solo un uomo che andava in giro con un simile elmo.
“Hongo!”
“Tieni le tue sudice mani lontane dal Re!”
Il Comandante dell’Armata Reale fece forza sulla lama avversaria tanto da farle compiere un mezzo giro verso il basso e allontanarla dal sovrano, poi affondò un piede nell’addome dell’avversario e allontanò anche lui.
Minato indietreggiò e cercò di bilanciarsi per non cadere.
Roberto Hongo si mise subito in posizione di difesa davanti al Re – che continuava a restare a terra con quel pezzo di stoffa tra le dita – e non era un avversario comune; lo sapeva anche Minato.
Il tutto stava nel suo stile di combattimento: era diverso.
Di solito Hongo tendeva a non esibirsi mai durante le giostre, almeno quelle cui aveva partecipato anche lui prima di iniziare a far prendere forma al suo piano, ma sapeva – glielo avevano detto – che Hongo non era come gli altri, era speciale. Il suo modo di maneggiare la spada avrebbe fatto impallidire anche il Golem, dicevano, perché era poco convenzionale. A volte pareva quasi che danzasse. Era agile, reattivo e a una parata non faceva seguire un secondo attacco di lama, ma usava ogni parte del suo corpo.
Minato seppe che doveva stare attento già quando gli vide ruotare la lama in un gioco di mani-polso, mentre l’altra era priva di scudo. Sembrava quasi non avesse bisogno di difendersi, perché nell’attacco vi era già la sua difesa.
Gamo scrutò la lama: più leggera di quelle in dotazioni agli eserciti, più facile da maneggiare. Si diceva avesse ‘un trucco segreto’, ma nessuno sapeva quale fosse.
“Sapevo che prima o poi mi saresti capitato tra i piedi, ma speravo di lasciarti in pasto al mio Golem!” che, a pensarci bene, chissà dove diavolo era finito in mezzo a tutta quella confusione. Gamo se lo domandò solo ora che ne aveva reale bisogno.
“Il Golem non è avversario adatto a me. Basta il mio Primo Ufficiale e scommetto che si staranno già dando piacevole intrattenimento.”
“Presuntuoso” sputò Minato. Serrò meglio lo scudo e abbassò la lama pur tenendola sempre con la punta rivolta in avanti. “Se tieni a morire per il tuo Re, dunque, non ho che da accontentarti!”
Gamo caricò, tenendo la spada stretta al fianco e affondando solo quando si trovò abbastanza vicino per non scoprirsi troppo. Hongo deviò la punta con la propria con un semplice gioco di polso, quasi che la forza impressa alla lama avversaria non fosse qualcosa che potesse realmente metterlo in difficoltà. Deviò la punta, cambiò il piede d’appoggio che si oppose al braccio che brandiva la spada e tese l’altro tanto da offrire un intralcio ai movimenti di Gamo. Quest’ultimo vi inciampò e rischiò di cadere in avanti, ma aveva sempre avuto un buon equilibrio e la stazza era dalla sua. Hongo rimediò al piccolo inconveniente effettuando una mezza rotazione e colpendo col pomolo in mezzo alla schiena dell’avversario. Stavolta Gamo non riuscì a bilanciarsi e cadde riverso.
Il rumore che il metallo fece a contatto col suolo assomigliò a quello di una serie di pentole cadute di mano alla servetta disattenta.
“Bastardo!” ringhiò il dittatore. Con la coda dell’occhio intercettò un secondo affondo che gli sarebbe stato mortale se non si fosse rotolato di lato e avesse messo lo scudo di traverso per proteggersi. Cercò di usare gli stessi trucchetti dell’avversario e allungò un piede agganciandogli la caviglia e tirando in avanti. Hongo non si oppose alla forza di gravità che, unita al peso del metallo, lo portava a cadere e assecondò il movimento rimettendosi in piedi con una capriola.
Minato ne approfittò per alzarsi a sua volta.
Mentre lo fissava assumere la guardia, l’uomo non poté negare la sua agilità ed eleganza. I movimenti di Hongo sembrava davvero effettuassero una danza, veloce, mirata. Ogni gesto era seguito da un altro studiato, come se ogni azione lui cercasse di portare avanti fosse perfetta per il contrattacco avversario.
Doveva stare attento, se lo rammentò per la seconda volta, eppure tornò ad attaccare per primo. Caricò di nuovo per un colpo frontale, ma all’ultimo momento cambiò idea e lanciò di piatto lo scudo.
Hongo lo deviò verso l’alto mettendo di traverso la spada, con la punta rivolta verso il basso, ma quando scorse Gamo dietro il tentativo di ingannarlo e confonderlo, lasciò la presa dell’elsa il tempo necessario per rigirare il polso e tornare a mettere la lama parallela al terreno. Con l’altro polso tentò di fare pressione per reggere al peso del fendente di Gamo calato dall’alto e con entrambe le mani. Di corporatura, Roberto era meno robusto e Minato sembrava ancora più imponente con la sua armatura nera.
Il signore del Nord tentò con ogni mezzo di approfittare di questo evidente vantaggio, facendo pressione con tutto il proprio corpo, tanto da costringere il Comandante a piegare un ginocchio al suolo.
A Gamo venne da sorridere: lo aveva in pugno, ma Hongo decise che era il momento di ricorrere al ‘piccolo segreto’ della sua spada. Il pollice che teneva l’impugnatura premette un pulsante alla base della stessa, lì, dove era impressa la stessa incisione fiorata dell’elmo. L’altra mano abbandonò la pressione e afferrò il pomolo. Tirò. L’impugnatura si allungò di quasi un braccio tanto da lasciare sorpreso lo stesso Minato Gamo. Approfittando dell’estremità aggiuntiva, Hongo sfruttò l’effetto leva riuscendo a far ruotare la lama dell’opponente quel tanto che bastava ad infilzare la propria al suolo, tirarsi in piedi e usare l’impugnatura come appoggio per calciare Minato Gamo in pieno fianco.
Il dittatore ricadde di lato, sbilanciato dal contrattacco avversario e colto di sorpresa da una simile diavoleria. La lama doveva essere cava nella parte alta tanto da ospitare il prolungamento dell’elsa che si poteva far uscire a proprio piacere. Ma mentre rotolava, Gamo si rese conto di un’altra cosa. Tra le feritoie dell’elmo che aveva ancora sulla testa, vide Hongo estrarre la spada dal suolo con un gesto fluido, riportare l’elsa alla sua lunghezza normale e impugnare poi l’arma con la mano sbagliata.
Si fermò. Il respiro era affannoso e irato dentro il metallo. Aiutandosi con la propria spada si mise in ginocchio. Eliminò l’elmo l’attimo successivo per vedere meglio, con entrambi gli occhi e senza il metallo a ingannarlo, ma ciò che vide non cambiò. Il vero segreto dell’abilità di Hongo non era la sua spada ‘particolare’.
“E’ ambidestro” sputò a terra un grumo di sangue e polvere.
La danza riprese, ma questa volta fu proprio Roberto ad attaccare per primo. Gamo ebbe solo il tempo di riuscire a mettersi in piedi che i fendenti di Hongo arrivarono precisi a colpire quei punti che l’avversario riusciva a malapena a coprire: il fianco poco sopra la cintola, l’ascella quando tentava di effettuare una parata, il ginocchio opposto a quello di appoggio. Colpi netti, rapidi, che riuscivano in qualche modo a farsi spazio tra l’acciaio dell’armatura perché avevano le placche più deboli e la lama di Hongo le faceva saltare, fino ad arrivare alla cotta di maglia sottostante. Ed era così agile che quando portava un attacco lo iniziava con la mancina, lasciava la presa, e lo completava con la destra.
Il lato del collo fu il primo punto dal quale Gamo prese a sanguinare.
La lama di Hongo era rimbalzata contro la propria in quello che sarebbe potuto sembrare una deviazione casuale e fortuita, ma non lo era.
Minato si portò la mano alla ferita, il taglio aveva aperto la carne come fosse stata di burro. Di sicuro quel bastardo del Comandante teneva la propria arma affilata a puntino.
Tentò di ripulirsi alla buona ma non aveva stoffa con sé, aveva perso anche il mantello o forse non l’aveva proprio avuto durante lo scontro, non lo ricordava neppure più. La ferita continuava a sanguinare copiosa e per quanto non fosse stata mortale, a lungo andare lo sarebbe diventata; doveva chiudere quel duello e non poteva, non doveva perdere proprio all’ultimo momento, non contro Hongo. Era ‘lo straniero venuto dall’estremo Sud’, forse proprio Punta Maar, che si diceva il Re avesse salvato e che da allora gli era rimasto fedele come nessuno mai.
Non voleva perire per mano del cagnolino da compagnia.
Gamo si riempì il petto di tutto il fiato che poteva e tutto l’orgoglio. Si gettò sull’avversario il cui viso era ancora celato dietro l’elmo. Caricò di lato, ma Hongo deviò violentemente con la mancina ed effettuò una mezza piroetta, rigirò la lama mantenendola parallela al proprio braccio e poggiò un ginocchio al suolo. Gamo era ancora in piedi, sbilanciato col busto e piegato in avanti, ma con le gambe solidamente dritte e il retro delle ginocchia scoperto quanto bastava affinché la spada di Hongo potesse tagliare il cuoio degli abiti che indossava da sotto al metallo e colpire la carne. Altro sangue, legamenti recisi di netto e un grido straziante da parte di Gamo. Le ginocchia cedettero di schianto, facendolo trovare a terra e nella bocca aveva già, chissà come, il sapore del sangue; doveva essersi morso la lingua.
Roberto riportò la spada davanti a sé, la tenne con la destra e ne allungò il manico con la sinistra, poi, alzandosi in piedi e impugnandola con ambo le mani, la piantò per tutta la lunghezza della lama nel fianco di Minato Gamo facendosi breccia proprio nel punto in cui aveva fatto saltare le piastre dell’armatura e slargato le maglie della cotta protettiva.
Il lamento del signore del Nord si spense nella sorpresa che gli fece rimanere aperta la bocca con il fiato rilasciato a metà. Il mondo iniziò a cambiare asse davanti ai suoi occhi e ciò che era dritto assunse una posizione obliqua rispetto al suo punto di vista. Ma non era il mondo a cambiare, quanto il suo corpo a piegarsi di lato, sotto la pressione della lama. E il mondo stava anche cambiando colore, sfumando nel nero. Il nero del suo vessillo.
Per un solo istante, prima di morire, lo vide come avrebbe sempre voluto che fosse. Poi crollò di lato e non si mosse più.
Roberto Hongo rigirò la lama nel suo corpo assicurandosi che fosse morto davvero; gli piacevano le sorprese, ma non in guerra. Quando si sentì sicuro estrasse l’arma, ne accorciò l’impugnatura e tornò a infilarla nel fodero.
Solo allora tirò il più lungo respiro della sua vita.
Guardò nuovamente in basso e vide che, sì, il signore del Nord, l’uomo che aveva scatenato l’Infero nella Lingua di Serpe e aveva portato alla morte di decine, centinaia… migliaia dei suoi uomini e degli uomini della Guardia Cittadina… era morto. La guerra era finita. Nonostante si stesse ancora combattendo, era finita. Lo sarebbe stata nel momento esatto in cui tutti i legionari avessero compreso che non avevano più un signore a guidarli, che in piedi era rimasto solo il Re Koudai Ozora.
Si volse, cercò proprio l’uomo con lo sguardo, ma non lo vide affatto in piedi, quanto ancora inginocchiato a rigirare e stringere lo stesso pezzo di stoffa che gli aveva trovato in mano quando era arrivato a salvarlo.
Inspirò a fondo, ancora una volta, e si tolse l’elmo. I capelli ricci e la barba incolta emersero madidi di sudore da sotto l’acciaio che abbandonò a terra, mentre raggiungeva il sovrano.
“Vostra Maestà.” Lo chiamò, ma non ebbe risposta. “Alzatevi, Vostra Maestà.”
Con decisione lo aiutò, prendendolo da sotto il braccio, ma Koudai sembrava riluttante e quasi incredulo.
“Il Re deve stare in piedi sul campo di battaglia, signore.” Gli disse con decisione, seppur non utilizzando affatto un tono di rimprovero.
“E’ colpa mia?” replicò il sovrano levando finalmente lo sguardo su di lui. “Tutto questo… è colpa mia? Sono stato io? Io ho… male amministrato il mio regno e il mio popolo? Sono davvero io che l’ho portato a questo?”
Nelle sue iridi scure, che sembravano aver perso tutto il fulgore e la sicurezza di cui era sempre stato fautore, Roberto lesse quanto il peso del comando lo avesse fatto invecchiare dentro, nell’animo, e quanto il senso di colpa per non essere stato il Re che avrebbe dovuto sembrasse aver reso vana ogni fatica sopportata fino a quel momento.
“Tutti sbagliamo, Vostra Maestà.” Gli disse, senza mentire. Perché non era di bugie consolatorie ciò di cui aveva bisogno, ma di qualcuno che gli desse la giusta scrollata, lo sprone per tornare a guardare avanti. Proprio come il Re lo aveva dato a lui il giorno in cui aveva deciso di morire. “Anche i Re. Soprattutto i Re. Ma possiamo fare due cose davanti ai nostri errori: piangerci addosso e continuare a sbagliare o accettare lo sbaglio e porvi rimedio. E i Re è la seconda scelta che prendono.” Gli sorrise, mostrandogli tutta l’amicizia che nutriva nei suoi confronti e il rispetto, la fiducia. “Voi saprete certamente trovare il migliore.”
Koudai esalò un lungo respiro e tornò a guardare il pezzo di stoffa che aveva tra le mani.
Il rimedio migliore.
E il rimedio migliore sarebbe stato di sicuro anche il più difficile, ma era questo che i Re facevano, dopotutto.

Mamoru correva e atterrava avversari senza guardarsi indietro neppure per un attimo.
Era così arrabbiato da non aver voglia di fermarsi a pensare: un avversario gli si parava davanti? Lui lo eliminava. Chiusa la questione.
Yuzo faceva non poca fatica per riuscire a stargli dietro, anche perché doveva tenere d’occhio anche il Principe e la Chiave che restavano avanti a lui e seppur il Principe conoscesse dei rudimenti di scherma, questi non erano sufficienti per essergli di valido aiuto.
“Mamoru!” Il volante lo richiamò in tono urgente e solo allora la Fiamma sembrò comprendere d’esser andata fin troppo avanti.
Respirando con affanno si fermò, guardandosi intorno. La strada che avevano percorso facendosi spazio nella battaglia era stata fagocitata. Non avrebbe saputo dire da che parte fossero venuti né tantomeno dove fossero diretti.
Attese che Yuzo e gli altri lo raggiungessero e si portò le mani ai fianchi. “Sembra un fottuto labirinto qui in mezzo e la presenza degli Stregoni è tale che nemmeno il fischio alle orecchie riesce a darmi una qualche indicaz-!”
“Vuoi darti una calmata?!” Il volante lo afferrò in maniera brusca per un braccio, sibilandogli quella frase. Negli occhi, il nocciola aveva una netta sfumatura di rimprovero. “Si può sapere che ti è preso? Sei come fuggito via, sembravi una bestia furiosa! Il Principe non riesce a starti dietro per non parlare della Chiave!” Spostarono entrambi lo sguardo su Tsubasa e Ryo che stavano cercando di riprendere fiato il più velocemente possibile.
Yuzo smorzò il tono in favore di uno più conciliante, così come la stretta che perse il modo saldo con cui lo teneva. “Così diventa più difficile riuscire a proteggere entrambi. Lo so che è frustrante non aver ancora-”
“Non è per quello.” Lo interruppe la Fiamma. Nel tono non c’era più il piglio rabbioso, ma solo severo. “Detesto l’idea di averli lasciati indietro. Tutto qui.”
“L’ho provato anche io l’amaro di dovervi voltare le spalle quando ci siamo trovati davanti a Gamo in persona.” Yuzo lo lasciò andare del tutto. “Ma è del pianeta intero che stiamo parlando e ci sono scelte da prendere sul momento, anche se fanno male.”
Mamoru assimilò le parole del compagno mentre inspirava profondamente per recuperare di nuovo il sangue freddo di cui aveva bisogno. Poi si volse a guardarlo e lo disse senza nemmeno pensarci.
“Non è che potresti prestarmi un po’ del tuo Autocontrollo, vero? Mi farebbe comodo, adesso.”
Negli occhi nocciola del volante lesse chiaramente che lo stava usando, anche in quel momento. Era uno schermo nitido e riflettente che respingeva tutto ciò che avrebbe potuto farlo tentennare. Ma lesse anche altro; dietro la sua lastra, che non era più terribilmente spessa e invalicabile come quella che aveva conosciuto prima che arrivassero a Ghoia, Mamoru scorse dell’altro e non era piacevole. Si agitava, strisciando contro il muro dell’incantesimo come fosse stato un serpente che cercava a ogni costo la via d’uscita. Forse era per questo che l’alastro rispose: “Non ti piacerebbe, credimi.”
Il volante gli diede un leggero colpo sul braccio, per esortarlo a riprendere la loro ricerca. Ma più andavano avanti, più le speranze di riuscire a trovare il Nero sembravano ridursi. Nemmeno i Master erano visibili. I kamalocha coprivano il cielo, rincorrevano i màlayan e gli alastri; la seconda carica aveva reso ancora più caotico il campo di battaglia e gli Stregoni, che tentavano di intralciarli, sembravano aumentare di numero rallentando di molto il loro avanzare.
Per loro fortuna avevano accumulato talmente tanta esperienza che affrontarli non appariva più come una missione impossibile. Tutto ciò che avevano appreso alle rispettive scuole, unito alla pratica che i fratelli Konsawatt e la prigionia aveva fornito loro, più la determinazione che gli eventi avevano reso ferma e spietata li aveva come trasformati.
Mamoru un po’ lo sentiva, anche se sapeva non fosse il momento più adatto per fermarcisi a pensare. Lo sentiva perché ragionava prima di portare avanti qualsiasi attacco, cosa che con l’irruenza che l’aveva sempre contraddistinto non avrebbe mai fatto. Ora pianificava sul momento e studiava le mosse avversarie per trarne il massimo vantaggio. Era maturato e rendersene conto proprio lì, nel pieno degli scontri, gli fece assumere un sapore amaro al palato. Non erano stati i buoni voti a scuola a renderlo forte, quanto i sacrifici affrontati.
Scosse il capo e disarcionò un soldato, fondendo l’armatura alla pelle e soffocandone le grida di dolore con l’acciaio dell’elmo in un sigillo liquefatto nella carne.
Si volse, Yuzo stava dando l’ennesimo ben servito a uno Stregone attraverso l’elettricità, ma quello che vide dopo gli provocò un brivido orribile lungo la schiena.
Un legionario di Gamo aveva tentato l’inutile affondo. Il volante l’aveva deviato col semplice dorso della mano, si era portato alle sue spalle con un movimento fluido e la stessa freddezza e rapidità gli aveva spezzato il collo.
Gli parve assurdo, ma solo in quel momento Mamoru realizzò che il modo di combattere di Yuzo era ‘cambiato’, quasi avesse rimosso il motto della Scuola di Alastra dietro cui si difendeva sempre quando veniva esortato a essere più aggressivo. Il Poli-Poli e la loro assurda discussione sembravano così lontani da sembrare quasi un ricordo vissuto con un’altra persona.
D’improvviso si domandò quanti ne avesse già uccisi da che erano piombati nella Lingua di Serpe. Quando avesse messo da parte i suoi saldi e intoccabili principi.
Lui era l’ultimo a poter parlare, visto che uccidere non era una novità per le sue mani, ma vedere che era Yuzo a farlo, che era il suo buonissimo, disponibile e puro uccellino lo lasciò come shockato.
Di colpo scosse il capo, cercando di tenere fuori da quella questione la parte sentimentale del suo cuore, quella che amava, per lasciare che fosse solo quella della Fiamma, dell’Elemento di Fyar, del guerriero a venire fuori e quella parte gli diceva che il volante stava facendo ciò che doveva. Né più né meno. Erano nel pieno di una guerra e la guerra non si combatteva con le carezze e i buoni propositi.
Indurì lo sguardo e tornò a volgerlo con maggiore decisione alla strada davanti a lui, anche se non era possibile vedere un percorso vero e proprio. Tentò di figurarne uno, dopodiché se lo sarebbe creato a suon di incantesimi.
Fu in quel momento che i suoi occhi trovarono, tra tutte, una figura immobile e familiare che li stava fissando senza muoversi. Una figura che appariva e scompariva tra la folla e gli altri combattenti. Una figura con un mezzo sorriso sulle labbra, occhi dal taglio allungato e capelli castani.
Restava lì, ferma, quasi si aspettasse che fossero loro ad avanzare, ma Mamoru strinse le labbra e provò a deviare il percorso, cercandone un altro. Eppure, come i suoi occhi vagavano intorno, quelli della figura erano sempre lì, per incrociare i suoi e dirgli che non ci sarebbe stata alcuna possibilità: si sarebbero trovati faccia a faccia.
E l’ultima cosa che Mamoru voleva era trovarsi faccia a faccia con Faran Konsawatt.

 


[1]TABEBUIA: in particolare la Tabebuia chrysotricha è la pianta simbolo del Brasile. :) L’albero presenta dei bellissimi fiori di un giallo abbagliante. E’ chiamata anche Golden Trumpet Tree ed è una sempreverde. In portoghese è chiamata ‘Ipê Amarelo’ ed è il cibo preferito di alcune specie di colibrì, poiché i suoi fiori sono ricchissimi di nettare. Il fiore di solito presenta cinque petali e si trova in ricchi mazzetti all’estremità dei vari rami. E’ davvero una bellissima pianta e la potete ammirare: *clicca qui* e *clicca qui*. XD Dovevo dare a Roberto Hongo un qualcosa che lo caratterizzasse come made in Brasil! XD


 

…Il Giardino Elementale…

 

Ma! Ora che ci penso... temo di non avermi mai parlato dell'origine dei Kamalocha. XD
Quando pensavo al tipo di animale che gli Stregoni avessero potuto usare per la loro 'entrata a sorpresa', avevo iniziato a fare tutta una lista di: "Questo no, questo neppure". In primis, sapevo che non avrei voluto usare i draghi, perché nel mondo di Elementia non sono creature realmente esistenti, ma appartenenti alla mitologia e legate al potere elementale (il drago che Mamoru ha usato contro Brolin nell'Avamposto Sud, ad esempio). Non volevo usare un pennuto qualunque, tipo fenice, perché esistevano già le phaluat. Non volevo le aquile, perché erano troppo banali XD (!!) né volevo un animale che passeggiava sulla terra perché mi serviva per mettere in difficoltà alastri e fyarish. Allora mi son detta: "visto che l'animale che voglio NON esiste... perché non crearmelo?" e così sono nati i Kamalocha. :D
Volevo che si ispirassero a qualcosa di realmente esistente, ma che avessero anche qualcosa di diverso e allora, poiché non volevo dargli un muso di drago, ho pensato ai camaleonti, ma non i camaleonti comuni... bensì: i Camaleonti di Jackson. :D Sì, quelle sono proprio le tre corna che i kamalocha hanno sul muso (AWWW! NON SONO BELLISSIMI?!?!?! *^*). Poi ho cercato di dar loro un sistema alare particolare, che li rendesse molto più agili di un màlayan, ma che comunque non potessero volare altissimo come gli alastri. Ecco quindi le sei ali indipendenti le une dalle altre; poi son venute le zampe, da uccello, il colore e la mescolanza di scaglie e piume. Mi sarebbe tanto piaciuto disegnarveli, ma mi sono dovuta arrendere T_T erano troppo difficili per me, povera scarabocchiatrice a tempo perso.

Per il resto, questo capitolo continua a chiudere altri discorsi lasciati aperti: Teppei vs Sakun, Koudai vs Gamo. Ma altri vengono aperti: Hajime vs Chana e, in ultimo, la comparsa di Faran.
A chi spetterà il maggiore dei fratelli Konsawatt? :3333
Al prossimo aggiornamento!!! :DDDDD


Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

- Elementia: Fanart

Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •    
     
    Leggi le 6 recensioni
    Segui la storia  |        |  Torna su
    Cosa pensi della storia?
    Per recensire esegui il login oppure registrati.
    Capitoli:
     <<    >>
    Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Melanto