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Autore: RainbowCar    11/12/2012    3 recensioni
FF iniziata quando DAI non era ancora stato rilasciato. In questa storia gli eventi di Inquisition non sono mai accaduti: ho scelto di immaginare i miei eroi e le loro storie; personaggi nuovi che inevitabilmente incontrano quelli di DA:O e DA2.
"Era tutto perfetto. Mio padre e mia madre si abbracciavano sorridenti mentre mi guardavano giocare col mio fratellino. Il sole splendeva alto nel cielo e il lago Celestine luccicava come uno zaffiro. C’erano uccelli e cerbiatti, e nug. E c‘era un drago. Un drago enorme, mostruoso. Era venuto per uccidere."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Custode, Hawke, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Cosa vuoi?”
Feron era comparso alle spalle dell’elfa e le puntava una lama alla gola, tenendola per le spalle con l’altro braccio intorno al suo corpo.
Io decisi di non fare nulla e di assistere alla scena. La ragazza sembrava disarmata. Restò completamente immobile, con aria spaventata.
“Non ho cattive intenzioni…”
“Allora cosa ci fai qui?” la incalzò il ladro.
“Sono arrivata qui per caso...Stavo  vagando nella foresta e ho visto il fuoco da lontano…” disse con voce incerta.
“Vagavi nella foresta? Per quale motivo?” Feron era scettico.
“Io…sono scappata!” confessò lei.
“Scappata? Da chi?”
Feron allontanò il pugnale dal suo collo quel tanto che bastava perché l’elfa potesse sfuggire agilmente alla sua presa e piazzare un calcio ben assestato al suo inguine. Afferrò la borsa coi nostri viveri e incominciò a correre.
Fantastico, un’altra ladra. Come se non mi fosse bastato incontrare Feron, che , in quel momento, era accasciato e dolorante, intento a constatare tramite un elaborato palpeggiamento l’integrità della zona colpita.
A quel punto mi alzai e le scagliai addosso stizzita un quadrello arcano. L’elfa non vide arrivare la scarica, dato che mi dava le spalle, e fu colpita in pieno. Inciampò e cadde con la faccia nel fango. Era stata una scena piuttosto divertente, che mi strappò persino un sorriso.
Feron, ripresosi, decise di raggiungerla, ma la ladra, contrariamente alla goffaggine mostrata poco prima, si rialzò immediatamente e scagliò contro il suo inseguitore un piccolo pugnale che aveva tirato fuori dai calzari. Feron riuscì a scansarlo, non senza procurarsi un piccolo taglio alla guancia. Furioso, il ragazzo la raggiunse e si avventò su di lei, atterrandola ancora una volta. L’elfa si ritrovò supina con addosso Feron che cercava di strapparle la nostra borsa che teneva a tracolla e nel contempo tentava di farla smettere di scalciare e tirare schiaffi.
Stavolta fu un ramo, a portata di mando lì per terra, a colpirlo, purtroppo, in pieno volto. Per fortuna un ramo piccolo, che bastò comunque alla ladra per far mollare la presa al suo assalitore e divincolarsi, spingendolo a terra alla sua  destra. Poi con un balzo si rialzò e tentò nuovamente la fuga.
Era un osso duro, ma Feron non era da meno. Era ancora a terra, ma con una capriola riuscì ad agguantarle una caviglia e farla ruzzolare nuovamente. Lei disse qualcosa in linguaggio elfico che  non capii, ma dal tono valutai che era meglio non aver capito, poi iniziò il combattimento corpo a corpo.
Da principio restai a guardare. Indubbiamente era brava, ma Feron sapeva tenerla a bada, non senza difficoltà. L’elfa però scansò uno dei suoi affondi e rapidamente, durante una mezza giravolta, sfilò dal fodero un altro  pugnale nascosto, stavolta, all’altezza della coscia destra. Altrettanto rapidamente lo piantò sulla coscia di Feron, che fu costretto a inginocchiarsi, sofferente. Non era grave ma doveva sicuramente essere doloroso. Estrasse il pugnale ma il sangue usciva a fiotti. Intanto lei se la stava dando a gambe.
Decisi dunque di  intervenire di nuovo. Lanciai un incantesimo di guarigione a Feron e un raggio gelido alla fuggitiva. Finalmente si placò. Restò immobile diversi minuti prima di risvegliarsi legata a un tronco d’albero.
“Lasciatemi andare!” gridò, quasi con arroganza.
“Ti aspettavi davvero che ti avrei lasciata fuggire con le nostre provviste?” la interrogò spavaldo Feron, evidentemente dimentico del fatto che ci sarebbe riuscita benissimo se non fossi intervenuta io. “Adesso dicci perché sei qui. Chi ti ha mandata?”
“Mandata?” chiese lei. Sembrava sinceramente incredula. “Io non lavoro per nessuno, non ho la minima idea di chi siate! Se non l’hai notato, mi interessava allontanarmi il più possibile da voi!”
“Con il nostro cibo” precisai io.
“Ero affamata!”
“Ragazzina, non ti hanno insegnato a chiedere le cose invece di rubarle?” la canzonò Feron.
Non potevo crederci. Un ladro che faceva la predica a un altro ladro. Cercai di dissimulare la mia espressione a metà tra il divertito e lo sbigottito.
“Chiedere non serve a nulla. Ho imparato che se vuoi qualcosa, devi prendertela”
Adesso era Feron quello che non riusciva a trattenere una risata. Indubbiamente la ragazzina aveva carattere.
“Come ti chiami?” le chiesi.
“Che ti importa?!” rispose cocciuta.
“Come preferisci. Se non vuoi avere a che fare con noi, allora ce ne andremo e ti lasceremo qui legata come un salame, così che i tuoi inseguitori ti possano trovare presto…”
La ragazza sgranò gli occhi, spaventata. Finalmente era pronta a collaborare.
“Mi chiamo Altelha” si affrettò a dire.
Feron insistette: “Da dove sei fuggita, e perché?”
“Sono fuggita da Denerim”
 
Denerim. La città di mio padre. La città che stavo cercando disperatamente di raggiungere.
“Com’è Denerim?” avevo chiesto ad Altelha. “E il re? Com’è?”
Le avevo detto che avevo sentito parlare di lui e che ero curiosa di conoscerlo, inoltre lei e Feron sapevano che avevo affari da sbrigare alla capitale, ma nessuno dei due sapeva esattamente cosa. Solo che dopo quell’incontro il sogno di raggiungerla si era allontanato  ancora.
“Non posso tornare a Denerim!” aveva asserito Altelha, piagnucolando.
Sua madre Shianni, la guardiana dell’enclave, le aveva combinato un matrimonio con un ragazzo che lei odiava. In realtà non lo odiava per un motivo in particolare, lo odiava perché non era lui la persona che amava. Era innamorata di un giovane nano. E questo giovane nano adesso si trovava a Orzammar. E lei voleva raggiungerlo a tutti i costi. E io mi ritrovavo coinvolta ancora una volta in affari di cuore che non mi riguardavano.
“Non andremo a Orzammar!” tentai di protestare, ma Feron, una volta soli, mi fece notare che quella deviazione era necessaria.
“Pensaci bene. Se la lasciamo andare, potrebbe spifferare a qualcuno di noi, di te…verremmo catturati e arrestati in men che non si dica.”
“Non se l’ammazziamo”, proposi, seria.
Feron mi guardò come se avesse di fronte un demone. Evidentemente non si aspettava che io fossi capace di un azione tanto crudele. Non gli avevo mai raccontato di quella volta che lasciai al suo destino quel ragazzino a Val Royeaux….
“D’accordo. Non la ucciderò” dissi abbassando gli occhi. Quel suo sguardo di ghiaccio mi aveva mortificata. Avrei voluto dirgli che in realtà  non avevo mai avuto intenzione di uccidere la ragazza, ma evitai di giustificarmi.
“La porteremo a Orzammar, lei resterà lì, sposerà il suo nano, ci sarà riconoscente a vita e saremo tutti felici e contenti” continuò lui.
“Ma non ho tempo per quello!”
“Non sei tu a dire sempre che vuoi conoscere di più sul Ferelden? Beh questa è una buona occasione, in più…” si interruppe, indeciso se continuare o meno.
“In più?” lo sollecitai io.
“In più saremmo di strada per una commissione che devo svolgere”
“Commissione?”
Incredibile. Ancora una volta spacciava un suo interesse per un interesse comune.
Incrociai le braccia, in attesa che mi raccontasse tutto.
E lui lo fece. E io, ancora una volta, non potei dire di no.
 
 
Anders gli aveva salvato la vita. Gli doveva tutto. L’aveva raccattato ai confini della foresta di Brecillian sette anni prima, quando Feron aveva appena quindici anni. Era stato picchiato, rapinato e ferito a morte. Se Anders non l’avesse trovato sarebbe sicuramente rimasto lì a dissanguarsi lentamente finchè il suo cuore avesse cessato di battere. Invece il mago  l’aveva soccorso e l’aveva portato nel suo rifugio. Gli aveva guarito le ferite, si era occupato di lui per mesi, gli aveva dato un tetto, del cibo e persino dei vestiti. In seguito si erano rivisti spesso, erano diventati grandi amici, forse Feron in lui vedeva il padre che non aveva mai avuto, comunque sia Anders aveva fatto per lui più di chiunque altro. E ora lui non poteva negargli questo favore, forse l’ultimo favore  che gli avrebbe mai chiesto, oltre che l’unico.
Ascoltai il racconto di Feron seduta accanto a lui, davanti al fuoco e alla carne che si stava cuocendo.  Ero rapita dalla sua voce e quel suo sguardo malinconico mi suscitava tenerezza, sembrava un cucciolo sperduto bisognoso di coccole.
Mi sorpresi a pensare a lui in questi termini, ma la verità è che aveva uno strano ascendente su di me, era capace di farmi cambiare stato d’animo in meno di un secondo, solo con uno sguardo o con una singola parola. Non ne comprendevo il motivo però, e la cosa mi rendeva ancora più confusa.
Altelha era andata a prendere dell’altra legna, quindi eravamo ancora una volta soli.
“Sei mai stato innamorato?” gli chiesi, d’istinto, senza preamboli.
Lui mi guardò negli occhi, in silenzio, per un lungo istante. Poi finalmente mi rispose.
“Sì”, disse, tornando a guardare il fuoco. E non aggiunse altro.
“E… com’è? Com’è essere innamorati di qualcuno? Com’è l’amore? E’ davvero così speciale come cantano i menestrelli, come lo descrivono i poeti?” Non riuscivo a smettere di chiedere.
Lui sorrise, ma era un sorriso triste, lo sguardo era basso, il volto tirato.
“Sì” si limitò a dire, “E’ proprio come lo descrivono i poeti”
Quel Feron di poche parole non era il Feron che avevo imparato a conoscere in quelle settimane, anzi, quando era così silenzioso voleva dire che qualcosa non andava.
“Sono stata indiscreta?” mi scusai, non so nemmeno io il perché. “Mi dispiace, probabilmente non sono cose che vanno chieste”
“Non è colpa tua” si affettò a dire, notando il mio rammarico. Mi mise una mano sulla spalla, come per rassicurarmi. “Il passato è passato. L’importante è il presente, no?”
Finalmente tornò a sorridermi.
Poi successe una cosa strana.
Mi abbracciò. Mi strinse forte. Durò solo qualche secondo ma io rimasi completamente inerme tra le sue braccia, inerte come una bambola di pezza. Assaporai il tepore della sua pelle sulla mia, il profumo dei suoi capelli, ma non ebbi il tempo di rendermi conto di quanto mi piacesse quella sensazione che mi lasciò andare e si alzò, addentrandosi poi ancora una volta nell’oscurità della notte.
Poco dopo tornò Altelha, con una bella scorta di legna. Ancora mi chiedevo come mai non ci facesse fuori nel sonno, ormai era con noi da tre giorni, aspettava forse l’occasione giusta? Più probabilmente conveniva anche a lei avere protezione durante il suo lungo viaggio. Dopotutto, voleva arrivare sana e salva dal suo amato Gulliack.
“Parlami ancora di Denerim” le chiesi, e così lei mi raccontò dell’enclave, del mercato, di certi posti in cui si va alla ricerca di piacere, e del castello. Un grande castello, sì, ma lei non c’era mai stata. Conosceva il re e la regina perché qualche volta avevano fatto visita a sua madre, ma non aveva avuto modo di parlare con loro al di là dei convenevoli. Erano pur sempre i sovrani del Ferelden. Sua madre però li conosceva da quando erano due semplici custodi, e loro non si erano dimenticati di lei. Il re sembrava un brav’uomo e teneva molto al suo popolo, umano  o elfico che fosse. Anche la regina era una donna giusta e meritevole. In fondo aveva ucciso l’arcidemone con le sue mani, o meglio, col suo pugnale.  Questo avrebbe elevato chiunque, anche il peggiore dei furfanti, a uomo degno di lode, tanto più se quella persona fosse stata davvero degna, come lo era infatti la regina.
 
Quella notte dormii sonni tranquilli, accanto al fuoco che lentamente moriva, ricordai il tepore delle braccia di Feron, il suo inaspettato ma piacevole tocco. Scivolai nel sonno con più facilità del solito, evitando di preoccuparmi di stare in guardia. Cominciavo a fidarmi di Altelha. Parlandole quella sera avevo capito che era una ragazzina desiderosa di fare le proprie esperienze e di vivere la propria vita, proprio come me. La comprendevo. Eravamo entrate in sintonia, se così si poteva dire. Quindi avevo deciso di concedere a me stessa una tregua. E poi ero sicura che mia madre non avrebbe permesso a nessuno di farmi del male.
 
 
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“Adesso basta!” cercò di convincerla lui, ma lei era testarda come un mulo.
Zevran lo sapeva bene, quando Lavriella si metteva qualcosa in testa, difficilmente cambiava idea.
“Sono due settimane che brancoliamo nel buio, non la troveremo mai!”
“Il pessimismo di certo non ci aiuterà!” ribattè lei, sarcastica.
“Nemmeno l’ottimismo se è per questo”
L’elfo camminava nervosamente in un punto imprecisato della foresta di Brecillian, percorrendo la stessa distanza avanti e indietro, tamburellandosi il mento con le dita di una mano, mentre cercava di far ragionare la donna.
“Ma non capisci Zev? Davvero non capisci? Credevo fossi l’unico di cui potessi fidarmi e ora vuoi voltarmi le spalle?” gli occhi della regina si fecero lucidi.
Zevran stava quasi per cedere, ma ormai la conosceva bene, così come lei conosceva lui e sapeva che il 90% delle volte lui cedeva ai suoi occhioni tristi. Ma ora la cosa era seria, non poteva lasciarsi soggiogare così e soprattutto lei non poteva continuare a comportarsi come una bambina capricciosa.
“Lo sai che io ti capisco benissimo. E sai anche che puoi fidarti di me, così come sai che per te farei di tutto, anche senza questo tuo sguardo da cerbiatta”
Si avvicinò a lei e le strinse le mani nelle sue, guardandola dritta negli occhi.
“Ma renditi conto che non possiamo andare in giro in tutto il Ferelden per mesi e mesi senza garanzie di successo. E’ come cercare un ago in un pagliaio…”
“Oh, per favore! In qualche modo la troveremo!”
“Dovresti parlarne con tuo marito”.
Quella frase colse Lavriella alla sprovvista. In realtà si sentiva tremendamente in colpa ma riuscì solo a esternare rabbia.
“Cosa? Ma chi ti credi di essere per farmi la predica?  Tu! Che più di tutti dovresti sapere cosa vuol dire avere dei segreti, soffrire per quei segreti e sentirsi in colpa ogni giorno per quei segreti! Tu che più di tutti dovresti sapere come ci si sente a fingere ogni giorno, ogni giorno della tua vita, a portare un peso centomila volte più grande di te, a sentirti schiacciare da quel peso, a sentirti soffocare tanto da farti mancare il respiro….tu…tu…” le ultime parole si persero in un sussurro. Stavolta le lacrime erano copiose, e vere.
Zevran lo sapeva. Eccome se lo sapeva. Sapeva cosa significava mentire ogni giorno alla persona che amava, sentirsi soffocare, mancare il respiro, sentirsi morire, eppure continuare a lottare in una battaglia di cui si conosce già l’esito. Che non è di certo una vittoria.
La strinse a sé. L’abbracciò forte, asciugò le sue lacrime e ingoiò le sue, ancora una volta.
“La troveremo” le promise.
  
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