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Autore: neesama    12/12/2012    6 recensioni
L'autunno colora di rosso e giallo tutto intorno a loro. Fra un pò sarà inverno. C'è un posto, in un angolo di Seul dove il calore della primavera non ti abbandona mai. E' la sua pasticceria... Kibum e Jonghyun hanno freddo, ma non solo per l'inverno che sta arrivando. Riusciranno a superare quell'inverno insieme "scaldandosi"? E Taemin capirà cos'è quel sentimento che univa i suoi genitori, magari scoprendolo insieme ad un'altra persona, tra panna e cioccolato? JongKey - TaeKey - JongHo
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Taemin
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte, volevo chiedere scusa per il ritardo mega. Vi devo delle spiegazioni, com'è giusto che sia e anche delle scuse. Oltre al brutto periodo che stavo passando, dal quale cercavo di riprendermi, è avvenuto un lutto in famiglia. Ho perso mio fratello. Non era un fratello vero, di sangue intendo, ma acquisito, il marito di mia cugina. Avevamo un rapporto speciale e ci volevamo un bene dell'anima. Perciò è stato difficile riprendere a scrivere e... beh l'ultima one-shot che avevo scritto, l'ho scritta proprio il giorno prima. Perciò vi chiedo scusa del ritardo e sto andando avanti col resto, presto pubblicherò le altre e non vi farò attendere, promesso. Grazie per il vostro sostegno, un abbraccio forte. Chuu mega a tutte.

Ps: questo capitolo lo dedico a tutte le persone che mi sono state vicine. Grazie. ♥♥♥




La mano stretta alla sua, quel caldo della primavera che si propaga per tutto il corpo.

Taemin sente un qualcosa di strano, Kibum invece avvampa.

Lo trascinò nel suo laboratorio, proprio lì dietro, dove mai nessun altro era andato, se non quei collaboratori accuratamente scelti.

Non aveva mai smesso di tenere stretta la sua mano, come non aveva assolutamente intenzione di farlo. Voleva portarlo lì e capire “quel qualcosa di grande che ti fa stare bene” e dargli un nome, perché lui sapeva, sapeva davvero cos’era.

Taemin era sicuro, Kibum molto meno, lo si poteva intuire da quelle dolci gote arrossate che non sentivano più il freddo dell’inverno colpirle.

E fu proprio lì, vicino al bancone principale, dove Taemin aveva imparato a creare le sue opere d’arte, che il giovane pasticciere si girò verso di lui, tenendo sempre salda la sua mano.

Lo sguardo si posò subito nel suo, notando ancora una volta la dolcezza degli occhi di opale.

Ma non c’era la nota triste, così sorrise.

E sorrise anche Kibum.

Come se una dovesse seguire l’altra, prima una e poi l’altra, quelle bocche mostrarono dei meravigliosi sorrisi.

Forse… l’uno dipendeva dall’altro?

E come se fosse la cosa più naturale del mondo, i loro occhi s’incatenarono, come la volta precedente e forse anche di più. Brividi caldi attraversarono i loro corpi, mentre il sole spuntava nel viso di Kibum, un po’ arrossato e così incredibilmente dolce.

“Ora t’insegno a fare il pan di spagna, quello vero…”

“Co-come?”

“Quello vero, così poi potrai fare anche lei… ma prima devi imparare a fare lui…”

“Ma… io non credo di…”

“Tu puoi… devi solo volere.”

“È difficile Taemin…”

“Ti aiuterò io…”

“Beh, sei un pasticciere, tu puoi insegnare a chiunque…”

“No, lo posso insegnare a chi lo conosce… tu però mi devi dire il nome.”

“I-Il nome?”

“Sì, tu… lo sai…”

Kibum avvampò di nuovo, mentre le dita soffici di Taemin accarezzarono lente la sua mano. Lo guidò, in quel laboratorio, tanto grande e con l’isola in mezzo, così grande che ci poteva stare una persona sdraiata.

Poteva essere di qualsiasi colore, solitamente acciaio, invece erano banconi bianchi. Perché il bianco è puro, perché è qualcosa di estremamente rilassante ed in ogni caso avrebbe aiutato la lievitazione di quei dolci tanto particolari.

E poi… era come la panna.

E le gambe di quei tavoli erano marrone scuro, come il cioccolato.

Kibum le aveva notate e, sempre con la mano nella sua, s’aggirava lì. Quella dispensa grande color cioccolato, conteneva ogni cosa. Lo sapeva perché, dopo pochi attimi passati ad osservare tutto, Taemin l’aveva aperta ed aveva preso gli ingredienti necessari per il pan di spagna, poggiandoli sul bancone grande e bianco.

Kibum l’aveva guardato. S’era impresso ogni movimento, ogni sguardo, ogni piccolo particolare di lui perché… beh, perché lui era quel qualcosa che lo faceva stare bene, un po’ come la torta.

Più lo guardava, più gli piaceva ogni piccolo particolare di lui, a cominciare da quello sguardo da ragazzino, dal viso dolce apparentemente, ma così sicuro e da uomo, come la maniera di camminare e… la sua schiena ampia.

Sarebbe stato bellissimo ricevere un abbraccio.

Sarebbe stato altrettanto bello rifugiarcisi dentro…

Magari essere stretti lì…

Magari sentire un profumo dolce, ma da uomo.

Magari sentire la stretta infondere sicurezza,

magari sentire le mani avvolgere la sua vita,

anche se inesperte.

Però lo sapeva fare?

Sembrava di sì.

Anche se non l’aveva mai fatto.

Si gira e sorride… lo chiama dolcemente.

“Kibum…”

***

Aveva lavorato tutto il pomeriggio, ma non si era reso conto di quel dannato tempo che era passato velocemente.

Kibum, questo era il suo pensiero ricorrente in quel dannato pomeriggio che non aveva nessun senso. Aveva pensato continuamente ad ogni cosa, guardando quegli scatoloni ora pieni, ora vuoti e poi di nuovo pieni.

E aveva capito che per colmare quel vuoto che aveva lasciato con la sua stupida paura, doveva fare molto di più di ciò che in quel momento voleva fare.

“Ma l’importante è fare il primo passo!”

Questo si diceva e ripeteva più e più volte ad ogni istante che passava, in ogni attimo che riempiva quei scatoloni. Li riempiva con chissà quante cose importanti, per gli altri, ed era quello che doveva fare lui con Kibum.

La campanella che segnava la fine dell’orario lavorativo, non fu il primo passo ma fu semplicemente il “il prendere coraggio” per fare ciò che avrebbe dovuto fare molto prima.

Lo stava facendo. Era partito ed era andato in un negozio prima, in un altro poi… ed in un altro ancora.

Ed era stato difficile.

Era stato il primo passo, era stato un qualcosa di importante da fare e adesso… bisognava fare tutto il resto. Era tornato alle sei e Kibum ancora non c’era.

Si era spaventato.

Ma poi aveva fatto finta di nulla, sospirando, ed aveva sistemato quel mazzo di rose rosse al centro del tavolo, rigorosamente a gambo lungo. Erano dodici, ed era sicuro che anche se gliene avesse regalate mille, non sarebbero comunque bastate per dire ciò che provava per lui.

Si era diretto in cucina poi, prendendo quelle tovagliette giapponesi che a Kibum piacevano tanto, e le aveva messe lì, una di fronte all’altra per far sì che, una volta seduti, si guardassero.

Amava guardarlo, ma solo quando lui non se ne accorgeva, perché ogni sua espressione era così incredibilmente bella che gli faceva sentire quella sensazione che tutti chiamano “farfalle nello stomaco”.

Lui la sentiva sempre con Kibum, solo che ultimamente aveva così tanta paura di non sentirla che si agitava e davvero non la sentiva, facendolo diventare ancora più insicuro di ciò che già era.

Ma non era solo quello, era l’insieme delle cose.

Per far ritornare bello un vaso rotto, bisogna incollare ogni più piccolo pezzettino, incastrarlo perfettamente come fosse un puzzle, anche se… è possibile davvero aggiustare un vaso rotto?

Quando qualcosa si rompe, come il loro rapporto, come la fiducia, l’amore, come… quelle farfalle che non volavano più perché le ali erano rovinate, come puoi pretendere che tutto ritorni come prima?

Puoi amare, puoi amare da impazzire, ma quella lontananza, quel legame spezzato… non si può aggiustare.

Però Jonghyun voleva farlo.

Avrebbe voluto fare qualsiasi cosa pur di non perderlo.

Ed aveva ricominciato a ricomporre il vaso,

partendo non proprio dal primo pezzo ma…

usando la colla migliore, quella ottima, mettendo poi su ogni piccola crepa

dei brillantini, segno che…

forse si sarebbe aggiustato e nonostante tutto Kibum avrebbe visto la parte migliore di quei segni dolorosi.

Forse.

Kibum, tu lo vuoi?

***

“Ne?”

Arrossisce e si morde il labbro, mentre gli occhi di opale si colorano di primavera.

Taemin li nota, come nota le sue dolci gote arrossate. Nota le sue labbra e, per la prima volta, sente il desiderio di baciare qualcuno. Baciarlo per assaggiarlo, per sentire se davvero può essere così dolce come sembra dal di fuori.

Le tue labbra sembrano dolcissime, come quel nettare di rosa.

Vorrei assaggiare la tua bocca…

Vorrei gustarne appieno il sapore e scoprire che quello che sento…

È come quello che provo per lei.

La mia torta.

E se fosse di più?

Mi piacerebbe, vorrei…

“Proviamo…”

Allunga una mano verso la sua, Kibum la stringe timidamente e Taemin l’attira verso sé.

Si erano guardati negli occhi e poi avevano cominciato a preparare la base per quella torta, perché per tutto ci voleva un tempo e anche cura, passione e dolcezza.

Aveva passato tutti gli ingredienti necessari per la torta a Kibum e l’aveva aiutato dicendogli come e cosa fare e l’aveva guardato, finché le sue mani delicate, ma sicure, si erano mosse seguendo ogni sua parola, mescolando gli ingredienti nella ciotola piano.

Non si era stupito Taemin di questo, anzi, ne era rimasto piacevolmente colpito, perché vedeva come muoveva le mani, come vedeva la sua espressione felice nel farlo.

Perché tu sai cos’è questo sentimento… e lo sai anche dare.

Vorrei che fosse per me…

L’avevano fatto insieme. Entrambi, su quel bancone, avevano lavorato fianco a fianco, sfiorandosi e addirittura toccandosi più volte.

Si erano guardati, imbarazzati e felici, continuando a mescolare il tutto e a metterlo nella tortiera subito dopo, infornandolo, mentre Taemin notava sempre più spesso le sue gote colorate di rosso, così calde e belle che quel viso dalla tonalità panna era diventato qualcosa di molto più che speciale.

Era di più.

È di più.

Molto.

Ed avrebbe voluto sul serio guardarlo per molto ancora, solo che il tempo era letteralmente volato e così si erano ritrovati un po’ impacciati e confusi, l’uno accanto all’altro, con i tre aiuto-pasticcere che dovevano arrivare di lì a poco.

Kibum, a quel punto, avrebbe voluto tornarsene a casa ma Taemin gliel’aveva impedito.

Era bastata un’occhiata.

Così, veloce, mentre si giravano.

Kibum aveva incrociato il suo sguardo a tratti dolcissimo come quella cioccolata, a tratti più serio e sicuro.

Non andartene, rimani qui con me.

Questo gli aveva detto. Questo aveva sentito e ne era rimasto colpito, così tanto che l’aveva guardato per un po’ troppo tempo e Taemin si stava avvicinando sempre di più.

Avrebbe voluto lasciarlo avvicinare.

Avrebbe voluto sentirlo.

Avrebbe voluto… baciarlo?

“Kibum, sono arrivati… ora ti porto qualcosa da mangiare”

“Non fa niente, tranquillo… Penso che sia giusto che vada ora!”

“No.”

“Eh?!”

“No, rimani. Qui, con me.”

Arrossì visibilmente, ma non ebbe tempo di guardare chissà dove e riprendersi, che i tre aiuto-pasticcere stavano già entrando, da quella porta che Taemin aveva già aperto.

Era impossibile non osservarlo, quell’aria così sicura era in netto contrasto da quella dolce che aveva dentro, con i dolci… e forse anche con Kibum.

Kibum l’aveva visto.

A Kibum piaceva quella sua aria dolce, ma da uomo.

Sicura, ma anche un po’ da bambino.

Forse… le sue braccia… potevano definirsi casa?

Probabilmente.

Ed il loro pomeriggio passò così, con un pan di spagna in forno, fatto da loro, con quella gente che andava e veniva lì dentro, ma che nessuno mai, nemmeno per un solo istante, aveva calamitato la vera attenzione di Taemin.

La sua attenzione era solo per Kibum.

E Kibum a volte se ne accorgeva, a volte no.

A volte diventava ancora più rosso di prima,

mentre cresceva la voglia di panna e cioccolato.

Taemin non s’immaginava che quella sera sarebbe stata davvero diversa da quella precedente. Se il giorno prima aveva sbuffato spazientito, guardando in ogni dove e camminando velocemente, quella sera invece non aveva la benché minima voglia di chiudere.

Chiudere significava lasciare Kibum.

Lui non voleva.

Non voglio, ma devo.

“Beh, Taemin, ti ringrazio… pensi che possa diventare un buon pasticcere?” sorrise, affiancandolo ed incamminandosi verso casa. Nessuno dei due sapeva dove abitava l’altro, però quella voglia di continuare a stare vicini gli aveva fatto fare quello.

“Lo sei già, devi solo essere più sicuro di te stesso. Però sei felice, senti anche tu quel qualcosa di grande che ti fa stare bene con loro… giusto?”

“Sì…” e sorrise, aggiustandosi alla bell’e meglio la pashmina rosa “Si chiama amore, Taemin, dovresti imparare a dirlo...”

“Imparerò”… magari con te. Lo fissò, per qualche istante negli occhi, abbozzando un dolce sorriso.

Era primavera.

“Ci vediamo domani, Kibum…”

“A domani, Taemin.”

Sorrisero entrambi nuovamente, dopo quell’istante che li aveva visti ancora così incatenati e, dopo un saluto un po’ imbarazzato e qualche tentennamento, si divisero per andare realmente a casa, quella vera.

Vera?

Cos’è questa strana cosa che sento con te?

Perché, sai… il cuore mi batte veloce.

Non riesco a fare a meno di girarmi e guardarti andare via.

Non è un addio, lo so.

Ma… perché non voglio che succeda?

Perché mi sento così bene?

***

Ormai erano le otto e mezza. Candele mezze consumate, cena quasi fredda e la casa desolatamente vuota. Vuota come la sua mente, vuota come il suo cuore.

O forse era pieno.

Tristezza, angoscia, dolore.

Dolore per un qualcosa di grande e disperatamente vuoto e pieno allo stesso tempo. Lo pensa e guarda triste tutto, mentre un rumore di serratura lo fa girare, e la porta si apre.

***

Aish! Kibum, smettila!

Questo aveva pensato finché ogni tanto si girava e lo sbirciava. Continuava a farlo ininterrottamente, che per poco non sbatté addosso ad un palo della luce.

Patetico. O forse no?

Di certo si diede dell’idiota e ringraziò il buon Dio, o chi ne fa le veci, che in giro non ci fosse nessuno, soprattutto lì, in quell’attimo, altrimenti sarebbe diventato ancora più rosso di ciò che già era.

E di quello che era stato tutto il pomeriggio.

E non era per il fatto che continuava a guardarlo, nemmeno a pensarlo. No, era tutto l’insieme delle cose, di quel pomeriggio così strano e bello, così caldo nonostante fosse inverno, di quelle spalle forti a cui voleva aggrapparsi, di quelle braccia forti da cui voleva essere stretto.

Casa.

Sentirsi a casa.

In quel posto lui si sentiva a casa.

E con Jonghyun?

Non si sentiva a casa.

Perché?

Kibum smise di pensarci e corse, per quei pochi metri che lo separava dalla casa vera, col cuore in gola. Voleva piangere, ma non ci riusciva. Perché… perché sentiva che la risposta a quella domanda, significava solo una cosa?

Non ci voleva pensare.

Jonghyun era quello che amava, quello con cui voleva passare il resto della sua vita! Pazienza tutto, Jonghyun non lo voleva lontano da sé! Però, Taemin era Taemin… Perché sentiva quella nota cioccolato posarsi sul cuore e non lasciarlo?

Perché sentiva che quella cosa tanto bella, poteva far male a Jonghyun?

A lui non voleva fare del male, anche se Jonghyun gli faceva del male.

Perché lo amava tanto!

Perché era tutto quello che voleva, no?

Le chiavi le infilò velocemente nella serratura, talmente tanto forte le girò che temette di spezzarle. Però non successe, la porta si aprì e vi si gettò dentro.

E, quando alzò lo sguardo, lo trovò lì, di fronte al tavolo da pranzo, con un’espressione stravolta.

Era distrutto dalle ore di lavoro, ma soprattutto da quelle ore di assenza di Kibum.

Ti ho fatto del male.

Troppo, non lo meriti.

Jonghyun, sono qui.

Sei tornato…

Perché mi fa male tutto questo?

Eppure sei qui.

Gli vola letteralmente tra le braccia, senza sentire nient’altro quel suo amore grande per lui ed il senso di colpa per la giornata appena trascorsa.

Senza di lui.

Per essere stato felice, senza di lui.

Lo guarda, mentre le sue mani lo stringono forte a sé, lo bacia e d’un tratto sembra che tutto il resto del mondo, oltre quella porta sia il nulla.

Jonghyun sente che, all’improvviso, qualcosa è cambiato e lo stringe ancora di più, baciandolo con foga e amore.

È come se qualcuno avesse tamponato l’emorragia.

Qualcuno o qualcosa.

Ma cosa?

Non esiste la cena, non esistono i fiori. Non esiste quel regalo che Jonghyun ha poggiato con cura nel posto dove Kibum mangia di solito.

Non esiste più niente.

Esistono loro.

I loro corpi si avvolgono, si baciano, si accarezzano in una danza sensuale e sembra che davvero, tutto il dolore che c’era prima, sia sparito in un secondo.

È questione di poco e si ritrovano a letto, stesi l’uno sopra l’altro. I baci diventano roventi, se Kibum li paragona ad un certo tipo di baci, direbbe che sono come i primi, quelli da innamorati, quelli dove non vedi l’ora di toccarti e di amarti, di essere un tutt’uno.

Però Jonghyun si stacca dal bacio e glielo dice:

“Non farlo mai più”

E stavolta il macigno che sentono entrambi è a causa di Kibum, almeno questo è ciò che crede. Non ha la forza di rispondergli e lo guarda solamente smarrito, come se avesse commesso un delitto talmente atroce da non meritare nemmeno uno sconto di pena.

Ma se l’ha fatto, un motivo c’era.

Non te ne accorgi Jonghyun?

Jonghyun non lo capisce, o forse serve solo per mettere a tacere la sua coscienza. La parola che doveva dire a Kibum era “scusami tu”.

È così difficile?

Scusami tu Kibum , per tutto.

E Kibum trema, finché Jonghyun lo bacia di nuovo, ma non trema d’amore, trema d’angoscia. Kibum piange dentro, forse anche un po’ fuori, ma Jonghyun ha gli occhi chiusi e nemmeno stavolta si accorge delle sue lacrime.

“Scusami tu” sarebbe stato sufficiente per distruggere la distanza.

L’averlo compreso, l’avrebbe fatta diminuire.

O forse sparire.

Il “non farlo mai più” significa che è colpa tua.

E Kibum lo sa.

“Sono io la causa di questo?”

Diventa di colpo un gattino impaurito tra le sue braccia, quelle che credeva fossero la sua casa, quelle che dovevano farlo sentire al sicuro.

Invece ora si sente una merda.

Ha paura. I sentimenti si sono bloccati lì, in mezzo al cuore. Non si muovono, sono chiusi lì dentro e non se ne vanno, non si esprimono, non escono.

Ed è stato Jonghyun, anche stavolta.

Come quelle carte, li ha buttati dentro ad uno scatolone e chiuso saldamente.

Però Kibum ci prova, ci prova lo stesso, anche se fa male. Prova ad abbandonarsi a lui, ma tutto ciò che sente è solo un corpo pieno di muscoli contratti, un corpo che ora, in questo preciso momento, non sente il piacere di una carezza.

È un corpo vuoto?

No, è pieno. Pieno di dolore.

Quando un dito entra, Kibum prova a rilassarsi, ma fa male. Fa male il cuore, con quei dannati sentimenti bloccati.

Ed è lo stesso quando entra lui. Il cuore fa più male di prima. Ci prova ancora, sforzandosi ancora più di prima, ma sente di nuovo dolore.

Jonghyun non se ne accorge.

Kibum pensa che sia colpa sua, perciò resiste.

“Questa è una punizione, è solo colpa mia!”

Lo pensa incessantemente durante tutto il rapporto, lo pensa più volte al secondo per… per cosa? Perché non riesce a fare altro.

E pensa a Taemin.

Si da la colpa, ma lui lo rende felice.

Il cuore è leggero lì, ma qui?

Stavolta si concentra di nuovo e pensa al suo ragazzo, alla sua colpa e a quello che deve fare per lui e allora ci riprova. Non escono sentimenti, ma riesce in qualche modo a camuffare tutto, sentendo un po’ di piacere e soprattutto dando piacere a lui.

E quando Jonghyun raggiunge l’orgasmo, gli sembra quasi impossibile.

La sua colpa è stata espiata, lui ha sbagliato, ma ha pagato.

Diventerà migliore, e non si merita molto da Jonghyun.

Non si merita ciò che pretende, non merita niente.

Forse è meglio non ricevere nulla, è giusto così.

Ma… allora perché?

“Mi basteranno le briciole, sarò felice solo con qualche dolce… niente più”

Ma pensa a Taemin.

Perché ci penso?

Cosa vuol dire amore?

   
 
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