Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: lolasmiley    13/12/2012    2 recensioni
IN REVISIONE!
«"E.."?» lo incoraggio.
«Ma proprio non ci arrivi?»
Emh. Un indizio? La lettera con cui comincia?
Alza gli occhi al cielo: «E credo che avresti dovuto baciare Louis!»
«..Ma...!»
Insomma, non era il caso... E poi... Poi, sì insomma... Cera quella cosa.
«Niente ma! Stavate per fare nasonaso e siete rimasti lì per dieci minuti da soli a guardarvi, dopo aver fatto una lotta con i cuscini sul divano e non lo baci?»
Nasonaso? Stavamo per fare nasonaso?
Che siamo, due eschimesi?
Emh. Comunque, messa così era davvero una cosa stupida.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





 

 

His smile.

(2)

 

 

 

 

Credo che potrei anche scoppiare dalla felicità, sul serio. A parte il viaggio un po' scomodo, sta andando tutto alla meraviglia, e adoro la vecchietta che mi ospita. D'accordo, forse non dovrei chiamarla vecchietta, ma qualcosa come anziana signora, o semplicemente Angela, perchè effettivamente oltre ad assomigliare alla Signora in Giallo, si chiama anche come l'attrice. Il nome, almeno, perchè il cognome devo ancora capirlo.

Il gatto è obeso, mi sa un po' da Garfield e mi è stato attaccato da quando ho messo piede in casa, ma mi piace, e poi si chiama Gregory, Greg per gli amici.

Anche la casa mi piace, ci sono tre piani: al piano terra la cucina, il salotto; al primo la camera di Angela e un bagno, al terzo, che è una specie di attico, ci sono quelle che ho soprannominato le mie stanze. Soprannome non dato a caso, ma guadagnato grazie all'aspetto retrò e da brava ragazza che hanno la mia camera e il mio bagno. Oltre al bagno, c’è un armadio a muro vuoto (fino ai prossimi dieci minuti) e poi la mia stanza, dove c'è un gran letto, una scrivania, un'armadio, una libreria e una poltrona. 

Alle pareti, una carta da parati a fiori molto rosa. E il letto e la scrivania sono di legno. Molto chiaro. E il lenzuolo e la coperta sono molto profumati. Sì, molto campagna, ci mancano solo…

O Dio. Ci sono. Un vaso di fiori di campagna e una foto di un cavallo.

Forse il cavallo è morto e gli hanno fatto un altare in casa. La foto è piuttosto vecchia.

Ma chi fa un altare a un cavallo?

Mah.

 

Scendo a passo felpato per le scale in direzione della cucina per vedere che c'è per cena, dato che da un paio d'ore ormai il mio stomaco si ribella, ma visto l'orario mi sembrava scortese andare prima a chiedere del cibo.

Mi sento molto Tom Cruise in Mission Impossible.

Tu hai un'ossessione per quell'uomo.

E’ amore il mio. E’ diverso.

No, no es amor, lo que tù sientes se llama obsesiòn...

Schiva l'increspatura sul tappeto per non cadere, la tavola di legno cigolante, e piano piano si avvia vers…

Fiiiiiiiiit.

Porco il gatto. No sul serio. Ho pestato un suo giocattolo a forma di topo.

Vergognati, queste cose non si lasciano in giro.

-Non ti hanno insegnato a mettere a posto?!- gli mormoro, dando un calcio leggero al giocattolo che rotola giù per le scale, finendo ai piedi di Greg, che lo guarda e poi mi fissa. Forse non vuole che tocchi le sue cose.

-Mamao...-

-See.. mamiao un corno- sbotto.

-Mamao?- voglio davvero litigare con un gatto?

-Potevo farmi male!- lo accuso, con tanto di indice puntato contro. Lui sembra volersi difendere e azzarda un altro miagolio di protesta.

-Mamao!

-Sei di poche parole, eh?- mi arrendo, inarcando un sopracciglio.

-Mama…-

-Bells, sei tu?-

No, lo yeti. 

-Sì Angela, sono io- la informo. Scendo le scale in modo normale, senza mosse alla Tom Cruise, e mi affaccio alla porta della cucina.

-…Tè e biscotti?- domando fiutando l'aria, dubbiosa.

-Sì, perché?- chiede, alzando il bollitore dal fornello. Angela è più bassa di me e credo abbia passato i settanta, ma direi che se li porta bene. 

-Angela, mi pareva che il tè fosse alle cinque di pomeriggio- le dico sedendomi a tavola. La sedia di legno cigola.

Vabbe' che non sono una piuma ma che addirittura cigoli.

-Non mangi mai latte e biscotti per cena?-

Mmm. Sì. Però in effetti visto che lo faceva la vecchietta, avevo pensato che non si fosse accorta dell'ora.

-Ah-

-Comunque mia madre diceva, una dieta bilanciata significa un biscotto in ogni mano- Angela ridacchia versandosi del tè, e poi mi indica la piccola brocchetta con il latte.

-La ringrazio- sorrido mentre versa anche nella mia tazza quello che immagino sia del tè nero.

-Oh, ti prego, dammi del tu, altrimenti mi fai sentire vecchia- mi fa l'occhiolino, sedendosi a tavola.

Angela mi ricorda molto Jessica Fletcher de La Signora in Giallo. 

Non so se qualcuno a questo mondo guardi ancora quel telefilm a parte me e gli over 50.

 

Rigiro il filo bianco delle cuffiette tra le dita, arrotolandolo attorno all’indice come faccio di solito con le ciocche di capelli. L’autobus è in ritardo. Dovrebbe essere in ritardo, secondo l’orario che mi ha dato Angela. 

Ieri sera mi ha spiegato dov’era la fermata dell’autobus più vicina, la linea da prendere, l’ora a cui sarebbe arrivato l’autobus, e quale era la fermata più vicina al centro, quella in cui sarei dovuta scendere.

Le nove e sei minuti.

Sei minuti di ritardo.

Tua madre direbbe qualche insolenza all’autista, prima di convalidare il biglietto. 

Non si arriva tardi con il lavoro.

Sorrido, pensando a mia mamma. Probabilmente sarà a casa ad aspettare che la chiami. Di nuovo. L’ho chiamata ieri sera. Giuro. Prima di partire ricordo che mi ha minacciata di parecchi mesi di reclusione nella mia camera, se non l’avessi chiamata appena arrivata a casa. Ma io ho fatto la mia parte, e non le darò altre mie notizie fino a domani mattina, voglio dire, sono abbastanza grande da cavarmela da sola, non è la prima città dove vado. Mia mamma se  e dovrà rendere conto, prima o poi.

Scrollo le spalle, cercando di togliermi dalla testa il pensiero dei genitori troppo apprensivi. Un ragazzino seduto sulla panchina vicino a me si alza, e fa un passo verso la strada. Do un’occhiata per controllare: finalmente l’autobus sta arrivando. Mi alzo anche io, infilo l’ipod nella tasca della mia giacca di jeans, da cui sfilo il biglietto per l’autobus. Prendo mentalmente nota di andare a fare l’abbonamento settimanale appena capisco dove andare per farlo. 

La porta del mezzo si apre sbuffando, io e il ragazzino entriamo entrambi passando per la porta accanto al conducente. L’omone non ci degna di uno sguardo mentre obliteriamo il biglietto, e riparte prima che riusciamo a prendere posto. Io non ho mai avuto un grande equilibrio, anzi, sono abbastanza instabile, ma dopo quattro anni passati ogni mattina in piedi sull’autobus, riesco a non cadere a terra quando l’autista accelera, mentre l’undicenne deve aggrapparsi a una maniglia per non perdere l’equilibrio. L’autobus è mezzo vuoto. E’ sabato mattina, la cosa è comprensibile.

Riesco ad infilarmi in un posto a sedere vicino al finestrino qualche fila dopo, sistemo lo zaino sul sedile accanto a me e appoggio la fronte sul vetro del finestrino.

Abbasso un po’ il volume della musica, cercando di memorizzare le fermate da casa fino al centro di Londra. 

Alle nove e ventidue minuti l’autobus si ferma vicino a Watergate Walk, e io scendo, insieme ad alcune ragazze salite tre fermate fa. Il ragazzino che aspettava con me è sceso già da un po’. Se lo rivedo domani mattina provo a scambiarci due parole. Giusto per vedere se capisco qualcosa di quello che dicono gli inglesi doc. Sempre che sia inglese. Magari è scozzese. O irlandese. Non l’ho sentito parlare, non ho sentito l’accento e non ne sono sicura.

Cerco di non inciampare sugli scalini dell’autobus mentre scendo, saltando direttamente sul marciapiede. D’accordo. Credo che stasera dovrò farmi una lista e un programma delle cose da fare a Londra e dei posti da visitare, come arrivarci e tutto il resto. Forse dovrei comprarmi una cartina o uno di quei depliant che parlano delle attrazioni più importanti da vedere a Londra. Insomma, London Eye, British Museum, Piccadilly Cyrus, quelle cose lì.

Annuisco soddisfatta della mia idea, mentre cammino diretta verso una panchina per fermarmi, appoggiare lo zaino e cercare la vecchia cartina di mia mamma. Non è dettagliata come quella che vorrei comprare qui, ma è meglio di niente.

Ributto lo zaino su una spalla, e mi incammino cercando di aprire la cartina senza strapparla. 

Tengo la cartina davanti a me, cercando il punto in cui mi trovo.

Dovrebbe essere qui.

Dovrebbe. Io credo di no.

Credo di non saper leggere le cartine.

Dio, davvero?

Oh andiamo, perchè tu ci capisci qualcosa?

Io sono la una specie di tua coscienza creata dal tuo subconscio, non posso sapere nulla che tu non sai.

Che subconscio che regala perle di saggezza, minchia.

Sbuffo. Metà di queste strade magari non esiste nemmeno più, e a me sembra soltanto il tentativo di un bambino dell’asilo di disegnare linee rette a mano libera con i pastelli colorati. 

Continuo a camminare con la cartina sotto il naso, sperando in un colpo di fortuna. Magari una nuova cartina multimediale interattiva provvista di gps mi cadrà addosso rivelandomi la strada di mattoni gialli.

Ehi Dorothy, stai andando a sbattere contro qualcuno.

Eh?

Comunque no, la preferirei senza gps perchè la tipa del tom tom che parla dopo esser stata zitta per mezz’ora mi spaventa a morte ogni volta.

-Oh, scusa-.

Ah merda. Faccio una smorfia, senza staccare gli occhi dalla cartina. Sono andata a sbattere contro qualcuno. Bene. 

La mia prof di educazione fisica lo dice sempre: “se vado all’estero e devo chiedere informazioni, cerco uno che cammina a sinistra o in mezzo al marciapiede, perchè di sicuro è italiano”.

Ecco, mi sono fatta notare. Adesso il poveretto sentirà il mio accento italiano e dirà qualcosa come “mafia, pizza e mandolino?”. Ma che bello.

-No, scusami tu, non volevo, stavo cercando di guardare la cartina e non ho visto dove ho messo i piedi- farfuglio alzando gli occhi.

Oh mio Dio.

Un ginocchio mi cede, ma prima di cadere riesco ad aggrapparmi alla prima cosa che riesco a trovare, ovvero un braccio. I miei occhi corrono a vedere di chi sia quel braccio, e mi scappa un lamento. Fantastico. Adesso penserà anche che ho qualche problema mentale. Sento qualcosa passarmi intorno alla vita e realizzo che, anche se sono aggrappata per non cadere, sono ancora in piedi solo perchè mi ha stretta con l’altro braccio quando si è accorto che stavo cadendo.

D’accordo Bells. Respira. Sono andata a sbattere contro il ragazzo più bello del mondo ma va tutto bene.

Apro la bocca per farfugliare qualcosa, ma lui mi interrompe prima che io riesca a dire qualcosa di stupido facendo un’altra figura di merda.

-Stai bene?- chiede, osservandomi. Mi scruta come se fosse alla ricerca di qualche segno che indichi insanità mentale, principi di svenimento o calo di zuccheri.

Ci guardiamo per qualche secondo negli occhi, poi decido che è meglio se dico qualcosa.

-Emh sì- mi esce. Bene. Risposta chiara.

-Sicura?-

No.

-Sì- dico, cercando di spostarmi per fargli vedere che sono capace a camminare da sola, ma lui non mi molla, probabilmente preoccupato per la mia instabilità.

-Sul serio?- chiede di nuovo.

-Sì-.

-Stavi per cadere- alza le sopracciglia e china la testa in avanti, come se mi stesse guardando da sopra un paio di occhiali invisibili. 

-Non è vero- nego -Io...sono solo scivolata-.

-Su cosa?-.

-Una cacca di piccione, non lo so, qualcosa- invento, scrollando le spalle.

-Sembrava che ti avesse ceduto un ginocchio. Come se te lo avessero colpito con una mazza- spiega.

-Se uno spiritello antipatico mi avesse colpito con una mazza al ginocchio, non credi che adesso starei palesemente soffrendo?- chiedo divertita.

-D’accordo, non è stato uno spiritello antipatico, ma magari un folletto l’avrebbe fatto senza farti male- ridacchia, allentando la presa attorno ai miei fianchi.

-Se vuoi puoi sempre portarmi in braccio fino a un pronto soccorso per assicurarti che io stia bene- mi mordo la lingua e cerco di rimediare a quello che ho detto -Sempre che tu sappia dov’è, perchè io non ne ho idea- faccio un passo indietro, sventolando la cartina.

Sorride.

-Ti sei persa?-

-Credo di essere a Londra- dico, facendo spallucce, -ma a parte questa piccola informazione...-

Lui sorride di nuovo, allungando le mani per invitarmi a fargli dare un’occhiata alla cartina della città.

-Hai bisogno di una guida?- chiede gentile.

-Sul serio?- lo fisso sconvolta. Mi sta prendendo in giro. Deve essere così, altrimenti ho appena vinto alla lotteria del mondo. Ma io di solito non vinco mai. Quindi è più probabile che mi stia prendendo in giro.

-Sì, be’, non sono un pozzo di cultura, ma qualche fondamentale lo so. Tanto per cominciare, so da che parte si tiene la cartina: così è rovescia- spiega divertito, mostrandomi il verso giusto in cui avrei dovuto tenerla.

-Ah. Adesso tutto ha molto più senso. Più o meno- commento.

-Dove eri diretta?-

-Veramente non ne ho idea. Devo ancora decidere un itinerario. Stupiscimi- sorrido, cercando di sembrare convincente. O sexy. O una persona mentalmente stabile.

-Hai fatto colazione?- chiede, porgendomi il gomito sinistro. Mi stai seriamente invitando a prenderti a braccetto? 

Afferro il suo braccio, forse con troppa enfasi, e scuoto la testa.

-Perfetto, abbiamo già la nostra prima tappa! Comunque io sono Louis- mi porge la mano destra, e io allungo la mia, cosa abbastanza complessa visto che lo sto tenendo a braccetto e non voglio sciogliere questa posizione. Lui ride di come mi sono intorgolata per dargli la mano.

-Bells- dico a mia volta.

-Nah, non è vero-

-Penso di saperlo, il mio nome- ribatto.

-Hai un accento vagamente italiano, dico vagamente ma solo vagamente- lo interrompo:

-Sento odore di sarcasmo-

-Ah sì? Comunque, Bells non mi sembra un nome molto italiano- dice, tirandomi leggermente verso destra per invitarmi a seguirlo.

-No, ma mi chiamano così perchè sono pallida come Bella Swan. Twilight, non so se hai presente- spiego.

-Davvero?-

-No, in realtà- scuoto il polso, dove porto un braccialetto d’argento con un campanellino -sono piena di campanellini. Tipo ovunque. Mia madre li odia, ogni tanto sclera male perchè non ne può più di questo tintinnio, ma a me mettono un sacco di allegria- spiego.

Lui mi sorride e annuisce.

-Anche a me-

 

 

 

-Quindi, cosa vuoi fare dopo?-

Alzo gli occhi dal mio tè macchiato col latte, e vedo Louis intento a leccarsi la panna del caffè macchiato dalle labbra. No ma sto bene. Sul serio. Non lo sto fissando. Non sto sbavando. Sto benissimo.

-Emh, Bells?- la sua voce mi richiama alla realtà e, presa dal panico, mi passo per sicurezza una mano sulla bocca. Non ho sbavato. Grazie Dio.

-Cosa?- chiedo con nonchalance.

-Cosa ti va di fare dopo? Hai richieste particolari?- appoggia una mano sul mento.

-Voglio salire su un double bus. Al piano di sopra. Non ci sono mai stata- dico, e poi addento uno dei pasticcini nel piatto al centro del tavolino. Pasticcini in condivisione.

Poi mi viene un’idea buffa e mi copro la bocca con una mano per non sputare pezzi di pasta sfoglia.

Louis ridacchia.

-Che c’è?-

Inghiotto il boccone e sorrido, guardando a terra.

-Niente... mi era venuto in mente che potremmo tirare delle uova ai passanti dal piano di sopra dell’autobus-

Alzo gli occhi, ancora ridacchiando, e trovo Louis con un sorriso a quarantasette denti che mi fissa con gli occhi che brillano. Lo fisso a bocca spalancata.

-Tu.. sul serio... davvero?- chiedo, balbettando.

Lui annuisce, prende l’ultimo pasticcino, si alza in piedi e lascia sul tavolo le banconote necessarie per pagare, poi dà un morso al pasticcino e mi porge l’altra metà, offrendomi di nuovo un gomito.

-Andiamo, c’è un supermercato qui vicino-

 

 

-Quindi, un punto per ogni macchina- dice Lou, passandomi due scatole di uova, mentre lui si tiene le altre due.

-Sì. Ma se l’auto è gialla, allora due punti-.

Lui annuisce e si alza in piedi. Siamo entrambi in piedi, nel mezzo del corridoio del secondo piano dell’autobus, praticamente vuoto. Lui prende la mira e lancia il primo uovo, che manca di un pelo una macchina e si spiaccica sulla strada.

-Cazzo- si lamenta.

-Adesso ti mostro come si fa- dico, e allungo il bracci indietro. 

L’autobus si ferma per far scendere qualcuno al piano di sotto. Prendo la mira e tiro con tutta la mia forza, e l’uovo sfreccia fuori dal finestrino, colpisce in pieno un uomo che sta leggendo il giornale seduto su una panchina.

Che rumore fa un uovo quando si rompe sulla schiena di una persona?

Un brutto rumore, fidatevi.

-TU L’HAI DAVVERO FATTO OH MIO DIO NO- Louis urla. D’istinto scatto, lo affero per un braccio e lo tiro con me su un sedile. Restiamo entrambi immobili, guardando fisso davanti a noi. Io mi mordo le labbra. Sento Lou che comincia a ridere in modalità silenzioso e così scoppio anche io.

 

 

-Puzzi di uovo- appoggio la mano sulla guancia mentre osservo Lou che si pulisce la maglia in una fontana di Whitehall Gardens.

-Ma taci- ride, buttandomi un po’ d’acqua.

-Non è colpa mia se ti sei rotto un uovo in mano-

Louis forza un sorriso, uno di quelli da “grazie al cazzo” e prima che io ricominci a prenderlo per il culo, mi prende di peso e mi lascia cadere nella fontana.

-MA IO TI UCCIDO. ADESSO- grido, spostandomi una ciocca di capelli bagnati dal viso. Lui mi fa la linguaccia e io gli schizzo una quantità abbondante di acqua. Salgo sul bordo della fontana e gli salto addosso. Grazie a dio lui mi prende al volo, e mi stringe in un abbraccio.

Quando mi lascia andare sento un vuoto nel petto, ma non dico niente e sorrido, poi gli tiro un pugnetto sulla spalla.

Improvvisamente mi ricordo di una cosa.

-Che ora è?- chiedo preoccupata.

Lou controlla il telefono.

-Sette e quaranta-.

-SEI SERIO?- quasi urlo, afferrando il mio zaino dalla panchina e buttandomelo in spalla -io dovrei essere a casa da quasi un’ora!- esclamo. Lo guardo terrorizzata. Lui inizia a correre.

-Ma dove vai?- chiedo, andandogli dietro.

-Mi avevi detto di essere venuta in autobus... L’ultimo è tra cinque minuti, muoviti, altrimenti dovrai aspettare un’altra mezz’ora!-

Corriamo a perdifiato fino alla fermata, e quando mi fermo ho il cuore in gola. Vedo il mezzo pubblico arrivare e mi preparo a salire. Poi mi volto verso Louis, pensando a che cosa dirgli, ma è lui a parlare.

-Bells, mi dai il tuo numero?- chiede sorridendo.

Mi illumino d’immenso.

-Certo- prendo il suo telefono e digito velocemente il mio numero, poi gli ritorno il cellulare.

-Quindi... sarai disponibile a farmi da guida nei prossimi giorni?- domando proprio mentre sta arrivando l’autobus.

-Sissignora!- Lou si mette sull’attenti.

Ridacchio, salendo sul pullman.

-Allora ciao!- lo saluto con la mano, mentre la porta si chiude.

Lui abbassa la mano che si era messo in modo teatrale sulla fronte per imitare il saluto militare e mi sorride.

L’autobus parte.

Mi butto sul primo sedile libero che trovo.

-Oh mio dio- sussurro. 
Quel sorriso.

Puoi dirlo forte.

 

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: lolasmiley