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Autore: The Chemist    14/12/2012    4 recensioni
«Perché, altrimenti ti arrabbi? Lo dici alla mamma?» Non l'avrebbe mai fatto. Non gli avrebbe semplicemente rivolto la parola. Lo afferrano per il braccio, girandoglielo dietro la schiena, una ginocchiata nello stomaco, un pugno, un calcio. Quei ragazzi l'hanno appena buttato a terra. Il sangue che cola dal naso e la lente dei suoi occhiali rotta, completamente a pezzi. Gli hanno davvero fatto male, e il suo polso dolente dalla mattina era più dolorante di prima. Si alza, passando dalla posizione a quattro zampe. Gli viene difficile, la sua caviglia gli fa molto male. I ragazzi sono ormai scappati e con loro c'è Ashley. Chester si li vede in lontananza, con difficoltà per via della mancanza degli occhiali. Vuole piangere, ma sarebbe stato troppo stupido farlo, secondo lui.
FAN FICTION SOSPESA. NON SARA' PIU' RIPRESA.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chester Bennington, Mike Shinoda, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Chester vige nella sua camera, seduto sulla sedia davanti alla scrivania a fare i suoi compiti. Se solo pensasse ai vari problemi che aveva l’autore del racconto va in crisi: non gli bastano i suoi?
Ogni tanto gli vengono delle fitte al polso, tanto da farlo quasi piangere, ma fortunatamente durano non più di cinque minuti.
Mentre il ragazzo prende appunti del suo compito, il cellulare sulla scrivania inizia a vibrare.
«Bradford, dimmi.» risponde, facendo un piccolo sospiro.
«Mi chiamo Brad. Comunque, potresti spiegarmi quali problemi hai trovato in questo testo?»
«Beh, depressione.»
«Solo?»
«Isolamento dalla società e…», fa una pausa con la voce, per dar tempo a Brad di appuntare e di leggere lenote scritte sul quaderno. «Rivalità con il padre.»
«Solo questo?» chiede l’altro, sbigottito.
«Non saprei, ho appena iniziato a leggerlo.»
«Okay. Cerco di capirne anche io qualcosa, ma non ci riesco.»
«L’intelligenza non è un dono di tutti!» accenna una risata ironica, «Non sei divertente, Bennington!» arriva subito la risposta di Brad, dall’altra parte del telefono.
«Pensi che domani tu possa scrivere che questo aveva problemi perché te l’ho detto io?»
«Probabile. Ciao e grazie Chester!»
«Ciao Bradford.» saluta il ragazzo con un tocco di umorismo.
Continua con il suo studio, si è già annoiato ma non si dà per vinto: deve prepararsi al meglio per il giorno dopo. L’idea di ripetere il corso è lontana da lui chilometri. Ma la domanda gli spunta facilmente: che figura avrebbe fatto davanti ai suoi compagni, con quei lividi? Davanti ai professori? E soprattutto, davanti a Michael? L’ultima, è la cosa che più lo preoccupa. Perché? Questa è la domanda che si sta ponendo in questo momento.
Chester fa una mossa con il capo, in modo tale da risvegliarsi dai suoi pensieri: deve concentrarsi, e già Brad gli ha impedito questo, qualche minuto fa. Scrive alcuni appunti sul suo quaderno, alternando alcune volte, con il suo libro. Scrive, scrive e non smette, non legge, non sta attento, solo ora si accorge di aver scritto il nome di Michael su tutta la pagina.
Con occhi alquanto aperti, guarda il suo quaderno con aria spaventatra. Oddio, cos’ho fatto? Pensa poi, prendendo la gomma dal suo astuccio. Cancella con forza, ma non è possibile che abbia scritto il suo nome ovunque. Cancella, quasi strappa il foglio, ma i solchi della matita restano: questo non ci voleva.
Che Chester si stia innamorando? Impossibile, lui non crede nell’amore a prima vista, non crede alla scintilla che s’infiamma, eppure si è ritrovato a scrivere il suo nome dappertutto.
«Cazzo» mormora, mentre tiene la gomma, stretta, in mano. Sbuffa, questa situazione non gli piace.
Non vede l’ora di rivederlo, questo è chiaro, ma continua a non capire perché. Confondendo ciò che è reale, Chester è attratto da Michael, e questo non riesce ad ammetterlo. Si spinge indietro con la sedia, facendo un rumore assordante. La missione “studiare” non è andata a buon fine. China il capo, osservando le sue dita spellate sul contorno delle unghie. Si può intravedere il sangue colare in alcune. Continua a spellarsi, Chester quasi non nota la sua pelle ruvida, morsa, sanguinante. Gli mancano gli occhiali, e questo lo fa innervosire ancora di più: un motivo in più per rovinarsi la pelle delle sue povere mani. Gli bruciano, gli pulsano, quasi come se riuscisse a sentire il sangue scorrere nelle sue vene. Troppo nervoso. Fa un respiro profondo, e si alza, dirigendosi al suo bagno personale, il quale è ad est della sua stanza, rispetto all’entrata.
L’acqua gelida scorre, e s’intruffola in ogni incalanatura delle ferite del ragazzo, in ogni spazio fra le sue dita affusolate. Facendo una conca, raccoglie dell’acqua, portandola al viso, che, strada facendo, gocciola nel lavandino. Si massaggia gli occhi, andando pian piano sulle tempie, con gli occhi chiusi, fa dei movimento rotatori su di esse. Sbuffa nuovamente. Prende il suo asciugamani e lo tapona sul viso, lasciando esso e le sue mani leggermente umide. Una lacrima gli percorre la guancia destra, colando giù, sempre più veloce. Corre vicino alla scrivania, prende il cellulare, con una mossa alquanto violenta. Con pochi movimenti delle sue dita violentate, porta il telefono all’orecchio.
«Pronto?» risponde un ragazzo.
«Dobbiamo vederci.» mormora serio e freddo, Chester.
«Tra dieci minuti al solito posto.» risponde. Chester chiude la chiamata, e si cimenta all’entrata di casa sua.
«Esco.» dice molto frettolosamente, senza sentire la risposta della madre.
 
Con un passo svelto si ritrova in un vicolo, alquanto malfamato, con alcuni bidoni strapieni di spazzatura.
«Giusto in tempo,» dice con un filo di voce Chester, «hai la roba?» continua domandando. L’amico fa un sorrisetto. Tira fuori dalla tasca una canna, già fatta, lunga non più di dieci centimetri. Chester l’accende in men che non si dica, la tira, la fa assaporare al suo corpo, al suo cervello, alle sue vene, le quali si allargano, mostrando il loro verdastro più del dovuto. Il battito cardiaco aumenta sempre di più, le pupille si dilatano mostrando di più il color rosso dei capillari. Chester ha trovato la calma in quel solo tiro di hashish. La porge all’amico. «Ah» chiude gli occhi e respira l’odore. Chester si sente in paradiso. Rinato. È l’unico modo per esprimere ciò che sente, come SIsente. L’amico tira anch’egli, facendo così una fitta nuvola color grigio, sopra le loro teste.
«Non ti senti meglio?» chiede Chester, accontentato del tiro di quella droga.
Passando, di nuovo, la canna al ragazzo, l’amico risponde «Certo, è sempre una sensazione inspiegabile».
Tira di nuovo. La fa andare, scorrere nelle sue vene. Un tiro, ancora un altro e un altro ancora, fino  a che quei dieci centimetri diventino due, sempre a diminuire. Chester ha perso la testa. Drogato. L’effetto della canna riesce a far smettere Chester di pensare cose negative. Cose per la quale, secondo lui, non vale la pena soffrire. Ma la domanda non è se vale la pena soffrire per qualcosa; la domanda è: vale la pena soffrire?
Vale la pena soffrire per un amore a prima vista?
Vale la pena soffrire per la droga?
Vale la pena soffrire per il bullismo?
Chester, queste risposte non le ha mai trovate, e continua a non trovarle.
Vale la pena sacrificarsi per la vita infame?
Vale la pena soffrire per la mancanza del padre, siccome vive senza di lui da che è nato?
Vale la pena soffrire?
   
 
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