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Autore: Just a dreamer_    14/12/2012    1 recensioni
Penelope Emma Hope Harvey è una ragazza normale, ma la sua vita è molto movimentata e un po' triste per la lontananza dal padre. Dopo il quinto trasferimento però le cose cominciano a cambiare in meglio... Ma tutto questo durerà?
“Ehi” “Ciao” “Allora, sei nuova giusto?” “Però, che intuito”. Sorrise. Sembrava il tipo di ragazzo di cui non gliene importa niente delle lezioni, il che già mi piaceva, ma non lo diedi a vedere. “Comunque sono Zayn Malik” “Grazie, ora che so il tuo nome la mia vita ha un senso” “Ahahah, mi piaci Harvey” “Non chiamarmi per cognome” “Allora come vuoi che ti chiamo” “Ti semplifico la vita: non chiamarmi affatto” e detto questo tornò ad ascoltare la prof volgendomi un sorriso luminoso che cercai di non ricambiare.
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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THAT'S ME: Lo so, ci ho messo un po' a mettere questo capitolo, ma d'ora in poi dovrete abituarvi a questo tempismo, mi scuso immensamente... Adesso che ci sono le vacanze però vedrò di aggiornare più velocemente :D Ah, mi è venuta in mente un'altra fan fiction se siete interessate/i :) E' un'idea che mi frulla (?) in testa da un po', ma non ho mai avuto tempo di iniziarla, spero di combinare qualcosa nelle vacanze :) Comunque, nel caso decidessi di postarla ve lo comunico nel prossimo capitolo :)
Ok, la smetto di rompere, godetevi il capitolo e magari (PLEASE) lasciate una minuscolissima recensione, sono davvero curiosa di sapere il vostro parere su questa storia :)
Enjoy <3
P.s. Se volete contattarmi su twitter sono:   giveme_Jawaad



LIKE A BARBIE WITH ANTIDEPRESSANTS

 

Se solo la scorsa mattina la mia stupida sveglia fosse suonata in tempo non sarei arrivata a scuola in ritardo e non avrei risposto male alla prof. E soprattutto Samanta non mi avrebbe fatto il mazzo davanti a tutta la squadra.
“Che non si ripeta mai più, sono stata chiara?” mi chiese concludendo una ramanzina che pensavo non sarebbe mai finita. Dopo mezz’ora di camminata avanti e indietro per il campo, mi sembrò strano non vedere il solco sul legno. Aveva fatto mille esempi sulla cattiva condotta e su come questo avrebbe influito negativamente sulla squadra. Io mi ero limitata ad annuire e a fare finta di essere dispiaciuta, quando dentro di me avrei voluto metterle dello scotch sulla bocca per farla stare un po’ zitta, ero sicura che le sarebbe stato utile. Se non per lei, almeno per le mie orecchie che non ne potevano più.
“E adesso fai dieci giri di campo e venti flessioni. Vediamo se così capisci cosa vuol dire far parte delle cheerleader” mi lanciò un’occhiata furibonda e poi si rivolse alle altre, rimaste mute e immobili: “E voi, cosa state a guardare? Volete seguire Penelope?” loro sembrarono risvegliarsi dal coma in cui erano state; si guardarono attorno spaesate e poi, sotto gli ordini della Barbie, avevano cominciato a fare stretching.
Osservai anche Sara, che per tutto il tempo era stata appiccicata a Samanta ad annuire ad ogni sua parola. Era proprio la sua ombra. No anzi, com’è che l’avevo chiamata? Ah si, il suo clone. L’unica cosa che avevano di diverso era il cervello, ed era evidente che quello di Samata era più evoluto di quello di Sara. O forse il clone non ce l’aveva proprio. Una persona poteva vivere senza cervello? Forse Sara era un esemplare unico in tutto il mondo. Se la facevo conoscere ad un team di scienziati, magari la potevano mettere sotto osservazione e mi avrebbero pure pagato, così mi sarei sistemata a vita. E magari sarei persino diventata famosa per aver cambiato le leggi del mondo scientifico.
“Ehi” mi girai e vidi Ader Kimber venirmi dietro correndo.
“Perché mi segui?” chiesi spontaneamente.
“Mi sono rifiutata di fare metà dello stretching, lo trovo inutile. e mi ha spedito a fare i giri di campo con te” rispose con noncuranza. Cominciava a starmi davvero simpatica. Sapeva la sua e questo mi piaceva. “Ma a quanto pare non sono l’unica a cui va a genio”.
“Perché, c’è qualcuno a cui sta simpatica?” dissi scherzando.
“Ahah! A Sara, ma ho i miei dubbi”.
“Sara non è una ragazza normale, lei è un caso a parte”continuai senza pensare.
“Si, hai ragione”.
“Ti ho notata al provino, sei molto brava”. Due ragazze si stavano sistemando trucco e capelli, raccontandosela allegramente. Gli urli di Samanta riecheggiarono per tutta la palestra.
“Grazie, ma non ho fatto gran che alla fine” rispose Ader, come se non fosse successo niente. “Perché hai deci so di entrare nelle cheerleader?”.
Alzai le spalle: “Per cambiare un po’”.
“So che ti sei trasferita quest’anno. Sono nuova pure io, so come ci si sente” era una tipa diretta.
“Se non altro la pensi come me”.
“Se ti riferisci a Samata e Sara, più o meno siamo tutte dello stesso parere”.
Sorrisi. Non avrei mai pensato di trovare un’amica nella squadra, mi sarei aspettata tutte fotocopie di Sara, ma evidentemente era uno stereotipo.
Finito di correre, raggiungemmo le altre che stavano finendo riscaldamento.
Tutto il resto dell’allenamento andò abbastanza bene. Ad ogni passo falso la Barbie andava fuori di testa (quando sbagliava lei però, era colpa delle altre); verso la fine le gambe iniziarono a far sentire il dolore, i piedi erano completamente andati con le mani e grondavo di sudore. Questa volta ci eravamo impegnate fino a sputare sangue. Una ragazza rischiò di far cadere la piramide per la troppa stanchezza unita alla tensione e un’altra dovette correre in bagno.
Quando fu finalmente finito il supplizio, prima di andare a fare la doccia la Barbie ci radunò per un ultimo avviso: “La partita è stata rimandata a dopodomani, come ben saprete” iniziò camminando avanti e indietro, proprio come all’inizio. Mi faceva venire mal di testa. Nemmeno fosse un generale che parla alle sue truppe.
“Quindi domani avremo doppio allenamento per perfezionare la coreografia. Dato il ritardo delle audizioni per i nuovi membri, ho ottenuto due ore di permesso dalla preside” poi si fermò esattamente di fronte a me, mi fissò negli occhi e disse: “Ci ho pensato io per la punizione. La recuperi la prossima settimana. Non accetto scuse”. Annuii, senza aggiungere altro. In quel momento, Samanta assomigliava ad un piccolo serpente, con gli occhi ridotti a due fessure e la voce sibilante. Non mi sarei stupita più di tanto se da un secondo all’altro avesse tirato fuori la lingua biforcuta. “Potete andare” concluse.
Negli spogliatoi l’atmosfera sembrava più tesa del solito e la partita era l’unico argomento disponibile. Sbuffai, vestendomi in fretta, salutai tutte e andai a casa.
“Mamma! Sono arrivata! Dove sei?”. Non mi rispose, ma sapevo esattamente dove trovarla. Quella mattina non si era neanche preoccupata di scendere dal letto.
Aprii la porta di camera sua, ancora immersa nel buio. “Non sei andata a prendere la pastiglie come ti avevo detto” constatai sospirando. Mi passai una mano tra i capelli; quella sera avevo fatto un’eccezione e non li avevo legati, per pura pigrizia. “Dovrò andare a prenderle io, immagino” dissi più a me che a lei: “Spero solo che il dottore per oggi faccia un’eccezione e sia disponibile a quest’ora”.
Presi la guida telefonica in cucina e composi il numero. Il telefono squillò a vuoto finché non partì la segreteria. Decisi di provare direttamente con il numero di casa.
“Pronto?” rispose una voce dall’altro lato della linea.
“Ehm, salve signor Styles, sono Penelope Harvey. Sono venuta tempo fa da lei per il piede”. Sperai si ricordasse.
“Oh, si certo. È successo qualcosa?”.
“No, no chiamato per mia madre, ha bisogno di pillole antidepressive e speravo che mi potesse fare la ricetta stasera. È urgente”.
“Va bene. Sai dove abito?”.
Ricordai all’istante l’interrogatorio che avevo fatto ad Harry uno dei primi giorni da quando conoscevo il posto: Philips 72. “Si, quando posso venire?”.
“Anche adesso. Anzi, sarebbe meglio adesso”.
“Ok, vengo subito”. Riattaccai, presi il cappotto e mi diressi per strada. Era quasi buio e il freddo si sentiva anche con il cappotto pesante. Per fortuna la casa di Harry non era molto lontana, anche se dovetti strizzare gli occhi un paio di volte per accertarmi di essere davanti alla casa giusta; e se la memoria non m’ingannava, dovevo averci azzeccato.
Suonai il campanello e attesi qualche secondo prima di trovarmi faccia a faccia con mister Styles senior in tuta e ciabatte.
“B-buonasera” dissi con i denti che battevano per il freddo.
“Penelope, entra pure”. Mi lasciò passare e non appena misi piede sulla soglia, smisi di tremare come una foglia. “Dammi pure il cappotto”. Me lo sfilai e glielo diedi. Lo appoggiò all’attaccapanni vicino alla porta e ne approfittai per dare un’occhiata alla casa. Piccola cucina che dava sul salone bello ampio.
Non sapevo bene come muovermi, era una delle occasione in cui mi sentivo a disagio. Mi appoggiavo da una gamba all’altra, torturandomi le mani.
“Dammi due minuti che ti do il foglio con le medicine” mi avvertì il dottore prima di sparire al piano di sopra. C’era un clima così formale in quella casa… tutto così calmo, così perfettamente in ordine, che cominciavo a provare un leggero senso di claustrofobia. Non c’era una sola cosa che non fosse al suo posto, eccetto per dei fogli sul tavolino della sala, davanti alla tv. Fosse stato per me, sarebbe stato alquanto improbabile vivere lì. In confronto la mia camera era un campo di guerra. Dannazione, era tutto così… fastidiosamente perfetto. Perfetto, non c’era altra parola. Ci mancava solo un fastidiosissimo pendolo che ticchettasse tutto il tempo e avrei pensato di essere nella proprietà di uno spocchioso lord inglese. Bleah.
Dei passi risuonarono frettolosamente e Styles senior mi raggiunse con il blocchetto in mano e una penna.
“Scusa se ti ho fatto aspettare, non trovavo i fogli” disse cominciando a scarabocchiare qualcosa.
“Non si preoccupi” mi affrettai a rispondere.
Posò la penna e mi porse un foglio: “Ecco, dovrei aver scritto tutto. Se ci fossero complicazioni chiamami”.
“Grazie dottore”.
“Prego, chiamami Trevis. Mi sembrava di avertelo già detto” disse sorridendo: “Ti accompagno alla porta”. Mi porse il cappotto. Fuori era buio pesto. Per fortuna c’erano quattro o cinque lampioni che illuminavano la strada.
Styles senior, cioè Trevis lanciò un’occhiata fuori: “È troppo buio per andare da sola”.
“Stia tranquillo, non c’è bisogno che venga con me, casa mia è vicina”. Ed ecco che arrivarono i brividi. Lui scosse la testa. Aveva un’espressione vaga, stava sicuramente pensando a qualcosa che non implicava me. Sicuramente l’avevo interrotto in un momento impegnato.
“Insisto”. Feci per ribattere, ma parlò di nuovo: “Chiamo mio figlio. Harry!” urlò.
Rispose una voce scocciata: “Che c’è?”.
“Accompagna Penelope Harvey a casa!”.
Dopo parecchi secondi, accettò: “Due minuti e scendo”.
Poi tornò a rivolgersi a me: “Io adesso devo… sbrigare delle cose”. Annuii, non volevo essere di disturbo un minuto di più. “Beh, buona serata”.
“Anche a lei” e mi chiuse la porta in faccia, con gentilezza, se così si può dire.
Mi strinsi nel cappotto. Perché non mi ero portata un cappello e una sciarpa? Perché ero un’idiota, ecco perché.
Per fortuna, Styles junior non tardò ad arrivare. “Ciao Penny”. Gli feci un cenno del capo a mo’ di saluto. “Fa freddo, ne?” disse sfregandosi le mani. Annuii. “Il gatto ti ha mangiato la lingua?”.
“Deficiente, s-sto morendo di f-freddo”.
“Non l’avrei mai detto, pensavo avessi caldo”.
“I-idiota…” borbottai. Lui si limitò a fare un sorriso da ebete, facendo spuntare due fossette ai lati della bocca.
“Abiti tanto lontano?”.
“Ma s-sei scemo o lo f-fai? Direi l-la prima”.
“Stavo scherzando, so dove vivi. Oggi sei in modalità ‘me la prendo con tutti’?”.
“Non è il m-momento H-harold”.
“Ok, ho capito, mi faccio i fatti miei”.
“Wow, non ti f-facevo così i-intelligente”.
“E io non ti facevo così simpatica”.
“L-lo so, è una m-mia dote innata”.
Lui trattenne una risata: “È quasi meglio della battuta del limone. Ho detto quasi eh”. Tirai un pugno a vuoto cercando di prenderlo. “Acida, non sono un limone!” mi imitò.
“Sai c-che sei proprio un b-bambino?” dissi esasperata.
“Scommetto che non hai mai visto un bambino così bello”.
“Styles, anche la b-brutta copia di un t-topo sarebbe p-più bella”.
“Non lo pensi davvero”.
“V-vuoi scommettere?”.
Mi bloccò le braccia lungo i fianchi e in pochi secondi si avvicinò a me. I suoi occhi mi scrutarono.
“Mi s-spieghi che s-stai facendo?” dissi.
In risposta, diminuì ancora più la distanza, socchiudendo le labbra. Il suo respiro mi entrava nei polmoni e le sue palpebre si chiusero lentamente.
Mi scostai alla svelta, facendo un piccolo passo indietro. “Tieni a f-freno l-la lingua Styles, letteralmente”.
Si ricompose tranquillamente: “Volevo solo vedere se ti piacevo”.
“Baciandomi? B-bastava chiedere eh”.
“Tranquilla, mi sarei fermato in tempo. Non voglio che Zayn Malik mi butti in un cassonetto dell’immondizia per averci provato con la sua ragazza. E poi, senza offesa ma non sei il mio tipo. Troppo… acida”.
Ora che era a portata di tiro gli diedi un ceffone. “E questa è la conferma” disse massaggiandosi la guancia.
“Me la rinfaccerai sempre la storia del limone?” chiesi roteando gli occhi.
“Credo proprio di si”.
“Prima mi s-stavi simpatico Harold, a-adeso mi devo r-ricredere”.
Lui si fermò di colpo come paralizzato, strabuzzò gli occhi e mi guardò a bocca aperta: “Ti sto simpatico?”.
Alzai le spalle e gli diedi un colpetto sulla spalla per farlo camminare: “Mi stavi, passato”.
Styles junior alzò i pugni al cielo: “Udite udite, stavo simpatico a Penny! Oh mio Dio, questa è la notizia dell’anno, dobbiamo avvertire i giornali!”.
“Vaffanculo Harold”. Aveva definitivamente rotto le palle. Anche se la mia soglia di sopportazione era aumentata, ero pur sempre me stessa. Harry era un ragazzo sopportabile quando voleva. Ma solo quando voleva. E, anche se aveva appena provato a baciarmi, era uno dei pochi con cui riuscivo ad essere quasi me stessa.
“Sapevo che mi avresti risposto così” disse ridendo. Ero così prevedibile? “Comunque, come vanno gli allenamenti?”.
“Non male. La partita è fra poco, ma immagino tu lo sappia”.
“Da una settimana non si parla d’altro. Sei agitata?”:
“No, perché dovrei?”.
“Beh, potresti cadere e far sfigurare la squadra, nonché tutta la scuola…”.
“Mi stai portando sfiga Styles. Ma a te interessano solo le ragazze mezze nude” ribaltai il discorso.
“Non solo loro, diciamo che sono piacevoli agli occhi”.
“Ma come cazzo parli?” mi ricordò i lord irritanti e pensai subito a casa sua.
“Ok, vado praticamente solo per loro. però mi sta a cuore anche la partita, sul serio. Non possiamo perdere, ne va della nostra reputazione”.
“Ma per favore”. Neanche fosse il presidente che parla alla nazione.
“Siamo arrivati” disse tutto d’un tratto. Ci fermammo davanti alla cassetta della posta. Tutte le luci di casa erano accese, tranne quella del bagno e della camera di mia madre. “Ah, come mai sei venuta da mio padre?”.
Abbassai la testa, pronta per incamminarmi per il vialetto: “Cose personali. Grazie per avermi accompagnata”.
“Di niente, ciao Penny” mi mandò un bacio volante e sparì nel buio.
Entrai in casa e posai la ricetta medica sul tavolo. A meno che le farmacie non fossero aperte a quest’ora, avrei preso le pastiglie domani pomeriggio. Dovevo solo trovare una scusa per saltare dieci minuti di allenamento, ma sarebbe stato impossibile perché rischiavo di essere buttata fuori dalla squadra e l’idea di non fare niente per il resto dell’anno (come nei trasferimenti passati) non mi allettava gran che. Quindi, dovevo escogitare qualcos’altro.
Accesi la tv, sperando di avere un’illuminazione. Poi, mi venne in mente Zayn.
Presi il cellulare e digitai velocemente il messaggio: -Domani è obbligatorio andare a scuola?-.
La risposta non tardò ad arrivare: -Cos’hai in mente?-.
-Niente di che. Il nostro albero e due ciambelle-.
-Non vado matto per le ciambelle-.
-Non ho mica detto che una è per te-.
-Devi sempre avere l’ultima parola, ne?-. Sorrisi, immaginando l’espressione compiaciuta di Zayn.
-Sono fatta così Malik, prendere o lasciare-.
-Non lascerei per nulla al mondo-. Mi morsi il labbro. Indecisa su cosa rispondere.
-Allora a domani Zayn, otto e mezza-. Almeno non avevo scritto niente di sarcastico  che avrebbe potuto rovinare il suo lato romantico. Qualche volta glielo dovevo concedere.
-Non vedo l’ora piccola, notte-.
-Buonanotte Zayn-.
In tv non c’era niente d’interessante, ma non avevo per niente sonno, e stare a letto con gli occhi chiusi non sarebbe servito a niente, perché mi avrebbe fatto pensare e non mi sarei più addormentata. Mi succedeva sempre così. Forse uno spuntino sarebbe stato utile. Se non per il sonno, almeno per il mio stomaco.
“Mmh, vediamo cosa c’è in frigo… oh, fantastico, adesso parlo anche da sola. Starò diventando pazza”.
Panino con prosciutto. La cosa più commestibile che riuscii a trovare, sempre che il prosciutto non fosse scaduto. E avevo i miei dubbi. Dopo tre quarti d’ora passati a leggere, finalmente gli occhi cominciarono ad appesantirsi.
Domani sarebbe stata una bella giornata, escluso il pomeriggio di allenamento e la sera a stare dietro a mia madre. Ok, domani mattina sarebbe stato bello.
  
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