CAPITOLO 5 – SEGNALI DI
PACE
Il
mese seguente trascorse abbastanza tranquillamente: tre volte Oleander
dovette
recarsi a Londra, Bristol e Glasgow per verificare degli eventi
sospetti, ma
non si trattava del ladro del vaso di Pandora: in un caso si trattava
di un
mago che aveva esagerato con un incantesimo “Gratta e
netta”, rendendo la sua
casa trasparente, negli altri due di ingressi non autorizzati dal
Ministero
della Magia di creature di un’altra dimensione
spazio-temporale.
La
stagione autunnale trascorse rapidamente: aceri e castagni videro le
loro
foglie mutare in un rosso ed un giallo acceso che incendiò
di colori la
brughiera, ma quando i colori si spensero, assumendo un’opaca
tonalità marrone
e le foglie iniziarono a cadere al suolo in una pioggia incessante, si
intuì che
l'inverno si stava avvicinando a grandi passi. Verso la metà
di novembre i
primi fiocchi di neve caddero su Hogwarts e gli allievi della scuola di
magia
erano sempre più elettrizzati, perché le vacanze
di Natale si avvicinavano.
Da
quando Oleander aveva riparato la scopa di Harry, la voce si era sparsa
tra gli
studenti e così, alla spicciolata, c'era chi andava da lei
per un amuleto, una
pietra magica o per far riparare qualche oggetto. Persino Ron vide la
sua bacchetta
magica tornare come nuova, dopo che una pianta carnivora della serra di
Erbologia, particolarmente restia a farsi potare, gliela aveva
mangiucchiata
tutta, e lei stava facendo l’abitudine ai ritmi di quella
vita.
La
sola cosa che la disturbava erano le lettere che arrivavano
periodicamente via
gufo da Schloss Berth chiedendo notizie ed aggiornamenti in merito alla
situazione. Anche da lontano si sentiva gli occhi di tutta la famiglia
puntati
addosso, lei non aveva ancora risultati concreti da mostrare e la cosa
la
innervosiva terribilmente, perché in fondo le sarebbe
piaciuto risolvere il
caso e poterli guardare trionfante dicendo: “Ce
l’ho fatta!” Dimostrare, almeno
una volta, che valeva qualcosa.
Ma
poi le bastava entrare nella Sala Grande di Hogwarts e il suo malumore
spariva:
Silente e tutti gli altri professori erano molto gentili con lei. Tutti
tranne
Severus Piton, ovviamente: nonostante le buone intenzioni, i loro
battibecchi
non erano cessati, anche se ormai si era abituata anche a quelli. Anzi,
si
sentiva stranamente dispiaciuta se almeno una volta al giorno non aveva
l'occasione di scambiare alcune battute caustiche con lui.
Le
loro reciproche punzecchiature erano uno spasso per i colleghi, persino
il
sonnolento professor Rüf si
animava ascoltandoli.
Anche
Piton si era abituato alla sua presenza: se qualcuno gli avesse detto
che la
mattina scrutava l'ingresso della Sala Grande in attesa di veder
spuntare una
testolina dai corti capelli viola scuro, l'avrebbe incenerito
all'istante,
eppure era così. Perchè quando aveva occasione di
parlare (o meglio di
litigare) con lei, riusciva a dimenticare Voldemort e i suoi complotti,
vivendo
rari momenti di serenità.
Ma
solo per poco: quella mattina, ad esempio, si svegliò di
soprassalto dopo uno
dei consueti incubi sul suo passato di Mangiamorte.
Si
appoggiò alla scrivania respirando profondamente: si
preannunciava una pessima
giornata, tanto più che aveva lezione con quegli imbranati
del primo anno di
Tassorosso. Ma il suo umore migliorò non appena
aprì la porta della sua stanza,
lì davanti c'era il suo vecchio calderone, perfettamente
riparato, con dentro
un biglietto. Era bianco, ma con un tocco di bacchetta magica apparvero
queste
parole "Nell'attesa
che un nuovo padrone si faccia
avanti, potrebbe un esimio professore di pozioni conservarlo?" Piton ammise con se stesso di
essere sorpreso, perché
il profondo squarcio era scomparso senza lasciare traccia alcuna; ci
fece
scorrere sopra le dita: la superficie era perfettamente liscia e
regolare: un
lavoro pregevole, doveva esserle costato un bel po’ di fatica.
Infatti
negli ultimi giorni, le mani della donna non avevano più
vesciche e spellature
del solito?
Lo
rimirò ancora un attimo, poi rientrò in camera,
prese la penna d'oca e scrisse
un messaggio per Hagrid: aveva bisogno che andasse in un posto per
conto suo a
prendere una cosa. Certe cortesie andavano ricambiate.
Due
giorni dopo Oleander stava confortando Harry dopo che aveva preso un
brutto
voto in Storia della Magia... beh, veramente in quel momento stava
ridendo di
gusto "Se il professor Rüf non fosse già morto,
l'avresti stecchito tu con
questa risposta. Non posso credere che tu abbia scritto davvero che gli
untori
milanesi spargevano la peste, Harry!" Si appoggiò al muro
per riprendere
fiato.
"Dovevo
recuperare pozioni e ho trascurato i capitoli di storia
internazionale... ho
inventato la prima cosa che mi è venuta in mente…
l’avevo letto qualche anno
fa, su un libro di mio cugino Dudley…" mormorò il
ragazzo, a mo’ di
giustificazione.
"La
prossima volta vieni da me, ti darò delle ripetizioni.
Ammetto che gli untori
non hanno mai goduto di una buona fama, per Merlino!
quell’unguento che usavano
aveva un odore terrificante: all’Istituto Mediolanensis ne
conservano dei
campioni e quando li aprono c’è da scappare a
gambe levate. Ma in realtà erano
dei maghi veggenti e cospargevano di unguento le porte delle case dove
sapevano
che la peste avrebbe colpito, per allontanare il male. Salvarono molte
vite."
"Allora
quelli che vennero messi a morte furono dei martiri."
Di
nuovo la risata di Oleander risuonò per il corridoio "Harry,
nessun vero
untore è mai stato tanto scemo da farsi catturare. Quei
poveretti che finirono
impiccati o arsi sul rogo erano solo persone comuni vittime di un
equivoco, specie
Gian Giacomo Mora, che ebbe la sfortuna di nascere sotto
l’influenza di Perdita
[1]. Quella luna sì che ha un’influenza nefasta,
altro che Saturno!"
Giunti
davanti alla porta della sua stanza, Oleander vide una piccola scatola
posata a
terra, con sopra un biglietto bianco. Alzandolo in modo che fosse al
riparo dai
verdi occhietti curiosi del ragazzo, agitò la bacchetta
facendo comparire il
messaggio "Questa
è una cosa che potrebbe aiutarla
nella sua caccia. Se ha voglia di stare ad ascoltare un esimio
professore di
pozioni, oggi pomeriggio le spiegherò come."
"Buone
notizie...?" azzardò Harry, vedendo che a stento tratteneva
una risatina.
"Harry
Potter, non hai gli allenamenti di quidditch adesso?" e
liquidò il
ragazzo. Non appena fu sparito dalla vista, Severus Piton si
staccò dall’androne
dietro al quale si era nascosto e le andò incontro a passo
di marcia, protestando
“Quest’ala dell’edificio è
riservata ai professori, gli studenti non possono
accedervi liberamente. Avrei dovuto togliere 20 punti a
Grifondoro.”
“Stavamo
parlando di materie scolastiche.”
“Lei
ci prova gusto, vero?” Piton la guardò storto.
“A
far cosa?” domandò la maga, con aria da
innocentina.
“A
contraddirmi, sempre e comunque.”
“Che
vuole, noi umili manovali ci divertiamo con poco.” E
aprì la porta. Piton si
guardò attorno: la stanza rifletteva la
personalità di Oleander ed era esattamente
come se l’era immaginata, ossia molto disordinata. Fogli,
pergamene, appunti,
penne d’oca e d’aquila occupavano ogni superficie
piana, un grosso corvo nero
dromicchiava nella sua gabbia, mentre in un angolo la donna aveva
spostato
tutti i mobili per mettere in piedi un piccolo laboratorio di
riparazioni per
gli studenti: attualmente l’unico paziente era
“Andiamo,
lo sa meglio di me che dei semplici studenti non sono in grado di
utilizzare
quell’incantesimo su oggetti magici o stregati, ma solo su
quelli normali. E’ di
livello M.A.G.O. e oltre.”
“Tutte
scuse: dovrei togliere altri 10 punti a Grifondoro.”
“Ora
so cosa regalarle per Natale: un pallottoliere.” disse la
donna, divertita, poi
si sedette sul letto ed aprì la scatola.
Piton
continuava la sua ispezione: l’unico spazio ordinato della
stanza era
rappresentato da un basso tavolino rotondo coperto da una cartina della
Gran
Bretagna, sulla quale era sospeso un pendolino radiestetico che
oscillava in
piccoli cerchi, emanando una luce giallastra: era stato tarato per
rilevare
fenomeni magici senza spiegazione.
“Cos’è?”
chiese Oleander, indicando l’ampolla che aveva trovato nella
scatola. Tolto il
tappo, si sprigionava uno spesso filo di fumo che restava a galleggiare
sopra
il collo della bottiglia.
“E’
una pozione che le ho preparato: il fumo reagisce alla presenza del
liquido del
vaso di Pandora: quando aprirà la boccetta, il fumo si
dirigerà verso il
liquido e quindi verso il ladro che sta inseguendo.”
“Strabiliante!
Ma come ha fatto?”
Inorgoglito
ed anche lievemente imbarazzato da quella manifestazione di ammirazione
così
spontanea, minimizzò, come se fosse una cosa da nulla
“Mi sono fatto portare da
Hagrid i carrelli dell’incidente a King’s Cross:
erano stati fatti sparire e
portati al Ministero della Magia, ho cercato tracce residue del liquido
e ho
studiato un po’. Il resto è stato
facile.”
“Parli
per lei! Io ci ho messo tre settimane solo per elaborare e mettere
insieme il
mio reagente. D’altronde non sono mai stata una cima in
pozioni.” Mormorò a
mezza voce.
“Sì,
lo si può capire semplicemente guardando questa stanza
– Piton incrociò le
braccia sul petto – scommetto che lei era molto
approssimativa, sia
nell’affettare gli ingredienti, che nel dosarli. E li
conservava alla rinfusa,
confondendoli. Il disordine è il nemico naturale di una
pozione ben fatta.”
Dalla faccia della donna, passata con rapidità dalla
sorpresa ad una riluttante
ammissione, Piton capì di aver fatto centro.
“L’ordine
è faticoso da mantenere, mi sottrae energie vitali. Che
vuole – allargò le
braccia in un gesto teatrale – a ognuno la sua strada: lei
è un esimio e
ordinatissimo professore di pozioni, io sono solo un’umile e
incasinatissima manovale.”
Poi si spostò verso un fornelletto da campeggio posato nel
camino, dandogli le
spalle ed accese il fuoco.
Piton
sospirò esasperato “Non la finirà mai
con questa storia, vero?”
“Non
sono io che ho iniziato.” Fece notare la donna.
Qualche
minuto dopo, Piton udì un borbottio proveniente da un
piccolo marchingegno
metallico posato sul fornello e poi la stanza fu invasa da un aroma
forte, di
qualcosa di bruciato, ma nient’affatto sgradevole. Si
avvicinò incuriosito e
sbirciò da sopra la spalla della donna: vide un liquido
denso e scuro risalire
lungo un beccuccio del marchingegno
“Cos’è?” pensava fosse un
nuovo modello di
distillatore per pozioni.
“La
caffettiera. – disse Oleander tranquillamente, ma davanti
all’espressione
smarrita dell’uomo dovette spiegarsi meglio –
E’ uno strumento babbano che
serve per preparare il caffè, io non viaggio mai senza,
perché per me è una
specie di droga. E, badi bene, solo quello fatto nella caffettiera
è degno di
questo nome, non quella insulsa brodaglia all’americana che
cercano di
propinarti fuori dall’Italia. Andrebbe proibita con una
risoluzione
dell’O.N.U..”
Al
di là della filippica della donna, di cui non aveva capito
molto, Piton era
combattuto: l’odore di quel
‘caffè’ era invitante, ma non voleva
mostrare un
aperto interesse per la cosa. Non ci fu bisogno di chiedere, comunque,
perché
Oleander gliene porse una tazza “Ecco, assaggi.”
Accettò
con evidente riluttanza, allora la donna si posò una mano
sul cuore “Le do la
mia parola d’onore che non è
avvelenato.” E poi bevve.
Piton
la imitò, stupendosi per il sapore di quella bevanda: non
aveva mai assaggiato
nulla del genere, faceva impallidire il miglior succo di zucca delle
cucine di
Hogwarts. Dal forte sapore di bacche tostate, intenso e amaro, ma anche
aspro
in fondo alla gola. Decisamente buono. Si accorse che due occhi castani
lo
fissavano divertiti da dietro i grandi occhiali
“Allora?”
“Passabile.”
concesse Piton.
Oleander
scoppiò a ridere “Immagino che tradotto in
linguaggio comune, significhi che le
è piaciuto.”
Che
impertinente faccia tosta!
“Lo
immaginavo, comunque: il caffè le si addice.”
“Perché
è amaro?” chiese l’uomo, sarcastico.
“Ma
in fondo è buono, no?” disse lei con naturalezza.
L’osservazione
spiazzò Piton completamente, che non seppe come rispondere.
In
quel momento un gufo picchiò col becco contro il vetro della
finestra ed
Oleander si rabbuiò all’istante. Raccolse il
messaggio e lo buttò su una
poltrona senza aprirlo. Piton notò che sul sigillo di
ceralacca era impresso lo
stemma del Casato Von Athala. “Non lo legge?”
“Tanto
so già cosa c’è scritto: “Ci
sono novità? Tutti noi attendiamo con ansia buone
notizie e la cattura di questo ladro che tanto discredito sta gettando
sul nostro
casato, eccetera, eccetera…” si
tormentò nervosamente un polsino della camicia.
“Ed io sono ancora a zero.”
In
quel momento il pendolo smise di agitarsi e piombò sulla
cartina: Oleander
corse a vedere: indicava il cimitero maggiore di York.
“Qualcuno è entrato in
azione, devo andare!" Raccolse velocemente la boccetta di Piton ed
uscì di
corsa.
Si
materializzò all'interno del cimitero cittadino pochi minuti
dopo le sei. Il
suono di una campana avvisava i visitatori di affrettarsi ad andarsene,
perchè
era arrivato l'orario di chiusura.
La
giornata era stata serena ma molto fredda ed una volta tramontato il
sole
iniziò a formarsi una fitta nebbia, che avvolgeva le
cappelle private e le
statue funerarie, rendendole pallide e sfocate. Qua e là
brillavano tenui i
lumini e le candele, come sospesi nel vuoto. Il lungo viale che si
srotolava
verso l'ossario centrale sembrava venir inghiottito da quella densa
coltre
biancastra. Pigramente un fantasma uscì da una cappelletta
che riproduceva in
piccolo un antico tempio egizio e andò a bussare sulla
vetrata di quella a
fianco, che invece assomigliava ad una cattedrale gotica "George,
vecchio
mio, ci sei? Finiamo la nostra partita a backgammon?"
Oleander
si massaggiò le mani e le braccia intirizzite dal freddo,
rimproverandosi per
essere uscita così precipitosamente, senza nemmeno saggiare
la temperatura
esterna e come sempre, ora era tardi per rimediare.
Abbandonò il viale centrale
e si inoltrò per i dedali di sentieri che si snodavano nel
cimitero, però per
il momento non c'era nulla di strano. Un paio di volte le parve di
scorgere un
movimento furtivo, ma erano solo le ultime ombre della sera proiettate
dagli
alti cipressi.
Si
udiva solo il rumore dei suoi passi sui piccoli sassi scuri dei
vialetti;
camminava lenta, quasi dimentica del motivo per cui era lì,
soffermandosi a
guardare le statue di bronzo e di marmo, che riproducevano donne
affrante in
preghiera, madonne dal viso imperturbabile circondate da angeli, cani
accoccolati
ai piedi delle tombe [2], bambini con i loro balocchi prediletti e
soldati in
pose da eroe. Man mano che procedeva verso la parte più
antica della struttura,
le lapidi diventavano sempre più sporche e trascurate,
invase da erbacce e
muschio, con le lettere bronzee ossidate dal tempo.
I
cimiteri le mettevano sempre una certa malinconia. Si
ritrovò a chiedersi in
che stato fosse la tomba della mamma: da quando aveva lasciato Schloss
Berth,
dopo i funerali, non vi aveva più fatto ritorno.
Chissà se Peter Von Athala se
ne prendeva cura o era all'abbandono come una di quelle? Ma no, al di
là dei
freddi rapporti che aveva col genitore, era ben consapevole che suo
padre aveva
amato molto Ortensia ed aveva sofferto almeno quanto lei quando era
morta. Ed
il dolore inconsolabile di suo padre, non era anche in parte colpa sua?
Sentì
la vergogna bruciarle dentro.
Distratta,
allungò la mano per scostare un tenace rampicante da una
grossa croce celtica.
Le foglie del rampicante, strusciando fra di loro, fecero un discreto
rumore,
ma quando Oleander lo lasciò andare, fu certa di aver udito
il rumore di passi,
che si erano fermati all'improvviso. Fece finta di non essersene
accorta e
proseguì a camminare lentamente, ma giunta all'altezza di
una massiccia cappella
squadrata, svoltò l'angolo e si allontanò
velocemente, nascondendosi dietro una
croce di marmo nero. Maledisse in cuor suo quella nebbia e
l'oscurità che era calata
troppo velocemente... non riusciva a vedere nulla, solo volute di
nebbia
sospinte da una brezza lieve ma gelida. Guardò alla sua
destra: c'era una
statua raffigurante una donna a grandezza naturale, con in mano una
tavolozza
di colori ed un pennello e le venne un'idea. Operò una
trasfigurazione sulla
statua, trasformandola in se stessa: l'avrebbe usata come esca per far
uscire
il suo uomo allo scoperto; tornò a nascondersi dietro alla
croce di marmo e
attese. Udì chiaramente dei passi venire verso di lei e
puntò la bacchetta:
tremava leggermente. Il cuore le batteva forte ed una goccia di sudore
le
scivolò lungo il collo, nonostante la temperatura rigida.
Balzò fuori da dietro
il suo nascondiglio, ma immediatamente qualcuno gridò
"Expelliarmus!"
e la sua bacchetta volò lontano; Oleander gridò
spaventata. Dalla nebbia emerse
una figura a lei familiare, avvolta in un lungo mantello nero che
ondeggiava ad
ogni suo passo "Credeva davvero di poter mettere nel sacco qualcuno con
quel trucchetto?"
"P-professor
Piton? Ha rischiato che la schiantassi."
"A
me non sembra." le disse l'uomo, nel consueto tono pacato.
"Accidenti
a lei, mi ha fatto prendere uno spavento incredibile." Disse a voce
alta
per l’agitazione, poi si sedette su un basso muretto,
facendosi aria davanti al
viso. "Che ci fa qui?"
"Volevo
verificare di persona l'efficacia della mia pozione, ma ho visto che
lei
preferisce fare un giretto panoramico."
"Non
stavo facendo nessun giretto. – gridò la donna
– Stavo solo perlustrando."
L’uomo
alzò gli occhi al cielo “La prego di contenersi,
si rammenti dove siamo. Lei
deve sempre essere così irruenta?”
sibilò stizzito.
“E
lei deve essere sempre così glaciale?”
Dopodiché la donna si nascose il viso
tra le mani e starnutì rumorosamente due volte. In un gesto
quasi automatico,
Piton si sfilò il mantello, posandoglielo sulle spalle.
La
donna abbassò gli occhi, sistemandolo meglio.
Sentì immediatamente un piacevole
calore… e sospettava non fosse dovuto solo alla pesantezza
dell’indumento, ma anche
a quel gesto cavalleresco così inaspettato "G-grazie. Ok -
si tirò in
piedi ed estrasse la boccetta, cambiando bruscamente argomento -
vediamo se
funziona."
Il
filo di fumo grigio si sollevò, restò sospeso a
danzare a mezz'aria, poi si
divise in due segmenti, che si spostavano lentamente in due direzioni
opposte
"Deve aver già usato il liquido su qualche oggetto e poi
è andato da
un’altra parte."
"Dividiamoci."
propose Piton. Oleander seguì il suo filo di fumo, che era
diretto verso il
vecchio tempietto crematorio (in disuso dal 1940 - avvisava un
cartello) e si
infilò sotto la porta, chiusa da un grosso lucchetto.
Oleander utilizzò un Alohomora
ed il lucchetto
scattò, poi fece una
magia per rendere più luminosi i ceri che ardevano sulle
pareti del sacrario,
ma anche così la luce era tremula e creava sinistre ombre
sui muri, sulle urne
cinerarie e sulle statue. Le vecchie fotografie su ceramica parevano
guardarla
con occhio malevolo. I suoi passi rimbombarono rumorosamente sul freddo
pavimento di marmo e l’eco si moltiplicò lungo
l’alta cupola che chiudeva
l’edificio. Quel posto metteva i brividi. L’essersi
ricordata all’improvviso
della trama de “La notte dei morti viventi” di
certo non aiutava.
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[1]
= è il nome di una delle lune di Urano; il nome è
preso da una commedia di
Shakespeare “Il racconto d’inverno”,
è il nome della figlia di Leontes ed
Hermione. Quando l’ho letto sono rimasta folgorata e ho
scelto questo
satellite.
[2]
= il cane è molto usato nell’arte funeraria
perché è simbolo di fedeltà.
Ringraziamenti
e commenti:
Gran
parte della descrizione del cimitero di questo capitolo è
ispirata dal Cimitero
Monumentale di Milano, un luogo davvero suggestivo. Ora, so che sembra
un
suggerimento davvero da sciroccati, ma se vi capita visitatelo,
è un luogo che
colpisce l’immaginazione.
@MistralRapsody:
non ci crederai, ma anch’io ho delle bacchette cinesi sulla
scrivania (sì,
assieme ad un quantitativo industriale di paccottiglia varia) e mentre
stavo
scrivendo il capitolo mi è caduto l’occhio
lì e ho pensato di usarle nella
storia. La cosa avrà un seguito ed una spiegazione nel
prossimo capitolo.
@Leonella:
no, no, nulla di così tragico, ma in fondo si può
far molto male ad un bambino
anche senza mettergli le mani addosso. Ad esempio ignorandolo o
facendolo
sentire inutile. Anche questo aspetto della storia sarà
approfondito meglio nel
prossimo capitolo, che tra l’altro segna una cambio di
registro nella storia,
che si fa più seria.