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Autore: Carlos Olivera    16/12/2012    4 recensioni
Una storia nata dalla Round Robin Threads Of Fate, ed ambientata parallelamente ad essa.
E' trascorso un anno da quando Eric Flyer ha sconfitto Valopingius e fermato i piani di suo nonno, discolpandosi dalle accuse a suo carico ed ottenendo la qualifica di Hunter a tutti gli effetti.
Molte cose sono cambiate in questi 12 mesi, e anche lui un po', così sua madre decide di raccomandarlo al suo amico Kaien perché sia inserito nel progetto di scambio culturale che l'Accademia Cross si accinge ad iniziare. Eric vi si trasferisce con una cert'ansia, sia perchè nella scuola si trova la sua eterna nemesi, sia perchè alla Cross è determinata a studiare anche la persona alla quale tiene maggiormente al mondo, e che disgraziatamente attira i vampiri come le mosche con il miele.
Ma la tranquillità durerà poco. Suo nonno Augusto, infatti, non solo non ha rinunciato al suo disegno di creare con le sue mani la prossima tappa dell'evoluzione dei vampiri, ma non ha neanche dimenticato come Kaname, e soprattutto Eric, abbiano fatto naufragare miseramente il suo primo piano. Ma questa volta, Eric potrà contare su un gran numero di compagni ed alleati.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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14

 

 

Alla luce del sole estivo, Palermo e le sue spiagge risplendevano di vita.

Un normale vampiro non sarebbe stato capace di resistere ad un simile sole, e questo spiegava perché in Sicilia la popolazione della Stirpe della Notte fosse in numero così esiguo.

Persino Eric, pur con tutta la sua unicità, provava un certo fastidio, che lo costringeva a restare chiuso dentro la divisa scolastica della cross e a indossare un paio di occhiali da sole.

A colpo d’occhio faceva un gran bell’effetto, ma era peggio che stare dentro una sauna.

«Ti squaglierai prima di sera con quella roba addosso.» osservò Peter, che invece aveva potuto optare per un abbigliamento decisamente più consono

«Non fare commenti, ti prego. È già abbastanza difficile così».

Sul lungomare era un trionfo di turisti, sia abitanti che stranieri; le spiagge erano che più affollate non si può, e anche l’area del centro storico traboccava di visitatori.

Ma Eric e Peter non erano certo venuti là per fare un giro turistico.

«Allora?» chiese Eisen sistemandosi gli occhiali da sole «Che siamo venuti a fare qui?»

«Quel ragazzo, Lopez, è stato contaminato dal virus Vermillion. E sono sicuro che dietro tutto questo ci sia la famiglia Bongianno

«E dunque?»

«Ormai sono più di due anni che mio nonno è sparito dalla circolazione,  ma i trattamenti col Vermillion su Lopez risalgono a poco più di un anno fa.»

«Ho capito. Se i Bongianno trafficano ancora col Vermillion, vuol dire che probabilmente si sono rimessi a lavorare per il conte.»

«Qualsiasi cosa mio nonno stia trafficando, non può essere certamente nulla di buono.

A conti fatti, non mi stupirebbe se ci fosse lui anche dietro a tutti quegli avvistamenti di creature sconosciute degli ultimi mesi.»

«E allora, cosa hai in mente?»

«Fare due chiacchiere con il padrino, Alfredo Bongianno. Lui e il suo clan hanno fatto da leccapiedi alla famiglia Lorenzi per più di cent’anni. Sicuramente qualcosa saprà, e forse potrà dirci che altro di nuovo sta progettando quel fanatico.»

«Molto bene. E dove si trova questo Bongianno

«Non lo so. Ma so come scoprirlo. Basterà trovare le persone giuste, e fare qualche domanda in giro.»

«Bene. Quand’è così, andiamo. Non vedo l’ora di tornare in Giappone per scoprire in che modo intendano castigarci.»

«Con calma. Ci andrò solo io.»

«Che cosa!?»

«Bongianno e i suoi hanno spie e informatori dappertutto in questa città. Io posso anche passare inosservato, ma te si vede lontano un chilometro che sei un forestiero. E se quel codardo avvinazzato mangia la foglia, sparisce e non lo troveremo più.»

«Insomma, se ho capito bene mi stai scaricando.»

«Cerca di capire. Per queste cose ci vogliono morigerazione e tatto, dovresti saperlo. Un tedesco che chiede informazioni su un noto malavitoso siciliano.»

«Ma allora io che cosa faccio?»

«E che ne so? Fai il turista».

In quella, Peter notò due belle e conturbanti ragazze del posto che prendevano il gelato sedute ai tavolini di un bar sulla spiaggia, cercando sfacciatamente di combattere il caldo in modo troppo provocante per poter essere ignorato. E quando videro Peter, con quel suo visetto da attore navigato e quella lunga chioma bionda, i loro sorrisi e il loro cenno di saluto fu per Eisen come il segnale di carica.

«Lo sai?» disse il giovane tedesco prendendo ad ignorare totalmente colui che avrebbe dovuto invece sorvegliare giorno e notte «Credo che dopotutto seguirò il tuo consiglio.»

«D’accordo, allora io vado. Se ci saranno problemi, mi farò sentire.»

«Sì sì, come vuoi. A dopo.» ma Peter se ne era già andato.

 

Eric si inoltrò nel vecchio centro storico, cuore antico della città, e passò il resto della giornata a fare domande in giro.

Recuperò i suoi vecchi contatti, ne cercò di nuovi, e torchiò a dovere qualche picciotto di bassa lega.

Aveva già visitato Palermo in altre occasioni, aveva ancora degli agganci, ma soprattutto tutti sapevano bene di chi fosse parente, a cominciare dagli uomini del padrino. E perciò, furono ben pochi quelli che trovarono il coraggio di rifiutarsi di rispondere, ma che comunque furono adeguatamente portati a più miti consigli.

Alla fine Eric ottenne ciò che voleva; stando agli informatori, Bongianno si trovava in una delle sue tante residenze, un villino a due piani alla periferia orientale della città, proprio di fronte ad un vecchio cementificio abbandonato di sua stessa proprietà.

Quando arrivò sul posto si era già fatta sera, e a giudicare dai tipi loschi che sorvegliavano il perimetro della casa, delimitata da un basso muretto, l’informazione doveva essere giusta.

Sicuro di sé il ragazzo avanzò, e subito due picciotti gli andarono contro per bloccargli strada.

«Che vuoi?» gli domandò uno in malo modo

«Voglio vedere don Alfredo.» replicò Eric cavando fuori il suo miglior siciliano

«Don Alfredo non riceve nessuno.»

«No, a me mi riceve, puoi contarci.»

«Sei in cerca di rogne, per caso?».

La situazione minacciò subito di riscaldarsi, ed Eric da parte sua non sembrava voler fare nessuno sforzo per calmare gli animi. Anzi, si tolse gli occhiali da sole che aveva portato per tutto il giorno, sfoggiando una evidente aria di sfida.

«D’accordo. Io ci ho provato».

Nello stesso momento, nel solarium attiguo all’abitazione, il don stava intrattenendo alcuni facoltosi ospiti sudamericani, probabili futuri partner commerciali nel traffico di stupefacenti.

Le attività mafiose potevano essere molto lucrative e remunerative, soprattutto per i vampiri, molto più abili degli esseri umani ad essere sempre un passo avanti rispetto ai propri avversari e inseguitori, ma occorreva scegliersi gli alleati con molta più cura, più che altro per essere certi di poterli liquidare senza difficoltà quando non servivano più; proprio come l’ultimo cartello messicano che i Bongianno si erano trovati anni prima e che, quando avevano iniziato a fare troppe domande sulla natura dei loro ambigui partner siciliani, avevano provveduto ad epurare.

Fisicamente non sembrava neanche siciliano, basso, tarchiatello, capelli a spazzola biondo scurissimo tendente al marrone, mento squadrato e occhiali per compensare una vista non più eccellente a quattrocento e passa anni.

«Credetemi, signori.» disse sorseggiando un po’ del suo vino «Quello che conta al giorno d’oggi è la pragmaticità. Bisogna essere materialisti e spietati, soprattutto nel nostro lavoro.

Personalmente, nel mio territorio applico da sempre questo concetto, e non ho mai avuto di che lamentarmi, né problemi di alcun genere».

Le ultime parole famose.

In quel momento la parete di vetro del solarium venne letteralmente sfondata da due guardie del padrino che vi erano stati scagliati contro, e che dopo averla ridotta in pezzi rovinarono sul pavimento marmoreo dalla stanza incenerendosi.

Tutti, colti sul fatto, fecero per mettere mano alle armi che ognuno di loro solitamente portava con sé, ricordandosi solo troppo tardi che erano stati costretti a lasciarle all’ingresso al loro arrivo.

Passò qualche secondo, e dallo squarcio nella vetrata entrò nella stanza un giovane che, riconoscendolo, lasciò il don un momento spaesato per l’incredulità.

«Salve, disturbo?» domandò provocatoriamente il giovane

«Guarda un po’ chi è sbucato fuori dalle ombre.» commentò ironico Alfredo riacquistando cipiglio e autocontrollo «Il piccolo Enrico Lorenzi.»

«Don Bongianno».

Il padrino sorrise di soddisfazione, quindi fece un cenno ai suoi invitati per rassicurarli.

«Signori, se volete scusarmi.» disse, e tutti, pur comprensibilmente attoniti e preoccupati, abbandonarono guardinghi il salone, rifugiandosi in casa e lasciando il don da solo. Questi, nonostante tutto, seguitò a mantenere il proprio autocontrollo, e messa una mano nel taschino della giacca ne prese fuori uno dei suoi toscani, accendendoselo.

«Allora, qual buon vento ti riporta qui dopo tutti questi anni?»

«Stai ancora lavorando per mio nonno, non è così?» tagliò corto Eric.

A quella domanda il don restò un momento in silenzio, per poi sorridere divertito.

«Ragazzo, hai la memoria corta. Sei stato proprio tu a troncare il mio… accordo commerciale coi Lorenzi. Anche se, date le circostanze, credo che dovrei ringraziarti. Dopo cinquecento e passa anni, quella di tuo nonno stava diventando una presenza assai fastidiosa.»

«Non raccontarmi balle. So benissimo che lavori ancora per lui.»

«Davvero? E cosa te lo fa pensare?»

«Gabriele Lopez».

Nel sentire quel nome Alfredo, di nuovo, tradì qualche emozione, ma cercò di non darlo a vedere.

«Non capisco dove vuoi arrivare.»

«So quel ragazzo è finito in mano tua. So che lo avete contaminato con il Vermillion. So che tutti, e dico tutti i campioni di Vermillion scomparsi dal castello nei Balcani e dalla Zaibatsu di Hong Kong sono stati recuperati e distrutti, e che quindi non puoi essertelo procurato sul mercato nero. So che c’è una lista di persone scomparse, umani e vampiri, lunga così che porta fino a te e alla tua famiglia.

So che sei un bastardo che per soldi farebbe qualsiasi cosa. So che neanche fra mille anni saresti capace di lavorare a questi livelli.

So che sei stato, sei e sempre sarai il leccapiedi di mio nonno».

Gli ultimi commenti erano decisamente poco lusinghieri e sfacciatamente provocatori, e infatti Alfredo stava iniziando ad irritarsi.

«Sai un po’ troppe cose per i miei gusti, ragazzino.» mugugnò sforzandosi di sorridere ma schiacciando nel contempo il sigaro tra le dita

«Posso andare avanti tutta la notte, se vuoi.

Oppure possiamo smetterla qui e puoi dirmi a cosa di nuovo sta lavorando mio nonno. C’è lui dietro tutte le mutazioni che stanno spuntando fuori di questi tempi, non è vero?».

Seguirono lunghi ed interminabili attimi di silenzio, poi per fortuna il clima parve volersi distendere; don Bongianno si accese un nuovo sigaro e ne offrì uno anche ad Eric, che però rifiutò.

«L’ho sempre sostenuto. I Lorenzi sanno solo provocare problemi.

Io speravo di essermi liberato di quel vecchio fanatico, ma come si dice… le brutte compagnie sono come gli scarafaggi. Non te ne liberi mai.»

«Che cosa state facendo? Cosa sono questi esperimenti con il Vermillion, per di più sugli esseri umani?»

«Cosa stia facendo, non chiederlo a me.» rispose il don liberando una nuvola di fumo «Lo sai perfettamente che io non sono solito indagare sugli ordini che vengono dall’alto. Mi limito a eseguirli.

Forse tu potresti aiutarmi a capire che cos’ha in mente quella mummia fuori di testa. Non hai neanche idea dei problemi che mi ha causato da quando è sparito dalla circolazione.»

«Prima dimmi che cosa stai facendo per suo conto.»

«Posso fare di meglio.» rispose Alfredo alzandosi «Posso mostrartelo».

 

Accompagnato da un paio di uomini, Alfredo a quel punto condusse Eric nel cementificio dall’altra parte della strada, e una volta qui all’interno dell’edificio principale, insolitamente ben arredato per essere poco più di un cantiere.

«Non credevo che svolgessi i tuoi intrallazzi in un posto così in bella vista.»

«Credimi, ragazzo. Questa città è in sé il miglior nascondiglio che si possa desiderare».

Scesero nel seminterrato, dove al termine di un corridoio Eric si ritrovò a tu per tu con una porta dall’aria incredibilmente robusta, ben chiusa e protetta da un lettore d’iride e un tastierino di sicurezza.

Il don la sbloccò, e questa, una volta spalancata, rivelò una specie di piccolo sgabuzzino, che era in realtà un ascensore abilmente mascherato, e che solo digitando il codice corretto permetteva di usufruirne: un piccolo accorgimento per proteggere i molti segreti che quel posto nascondeva.

«Dopo di te.» disse Alfredo facendo strada ad Eric, il quale esitò un momento prima di salire per primo.

Una volta che furono tutti saliti il don prese il proprio palmare, digitandovi un nuovo codice, e a quel punto l’ascensore iniziò a scendere.

«E questo come me lo spieghi?» chiese Eric «Non mi pare nelle tue possibilità.»

«Una delle poche cose per cui possa ringraziare tuo nonno. Questo centro di ricerche fu costruito in gran segreto durante il tentativo di riqualificazione urbanistica degli anni sessanta. Ufficialmente servirebbe solo per svolgere il lavoro sporco che mi affida lui, ma occasionalmente torna utile anche per altri scopi».

Eric ricordò di aver già visto altrove qualcosa di simile; ad Hong Kong, alla Imagawa Zaibatsu; e ancor prima in Giappone, nella Penisola di Noto.

Quanti altri laboratori e centri di ricerca suo nonno e i suoi alleati avevano in giro per il mondo?

Duecento metri verso il basso dopo, le porte dell’ascensore, in realtà solo uno di tanti, si riaprirono su di una sala circolare che fungeva un po’ da centro nevralgico dell’intera struttura, che vista dall’esterno poteva rassomigliare ad un albero di natale rovesciato e strutturato su dieci livelli uno sotto l’altro sempre più piccoli.

Quello dove erano arrivati era il quarto settore, o come recitava un cartello affisso alla parete il CENTRO DI QUARANTENA – LIVELLO I. Non c’era anima viva, ma probabilmente solo perché quello era un settore riservato unicamente allo stoccaggio delle cavie e dei soggetti per le sperimentazioni, e quindi un posto dove non era necessaria una massiccia presenza umana.

Alfredo condusse Eric attraverso i corridoi, facendogli constatare che effettivamente anche lì c’erano degli scienziati e dei ricercatori al lavoro, gli unici probabilmente che non rispondessero all’autorità del padrino ma solo a quella del conte Lorenzi, che seppur lontano e nascosto chissà dove era ancora perfettamente in grado di gestire al meglio tutti i suoi laboratori sparsi nei cinque continenti.

A prima vista sembrava un centro per le ricerche come qualunque altro di una normale casa farmaceutica; si facevano esperimenti su cavie, conigli e primati, ma di quel genere di cavie che Eric si aspettava di trovare non vi era neppure l’ombra.

Certo, occorreva cercare di scoprire che tipo di ricerche venissero fatte, ma Eric era sicuro che quella fosse solo la punta dell’iceberg, e che in realtà lì dentro si facesse tutt’altro.

«Lopez non ha mai parlato di qualcosa del genere.»

«Credi che avrei tenuto uno scarto di laboratorio come quello in un posto simile? Era uno studio alla ceca, uno dei tanti che il conte ci aveva commissionato, ma vista la pochezza che sembrava dimostrare lo abbiamo mandato a marcire in uno dei vari edifici satellite che abbiamo disseminati attorno alla città.»

«Non parlerei esattamente di pochezza, visto quello che è diventato.»

«È esattamente la stessa cosa che ho detto io a tuo nonno quando quel gorilla è scappato. Certo, se avesse saputo come sarebbe andata a finire, forse il vecchio ci avrebbe pensato due volte prima di reputarlo un fallimento.

Comunque, per fortuna, avevamo avuto la buona grazia di conservare una copia dei rapporti e delle cartelle inerenti alla ricerca.»

«Allora è questo che fate qui.»

«E non solo.» replicò beffardo Alfredo.

Fu sufficiente scendere di un solo settore, e ciò che Eric si ritrovò da un momento all’altro davanti agli occhi era qualcosa che lasciava inorriditi.

Invece di conigli e scimpanzé, in quel posto le cavie erano quelle che si era immaginato; praticamente metà dell’intero livello era un susseguirsi di lunghissime e gigantesche stanze traboccanti di loculi e gabbie per animali su più livelli dal terreno, perché animali erano gli esseri che vi erano rinchiusi.

C’erano anche molti vampiri, ma la stragrande maggioranza erano esseri umani, o almeno quello che ne restava; alcuni erano ormai irriconoscibili, tanto erano mutati nell’aspetto e nel carattere. O avevano assunto forme mostruose, diventando una massa di animali affamati e scatenati, che i vetri super-corazzati di ogni singola cella a stento riuscivano a contenere, o erano ridotti a vegetali senza vita, attaccati alle macchine.

Eric, il don e il picciotto che li accompagnava passarono in uno di questi bracci di prigione proprio mentre le guardie del centro prelevavano uno di quei mostri per portarlo in laboratorio; quella bestia si era ingigantita a tal punto che la sua pelle si era strappata sotto la spinta dei muscoli, ormai quasi completamente scoperti, ringhiava e sbavava, e le pareti della sua gabbia erano piene delle crepe che aveva prodotto sfracellandosi i pugni e la testa nel tentativo di liberarsi.

Le guardie, cinque, cercavano di arpionarlo e ingropparlo con dei cappi, ma quello pur già parzialmente incatenato si dimenava incurante di essersi praticamente già staccato una mano nel tentativo di liberarla dall’anello agganciato alla parete; alla fine dovettero ricorrere alle maniere forti, e grazie all’intervento provvidenziale di una di loro, che attirò la sua attenzione ma che ricevette però un pugno al volo talmente forte da spararlo letteralmente contro il muro facendolo esplodere, un altro riuscì a raggiungerlo alle spalle e a piantargli venti centimetri di siringa nella spalla facendolo crollare a terra svenuto.

«Come puoi vedere, non si tratta di un lavoro semplice.» disse il don per nulla colpito da ciò che aveva visto

«Ma a che cosa serve tutto questo?» chiese Eric con tutt’altro tono

«Non chiederlo a me. Gli ordini sono solo di testare e sperimentare nuovi sistemi per aumentare la forza e le proprietà fisiche sia degli umani che dei vampiri. Proprio come stavamo facendo con quel tuo amico gorilla. Ma il perché, e che cosa se ne possa mai fare di tutti questi animali senza cervello, vallo a sapere».

Poi, venne il momento dell’ultima parte di quella specie di visita degli orrori, che a detta di Alfredo sarebbe stata la cosa più sconvolgente di tutte.

Eric fu portato in una grande stanza a cupola, completamente vuota e poco illuminata, dove però non c’era niente, a parte un enorme foro al centro di alcuni metri di diametro; sembrava l’entrata di un enorme pozzo, così profondo da non poterne scorgere il fondo, coperto dall’oscurità.

«Era questo che dovevi farmi vedere?» chiese il ragazzo con una certa perplessità

«Esattamente.»

«Non vedo che cosa ci sia di strano.»

«Qui è dove ci sbarazziamo delle cavie diventate inutili, o le cui ricerche non hanno dato gli esiti sperati.»

«Cioè…» disse Eric gettando uno sguardo nel pozzo «Le gettate… qui dentro!?»

«Esatto.»

«Ma perché?».

A quella domanda, il don si accese un nuovo sigaro, sorridendo beffardo.

«Perché a volte possono ancora tornare utili».

Eric non ebbe neanche il tempo di pensare.

D’improvviso, un’ombra scura si materializzò dal nulla sopra la sua testa piombandogli addosso dall’alto armata di una spada; il ragazzo fece appena in tempo a girarsi, tentando una reazione stentata, ma fu colto talmente di sorpresa da riuscire a malapena ad evitare in parte il fendente, che invece di ucciderlo si limitò a ferirlo al torace, ma subito dopo un calcio tremendo si abbatté su di lui, scagliandolo dritto all’interno del foro.

Tutto accadde così in fretta che Eric non ebbe neppure il tempo di capire chi o che cosa lo avesse colpito, riuscendo a distinguere solo un guizzare di lunghi capelli marroni.

«Bongianno!» urlò mentre precipitava «Maledetto!».

 

Un essere umano non sarebbe mai sopravvissuto ad una simile caduta.

Per fortuna Eric se la cavò con qualche lussazione e una breve perdita di conoscenza, ma in tutta sincerità anche lui rimase sorpreso quando, riaperti gli occhi, si rese conto di essere ancora vivo.

Al termine del pozzo vi era una seconda stanza simile a quella che stava più in alto, con la differenza che il foro era nel soffitto, e a giudicare dai resti chissà quanti altri ci erano stati già buttati dentro nel corso degli anni.

Forse era in questo modo che la famiglia Bongianno si era sempre sbarazzata di traditori, avversari e personaggi scomodi, facendoli sparire dal mondo come non fossero mai esistiti.

A giudicare dalla temperatura e dal buio, a malapena rischiarato da poche lampade al neon appese al soffitto, quello doveva essere l’ultimo e più basso livello della struttura, una tomba dalla quale non si usciva.

Eric, pur acciaccato, alzò gli occhi in cerca di un’uscita, ma il dolore si trasformò in rabbia quando, lungo le pareti del pozzo, vide una parete vitrea oltre la quale era sicuro trovarsi quella carogna che lo aveva gettato lì sotto.

E infatti, don Bongianno era proprio lì, ben nascosto all’interno di una piccola stanza, un centro di comando da dove si poteva monitorare tutto quello che accadeva in quella vasca di scarico, e dove lui era solito recarsi per gustare personalmente la morte dei suoi nemici.

«Mi avevano detto che saresti arrivato.» disse attraverso l’altoparlante, per essere certo di farsi sentire «Sei sempre stato impeccabile nel ficcare il naso nei posti meno consoni».

Di tutta risposta Eric afferrò un cranio, scagliandolo con tutta la sua forza e mandandolo a fracassarsi contro la vetrata, che tuttavia essendo a prova di danno ne uscì senza un graffio.

«Non sei affatto cambiato.» commentò il don ridendo a squarciagola per quel gesto inutile «Sempre irruente e scalmanato. Ma anche ingenuo.»

«Anche tu sei rimasto quello di una volta! Sempre a fare il lavoro sporco dei Lorenzi!»

«Tu non hai neanche idea di quanto questo mi faccia venire il voltastomaco. Ma come ti ho già detto, finché ho il mio tornaconto sono disposto ad ingoiare».

Alfredo a quel punto si accese il suo terzo sigaro.

«Che cosa diavolo state facendo? A che scopo fare tutto questo?»

«Dammi retta, ci sono cose al mondo che è meglio non sapere.

Prendi te, ad esempio. Se non avessi voluto a tutti i costi ficcare il naso in cose che non ti riguardavano, forse saresti vissuto un po’ più a lungo.»

«Ho sempre pensato che fossi un maledetto viscido rettile. Ora ne ho la conferma.»

«Prendila in questo modo. I miei superiori, compreso tuo nonno, non sanno più cosa farsene di te.

E per quanto mi riguarda, la tua esistenza non mi crea alcun beneficio.

Mi basta che muori».

Detto questo, il padrino schioccò le dita, e d’un tratto una specie di portello prese ad aprirsi lentamente lungo la parete della prigione.

Dall’interno di quell’androne Eric aveva sentito giungere per tutto il tempo dei mugolii inquietanti, e quando le porte si furono sufficientemente aperte, un vero e proprio abominio sbucò fuori da dietro di esse spalancandole con una tremenda spallata.

Era un gigante; nel vero senso della parola.

Doveva essere alto almeno sette metri, un corpo ridondante di muscoli, che la pelle spessa e ruvida come il cuoio grezzo a stento riusciva a contenere, fattezze mostruose da orco su di una testa completamente pelata, gambe piuttosto piccole ma due braccia che sembravano sul punto di esplodere, terminanti ognuna in enormi mani con quattro dita ciascuna.

Eric era sconvolto; cosa potevano aver mai fatto per creare un mostro simile?

«Esperimento di sviluppo fisico.» disse Bongianno attraverso l’altoparlante, quasi avesse carpito i pensieri del ragazzo «Abbiamo clonato il tuo amico tossicomane e abbiamo proseguito le ricerche. Quello che vedi, è il risultato.

Forse era davvero un esperimento destinato a fallire, in fin dei conti».

Quindi, pensò Eric, era questo che Gabriel sarebbe probabilmente diventato, se non fosse riuscito a scappare.

«E non credere che sia finita qui».

Il padrino fece un nuovo cenno, e al suono assordante di un allarme, nel centro del pavimento della stanza, si aprì una nuova, grande botola, dal quale giungevano aria rovente ed un caldo asfissiante. Eric vi gettò uno sguardo, accorgendosi che un centinaio di metri più in basso, nel fondo di una specie di canalone, scorreva un fiume di lava.

«Non te l’ho detto?» disse Alfredo «Questo centro, come l’intera città di Palermo, è costruito proprio sopra ad una faglia sismica. Un modo come un altro per disfarsi degli scarti di produzione.» quindi, rise beffardo «Allora, cosa preferisci? Morire schiacciato o bollito?».

Eric era ancora intento a fissare quel mare di magma, quando il gigante tentò di colpirlo; per fortuna fu rapido a schivare, ma il doppio pugno di quella bestia non aveva nulla da invidiare alla potenza dirompente di un meteorite.

«Non c’è che dire.» commentò fissando il mostro dritto in volto «Una gran bella giornata».

 

Nota dell’Autore

Eccomi qua!^_^

Sono ritornato.

Chiedo scusa per il lungo ed imperdonabile ritardo, ma come ho già spiegato alla nostra amica comune Emma questa settimana ho avuto un blocco dello scrittore di proporzioni bibliche, dal quale sono stato in grado di venire fuori solo ieri.

Allora, che vi pare di questo nuovo capitolo?

Per ora non è niente di che, ma conto di aumentare l’effetto horror nel prossimo.

Non vi faccio ancora gli auguri di natale, perché spero di poterne pubblicare un altro prima di allora, ma nel caso (come sempre) finissi per contraddirmi, allora in anticipo tanti auguri di Buon Natale a tutti!^_^

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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