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Autore: ciocco    03/07/2007    2 recensioni
A volte ci si ritrova da soli, alla luce di un tramonto in una sera di maggio e s'inizia a pensare. E i ricordi invadono la mente, e quella vita passata che si era creduto aver scordato improvvisamente torna, e pare più vivida che mai. Così succede anche a Fabio, che si ritrova a ripercorre la sua vita al contrario, passo dopo passo, in una sequenza di ricordi sull'amicizia, l'amore, la musica, il sesso e la vita.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5: Certe notti

Ci sono ricordi che fanno più male che bene, ricordi che si bloccano nel tuo cervello, che lo trapanano piano piano, che lo assoggettano al loro potere inconscio, ricordi che sarebbe meglio non avere, ricordi che ti bloccano, ti fermano, ti mozzano il respiro, ricordi che non vanno né avanti né indietro, ricordi che non sono solo ricordi, sono di più, sono i pezzi di una vita che deve essere dimenticata, i pezzi di un’anima lacerata, straziata dal dolore, ricordi che dentro serbano esattamente lo stesso dolore, le stesse urla, la stessa sofferenza.

Come quello.

E’ la notte di Natale del 1989, e io sto entrando in casa dalla porta del retro, dopo aver trascorso una serata di fumo, alcol e musica insieme a Luca, Alessio e Giulio. In realtà avrei dovuto dormire fuori, avremmo dovuto dormire fuori, insieme nella vecchia casa di campagna di Luca, ma i nostri piani sono sfumati, si sono dissolti in una bolla di sapone.

E io adesso sto entrando in casa mia come un ladro, con la paura di svegliare mia madre, mia madre che ha passato la serata da sola, e l’ha deciso lei, ha detto lei di voler del tempo per stare con se stessa, perché suo marito, il mio patrigno, è sempre presente, ed è una piacevole novità che lei abbia un po’ di tempo libero, seppure questo tempo libero sia la notte di Natale, e così io adesso entro in casa piano, in silenzio, al buio, evitando le sedie sparse per la cucina e imboccando alla cieca il corridoio che porta alle camere da letto. E mentre barcollo nel buio a tentoni, ecco che sento qualcosa, qualcosa che dapprima non riesco a distinguere, qualcosa che non è un suono familiare, ma che è troppo strano per essere casuale, qualcosa che non mi piace, non mi suona bene.

E poi lo sento di nuovo, e lo riconosco, riconosco che quel suono è un sospiro, un sospiro strano, un sospiro che sul momento non so ancora riconoscere per quello che è, un sospiro che mi conduce alla porta della camera di mia madre e mi fa tendere le orecchie, mi fa ascoltare più attentamente. E poi al primo sospiro ne segue un altro, e un altro ancora, e due voci diverse si sovrappongono, e in una riconosco la voce di mia madre, ma l’altra mi è nuova, mi suona del tutto sconosciuta, del tutto estranea.

E poi sento quel nome, sento mia madre che invoca un nome che non è quello del mio patrigno, non è quello di mio padre, ma è il mio.

Fabio.

Sento che lo ripete, lo ripete più di una volta, sfumando la sua voce con dei sospiri, dei gridi soffocati, e allora la nausea mi sale allo stomaco e mi arriva in gola, e io mi precipito fuori, nella notte fredda e stellata, mi getto sul prato ghiacciato del giardino con il cuore in tumulto, la bile in gola, gli occhi sbarrati, la mente che ripete i sospiri di mia madre e del suo amante, di mia madre che invoca quel nome, il mio nome, di mia madre che tradisce suo marito, che non è nemmeno mio padre. E resto lì per non so quanto tempo, il cuore che continua a martellarmi il petto, la nausea che mi sale in gola a intervalli regolari, nelle orecchie ancora quei suoni, quei rumori, mentre pian piano si và formando la consapevolezza di quello che stava succedendo in quella stanza, mentre pian piano la realtà di quei sospiri mi arriva al cervello, mentre mia madre e il suo amante assumono toni reali, mentre i loro sospiri assumono un senso, un senso che per me non c’è, un senso che non vedo, che non voglio vedere, ma che c’è, che esiste, che esiste per loro, un senso che è presente in ogni loro mossa, in ogni fruscio delle lenzuola che probabilmente si stanno ancora movendo, e mi rendo conto che mia madre, mia madre, la donna che mi ha dato la vita, la donna che mi sta facendo martellare il cuore e annebbiare il cervello, mia madre è lì dentro che si dona a un uomo che non è mio padre, non è suo marito, ma è un terzo, un altro uomo ancora, uno che non c’entra nulla, o forse è il centro di tutto.

E le tue labbra sono ancora premute sulle mie, mentre la mia mano sale ad accarezzarti il volto, mentre sento la tua pelle morbida a contatto con la mia, mentre scosto i tuoi capelli dal tuo viso, così che posso vederti bene, così che posso osservare l’espressione del tuo volto, la linea della tua bocca, la perfezione dei tuoi lineamenti. E le tue labbra stanno torturando le mie, ci giocano, le mordono, le leccano, e io sono steso sotto di te, lungo su questo divano che ci ha visto tante volte giocare così, e che presto vedrà altro, vedrà molto altro ancora, e il gioco sta iniziando a farsi serio, la mia maglietta già giace abbandonata sul pavimento scuro, già le tue mani iniziano a farsi più esigenti, già i nostri respiri iniziando a farsi più veloci, frammentati, quasi spezzati. Ed eccolo lì, un altro ricordo si affaccia nella mia mente, e diventa sempre più vicino al presente, più vicino a te, più vicino a noi, ed è un ricordo che mi piace, che mi fa sorridere contro le tue labbra, mi fa sospirare in pace sulla tua pelle, mi parla di te, mi ricorda te.

Sono ancora nel mio garage, aspetto gli altri tre per iniziare a provare. Fuori c’è vento, un vento cattivo, gelido, un vento che muove gli alberi e fa ondeggiare le bandiere, un vento che parla di violenza, di freddo, di terrore. Un vento che arriva da lontano, che dentro di sé porta rancore, porta odio, porta miseria, un vento che mi sta parlando contro i vetri del garage, un vento che pare assoggettarmi al suo potere, un vento che mi condiziona, condiziona i miei pensieri e il mio umore. Sono stanco. Sono stanco di tutto, sono stanco della mia vita, delle mie abitudini, sono stanco della mia famiglia, dei miei studi, sono stanco di quella stanchezza che necessità un cambiamento, sono stanco e basta.

E Luca è in ritardo, ma del resto Luca è sempre in ritardo, e sono in ritardo anche Giulio e Alessio, e sì, è vero che di Alessio non ci si può mai fidare, ma Giulio di solito è così attento, così affidabile, così puntuale che deve essere successo per forza qualcosa.

E poi entrano tutti e tre, in fila indiana, con dei sorrisi complici stampati sui volti divertiti, Alessio che fa dondolare il basso che porta in spalla, Luca e Giulio spalla a spalla che ridono, ammiccano verso di me, portano le mani alle tasche e poi ridono ancora.

E io mi alzo, vado verso di loro, e loro mi mostrano un bustina piccola, trasparente, piena di erba, e sulle loro facce si legge la chiara intenzione di cosa vogliono farci con quell’erba, e Alessio è tranquillo dietro di loro, non è divertito come loro, non è entusiasta come loro, per lui è tutto normale, è lui che gli ha procurato l’erba, è lui che tra un momento la rollerà e ci insegnerà come fumarla. E ci mette poco Alessio a rollare la canna, è pratico, esperto, deve averlo fatto decine e decine di volte, e poi l’accende, tira una lunga boccata, sorride, e poi la passa a me, mi spiega come tirare il fumo, come gettarlo giù nei polmoni, e io ci provo, e per un attimo mi sembra di soffocare, mi affogo, ma poi ci riprovo, e ci riesco, e mi piace, ha un buon sapore, un buon odore, e la passo a Luca, e poi a Giulio.

E ben presto l’aria assume quell’odore, il garage ne viene impregnato, e una leggera sonnolenza scende su noi quattro, e la sensazione è diversa da come me l’aspettavo, non è forte, non è niente di così strano, mi sento solo insonnolito, tranquillo, rilassato, e ho voglia di bere e di dormire, ma Alessio mi fa alzare, fa alzare a tutti e tre, e prende in mano il suo basso, mi porge la chitarra e fa sedere Luca e Giulio dietro i loro strumenti, e attacca a suonare, e io gli vado dietro, e poi ci raggiungono anche gli altri due, ma dura poco, perché io ho sonno, Luca ha sonno, e Alessio ci fa sedere di nuovo, e rolla un’altra canna, e noi fumiamo di nuovo, e mi piace sempre di più questa cosa, mi intriga, e Alessio mi sorride, e per la prima volta noto quanto sia bello il sorriso di Alessio, quanto siano intriganti le sue labbra rosse, le sue treccine rasta che gli sfiorano il viso dalla pelle ambrata, mi rendo conto che mi piacciono i suoi occhi verde scuro, che mi piace il modo in cui mi sta porgendo da fumare, mi piacciono i suoi vestiti stropicciati e le sue maniere rilassate, mi piace il suo odore, mi piace come si muove e come mi parla.

E non mi stupisco troppo di questo, non è una rivelazione scioccante, è come se l’avessi sempre saputo, come se fosse sempre stata una cosa naturale, niente di diverso, e mi torna in mente quel bacio di quell’estate, e a come non era stato per niente naturale, per niente tranquillo, per niente rilassato, come invece è ora osservare Alessio e accorgermi che mi piace più lui che quella ninfetta marina di cui non ho mai saputo il nome.

Ormai la notte è inoltrata, perfino i grilli hanno smesso di cantare, lo stereo ha smesso di suonare, tutto tace attorno a noi, c’è silenzio, c’è pace, c’è solo il rumore dei nostri baci, delle nostre carezza, c’è solo il nostro rumore, il rumore della nostra passione, del nostro amore, c’è il rumore delle nostre mani che s’incontrano, dei nostri corpi che si uniscono, c’è il rumore dei miei sospiri, dei tuoi sorrisi, c’è quel rumore che conosciamo entrambi a menadito. E il percorso dei miei ricordi si avvicina a te passo dopo passo, ricordo dopo ricordo, in una sequenza che non smette, che culla la nostra passione, che fa da sottofondo al nostro amore, una sequenza ininterrotta, una sequenza in cui tu prendi sempre più parte, una sequenza che si avvicina inesorabilmente a te, a noi.

Mese più, mese meno, stesso anno, stessi amici, stessa musica. Siamo in un locale, seduti tutti e quattro attorno a un tavolo tondo, leggermente graffiato, con qualche macchia di caffè e l’alone di qualche bicchiere non troppo pulito, davanti a noi le nostre birre scure, le sigarette spente nel posacenere di plastica bianca, quelle appena accese che penzolano ad un angolo delle bocche dischiuse. Alessio è seduto accanto a me, il suo braccio è attorno al mio collo, la sua mano gioca con i miei ricci, le sue trecce rasta mi solleticano ogni tanto il collo e la guancia. Mi guarda Alessio, mi parla sottovoce, mi sorride con quel suo sorriso un po’ storto, sbilenco, con quei suoi occhi brillanti, socchiusi, appannati dal fumo, mi guarda e mi parla, non parlandomi di niente in realtà, mi guarda e mi sorride, e ogni tanto prende un sorso della sua birra quasi finita.

E poi c’è Luca, che guarda il palco dove stanno portando gli strumenti per l’esibizione di un nuovo gruppo, guarda il palco attento, cogliendo ogni movimento delle persone, mentre lascia che la sigaretta si bruci lentamente, mentre lascia che la cenere gli cada sulla maglietta bianca, perfettamente stirata, mentre lascia che gli occhiali gli si appannino, mentre lascia cadere ogni tanto il suo sguardo su me e Alessio, uno sguardo perplesso, che ancora non capisce del tutto. Giulio è seduto davanti a me, fuma una sigaretta dopo l’altra, fuma nervoso, inquieto, scazzato, e scazzato è anche il suo sguardo, scazzati sono i suoi movimenti agitati, scazzata è la sua gamba che trema, la sua mano che tamburella veloce sul tavolo.

Non ha senso questo ricordo, non ha scopo, non ha rumore, non ha significato, almeno non per altri all’infuori di me, apparentemente non porta a niente. Ma è lì, nella mia memoria, appena dopo il ricordo precedente e appena prima di quello che seguirà. E’ solo un altro pezzo della mia vita, un altro frammento che scivola via mentre le nostre labbra s’ incontrano, mentre i minuti e le ore passano lenti e poi veloci, mentre la mia vita si fa un po’ più vicina a te.

Ecco. Hai spento la luce, hai gettato la tua maglia in un angolo, mi hai fatto sdraiare accanto a te sul mio letto. Sai, ci sono volte in cui vorrei che il tempo si fermasse. Ci sono volte in cui vorrei restare così, fermo, accanto a te, il respiro leggermente appannato, sfumato dalla passione, i tuoi occhi fissi nei miei. Ci sono volte in cui il tempo pare fermarsi davvero, ci sono volte in cui mi pare di perdermi e di non risalire più, di non riuscire a muovermi più e a baciarti di nuovo. Come adesso. C’è lo spazio di un’ intero ricordo mentre ci guardiamo, persi nei nostri pensieri, mentre il tuo petto si alza e si abbassa lentamente, mentre i tuoi capelli ti finisco sul volto, spinti dal vento notturno che entra dalla finestra.

Un’ intero, meraviglioso ricordo.

E’ stato in quello stesso anno che ti ho visto per la prima volta. E’ stata quella sera, una banale sera di marzo, una sera come tutte le altre, passata con gli altri tre al pub, ascoltando musica, fumando e bevendo birra scura, è stato in quella sera che ti ho incontrato. Fuori fa freddo, lo ricordo bene, piove a dirotto, il vento urla contro le finestre scure del locale, mentre sul palco montano gli strumenti di un gruppo che deve suonare da qui a dieci minuti. Noi quattro ci guardiamo, con gli sguardi che s’incrociano per alcuni lunghi minuti e che paiono dire "si, un giorno saremo anche noi lì sopra", con le labbra che si muovono piano, sussurrando parole spezzate, con le sigarette che ardono, impregnandoci di fumo i capelli, i vestiti, la pelle, con le birre che finiscono in fretta, le mani che si agitano sul tavolo o sulle gambe, ci guardiamo e stiamo in silenzio, aspettiamo di sentire la musica, immaginiamo che musica sarà, se sarà migliore della nostra, uguale, peggiore, ci guardiamo e aspettiamo in religioso silenzio. Alessio esce per rollarsi una canna, Luca e Giulio vanno a prendere altre birre, e io rimango al tavolo, seduto scomposto sul divanetto a due posti, una mano che regge la birra e l’altra che arruffa nervosamente i miei stessi capelli.

E poi ti vedo. Sei sul palco, inginocchiato per collegare qualche cavo elettrico, la schiena rivolta al pubblico, in bocca una sigaretta non ancora accesa. I capelli rosso cupo, quasi porpora, ti nascondono gli occhi, i jeans scuri e strappati si tendono sulle gambe magre, le mani bianche si muovono veloci. Alessio torna a sedersi, mi rivolge qualche parola, ma io non lo ascolto. Sto guardando te, ti sto osservando, ti sto osservando così intensamente che mi stupisco che tu non te ne accorga, i miei occhi paiono non volersi muovere, non volerti abbandonare, non voler abbandonare il ragazzo più bello, o forse no, non è bello l’aggettivo che sto cercando, ma non riesco a trovarne un altro talmente sono incantato dalla tua vista, che io abbia mai visto. Tornano anche Giulio e Luca, si siedono commentando qualcosa, ma non sento neanche loro, rimango a guardare te, seguendo ogni tuo movimento. Ti alzi. Sei alto, molto magro, con i capelli lunghi fino alle spalle, mossi, stupendi. Ti guardo e non riesco a fare altro. Neanche quando iniziate a suonare,

neanche quando impugni la tua chitarra e inizi a suonare, neanche quando mi accorgo di come suoni bene, di quanta passione ci metti, ed è palese la cosa, non me ne accorgo.

Resto lì, fermo, a guardarti.

 

Ecco qui un altro capitolo, e stavolta a parlare (o meglio, a ricordare) è di nuovo Fabio. Non ho molto da dire al riguardo, tranne che questo capitolo forse è uno dei più importanti per la storia, poichè contiene alcuni ricordi che portano Fabio ad un totale cambiamente della sua vita.

E, come potete vedere, il titolo è il primo in italiano, e come tutti gli altri è il titolo di una canzone.

Lem, che dirti? Sei ancora l'unica a commentarmi! Sono onorata perchè sai quanto apprezzo i tuoi lavori e il tuo modo di scrivere, e mi fa infinitamente piacere che "Frammenti" ti piaccia...Non sapevo avessi gli esami! Spero sia andato tutto bene, specie agli orali dopo il concerto...E' stato bello? Mi sarebbe piaciuto esserci...

Comunque...No, il padre non è gay, tutt'altro! E poi mi sarebbe sembrata troppo una copia del meraviglioso TEARS...In questo capitolo puoi vedere che fine ha fatto l'altro Fabio, ma per sapere perchè il nostro Fabio se ne è andato ci vorrà ancora un pò...Beh, non so perchè Luca non mi piaccia, è una sensazione incondizionata che mi dà il suo personaggio! Beh...grazie delle tue recensioni, continua a leggermi almeno tu! Baci

  
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