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Autore: Theater    16/12/2012    0 recensioni
Io e Anton sembravamo perfetti.
Ma le cose cambiano,la vita cambia.
Dio,quanto mi sento ridicola ad utilizzare una massima così solita.
E lo so che non si comincia una frase con il "ma",MA nella mia vita ce ne sono molti.
Credetemi,non c'è nulla di più adatto da dire su di me: "ma le cose cambiano",bisogna essere sempre pronti ad affrontare ciò che ci capita,io ho dovuto impararlo.
Tutto muta,le prospettive,i progetti,le persone.
Per questo ho deciso di scrivere la mia storia.
Perchè voglio ricordare le cose come sono avvenute,non voglio dimenticarle,non voglio che nella mia menti cambino con il passare del tempo.
Vi voglio raccontare di me.
Della mia vita.
Di ciò che ho vissuto.
Di ciò che vivo.
Siete pronti quindi a vivere con me?
Elena Corso,spettatrice della mia vita.
Genere: Drammatico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta, Triangolo
Capitoli:
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Ho cominciato ad essere molto più femminile,dopo essermi messa con Anton. Volevo essere la ragazza perfetta per lui,che lo era per me.
Una di quelle sere in cui ci vedemmo per mangiare una pizza,sotto casa Anton mi baciò con tanto trasporto che non avevo mai sentito.

"Quì le cose si stanno per mettere male." Scherzai. Ma lui era serio.

Fu così che mi baciò dinuovo e mi disse che stava semplicemente pensando al nostro futuro.Lo baciai e sorrisi,poi senza proferire parola entrai in casa,puntando e non togliendo mai i miei occhi dai suoi,lasciandolo incantato prima su di me e poi,quando sparii dietro la porta,vidi dalla finestra che lo era verso le stelle. Stavamo insieme tutti i giorni,e quando non potevamo vederci mi chiamava e le mezz'ore passavano prosciugando il credito. Parlavamo dalle cose più comuni a quelle più assurde. Facevamo lo stesso,le cose più comuni e quelle più assurde. Ammetto che quando toccavamo certi discorsi,sul sesso intendo,ero restia a parlarne e mi vergognavo. Così quando allungava le mani,le prime volte mi tiravo in dietro,ma alla fine mi arrendevo sempre,e passavamo i pomeriggi coccolandoci,chiachierando e nel suo letto. Mi piaceva sentirlo,vederlo,mi piacevano le sue mani su di me,mi faceva provare tante emozioni,mi bastava vederlo per volere il suo corpo addosso al mio. La prima volta che mi disse 'ti amo' fu il giorno più meraviglioso della mia vita,fin d'oggi. Eravamo in un parco poco distante da casa sua ed era ormai un sacco che stavamo insieme. Ad un certo punto mi guardò dritto negli occhi e approfittando del momento di silenzio che si era creato dopo l'ultimo bacio,sussurrò: "Devi amarmi. Elena,devi amarmi. Io ti amo. Più della mia stessa vita. E anche tu devi amarmi.",con convinzione e gli occhi pieni. Mi era presa una tenerezza,e avevo sentito il cuore scoppiare. Allora,mi ero alzata in piedi dalla panchina e gridando avevo esclamato a gran voce che anche io lo amavo. Lui s'era messo a ridere,mi aveva attirato a sè e mi aveva stretta forte. Da quel giorno fummo ancora più inseparabili. Quasi ogni giorno veniva da me,tutti i sabati lo andavo a prendere a teatro e poi stavo da lui a cena,talvolta a dormire. Dopo dieci mesi che eravamo insieme,uno di quei sabati sera facemmo l'amore. Era la mia prima volta. Avevo un sacco di paure,una gravidanza non voluta,di non essere brava,persino di sentir male. Inizialmente eravamo entrambi impacciati e nervosi,ma alla fine la passione prese il sopravvento e fu una notte indimenticabile,fantastica,la più bella,in cui ci amammo più di ogni altro giorno. Il fiato corto,i corpi sudati,le sue mani,i suoi capelli. Dio,quanto ho amato quel ragazzo.  Il fatto che non fosse solo sesso,ma anche parole,risate,film,uscite e tutto quanto mi piaceva da morire. Complici sotto le lenzuola e non. Amanti e migliori amici. Fidanzati perfetti. Pensavo addirittura di chiedergli di sposarmi,tanto eravamo fatti per stare insieme in ogni cosa che facevamo,ma forse quel qualcosa che mi bloccava anticipava già una drastica fine. Non volevo che finisse. Non accetto che sia finita.

Comunque,dicevo,diventai più femminile. Abbandonai il lavoro al Burger King per un posto in un altro ristorantino del centro,vicino all'Università,che fungeva anche da bar,molto frequentato,direi. Fu facile per me farmi assumere,avendo frequentato un alberghiero,e tra l'altro il ristorante non richiedeva nemmeno grande sforzo. Prendevo le ordinazioni,servivo i drink al bancone,stavo alla cassa. Facevo fisso il turno dalle otto alle due,rivestendo colazione e pranzo,ed il mio principale pretendeva che fossi sempre carina e ordinata. Al Burger questo non serviva, pensai quando mi disse che dovevo essere impeccabile anche d'aspetto,poi però capii che se fossimo stati noi dipendenti e tutto il locale impeccabili,avremmo attirato più clienti,e fui anche felice di potermi tenere un po' di più. Anton apprezzò di gran lunga questo mio cambiamento,le occhiaie sparirono poichè non tardavo la sera ed il pomeriggio potevo riposare,i capelli stavano spesso sulle spalle sciolti e ricci. Mi sentivo proprio bene e dopo pochi mesi in cui lavoravo al bar,feci un altro passo decisivo: mi trasferii a casa di Anton.
"Ti amo,voglio amarti fin da quando apro gli occhi la mattina,voglio amarti prima di dormire la sera. Che ne dici di venire a vivere da me?"
Mi aveva stesa. Avevo litigato coi miei, ma alla fine avevano acconsentito.
Quello di Anton era un piccolo appartamento sviluppato su due piani,una mansarda con un rialzo. Era perfetto,come lo avrei voluto io: una stanzona unica,divisa solo quella del bagno,la cui porta bianca era accanto alla sceslong,arredato in nero,lilla e bianco. Quelli erano principalmente i colori che componevano l'appartamento,infondendo continuità,tranquillità,energia. Dalla porta d'ingresso si entrava in una sala composta da un divano di pelle nera,una sceslong altrettanto scura,ed un puffo bianco. Alle pareti violetto erano appesi quadri con rappresentazioni di New York,Marilyn Monroe e la Tour Eiffel in bianco e grigio. Il mobile nero lucido sosteneva un'importante televisore al plasma a led,ed il lampadario penzolante di gocce di cristallo dava luce alla stanza. Era piccola,ma arredata con cura. Sembrava ci fosse la mano femminile,ed Anton mi spiegò che era stato aiutato da Jo nell'arredare la sua mansarda. Ciò un po' mi stupì,ma non mi lasciai impressionare: Jo amava arredare ogni tipo di casa.

Nella parete accanto al mobile nero lucido,c'era una cucina bianco ghiaccio,e difronte al piano cottura un tavolo lilla come le pareti con le sedie nere. Era tutto equilibrato in quel piccolo spazio,tutto così elegante e moderno,tutto così bello. Di fianco al tavolo,partiva una scalinata nera laccata che portava ad un rialzo,ottenuto successivamente e che al momento della costruzione della casa non c'era di sicuro. Su questo soppalco,bianco come il resto del pavimento,era adagiato un letto matrimoniale,basso,nero,rifatto sempre fresco con le lenzuola lilla o bianche. Difronte al matrimoniale,sembrava esserci un muro di compensato,che permetteva giusto il passaggio dall'altro lato del letto. Era una parete bianca,che aveva un pomello lilla. Quando la prima volta tirai il pomello e dietro ci trovai una piccola cabina armadio,rimasi sorpresa nel vedere tutti i vestiti del mio ragazzo sistemati ordinatamente ed uno spazietto riservato per me. Dal soppalco al soffitto c'era l'altezza quanto la mia,quindi quella cabina armadio mi sembrava magica,poichè riusciva a contenere i vestiti di addirittura due persone nonostante fosse così piccola. Quell'appartamento fu il nostro nido d'amore per altri due anni e mezzo. Ma. C'è ancora tanto da sapere,tanto che vi voglio raccontare. A riprendere dalla riflessione che ho fatto all'inizio. Ero diventata molto più femminile.
Ma non ero l'unica.
Nella mia vita stava per cambiare qualcosa,ma soprattutto in quella di Joele.


Partimmo alle sei della mattina,io e lui,di un freddo martedì. Arrivammo a Malpensa,pronti con un bagaglio ed una borsa a mano a testa. Check in, e via,con la compagnia della TWA,un aereo grande e imponente ci aspettava sulla pista,che raggiungemmo con il pullmino. Il sole pallido si affacciava da est,all'orizzonte,timido ed incerto. Speravo di dormire un po' nel lungo viaggio in aereo verso l'America. Joele,seduto accanto a me,guardava l'ala fuori dal finestrino. Era un viaggio importantissimo,che avrebbe cambiato per sempre la sua intera esistenza,capivo perfettamente quanto fosse pensieroso. La decisione che aveva preso,all'insaputa dei suoi genitori che non accetavano la sua omossesualità,aveva richiesto anni e anni di pensiero,ma alla fine Jo non ce l'aveva fatta più: si sentiva l'anima imprigionata nel corpo sbagliato. Così,giovanissimo,a soli ventitrè anni,aveva deciso di fare l'intervento che avrebbe cambiato il suo sesso. Aveva parlato con un chirurgo specialista in America che da cinque mesi gli aveva fissato l'apuntamento ed il prezzo da pagare. Joele già sembrava molto più femmina di quanto si potesse immaginare,aveva i lineamenti dolci,un naso piccolo,una bocca carnosa,un fisico esile,era basso e teneva i lunghi capelli cresciuti nel tempo legati in una coda. Si faceva la ceretta ovunque,si assottigliava le sopracciglia,talvolta si truccava anche. La barba ormai non gli cresceva più,dato che da quei cinque mesi faceva una cura ormonale, già si intravedeva la base del seno,su cui sarebbero state applicate in seguito due protesi. La mia migliore amica,finalmente,l'avrei potuta definite tale. Mi aveva chiesto di accompagnarlo per questo mese in cui avrebbe dovuto subire gli ultimi interventi: quello ai genitali,e le protesi al seno. All'inizio anche io gli ero andata contro,ma lui era sbottato e mi aveva urlato:

"Tu non hai di questi problemi. Non sai come mi sento. Voglio morire,allora.", poi era scoppiato a pinagere. Quindi l'avevo abbracciato,e gli avevo sussurrato: "quando si parte?".
Ecco perchè eravamo sull'aereo,diretti verso un nuovo orizzonte. Avrei accompagnato Jo all'ospedale,avrei aspettato lì in ansia durante l'intervento,e poi appena avessi potuto sarei corsa da lui,per rassicurarlo. Avevo un permesso di soli tre giorni,giusto quelli dell'operazione,poi sarei dovuta tornare al lavoro,lasciando Joele ricoverato per un mese in un paese a lui sconosciuto ma finalmente con il corpo che gli apparteneva. Sarei tornata a riprenderlo quando ormai  sarebbe stato  perfettamente come lo desiderava e sarei atterrata a Torino non più insieme a Joele,ma con Joy. Questo era il nome che avrebbe avuto. Gioia. Poichè era quella che provava,mi aveva spiegato in seguito. Un nome inglese,per ricordargli l'intervento in terra straniera. E così fu. Operarono Jo. Si risvegliò stordita. Gli fui vicino come una sorella,e dopo due giorni ripartii. Quando tornai a prenderla era davvero cambiatissima; bellissima,direi meglio. Gli avevano alzato anche gli zigomi,e con il seno prosperoso (si era fatto costruire una quinta) stava benissimo. Il Rimmel pesante sulle ciglia le risaltava lo sguardo profondo,misterioso e sexy. I capelli tinti di biondo erano ordinatamente lasciati cadere sulle spalle,con una frangetta che scivolava sulla fronte. Sembrava avere la mia età,tre anni in meno di quanti ne avesse in effetti. Indossava una gonna blu con una maglietta panna. Quando mi vide e l'abbracciai,e prima ancora di dirmi "ciao",mi ringraziò per esserle stata vicina e per la prima volta in vita sua,parlò di sè al femminile. Le dissi scherzando che per lei avevo perso prima tre e poi quattro giorni di vacanza,quindi davvero una settimana. Rise,e finalmente la vidi felice.
La riabbracciai,sussurrandole:

"ti voglio bene,Joy." e allora pianse. Io piansi con lei. Sotto quel nuovo corpo,c'era la mia migliore amica. I documenti furono cambiati in fretta,la carda d'identità rifatta,e dopo un mese e mezzo,Joy riuscì a muoversi facilmente,senza più ne carrozzella ne stampelle. Ancora non sapevo cosa sarebbe successo,ero davvero felicissima,e lei pure,ovviamente. Anche Anton condivideva la felicità. Ed io ero al settimo cielo perchè tutto ora era perfetto.
La mia migliore amica.
Il mio ragazzo.
Io.
Tutti insieme,gioiosi.
Gioia.
Joy.

  
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