Senza fiato
[Tell me how
am I supposed to live without you
Want you please tell me now
Tell me how
am I supposed to live without you]
Terada l’ha sempre
guardata con occhio diverso, si capiva che era una bambina molto più matura di
quanto la sua età dimostrasse.
Rika Sasaki non è mai
stata una semplice bimba, che fa del gioco la sua attività principale e guarda
il mondo con occhi ingenui, lei ha sempre visto più dei suoi coetanei.
Ha sempre agito con
saggezza, comportandosi con le sue compagne con un affetto quasi materno di quanto è protettivo.
Terada non ha mai saputo
il perché, ma lei è cresciuta troppo in fretta e, arrivata all’età di dieci
anni, erano gli occhi di una giovane donna a fissarlo, non quelli di una
bambina.
Era stato così
incredibilmente semplice avvicinarsi a lei.
«Sasaki, ancora qui sei?» le domanda un tardo
pomeriggio, dopo averla trovata in classe a leggere nel suo banco, diligente e
composta come sempre.
«Scusi professor Terada, stavo finendo il capitolo del
libro. A casa non c’è sempre la tranquillità adatta.» replica lei, dopo essere
arrossita per essere stata “scoperta”, riponendo in fretta la sua lettura nello
zainetto.
Terada vorrebbe avanzare qualche altra domanda, ma non
ce la fa. Gli sembra di essere indiscreto.
Rika esce dall’aula, alzando lo sguardo verso di lui:
«Buona serata, professore. A domani.»
Lui ricambia, osservando la sua figura svanire tra i
corridoi illuminati dalla luce dorata del tramonto.
Ancora ricorda precisamente la dolcezza di quel
saluto, di come lo abbia avvolto e scosso dall’interno. Dolce esattamente come
il suo sorriso.
Poco tempo dopo, aveva
intuito che quella di Rika fosse un’abitudine. Dopo la fine delle lezioni e, se
toccavano a lei, il turno delle pulizie restava sempre a leggere nell’aula,
circondata da calma e silenzio. E solitudine.
Nonostante Sasaki fosse
apprezzata e ben voluta da tutte le sue compagne, la vedeva come
incredibilmente sola, a causa della maturità che la contraddistingueva.
Senza chiedersi perché,
passava dalla loro classe per osservarla tacitamente pochi minuti mentre era
immersa nei suoi libri. E sapeva che sarebbe potuto rimanere ore in quella
posizione e la visione non l’avrebbe
stancato.
Una giornata come tante,
nel suo ormai quotidiano passare da quell’ala della scuola, l’aveva vista
seduta immobile con lo sguardo perso davanti a sé.
Non leggeva, si limitava a
fissare il vuoto.
Sentì l’irrefrenabile
impulso di abbracciarla, scuoterla, capire perché quegli occhi fossero così
tristi.
«Sasaki, tutto bene?»
Rika si alzò di scatto,
girandosi spaventata verso la porta.
Terada ebbe paura delle
lacrime che si stagliavano fra i suoi occhi, ignaro se potesse aiutarla a stare
meglio. Ma lei non cedette, si girò quasi vergognandosi e raccogliendo il suo
zaino in fretta.
«Sto bene. A domani,
professor Terada.»
Stavolta non lo guardò,
fuggendo dall’aula senza voltarsi.
Non c’era niente di dolce
nelle sue parole, solo un dolore che a dieci anni non si dovrebbe conoscere.
Pensò di essere
completamente impotente, un insegnante inetto. Il suo compito era quello di
aiutare gli alunni a crescere nel modo giusto, sostenendoli nei loro problemi,
oltre ad insegnargli le regole di matematica e di scienze.
Una sua studentessa
piangeva e lui non aveva idea del perché.
Ed era, di suo, un fatto
grave ma poiché era Rika l’alunna in questione Terada si sentiva ancora più amareggiato del normale. Senza
capire neanche il motivo.
Il giorno dopo Sasaki, a
lezione, aveva l’atteggiamento composto e dolce di sempre, ma Terada semplicemente sapeva che qualcosa si
agitava ancora dentro di lei.
Da bravo osservatore qual
era, non gli sfuggivano le occhiate tristi che rivolgeva alla finestra senza
farsi notare, né i silenzi prolungati mentre le sue amiche chiacchieravano intorno
a lei.
Decise che doveva
parlarle, quel pomeriggio, per capire come poterla aiutare.
Ma, con sua sorpresa e
dispiacere, quella sera Rika non era a scuola.
L’aula era vuota, pregna
di silenzio e con nessuno che leggeva.
E lui non si sentì meglio,
sapeva che il motivo della sua assenza non era il fatto che la sua situazione
fosse migliorata.
Strinse la porta della
classe, domandandosi come ne fosse così
certo e perché gli interessasse così tanto.
Al ritorno verso casa,
però, inaspettatamente la vide seduta su un’altalena del parco.
Si dondolava tristemente
avanti e dietro, fissando la terra sotto i suoi piedi.
Terada mosse i suoi passi
verso di lei, arrivandole di fronte.
Rika alzò lo sguardo, con
gli occhi pieni di lacrime che lo colpirono profondamente.
Le poggiò una mano sulla
spalla mormorando: «Non piangere, Rika.» con una voce che neanche riuscì a
riconoscere.
Lei si aggrappò al suo
torace, iniziando a singhiozzare tutto il pianto che tratteneva, incapace di
staccarsi e sollevata di aver trovato un modo per sfogarsi.
Si sentiva al sicuro,
stretta tra le sue braccia, invasa da un calore che sapeva di buono e di profumato.
Desiderò di poter stare in quella posizione per sempre, abbracciata all’unica
persona che riusciva a comprenderla.
Poco importava che fosse
grande il doppio dei suoi anni, che fosse il suo insegnante o che lei fosse la
sua alunna, di soli dieci anni.
L’affetto di quell’abbraccio
era senza età, il calore di quel momento senza forma definita.
Erano semplicemente Yoshiyuki e Rika e lo sapevano bene entrambi.
Quando si staccarono, Rika
non piangeva più e, calmatasi, iniziò a raccontare dei suoi problemi in
famiglia con Terada che la ascoltava attentamente.
Con sorpresa, anche
Yoshiyuki iniziò a raccontare alcuni aneddoti della sua vita a Rika, facendola
ridere e recuperare il sorriso.
«È tardi e sta diventando
buio. Ti accompagno a casa.» disse lui, dopo un’ora di confidenze che gli erano
sembrate così naturali e giuste.
«Grazie professore.»
Neanche durante il ritorno
smisero di parlare, Rika era diversa da tutte le altre e mai aveva trovato una
persona che lo comprendesse meglio.
Terada la faceva
arrossire, quando la fissava per qualche istante e sembrava essere turbato
anche lui quando lei sorrideva.
Così infinitamente
semplice stare bene insieme, per due anime come le loro.
Arrivata davanti alla
porta della sua casa, Terada la strinse forte a sé.
«Non sei da sola Rika,
ricordalo sempre.»
«Lo so, finché sarai con
me, non lo sarò mai.»
Lei si lancia, seguendo il
suo cuore e rivolgendosi, per la prima volta, a lui con tono più informale e
diretto.
«Non ti lascerò, ora va a
casa che i tuoi saranno preoccupati.»
Rika si distacca, andando
verso la porta e lanciandogli un ultimo sguardo prima di aprirla.
Pieno di tutte le cose che
sente e che non riesce a dire, perché Rika è matura ma sempre timida.
E Terada lo sa, lui la
osserva, senza bisogno che parli.
Da quel giorno, il
professore guarda sempre un banco appena entra a lezione, ricevendo un dolce sorriso
ogni mattina, che, a volte, ha il potere di farlo arrossire nonostante sappia che non dovrebbe, davanti a tutti.
Non la può vedere spesso,
ma si accontenta perché il solo sapere che sta bene, è quanto gli serve.
Le strette di mani
sfuggenti, gli sguardi silenziosi e due cuori che s’innamorano giorno per
giorno.
Nonostante l’età, le
circostanze sfavorevoli e le grandi difficoltà, Rika e Yoshiyuki hanno trovato
il modo di essere felici.
Semplicemente guardandosi negli occhi, con amore.
Fine.
Salve :)
È il mio piccolo
contributo a Rika e Terada, questa storia, una coppia che amo molto perché
trova la forza di esistere, nonostante le difficoltà.
Ho voluto rendere tutta la
fic e i toni molto dolci e pacati, perché è questo che mi trasmettono, un
grande senso di amore e dolcezza.
Inoltre mi sono
concentrata molto sugli sguardi perché è così che loro vivono il loro amore,
non è un amore fisico, ma puro, espresso attraverso gli occhi. (o almeno così
la vedo io xD)
La canzone che dà il nome
alla fic e i primi versi è “Senza fiato”
dei Negramaro, con la bravissima Dolores O’Riordan <3
Un bacio :*
Se mi lasciaste un
commentino sarei felicissima *_*
EclipseOfHeart