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Autore: giulina    17/12/2012    2 recensioni
Leo tirò in aria l'ennesimo biscotto e lo fece finire direttamente nella bocca aperta, sorridendo alla ragazza che continuava a girare lo zucchero nel suo tè ormai freddo. Non resistette più e gli sorrise apertamente. Con quel ragazzo era tutto un mostrare sorrisi storti e denti bianchi, un ridere fino a sentire male allo stomaco.
- Mi piace. -
- Il mio riuscire a centrare la bocca con il biscotto? Lo sai che riesco a mangiarmi anche l'unghia del pollice mentre sono al telefono? -
Agata rise di nuovo e Leo le si avvicinò, toccandole delicatamente con l'indice la fossetta appena accennata sulla guancia sinistra.
- Mi sono innamorato. -
- Di me? -
- Macchè, parlavo di quella fossetta lì. Sì, proprio quella lì. Non è che la puoi regalare? -
Agata continuò a sorridere mentre Leo le percorreva con il dito la pelle del viso e la guardava con quegli occhi dalle ciglia lunghissime, che le facevano sentire la necessità di abbassare lo sguardo. Non meritava che qualcuno la guardasse con quegli occhi.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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In questa storia ci sto mettendo tutta me stessa. Ritrovo piccoli frammenti di me in ogni singolo capitolo.

Devo dire grazie ad Agata e Leo per rendermi così facile scrivere questa storia, per essere dei bravi personaggi nelle mie mani, e un grazie speciale a voi, che siete le lettrici che tutti desiderebbero avere.

Grazie di cuore.

Buona lettura,

vostra Giulia.


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I tuoi larghi occhi

che restavan lontani
anche quando io sognavo,
anche mentre ti amavo.

 
-Per i tuoi larghi occhi, Fabrizio De Andrè-










Ogni volta che Agata ritornava dalle sue innumerevoli fughe dal mondo, Leo si preoccupava di raccontarle dettagliatamente cosa era successo durante la sua assenza. Lo faceva per farla sentire sempre parte di quella famiglia che erano loro due da soli, di quella famiglia di cui facevano parte tutti gli abitanti di Via del Campo; per tranquillizzarla, per farle capire che niente era cambiato da quando lei se ne era andata. Tutto era rimasto esattamente come lo aveva lasciato, nemmeno la disposizione di qualche oggetto per la casa era cambiata.
Quella sera, dopo che Leo aveva ritrovato Agata seduta sul tappetino lercio davanti il portone di casa, il ragazzo aveva passato l'intera notte a raccontarle della litigata tra Manik e Aldo a proposito di chi fosse il vincitore dei Mondiali di calcio del 1982; di come Bogdana si fosse fatta bionda platino con due extension blu dopo aver visto una foto di Lady Gaga su internet; di quando Costanza aveva tirato un piatto di ceramica in testa ad Aldo ed erano dovuti correre al Pronto Soccorso alle due di notte. L'uomo se l'era cavata con cinque punti e una torta di mele quando era tornato a casa.
Leo le raccontava tutto muovendosi per la cucina, saltellando quasi a piedi nudi, mentre teneva tra le mani una tazza di latte caldo e miele e divorava una fetta di meringata che aveva comprato la ragazza. Parlava, parlava e parlava senza quasi prendere fiato e sembrava così felice che Agata non riusciva a fare altro che sorridergli di rimando in silenzio, con un nodo stretto alla gola e le mani incrociate che tremavano senza sosta sopra al tavolo di legno.
Quando le aveva detto che una sera si era sentito talmente solo in quella casa che era dovuto andare a dormire nell'appartamento insieme a Bogdana e i suoi figli, Agata aveva iniziato a piangere.
Si era alzata dalla sedia in cui era rimasta seduta fino a quel momento ed era andata ad abbracciare Leo. Lo aveva abbracciato così forte che gli aveva tolto il fiato per qualche secondo. Lei tremava tutta e le lacrime continuavano a bagnarle il volto e la felpa del ragazzo. Era un'Agata talmente fragile quella che aveva davanti, che con un soffio Leo l'avrebbe potuta distruggere e niente avrebbe potuto rimettere insieme i suoi pezzi.

Lui le aveva accarezzato i capelli giocando con le punte rovinate dalle tinte e si era offerto di prepararle un tè caldo in cui avrebbe potuto inzuppare qualche biscotto di nonna Paola. L'aveva allontanata da sé ed aveva messo l'acqua a bollire iniziando a parlare di un film che aveva visto un mercoledì sera insieme a Manik e Davide, senza guardarla negli occhi.

Agata si era appoggiata al bancone della cucina, mentre qualche lacrima continuava a scenderle dagli occhi. Non riusciva a smettere e quello faceva paura a lei come faceva paura a Leo che parlava per non mettersi a piangere anche lui. Quella che aveva davanti era un'Agata quasi senza forze e piena d'angoscia. Un'Agata disperata.
Si sedettero sul divano e le fece bere il tè caldo, tenendole la tazza quando lei si alzava per andare a prendere altri biscotti in cucina.
La prima risata che le uscì dalle labbra, Leo la sentì quando fece l'imitazione di Aldo mentre cantava Minuetto, famosissima canzone di Mina, mentre era sotto la doccia di casa sua, quando la sua caldaia era andata in blocco.
Si era addormentata verso le quattro di notte sul divano, mentre Leo guardava un vecchio episodio dei Simpson e continuava ad accarezzarle le mani tiepide.
L'aveva portata nel suo letto e si era sdraiato accanto a lei, sotto quel piumone da temperature artiche, tenendola vicino a lui con una mano sulla sua pancia coperta da una sua maglia larga.
La teneva vicino a sé nonostante sapesse che Agata se ne sarebbe andata di nuovo, probabilmente quella volta per sempre.
Avrebbe lasciato solo una traccia del suo rossetto rosso sullo specchio dell'ingresso, dove c'era appiccicata con del nastro adesivo una loro foto scattata a casa di lui un pomeriggio di novembre, insieme a due biglietti del cinema all'aperto di Piazza Dante. Il ricordo di quel giorno passato a mangiare pop corn bruciacchiati e a litigare per chi dovesse avere l'ultimo sorso d'acqua frizzante.
Leo lo sapeva che per quanto la potesse tenere stretta fino a sentire l'ombra delle sue costole sul cuore, la morbidezza della pelle lentigginosa della spalla sulle labbra, lei sarebbe riuscita a districarsi dal suo abbraccio. Lei se ne sarebbe andata e a lui sarebbe rimasto solo l'impronta della sua mano sul vetro del terrazzo, che avrebbe rivisto in una sera d'inverno, per caso. Lui l'avrebbe cancellata subito dopo, con lo straccio vecchio che avrebbe trovato sotto al lavabo.
Per ricordarsi di Agata lui non aveva bisogno di un suo segno sbiadito; Agata era tutta, tutta nella sua mente.





Quando la mattina dopo Leo si alzò, erano le otto del mattino ed Agata non era più al suo fianco.
Scese dal letto indossando una felpa e le infradito giallo canarino -regalo di Bogdana dello scorso Natale- senza farsi prendere dal panico per la sua assenza e accese immediatamente il riscaldamento.
Quando entrò in cucina, canticchiando la strofa di una canzone di Jovanotti, Agata era ai fornelli che preparava le crepes. Lei era la maga delle crepes.
- Se mi dici che hai fatto anche il caffè, domani ci sposiamo!
- È dentro il forno a microonde. Comunque no grazie, posso fare a meno di sposarti.
- Non ti preoccupare, non ho bisogno di una moglie. Ho già nonna Paola che mi cucina, mi stira i vestiti, mi fa i biscotti e mi rimbocca le coperte prima di andare a letto.
- E l'amore con chi lo fai?
- Con la ragazza della pasticceria! Te l'ho detto che quando dice il mio nome vengo pervaso da un milione di brividini?
- Me lo dici ogni volta che esci dal suo negozio. A me Bogdana mi ha detto che è lesbica e l'ha vista baciarsi con Anna, la proprietaria della cartoleria vicino al panificio Pasolini.
- Stai scherzando? La pasticcera è mia!
- A me non piace. Ha gli incisivi separati e le gambe storte.
- Io ho una passione per gli incisivi separati. Come Vanessa Paradis.
- Chi?
- Una gnocca assurda, amore. Dopo ti faccio vedere una sua foto su Cosmopolitan.
- Da quando leggi Cosmopolitan?
- Da quando scrivono gli articoli su come diventare una star in cinque semplici mosse. E anche su come portare all'orgasmo in dieci secondi.
- Non ci credo.
- Stanotte proviamo, va bene?
- Dio, sei più porco del solito. Ah, a proposito di porci, prima ha chiamato la donna per cui lavori.
- Lucianina? Cosa ti ha detto?
- Che sei un porco perchè ieri sera ti sei scordato di buttare la spazzatura e che oggi pomeriggio ti aspetta a casa sua alle quattro per andare a fare una passeggiata al parco.
- Allora le coccole bisogna farcele ora perchè poi dopo devo preparare la pasta all'arrabbiata da portare ad Aldo. Ha detto che sua moglie non gli cucina più niente.
- Ma di che coccole parli?
- Di quelle che necessito! L'altro giorno ho visto Babe, maialino alla riscossa e non avevo nessuna spalla su cui piangere e farmi confortare. Mi devi due ore di coccole!
- Fattele fare dalla pasticcera, stronzo.
- Una frase carica di gelosia con una parolaccia del mezzo. Niente coccole, ora facciamo sesso selvaggio! Sono già eccitato.
Leo se la caricò in spalle e la scaraventò sul letto mentre Agata non riusciva a smettere di ridere e dal piano di sopra, partiva una canzone del nuovo cd di Vasco Rossi.
Agata era tornata quella di sempre, la poteva riconoscere dal sorriso e la sua fossetta sulla guancia sinistra.
Quella era la sua Agata.






Fecero l'amore più bello del mondo, migliore di un orgasmo in dieci secondi.
Era l'amore del ritrovarsi dopo tanto tempo e del riscoprire un neo sulla pancia, nel sospiro quando si tocca un determinato punto, di una risata quando viene accarezzata la pelle sotto il ginocchio.
Era l'amore lento che piaceva tanto ad entrambi, quello che è tutto un sorriso e un annusarsi per trovare quel lembo di carne dove si sente di più l'odore dell'altro. Era quasi un amore che ti fa piangere perchè quello che provi è amplificato a mille e sai che quel momento rimarrà per sempre nella memoria. Un momento che ti farà attorcigliare le budella e chiudere gli occhi per non mostrare a nessuno quello a cui stai pensando.
Si sfiorarono, si accarezzarono, si morsero, si baciarono per minuti interi senza prendere fiato, si rotolarono su quelle coperte calde in cui avevano dormito abbracciati, e scherzarono anche mentre erano una cosa sola, così appiccicati che, solo per un attimo, il pensiero di non riuscire più a staccarsi attraversò la mente di entrambi.
Non ci fu un solo millimetro di pelle del corpo che non fu toccato, baciato con labbra screpolate e che sapevano dell'altro.
Quello era l'amore che si fa ad occhi aperti per registrare tutto, ogni minimo dettaglio che non andrà perduto. Quello che ti fa capire che quella persona riesce a respirare solo se il respiro lo ruba dalle tue labbra.
Un amore che fai poche volte nella vita.
Leo ed Agata non avrebbero voluto fare altro per i seguenti cent'anni.






- Cos'hai da sorridere come un cretino?
- Io? Niente, Luciana! Sorrido come sempre. Guarda che belle quelle paperelle! - Leo camminò a passo svelto calpestando la terra bagnata dalla pioggia che era caduta verso l'ora di pranzo, e raggiunse il laghetto dove stavano nuotando alcune papere e due tartarughe della dimensione della sua mano. Si appoggiò alla balaustra arrugginita ed aspettò che la donna lo raggiungesse lentamente.
- Non mi raccontare cazzate. Hai un sorriso che ti prende tutto il viso. Dai quasi fastidio.
- Sei soltanto gelosa perchè vorresti avere un sorriso come il mio! Goditi questa bella giornata di sole…
- Ma se sta per piovere di nuovo!
- ... E non ti lamentare sempre come una vecchia pentola a pressione acciaio inox 18/10!
- Vaffanculo. Senti, ma secondo te li si può dare da mangiare a queste bestie?
- Certo! Ti sei portata il pane grattugiato che è avanzato oggi?
- Sì, ho buona memoria io.
- Pure io! Infatti mi ricordo benissimo che tra una settimana è il tuo compleanno e compi novantacinque anni!
- Tua zia, pezzo di merda! Ne faccio settantatré.
- Siamo alla frutta, Luciana. A chi la lasci l'eredità?
- Non di certo a te, idiota che non sei altro.
- Io vorrei i tuoi capelli per ricordo. Puoi scrivere di farti rasare prima di passare a miglior vita?
- Senti coglioncello dei miei stivali, te me la stai gufando. Dimmi perchè sorridi così e smettila con questi discorsi.
Luciana si avvicinò alla balaustra dove stava il ragazzo e tirò fuori dalla tasca del suo giaccone nero una bustina di plastica con delle molliche che aveva tolto dal pane mentre Leo lavava i piatti cantando una canzone di Baglioni.
Si allungò un po' verso l'acqua del lago e, con le mani secche e tremanti, iniziò a lanciare a poco alla volta il contenuto del sacchettino. Rise per qualche secondo quando una papera nuotò veloce per raggiungere il pezzo di pane che la donna le aveva lanciato.
Leo sorrideva, con le mani in tasca e un cappello di lana calato in testa a coprire i suoi riccioli biondi che stavano piano piano ricrescendo.
- È tornata.
- La tua morosa?
- Sì.
- E avete fatto le porcate.
- Luciana! Si dice fare l'amore. Come sei volgare certe volte.
- Il succo è quello.
- Sei davvero poetica.
- Sicché è per quello che sorridi come un allocco da due ore.
Leo si limitò a ridere a voce alta, facendo girare sorpresi alcuni ragazzi che stavano facendo jogging al limitare del parco vicino alla Stazione dei treni dove si trovavano.
- Mi era mancata.
- Rischio di commuovermi se dici così.
- Luciana, invece di prendermi in giro, raccontami la prima volta che hai fatto l'amore!
- Sono passati almeno cinquant'anni.
- Vecchia.
- Stronzo! Comunque, lui era un militare che abitava vicino casa dei miei genitori. Io avevo diciotto anni e lui invece ventitré. Aveva dei capelli neri così lunghi e belli che...






Dopo che Leo aveva baciato Agata, quella mattina a casa di sua nonna, ci fu un altro bacio davanti al ristorante cinese dove si erano dati appuntamento il giorno seguente. Aveva pagato la ragazza, per sdebitarsi per l'ospitalità del giorno prima a casa della nonna, e Leo aveva ordinato di tutto e di più, felice come poche volte l'aveva visto. 

Si baciarono appoggiati alla saracinesca di un negozio di scarpe, con ancora il sapore del pollo alle mandorle nelle loro bocche. Era un bacio passionale, completamente diverso da quello che si erano scambiati, quasi timidi, nella cucina di nonna Paola. Quello era un bacio che riempiva e svuotava e che ti faceva venire voglia di toccare la pelle dell'altro e di immergere le mani nei suoi capelli per non farlo allontanare nemmeno di un centimetro. Quando si staccarono per riprendere fiato, Leo notò il tatuaggio di Agata sul dito medio della mano che era ancorata al suo giacchetto pesante.
- Cos'hai tatuato sul dito?
- Una lettera.
- Che lettera?
- Una F. Lo sei che sei proprio cieco?
- Però ci sento bene! La F di...?
- Fabrizio De Andrè.
- Ah...un tuo amico emo come te?
- Tuo nonno. E poi io non sono emo.
- No, nonno sono sicuro si chiamasse Albino Rosicati.
- Era albino davvero?
- Macchè, pelle scura come quella di un marocchino perche' sua madre, in viaggio di nozze a Marrakesh, si era data da fare con il fattorino dell'hotel dove alloggiavano! In famiglia siamo tutti un po' puttane.
Leo le fece un sorriso smagliante e Agata alzò il dito medio nella sua direzione.
Quella F tatuata gli piaceva proprio tanto. Forse, un giorno, se la sarebbe fatta tatuare identica.










   
 
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