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Autore: rainandteardrops    17/12/2012    11 recensioni
Era a pochi centimetri da me. E non ero immobile perché ero troppo impegnata a contarli; ero immobile perché i suoi occhi mi avevano paralizzata.
Avevo i muscoli atrofizzati. L'unico ancora in vita era il mio cuore, ma se si fosse avvicinato ancora non avrei più sentito i suoi battiti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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irresistible.


Riaprii gli occhi con un unico pensiero in testa, un pensiero che mi stava assillando da circa tre mesi. Sentivo quasi una vocina insistente nella mia testa che mi suggeriva cosa fare e che, quasi per dispetto, mi faceva venir voglia di non obbedire.
La verità era che avevo paura. Avevo paura di realizzare che il cambiamento era imminente, di metabolizzare la mia decisione di abbandonare una vita e una persona in particolare per effettuare una sorta di sostituzione che tale non era affatto.
Significava soltanto scegliere di passare il resto della propria esistenza in modo diverso, sebbene a diciotto anni una frase del genere potesse essere alquanto azzardata.
E mentre quel pensiero divorava tutti gli altri, mentre la vocina mi suggeriva 'devi dirlo a tua madre', ero sicura che quest'ultima mi avrebbe ammazzata, o - nel caso meno tragico - mi avrebbe inseguita per casa con qualche oggetto in mano, a mò di arma. 
Guardai il cielo grigio fuori dalla finestra, molto tendente al bianco, e feci un respiro profondo per autoinfondermi coraggio. 'Ora o mai più', mi dicevo.
Prima ne avrei parlato con lei, prima sarei partita, e ammettevo che la mia resistenza stava andando lentamente a quel paese, giorno dopo giorno.
Con un gesto quasi involontario, frutto dell'abitudine, presi il cellulare e lo accesi, infilandomi contemporaneamente le pantofole. 
Rimasi qualche istante seduta sul bordo del letto, stiracchiandomi e pensando all'ultima volta in cui mi ero sentita piena di forze e completamente riposata. 
Risaliva a molto tempo fa, più o meno al periodo che precedeva la mia assunzione al bar. 
Ormai eravamo all'inizio di Dicembre.
Il meteo preannunciava sempre pioggia o neve, le mie mani erano sempre ghiacciate e riuscivo già a sentire l'atmosfera natalizia grazie alle luci sparse qua e là.
Mentre formulavo questi pensieri, il cellulare vibrò nelle mie mani. 
'Buongiorno amore', recitava il messaggio di Harry, accompagnato da una faccina sorridente. 
Ecco, quello mi aiutava ad iniziare la giornata con uno stato d'animo diverso. 
Gli risposi velocemente, con un sorriso idiota stampato sul viso, e ciabattai verso la cucina, cercando di muovere le mie gambe stanche. 
Avevo ancora in testa le parole che ci eravamo scambiati la sera prima, la sua richiesta che assecondava quella vocina insistente e il mio sospiro che sapeva di ansia e agitazione, ma gli avevo promesso che ne avrei parlato con mia madre e che avrei fatto passare al massimo due giorni prima di salire su un aereo e raggiungerlo. 
Non mi dispiaceva affatto lasciare la mia casa, anche se ci avevo vissuto per diciotto anni. Non mi dispiaceva dimenticare quelle vecchie mura che avevano ascoltato tutti i litigi dei miei genitori. Non mi dispiaceva neanche lasciare la mia camera, il mio letto e il mio cuscino, che aveva assorbito una grande quantità di lacrime.
E infine, il dispiacere che provavo nel lasciare mia madre era molto relativo, non proprio tale. Ero maggiorenne ormai, avevo tutto il diritto di ricominciare a vivere proprio come aveva fatto lei con Leonardo, in Italia o non.
Mentre attraversavo il corridoio avvertii il solito profumo di caffè appena fatto e il venticello freddo invernale. Inspirai con forza, e nello stesso momento ricordai l'odore invitante di quello che Harry mi portava ogni mattina, dopo avermi svegliata con un bacio sulla fronte. 
Sentii le mie labbra piegarsi all'insù, ed ero sicura che varcai la soglia della cucina con un'espressione da idiota. «Buongiorno», sospirai mentre mi sedevo a tavola, e mia madre si voltò a guardarmi.
«Buongiorno tesoro», rispose con il suo solito sorrisone da persona finalmente felice. Quanto glielo invidiavo.
Molte volte mi ero chiesta cosa fosse la felicità. Alcune persone mi avevano sempre detto che la felicità era una fase momentanea, altre invece la consideravano uno stato d'animo che poteva durare anche per tutta la vita. 
Secondo molti, essa consisteva nella bellezza delle piccole cose; secondo la minoranza, era frutto di una serie di successi ottenuti in vari campi, come in amore così in ambito lavorativo. 
Io, a diciotto anni, non avevo ancora ben capito cosa fosse la felicità e la sua ricerca. Ero solo convinta del fatto che avevo provato una cosa simile, una sensazione di pace, ogni volta che mi svegliavo al suo fianco, ogni volta che mi baciava e tutte le volte in cui aveva dimostrato di amarmi, amarmi sul serio.
Ecco cos'era per me la felicità. 
Forse era un'opinione stupida e completamente sbagliata, ma non riuscivo a togliermi dalla testa la convinzione che Harry fosse la mia serenità e il punto di incontro di ogni emozione. 
«Caffè?», mi chiese mamma, riportandomi con una sola parola nel mondo reale. Sbattei violentemente le palpebre, sistemandomi meglio sulla sedia dopo aver notato che mi ero quasi distesa sul tavolo. «Sì, grazie», feci, prendendo dalle sue mani la mia tazza preferita.
Soffiai lentamente, spostando in varie direzioni il fumo che fuoriusciva, pensando nello stesso tempo alle parole giuste da dire.
«Mamma», cominciai, seguendola con lo sguardo mentre si sedeva di fronte a me. Lei incrociò i miei occhi, in attesa.
«Devo parlarti», esordii, ovviamente nel modo peggiore. Sapevo benissimo che quelle due parole erano in grado di mettere in ansia anche le persone più serene e tranquille. Prese un sorso di caffè e mormorò un 'dimmi'.
Mi schiarii la voce. «Ci sto pensando già da un po', e so che ti sembrerà una cosa assurda ma...». Lei aggrottò la fronte.
«Ecco, è un pensiero che ha cominciato a spuntarmi in testa circa cinque giorni dopo essere arrivata a Londra», non osavo guardarla, ma dal mio tono traspariva un'inaspettata fermezza.
Alzò gli occhi al cielo, nascondendo un sorriso. «Smettila di far roteare quella tazza. Non c'è motivo di essere agitati, so già cosa stai per dirmi», disse, con uno sguardo furbo, tenendo il suo caffè all'altezza del viso. Ero sicura che stesse ridendo di me.
Rimasi a guardarla, disorientata. «Davvero?». La mia tazza mi ringraziò per averle risparmiato il giro della morte. 
Assurdo come mia madre fosse in grado di leggere la mia mente, benché fossi sicura che non era affatto una discendente di Edward Cullen. Forse ero semplicemente un libro aperto, così come lo ero per Harry.
Sentii il rumore della ceramica sul tavolo, poi i suoi occhi incrociarono i miei dopo aver fissato per qualche istante il liquido marroncino e ondeggiante. «L'ho capito, sai? Credi non abbia notato il luccichio nei tuoi occhi quando parli di quel riccioletto? Credi che il mormorio che sento fino alle due di notte, dovuto alle tue chiamate notturne, sia passato inosservato?», e terminò con un sorriso comprensivo. «Ah, bambina mia, fortunatamente non sono nè cieca e nè sorda, e so capire quando qualcuno è davvero innamorato».
Sentii improvvisamente caldo, palesemente a causa dell'imbarazzo e non del cambiamento climatico. Abbassai lo sguardo, mentre le mie guance si coloravano improvvisamente.
Se lui fosse stato lì, probabilmente mi avrebbe preso il viso tra le mani e mi avrebbe baciata, per mettermi ancor più a disagio.
«Vuoi andare da lui?», mi chiese a bruciapelo. Sentii il cuore battere più forte al solo pensiero. 
«Non voglio fare una seconda vacanza, mamma», misi le cose in chiaro. «Ho deciso di trasferirmi». Spiai la sua reazione, ma sembrava calma.
«Grazie ai turni in quel bar ho accumulato abbastanza denaro, in modo da non pesare sulle spalle di Harry nel caso in cui la ricerca di un lavoro a Londra si facesse più difficile», le spiegai, stavolta più tranquilla di prima. «Abbiamo organizzato tutto, e per adesso mi sembra l'unica cosa giusta da fare. Sia il mio cuore che la mia testa sono d'accordo, e tanto vale non lasciarsi sfuggire questa rarità»
L'improvvisa sensazione di leggerezza che sentii subito dopo mi fece sorridere. Mi ero scrollata un grosso macigno dalle spalle, dopo più di un mese di sofferenze e di sacrifici. Sentivo che la mia vita era lì davanti a me, luminosa, felice, e in cuor mio sentivo di essermela guadagnata e di meritarla, senza eccezioni.
«Oh tesoro, meriti di essere felice. E' arrivato il momento di fare delle scelte ed io accetterò qualsiasi cosa deciderai di fare».
Allargai il mio sorriso, temendo una paresi facciale. «Grazie mamma», farfugliai. 
«Abbraccio da orso?», fece lei, poggiando entrambe le mani sul tavolo per sollevarsi. «Abbraccio da orso», acconsentii, alzandomi e girando intorno al tavolo per stringerla forte, e per stampare in mente quel calore e quella sensazione di protezione in modo da non sentirne la mancanza.
 
 
Inutile dire che l'ansia mi stava lentamente mangiando viva. 
Mentre raccoglievo le valigie, mi guardavo contemporaneamente intorno per cercare di scorgere una figura slanciata dalla chioma riccia. 
E se non fosse venuto? 
No, ma a che pensavo? Era impossibile, non avrebbe mai potuto lasciarmi lì senza darmi spiegazioni. Avevamo deciso tutto insieme, il giorno, l'ora; quasi eravamo arrivati a programmare i secondi. 
'Era solo in ritardo, sarebbe arrivato', mi ripetevo come un mantra. 
Portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio, mentre mi abbassavo per cercare di afferrare i miei bagagli e tenerli comodamente. Avanzai per qualche metro con i trolley al seguito, quasi arrivando all'entrata dell'aeroporto, poi mi fermai all'improvviso, come se qualcuno mi avesse afferrato un braccio e trattenuta sul posto. 
Cercai di intrattenere la mia mente - che stava formulando i pensieri peggiori - guardando le persone che mi circondavano. 
C'erano coppie che chiacchieravano, qualche gruppo di amici, qualche famiglia, qualche anziano che portava con fatica la propria valigia, qualche bambino che sfuggiva al controllo dei genitori e scorrazzava libero.
Tirai un respiro profondo, mentre un brivido mi percorreva la schiena. Le porte scorrevoli si erano aperte e il freddo pungente era entrato, fino a penetrarmi nelle ossa. 
Tanta gente entrava, tanta gente usciva, ma lui ancora non c'era. 
Decisi di sedermi su una delle sedie grigie, messe lì per le persone abbandonate o per le vittime dei poveri ritardatari. Sorrisi dei miei pensieri così tragici e tirai i trolley verso di me per evitare di perderli, poi estrassi dalla tasca il mio cellulare per controllare i messaggi. Ce n'era uno.
"Sto arrivando", recitava, e mi rincuorò un bel po'. 
Mi era stato inviato da circa quattro minuti, quindi non avrei dovuto aspettare molto.
Presi a rileggere i vecchi sms, prediligendo quelli che avevo salvato in una cartella, alzando di tanto in tanto lo sguardo.
Dopo l'ennesima sbirciata, vidi una figura stretta in un cappotto nero aspettare che le porte si aprissero. Non appena il vetro non rappresentò più un ostacolo, sentii il mio cuore zoppicare e dopo un po' iniziare a pompare il sangue più velocemente. 
Sentii il cellulare quasi scivolarmi dalle mani, e restai immobile come una cretina a guardare i suo capelli ricci e i suoi occhi muoversi freneticamente in cerca di qualcuno. Ricordai in un istante quel verde intenso e talvolta quasi tendente al grigio, a seconda della luce. Ricordai le sue labbra assottigliarsi ogni volta che rideva e il suo sorriso accecante. Ricordai la sua andatura, il modo in cui si sistemava i capelli, le sue mani enormi e costantemente calde. 
Percepii il cuore schiacciato contro la gabbia toracica e lo stomaco sparire, inghiottito da chissà cosa e finito chissà dove, non appena si voltò nella mia direzione. 
Il respiro si fece più affannoso e le gambe preda di piccoli movimenti che non riuscivo a controllare, come se fossero ansiose di muoversi e raggiungerlo. Un nodo grosso quanto una pallina da golf si posizionò al centro della mia gola e la saliva quasi si azzerò. 
Mi chiesi se quelli erano i sintomi di un infarto o di una persona in fin di vita.
Non appena focalizzò il mio volto, mi sorrise, e domandai a me stessa perché avevo avuto il privilegio di godere di un pizzico di paradiso. Fui sul punto di piangere quando mi resi conto che eravamo distanti solo qualche metro.
Per troppo tempo c'erano stati tanti chilometri a dividerci.
Mi alzai, sperando che le mie gambe tremanti non cedessero proprio in quel momento, quando la meta era così vicina. Come una calamita, mi mossi verso di lui, deglutendo più volte e sbattendo le palpebre velocemente per ricacciare indietro le lacrime. 
Lui, munito del più bel sorriso che gli avessi mai visto, allargò le braccia per accogliermi, e a quel punto giurai di aver iniziato a correre. 
Non volevo abbracciarlo, non in quel momento. 
Gli buttai le braccia al collo non appena la distanza si annullò, e intrecciai le gambe alla base della sua schiena. 
Lui mi strinse a sè, per evitare che cadessi, e nello stesso istante le nostre labbra si incontrarono.
Sentii un turbinio di emozioni nel secondo esatto in cui potei provare di nuovo quella morbidezza senza pari, e anche dopo, mentre spostavo la mia bocca lungo la mandibola e scendevo sul collo, per poi risalire e sussurrargli all'orecchio: 'Mi sei mancato'.
Infilai la mano sinistra nei suoi capelli, e con la destra lo strinsi a me, proprio come stava facendo lui. 
Non mi importava di essere in un luogo pubblico, non mi interessavano gli sguardi delle persone che sicuramente avevamo catturato, non mi interessava che ora fosse. 
Mi interessava soltanto rendermi conto che era mio, che eravamo insieme e che non ci saremmo lasciati mai più. 
Sciolsi la presa e gli afferrai il viso con entrambe le mani, poggiando i piedi per terra. Lui mise delicatamente le sue mani sui miei fianchi, piegandosi in avanti per far sì che la distanza tra i nostri visi non fosse troppa. 
Lo guardai intensamente negli occhi, spostando ripetutamente lo sguardo sulle sue labbra e poggiando la mia fronte contro la sua. 
'Mi sei mancata anche tu', sussurrò. Mi stava cercando. Si avvicinava a me e aspettava che spostassi l'attenzione dal suo sguardo caldo. 
Lo baciai di nuovo, stavolta più dolcemente e più lentamente, assaporando ogni frazione di secondo e cercando di riempire tutti quei mesi vuoti, per poi abbandonarmi tra le sue braccia che mi ricordavano casa.
Ovunque guardassi ero circondata dal suo abbraccio, e tutto ciò che sentivo erano i nostri cuori battere all'unisono.
D'ora in avanti le nostre vite si sarebbero inevitabilmente intrecciate, e non desideravo nient'altro che passare le mie giornate nel mio meraviglioso paradiso personale.



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Ciao a tutte :')
Visto? Sono ancora viva, ragazze. 
Non posto da tre mesi, che roba vergognosa. Davvero, mi dispiace tantissimo, ma ho avuto un po' di problemi e sono stata impegnata con la scuola. Inoltre, non mi sentivo pronta e non avevo lo stato d'animo adatto per immergermi di nuovo nella storia di Harry e Liz.
Spero vi siano mancati almeno un po', anche se tantissime persone mi hanno sempre chiesto notizie su Ask e Twitter, e io vi adoro tutte.
Che dire, questo è l'ultimo capitolo e il prossimo sarà l'epilogo. Come avete letto, la nostra eroina è atterrata a Londra e i due piccioncini si sono finalmente riuniti. 
Okay, mi dilungherò nell'epilogo.
Che altro... AH, il titolo è molto riferito all'ultima parte, all'attrazione presente tra i due, ma anche alla canzone dei One Direction, che mi ricorda un po' i due protagonisti.
Spero vi piaccia e spero mi perdoniate. Grazie delle recensioni, delle settemila visite al primo capitolo; grazie alle 191 persone che hanno questa storia nelle seguite e alle 142 che l'hanno messa addirittura nelle preferite. asdfghjk
Fatemi sapere cosa ne pensate con un commento, tramite Twitter, Ask, dove ve pare. Sono stylesbreath ovunque. :)
GRAZIE MILLE.
Un bacio, Clà.
  
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