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Autore: fiammah_grace    17/12/2012    1 recensioni
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"Se solo Jill avesse saputo di essere salvata da Albert Wesker, avrebbe provato tutt’altro che gratitudine, perfettamente conscia del fatto che da un incubo, sarebbe caduta in un incubo ancora peggiore.
Il rumore della pioggia era incessante.
L’uomo dai maligni occhi rossi alzò il viso lasciando che bagnasse il suo volto.
I capelli scomposti, ritornarono indietro appesantiti dall’acqua.
Il berretto della bruna cascò dalla testa scoprendo il suo viso addormentato.
Wesker, a quel punto, avanzò nella foresta, riprendendo del tutto le sue forze e sapendo perfettamente dove andare.
Ignara, la donna seguì il suo carnefice, trasportata nei meandri del suo peggior incubo. Frastornata e agonizzante, era ancora in balia del sonno, non sapendo nemmeno di essere ancora in vita, mentre Albert Wesker già progettava come attuare la sua vendetta."
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Albert Wesker, Jill Valentine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE





CAPITOLO 15




Chi sei per me, Albert Wesker?
Un nome…un volto…una nemesi…un ricordo…?
Hai cambiato il mio destino, hai sconvolto la mia vita.
Ti ho amato, e il mio cuore continua a struggersi in quel ricordo. Non riesco ad accettare che tu sia l’uomo che adesso ho davanti ai miei occhi.
Mi chiedo perchè…
…perché, nonostante tutto, io continui a non odiarti completamente.
E’ per via di quel ricordo che vaga ancora nella mia mente? Oppure è il tuo viso affranto, che ho scoperto nascosto dietro la tua freddezza?
Oramai non lo so più.
Ultimamente non so più neanche cosa sono.
Spesso vorrei non riaprire gli occhi, per sperare che tutto questo non sia accaduto davvero.
Vorrei non averti mai conosciuto, per non dover continuare a ripetermi di odiarti con tutta me stessa.



Jill aprì gli occhi e si ritrovò stesa su un divano di velluto rosso scuro.
Nonostante si fosse appena svegliata, presto i suoi pensieri tornarono all’incubo appena passato.
Il massacro che aveva dovuto assistere a Kijuju.
Se ripensava che quello non era che l’inizio, le veniva da vomitare. Ma non era solo questo…
Portò una mano alla bocca, turbata da quel destino, spaventata da quel posto.
Girò gli occhi e si accorse solo in quel momento della presenza di Albert Wesker in quella stanza.
La ragazza girò quindi il busto, adagiandosi sui gomiti e spostando il peso sulla spalla.
Vedendola fare per alzarsi, l’uomo dalle lenti scure le si avvicinò.
Le posò delicatamente la mano su una spalla, come per dirle di rimanere sdraiata, poi si sedette anch’egli sul divano, posizionandosi dove avrebbe dovuto normalmente adagiarsi il capo di Jill. Ella rimase con la testa sollevata, non sapendo cosa fare. Fu inaspettatamente lui a premere sul suo capo, facendola poggiare sulle sue gambe.
La ragazza rimase con gli occhi fissi a guardare nel vuoto, disorientata, mentre lui prese a sfiorare soavemente i suoi sottili capelli biondi.
Non comprendeva assolutamente l’atteggiamento di Wesker, né cosa gli passasse per la testa. Egli era un vortice di pensieri, di azioni, del tutto imprevedibili. Geniale, scaltro, intellettuale, forte, calcolatore, diabolico…ma dentro…cosa provava realmente?
Quella mano delicata sul suo capo le fece sentire una strana morsa al cuore. Le provocò piacere e fastidio allo stesso tempo. Cosa poteva mai significare per lui una carezza? Aveva un senso?
Rivolse i suoi occhi azzurri verso di lui e notò il suo viso assorto.
Possibile che dopotutto, anche Wesker avesse i suoi dubbi?
Tuttavia lei non avrebbe mai potuto essere la donna che l’avrebbe consolato. In lei non avrebbe mai trovato la complice disposta ad accoglierlo, se era questo quel che cercava. Razionalmente, Jill era consapevole di non averlo mai potuto fare. Nonostante nel suo cuore qualcosa si sciogliesse inspiegabilmente e irrazionalmente quando i due erano decontestualizzati da ciò che caratterizzava le loro vite, comunque non poteva rinnegare quel che c’era realmente fra loro.
Nonostante avrebbe voluto.
Nonostante avrebbe fatto qualsiasi cosa per cambiare Albert Wesker.
Solo che sapeva che non poteva.
Era fin troppo razionale per comprendere che lui non avrebbe mai potuto fuoriuscire dal baratro in cui era caduto, e nel quale vi era anche lei.
Strinse gli occhi, lacerata da quella consapevolezza.
Desiderava ardentemente lasciarsi alle spalle tutto, guardarlo negli occhi, e magari aiutarlo.
Ma Wesker non cercava aiuto, lui stesso voleva il destino che si era costruito con le sue mani. Un destino che aveva cercato e realizzato con tutto se stesso.
Egli non fuggiva, ma mirava verso un obiettivo.
Lei non avrebbe mai potuto interferire su questo.
Anche se…avrebbe voluto illudersi di poter essere capace di cambiarlo.
Ma non poteva.
Non poteva perché era irrazionale anche solo pensarlo.
Era un destino a senso unico. Quell’attrazione era un errore. Un errore che doveva dimenticare e abbandonare.
La sua razionalità non doveva vacillare.
Lei…aveva da tempo imparato a sorpassare sui suoi sentimenti. Aveva dimenticato cosa significasse lasciarsi andare ad essi.
Jill era divenuta una donna risoluta, dal sangue freddo, proprio perché quella guerra lo richiedeva.
Fare quel passo indietro significava sputare sopra l’apocalisse che voleva sconfiggere: il bioterrorismo.
Volente o nolente, il volto che rappresentava tutto questo era proprio quello di Wesker.
Guardò di nuovo verso di lui.
Indossava una camicia nera sbottonata appena sul collo, con le maniche tirate all’altezza dei gomiti.
Lui finalmente abbassò il viso verso di lei, ricambiando quello sguardo.
“Cosa hai sognato, Jill?” le chiese all’improvviso, tenendo un tono molto basso.
Ancora una volta l’aveva presa di sorpresa. Jill rifletté per qualche attimo, poi rispose.
“Non ricordo…”
Wesker sorrise fra se. Guardò di fronte, poggiando la testa sullo schienale del divano, poi tornò immerso nei suoi pensieri, come se nella sua mente stesse analizzando un flusso di parole e pensieri che avrebbe potuto condividere con la donna dai capelli biondi, ma non voleva.
Jill stessa percepì come se lui fosse in difficoltà, nonostante apparisse ad occhio esterno completamente padrone di se.
Egli poi parlò, sempre con la sua solita calma e posatezza.
“Le cose che ti ho detto, accadranno. Uroboros dominerà le menti delle persone selezionando una razza scelta, ed io sarò colui che dominerà questo mondo.”
La scioltezza di quel discorso straziò Jill, tuttora ancorata a quella folle speranza che lui tornasse un giorno ad essere quello di un tempo. Anzi…colui che non era mai esistito.
Wesker osservò il viso corrucciato della ragazza. Smise di accarezzarla ed adagiò la sua mano sulla sua schiena.
“Dimmi…tu mi odi?”
Jill non poteva dare una concreta risposta a quella domanda. La risposta era una ed erano tante allo stesso tempo.
Lo odiava? Sì…certo che sì.
Eppure…c’erano tante altre cose che albergavano dentro di lei. Cose ben distinte dall’odio, ben distinte da cosa fosse razionale. Cose vicine alla follia.
“Sono consapevole di tutto quello che provi.” disse inaspettatamente lui, rispondendo egli stesso a quella domanda.
Sfilò gli occhiali e alzò il viso, guidato dalla piena consapevolezza di quelle parole. Conoscendo ben cosa fosse ‘l’odio’…
“Posso…immaginarlo, sentirlo, vederlo…” continuò a parlare con tono profondo, perdendosi in quelle parole, potendo assaporare egli stesso il loro peso. Poi si rivolse fermamente a lei.
“Sì, Jill. Mi odi. Non potrebbe essere altrimenti.”
Concluse ironico, freddo, assorto.
Jill lo guardò intensamente, chiedendosi il perché di un discorso simile.
Il problema era che lei lo detestava con tutto il cuore, ed era così. Lui aveva ragione, non poteva essere altrimenti.
Non poteva essere diverso, razionalmente. Se sentiva qualcosa di discorde dentro di se, che combatteva contro quel sentimento, era insensato, era sbagliato.
Nonostante quella sua convinzione, però, invece quel sentimento contrastante c’era, e non poteva più ignorarlo.
Nonostante fosse solo una bugia, nonostante lui fosse Albert Wesker.
Wesker fece scivolare la sua mano sul suo viso pallido e si piegò appena su di lei, inarcando il busto.
Egli sapeva che, per quanto le cose avrebbero potuto andare diversamente, lui stesso non avrebbe mai perdonato chi aveva oltraggiato il suo destino.
Rivide davanti ai suoi occhi Spencer e la rabbia bruciò dentro di lui.
La mente andò a focalizzarsi su quel giorno in quel laboratorio abbandonato in mezzo alla selva, quel giorno in cui qualcosa era cambiato fra lui e Jill. Quel giorno in cui l’aveva guardata negli occhi e aveva scoperto, suo malgrado, di non essere stato diverso dall’uomo che aveva condannato la sua esistenza per sempre.
L’essere guardato da Jill con quegli stessi occhi che lui aveva rivolto a Spencer lo lacerava.
Era la prima volta che sentiva quel dolore.
Questo era accaduto perché lei aveva toccato una parte umana di Wesker cui mai nessuno era riuscito a giungere.
Era proprio per questo che conosce l’odio di Jill Valentine. Il suo stesso odio…un odio distruttivo, lacerante, maledetto…
“Nonostante ciò, però…” aggiunse in balia di quel sentimento a lui stesso estraneo, quell’umanità che non era morta dentro di lui e che l’aveva inaspettatamente ferito. “…cosa saremmo se abbandonassimo per un istante ciò che siamo fuori da questa stanza?”
Jill sentì dentro di se un istinto irrefrenabile udendo quelle parole.
Era come se la sua volontà avesse ricevuto il consenso di separarsi dalle sue convinzioni, abbandonare la sua razionalità, e credere per un momento che ciò che li circondasse non esistesse.
Era stato il P-30 che aveva ubbidito a quella domanda?
Non lo sapeva…non ci volle pensare nemmeno.
Nello stesso istante in cui Wesker terminò quella frase, allontanandosi da lei e tornando in silenzio, la ragazza invece si sollevò verso di lui e portò con decisione le braccia attorno al suo collo, posando le sue labbra sulle sue.
Premette la sua bocca sempre più forte, esplorando quel bacio, quelle labbra che non potevano essere irreali, quella bocca che era vera. Quell’Albert Wesker che non era e non poteva essere una bugia.
Voleva sprofondare in quell’irrazionale imbroglio della sua mente, che l’aveva oramai travolta in uno struggente rapporto in cui nulla aveva un senso, nulla avrebbe potuto essere veramente reale.
Poteva esistere se loro stessi non fossero esistiti.
Era un conflitto irrisolvibile, che dannava la sua esistenza, eppure adesso lui era suo, tra le sue braccia, sulle sue labbra.
Wesker, dapprima confuso, per una volta nella sua vita non aveva previsto la mossa del suo avversario. Non si era reso conto che, proferendo quella frase, aveva indotto la ragazza a reagire sotto l’impulso del P-30, che l’avrebbe lasciata libera di mostrargli quel mondo che a loro non sarebbe mai appartenuto.
Rispetto quella volta in cui lei l’aveva abbracciato nell’oscurità della notte, questa volta non potette rimanere inerme a quel contatto passionale ed irrequieto. Quella umanità da cui si teneva invece lontano.
Quel sentimento travolgente poteva sentirlo in ogni parte del corpo di Jill, e non riuscì ad esserne indifferente.
Sorrise del fatto che, nonostante tutto, lei lo agognasse e lo desiderasse in quel modo.
Era possibile razionalmente?
Ben presto però la derisione fece spazio ai suoi impulsi, che accettarono inspiegabilmente quel contatto. Così ricambiò quel bacio intenso.
Esattamente come era accaduto nella foresta, ove cadendo l’uno sull’altro, egli la baciò condividendo con lei quel momento di assoluta irrazionalità.
Non si era mai lasciato coinvolgere in futili sentimenti, ai suoi occhi simbolo della debolezza umana. Un pericolo per chi come lui aveva da portare avanti un piano che richiedeva ogni parte di se stesso. Eppure la forza di Jill fu tale da non fargli desiderare altro.
Si chiedeva come potesse spiegarsi ciò, poi ricordò: “…cosa saremmo se abbandonassimo per un istante ciò che siamo fuori da questa stanza?”
Era stata questa la domanda.
Tornò poi a baciarla intensamente, prendendole il viso fra le mani. Mentre sentiva il suo corpo premere sul suo, ebbe la tentazione di disattivarle il dispositivo sul suo petto proprio per costatare se tutto ciò fosse reale, tuttavia desistette.
Voleva quel raro momento di abbandono, era suo, non voleva spezzarlo.
La sollevò appena, mettendola sulle sue gambe, lasciando che la passione gestisse quel momento.
Ma l’inganno quanto sarebbe potuto durare?
Se lo desiderava, per sempre.
Jill era in suo potere. Tuttavia Wesker, il principe dell’inganno, odiava essere raggirato a sua volta.
Quella falsità, quei sentimenti ribollenti che però presupponevano l’annullamento di loro stessi per sussistere realmente, gli fecero respingere quelle labbra meravigliose, quel calore umano, quella sensazione di abbandono totale, irrazionale e piacevole…
Si allontanò dunque da lei, volendo cacciare via da lui quello che poteva ancora toccarlo, quello che poteva sfiorare ciò che era sempre rimasto sigillato e nascosto nell’animo di Wesker e che lui stesso aveva rinnegato.
Jill Valentine, una donna cui un tempo non avrebbe mai dato importanza, adesso rappresentava un pericolo…un pericolo che doveva mettere a tacere. Un pericolo che allarmò Albert Wesker.
Mosse le labbra, sfiorando il viso della donna, essendo ancora vicinissimo a lei. Le mostrò così i suoi occhi rossi dalla pupilla verticale.
Una certa volontà di ferirla trasparì da quello sguardo a cui Jill non potette fuggire.
Il viso della bionda si fece d’improvviso sgomentato, realizzando quel che era accaduto, realizzando di aver di fronte a se esattamente lo stesso uomo che odiava, eppure che aveva voluto condurre alle sue labbra.
Si sentì tremare…cosa aveva appena fatto?
Lui, esattamente qualche ora prima, aveva dichiarato di averla ‘eletta’ per creare con lui quel mondo di devastazione, che l’avrebbe aizzata contro la BSAA stessa, attirando Chris Redfield a Kijuju…
Lui…che era fra i maggiori esponenti dell’Umbrella corporation, che aveva causato la distruzione di Raccoon City, e non solo! Aveva gettato il mondo intero nell’inferno, e lei aveva giurato di fargliela pagare.
Lui…che l’aveva tradita…
Cosa…cosa era accaduto, dunque?!
Spaventata, si allontanò debolmente da lui, muovendosi a stento poiché paralizzata, confusa, spaventata da se stessa. Si sentiva di impazzire…
Come poteva essere reale la coesistenza di sentimenti simili?
Mentre i suoi occhi presero a tremare di fronte al viso sfrontato di Albert Wesker, lui si riavvicinò a lei, sfiorandole il naso, e sussurrò.
“Mi ami, Jill Valentine?”
Pronunciò crudelmente, facendo vacillare tutto. L’idillio che prima aveva dominato su di loro si dissipò, facendo tornare la razionalità di entrambi, che in un attimo spazzò via quei sentimenti malati e ingannevoli che laceravano la mente della donna dai capelli biondi.
Ella staccò le braccia dal suo collo lasciandole scivolare sulle sue spalle, scostandosi di scatto dal suo corpo. Schiuse le labbra, guardandolo con il terrore negli occhi, comprendendo che lui potesse per davvero fare di lei ciò che voleva. Poteva persino annullare il suo odio, le sue convinzioni, se voleva.
Lei non poteva permettere questo, non sapendo chi era, non conoscendo cosa egli pianificasse.
Tuttavia non esistevano altrimenti. Aveva mostrato a Wesker il suo punto più vulnerabile. Egli ora sapeva ciò che la lacerava dentro.
Sapeva che una parte di lei non l’aveva mai dimenticato. Un qualcosa che non avrebbe mai dovuto fuoriuscire.
L’uomo riposizionò gli occhiali sul naso premendo un dito sulla montatura, tornado a indossare la sua maschera di sempre.
Ricongiunse poi le sue mani dietro la schiena della ragazza, incrociando fra loro le dita.
Continuò a guardarla intensamente, consapevole che stavolta i suoi occhi su di lei fossero insostenibile e pungenti.
Un ghigno deformò le sue labbra, e quel che accadde, fu ciò che mai Jill avrebbe dovuto lasciare che accadesse.
“Esattamente, Jill…credo tu abbia capito.” disse portando una mano sotto il mento di lei, costringendola a vincolarsi a quel contatto visivo. “Tu mi adori, mi desideri, vuoi che io ti possegga.”
Le sue parole furono pronunciate con un tono caldo e suadente, eppure crudele ed atroce. Qualcosa nella coscienza di Jill mutò. Comprese che lui avrebbe fatto quel passo. Lo sentiva.
“Dimentica. Dimentica quindi chi sei. Adesso, esisti solo per me.”
Una scossa trafisse il cervello della ragazza, che fu costretta a portare le mani sulla testa tanto che quel dolore fu lancinante.
Nonostante il P-30 nel suo corpo, ella non poteva obbedire a quel comando. Proprio non poteva. Non erano gli impulsi della sostanza a non essere abbastanza forti per costringerla a quel volere. No…
Era proprio che quel comando non poteva proprio eseguirlo. Era un principio talmente fondante, che nessun lavaggio del cervello avrebbe mai potuto sottometterla.
Nonostante i suoi sforzi però, ella era oramai infetta dal P-30. Quella ribellione era inutile per quanto le fosse impossibile accettarlo.
Così cadde a terra sul pavimento, sconfitta da quella potenza, oramai completamente sottomessa al volere di Wesker.
Aveva perso.
Wesker guardò la scena con un’apparente non curanza.
Si accorse subito che non era stato il P-30 ad essersi indebolito dentro di lei, tanto da permetterle quella manifesta reazione di ribellione.
Era stato soltanto che lei non poteva davvero eseguire quell’ordine.
Provò un attimo di compassione per lei, rimanendo a fissarla dalle sue lenti scure. La ragazza aveva gli occhi persi nel vuoto, abbandonata sul pavimento.
Si chiese se una parte della sua coscienza rimanesse vigile dentro di lei, ma non gli importava.
Ben presto tornò a meditare sui suoi piani, non potendosi permettere di dare ancora spazio a sentimenti futili come quelli.
Dunque si alzò e uscì dalla stanza. Mentre avanzò silenzioso ed elegante verso la porta, si girò un’ultima volta verso Jill, sfinita e ancora a terra.
Inspiegabilmente il suo cuore pulsò.
Quel sentimento lo turbò, costringendolo a ispirare col busto per cacciare in qualche modo i nervi che si contorcevano dentro di lui.
Tuttavia rimase inscalfibile, anche se l’umanità che era ancora dentro di lui lo costrinse a quell’attimo di malessere. Perché dentro di se sapeva che stava solo fuggendo.
Wesker rifuggiva i sentimenti, rifuggiva dalle persone, rifuggiva dall’amore.
In questo caso, stava fuggendo persino da Jill Valentine.
Così si voltò di nuovo dandole definitivamente le spalle. Reimpostò la sua figura autorevole e distinta e andò via.


***


Quel che accadde in seguito, avrebbe preferito non ricordarlo.
Dimenticando il suo odio, non ci fu più nulla che potesse fermare Jill Valentine nell’eseguire gli ordini di Wesker.
In verità, il P-30 non cancellò la sua memoria.
Non aveva questo potere.
Tuttavia inibiva i suoi istinti e i suoi nervi a tal punto da renderle impossibile ribellarsi a ogni reazione che fosse contraria alla sua morale. Fu dunque spinta in quell’oblio in cui il suo unico scopo era essere la Crow Lady al servizio dell’uomo vestito di nero: Albert Wesker.
Niente di più.
Ella divenne il nefasto medico della peste, che infettava il mondo con l’Uroboros…
Avrebbe forse realmente desiderato dimenticare sul serio.Almeno non avrebbe assistito, in quella parte ancora cosciente della sua memoria, alle diavolerie, i marchingegni, gli abomini, che dovette compiere.
Celata dietro la maschera dai bulbi rossi, e avvolta in quel mantello nero, Jill Valentine scomparve del tutto, dovendo portare dentro di se la consapevolezza di esserci comunque lei dietro quella persona mascherata.
Vide davanti ai suoi occhi gente implorarla di non ucciderla, eppure lei meschinamente pose fine alla loro esistenza. A volte lacerando le loro carni, a volte condannandoli con l’Uroboros.
In tutto questo, rivedeva accanto a se Albert Wesker, che soddisfatto proseguiva con i suoi studi.
Non fu più solo la rabbia a straziare l’animo della donna, arrivata a quel punto.
Stavolta, era qualcosa di ben più personale che continuava a ferirla…


Un mese dopo…


Excella Gionne camminava con passo pesante per il corridoio. Dietro di lei, la Bird Lady la seguiva fedelmente.
Entrarono in una stanza, attraverso la quale poteva ammirarsi il laboratorio sottostante grazie al vetro che rivestiva tutta una parete.
La donna dai capelli bruni si affacciò, seguendo svogliatamente i lavori sul suo progetto.
Dal suo volto soddisfatto, sembrava che tutto procedesse per il meglio.
Osservando meglio, da quella panoramica Jill distinse anche la figura di Wesker che, con le braccia incrociate fra loro, seguiva quell’operazione delicata da un altro ufficio al piano inferiore.
Un umanoide era steso sul tavolo operatorio.
Per quanto oramai si fosse abituata a quella visione, Jill continuava a desiderare ardentemente di spostare i suoi occhi altrove. Ma gli impulsi del dispositivo sul suo corpo erano troppo forti, così che lei non potette neanche vagamente reagire alla sua coscienza morale che continuava intrinsecamente a dominarla.
Dal vetro, incrociò gli occhi dell’uomo vestito di nero, che la stava guardando a sua volta.
Lui attraverso le lenti scure, lei dai bulbi rossi della sua maschera.
Nonostante quel contatto visivo non fosse diretto, essi si trafissero negli occhi, comunicando fra loro pensieri che non necessitavano di parole per essere intesi.
Si trattavano di minacce reciproche? Oppure di semplice delusione…?
Nell’animo di entrambi più cose li struggevano, consapevoli di quel qualcosa di sbagliato che continuava a logorarli per il solo fatto che essi fossero vicini.
L’uno rievocava nell’altro una parte del proprio passato che nessuno dei due avrebbe mai potuto cancellare.
Da un lato vi era Jill, la persona tradita. Dall’altro Wesker, che continuava ad essere il tristo mietitore della sua esistenza.
Una mente corrotta come la sua possedeva ancora una coscienza che lo torturasse?
Probabilmente non più… eppure in cuor suo egli sentiva qualcosa di diverso battergli in petto.
Era un odio che lui attribuiva all’orrore del suo passato, alle sconvolgenti rivelazioni ottenute da Spencer. Per questo si era lasciato condurre dalla pazzia e il suo unico scopo ora era creare quel suo stesso mondo di cui non era degno, ma lui sì…lui sarebbe stato il vero dominatore.
Nessuno l’avrebbe ostacolato.
Wesker sorrise velatamente.
Qualsiasi altro pensiero andava in secondo piano rispetto i suoi obiettivi, non accorgendosi nemmeno che frattanto egli stava uccidendo se stesso.
Intanto l’esperimento continuava e lui tornò a fissare gli occhi su quella cavia.
Vide poi i dottori allontanarsi, finalmente. L’operazione era finita.
Wesker dunque girò i tacchi e abbandonò la stanza.
Dal piano di sopra, Excella si voltò verso Jill.
“Ottimo. Ora dobbiamo occuparci di un’altra faccenda. Seguimi.” disse e camminò disinvolta oltre la porta di quell’ufficio, facendo per imboccare le scale.
A metà strada, le due incontrarono Wesker.
“Albert, ti vedo stanco. Tutto procede per il meglio, dovresti quindi smetterla di preoccuparti tanto.” Esclamò suadente, vedendolo leggermente fiacco.
In effetti, l’uomo aveva una brutta cera.
Il suo viso era più sciupato del solito. Se non fosse stato per l’aspetto imponente che caratterizzava la sua figura, sembrava persino ammalato.
Wesker però ignorò del tutto le false premure di quella donna, proferendo giusto poche parole a riguardo.
“Questo mondo è una crudele gabbia ove sopravvive solo chi ha più potere, Excella. Se non siamo noi stessi a badare ai nostri interessi, non lo farà nessun altro.”
La donna dai capelli neri annuì, seguendo con lo sguardo Wesker che intanto saliva le scale, superandola di qualche gradino.
In seguito, vedendolo proseguire, anche lei continuò per la sua strada.
Jill dovette seguirla, nonostante avrebbe voluto poter interagire con Wesker in qualche modo.
L’aver ammesso i suoi sentimenti la metteva enormemente a disagio, tuttavia al col tempo aveva riaperto quella parte di se che desiderava poter ragionare con lui, anche se consapevole che fosse oramai troppo tardi.
Non aveva avuto tuttavia una sola possibilità per farlo, ingabbiata dal meccanismo sul suo petto, distante come non mai da lui...
Quel lungo mese li aveva allontanati nel modo più crudele, freddo e struggente.
Mentre avanzava giù per le scale con Excella, tuttavia, improvvisamente le luci si spensero, ed un allarme risuonò per l’ambiente.
Si accese un’illuminazione rossa, che conferì a quei laboratori un aspetto molto inquietante.
Le due donne si guardarono in giro, spaesate. Wesker, che non si era allontanato di molto, si affiancò a loro.
Egli stette immobile qualche istante, prima di correre per le scale e ritornare nel laboratorio dove era stato in precedenza.
Istintivamente, anche Jill ed Excella lo seguirono, scoprendo presto che i sospetti di Wesker erano fondati.


***





Volevo subito ringraziare infinitamente Astarte90 e Waanzin! Le vostre recensioni sono un sostegno che mi incoraggiano e che mi aiutano a capire come sta procedendo la fanfiction, soprattutto ora che siamo quasi alla fine ed io stessa mi sento un po’ tesa^^. Nonché comunicano quel calore di cui chi scrive ha bisogno!
Grazie per le vostre parole, grazie davvero!
Riguardo questo capitolo…che dire? Spero di aver reso i concetti che rimbombano un po’ per tutta la fanfiction, ma che qui ritrovano una consacrazione più esplicita. Spero che la scena susciti in chi legge quei burrascosi sentimenti che albergano in Wesker e Jill, una coppia dark, impossibile, eppure intrigante e accattivante.
Volevo anche mostrare come l’inganno e l’abbandono totale non sia la soluzione di questo pairing…quell’abbandono totale di cui si accenna nel capitolo 11.
Quella razionalità che teneva in piedi Jill e che l’aiutava a non soccombere e ricordare ogni giorno chi fosse Wesker, è vacillata per un solo istante…tant’è che è bastato però a far vacillare ancora di più di quel che già non era caduto.
Perché è questa la drammaticità di questa coppia. La drammaticità di due antagonisti attratti l’uno all’atra. La drammaticità di chi sa di amare un uomo oscuro, e che dal canto suo è rinchiuso in un baratro che nessuno può orami sperare di cambiare.
Perché per me sarebbe un colossale errore credere di vedere un Wesker pentito.
Wesker si ama e si odia, e nella mia visione che cerca di essere IC con lui, egli non rinunzierebbe a se stesso e ai suoi piani. Al contrario, disdegna i sentimenti, disdegna l’umanità, anche la più allettante e la più appagante…non è più nella sua natura abbandonare tutto.
Per questo Jill continua a ripetersi di odiarlo, perché lo sa perfettamente.
Eppure non è bastato a finire nella tela del ragno ancora una volta, nonostante anche lui in questo capitolo dimostra un istante di umanità, che infatti lo turba e lo ferisce di nuovo, non potendo accettare quella parte di se.
Per questo condanna Jill ancora una volta…

Al momento è tutto, ci sentiamo al prossimo aggiornamento!
A kiss <3

  
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