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Autore: Hi Ban    18/12/2012    2 recensioni
Mi ucciderà con il cucchiaino da tè, si disse in uno sprazzo di disperazione, mentre nella stanza non volava una mosca. Quella silenziosità era opprimente, Naruto era al limite della sopportazione.
Che poi, c’è differenza tra un cucchiaino da tè e uno da caffè? E metti che vado a dire in giro che mi ha ucciso con un cucchiaino da tè e invece mi ha strozzato con uno per dolci?
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiashi Hyuuga, Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Quest'unione non s'ha da fare!'
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Mi vuoi sposare?

Cosa non si fa per la nobile casata degli Hyuuga.





Capitolo 1




Hiashi Hyuuga sorseggiava con esasperante lentezza il tè che teneva tra le mani. La cerimonia del tè si era svolta con la solita solennità, degna della casata che era quella degli Hyuuga, e il capoclan era riuscito nel suo intento. Solitamente si impegnava in quella mansione se era alla ricerca di ispirazione per risolvere qualche piccolo problema a cui non riusciva a venire a capo.
Strinse leggermente la tazza di antica manifattura – quella personale, quella che si tramandava di padre in figlio e via discorrendo – e, con gli occhi decorosamente chiusi, si sforzo con tutto se stesso di non cedere alla rabbia e di mantenere la calma.
Era solo un piccolo problema, certo, il suo non era che un inutile dettaglio che doveva mettere a punto, per riportare la situazione alla perfezione originaria. Nulla di cui preoccuparsi, una ben fatta cerimonia del tè gli avrebbe mostrato la soluzione, così come era già stato per innumerevoli altri ‘disguidi’ che si erano presentati.
Si costrinse a bere un altro sorso, l’uomo, benché il piacevole gusto del tè verde gli fosse particolarmente sgradito in quel momento.
Come poteva anche solo…
Espirò e sospirò con una certa veemenza mal celata e solo in quel momento il maggiordomo che si trovava sulla porta manifestò la sua presenza.
«Hyuuga sama» disse soltanto, non aggiungendo altro.
Hiashi non rispose, gli occhi ancora chiusi e in attesa dell’illuminazione. Che sarebbe giunta, doveva arrivare per forza, o lui stesso era certo che il mondo sarebbe andato in contro alla fine del mondo e gli Hyuuga avrebbero finito con il cadere in disgrazia, costringendo future generazioni a vivere una vita deplorevole e priva di ricchezze.
E questo tutto a causa di quel piccolo, minuscolo, invisibile intoppo che un disgraziato mattino aveva bussato alla sua porta. O meglio, l’aveva sfondata e il resto era venuto tutto da sé.
Ripensandoci, comunque, mentre dava l’ennesimo misurato sorso al tè , si rese conto che quel problema di poca importanza, come ottimisticamente l’aveva definito fino a poco prima, non era né piccolo né minuscolo né tantomeno invisibile.
E nell’arco di dieci secondi periodici ne ebbe l’ennesima conferma volta a distruggere tutta la sua vita. E quella del suo clan. Cosa ne sarebbe stato della sua famiglia? Hiroe, Hinata e Hanabi?
Ah, no, Hinata non sarebbe sopravvissuta a quella sciagura e di certo non perché il clan sarebbe finito in malora. No, la ragazza, la sua primogenita l’avrebbe uccisa lui stesso, perché lei era parte integrante del problema. Oh, kami del cielo, se lo era.
Hiashi sentì la tazzina incrinarsi leggermente nella sua mano – forse la stava tenendo troppo stretta lui, forse le antiche ceramiche del clan sentivano il pericolo meglio delle persone stesse – quando un urlo agghiacciante risuono per tutto il giardino di villa Hyuuga, manifestando la presenza del problema.
Un «tadaima!» urlato a piena polmoni che fece tremare la tazzina tra le mani di un arrabbiato Hiashi, che si sforzò di non urlare a sua volta improperi di ogni genere, ma nella sua mente poté fare ben poco per far tacere la i suoi pensieri astiosi, che divenivano via via più coloriti.
Tadaima un corno, lui non torna a casa qui, in questa casa, lui e la sua idiozia, tadaima un corno!’
«Hyuuga sama» soffiò nuovamente l’anziano maggiordomo di famiglia sulla soglia della porta.
«Nishikado» disse con calma ed austerità Hiashi, sperando ottimisticamente e con una gran dose di illusione di finire la frase «per nessuna ragione al mondo permettigli di en–»trare!
La porta scorrevole si aprì con veemenza e produsse un tonfo sordo che fece intuire ad Hiashi che doveva essersi rotta. Teneva ancora gli occhi ben serrati, con la tazza in mano e metà del contenuto sul pavimento. Nishikado aveva intuito il pericolo e, nonostante l’età, si era letteralmente gettato di lato, prima che venisse travolto dalla furia che ora sorrideva sulla soglia.
Nel farlo, comunque, era finito addosso al padrone, che era rimasto immobile, senza nemmeno voler controllare l’entità del danno.
«Hyuuga sama, la prego di perdonarmi, io–» prese a scusarsi con formalità l’uomo, mentre si inchinava frettolosamente, per quanto lo concernesse il dolore alla schiena.
«Non… preoccuparti, Nishikado» borbottò, benché si stesse a stento trattenendo dall’alzarsi e fare una strage di massa che lo avrebbe sicuramente sfigurato dinnanzi agli occhi del clan e, sebbene fosse certo che la prigione sarebbe stata facilmente evitabile, l’assassinio non poteva portare nulla di buono alla sua reputazione.
Poi l’essere, che era la fonte di tutti i suoi problemi, aprì la sua bocca e Hiashi si appellò alla tazzina che aveva in mano per trattenersi dal compiere i suoi truculenti propositi di liberazione da quell’abominio di ragazzo.
«Ohe, jiji, che ci fai qui?» chiese anche leggermente scombussolato Naruto Uzumaki, i capelli biondi sparati in testa per la corsa appena fatta e un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.
Nishikado si fece avanti, come se effettivamente conoscesse le intenzioni del suo padrone e salvarlo da atti criminali era uno dei suoi doveri. C’era scritto nel contratto di assunzione, altroché.
Hiashi, comunque, continuò a tenere gli occhi chiusi, benché un mezzo tic al sopracciglio destro rovinasse decisamente l’aria di calma che si stava costringendo ad assumere.
Con un grande sforzo sorvolò sul nomignolo di ‘jiji’ che quell’ammasso di idiozia gli aveva affibbiato e la tazzina fece un altro sinistro rumorino – era l’unica cosa al momento che gli impediva di alzarsi e ucciderlo, letteralmente.
«Questa è casa mia, Uzumaki» sibilò con fare minaccioso, un accostamento piuttosto grottesco con l’aria pacifica che stava mostrando.
Beh, pacifica per quanto lo concerneva essere Hiashi Hyuuga dalla nascita; Kiba Inuzuka non glielo aveva mai riferito di persona, ma secondo lui il capoclan era nato già con quella terribile espressione di rimprovero. Era ancora vivo, perciò se lo era tenuto per sé.
«Ah, certo… Stavo cercando Hinata! Non è qui? Dove posso trovarla, mh, jiji?» aggiunse in tono lamentoso e smanioso al tempo stesso, tanto che Hiashi fu quasi tentato di aprire gli occhi per vedere l’orribile espressione che doveva aver messo su. Si trattenne a stento, solo memore del fatto che se li avesse aperti anche solo di un millimetro, al solo scorgere quella zazzera insopportabile, nel giro di un quarto d’ora lui e il maggiordomo avrebbero dovuto occultare un cadavere sotto i tatami della sala e far passare la sgradevole puzza per l’odore nauseabondo dei gelsomini lì fuori.
Nishikado fece passare il suo sguardo esitante dal padrone al ragazzo della figlia del padrone e viceversa per parecchie volte, prima di scorgere un movimento anomalo all’angolo della bocca di Hiashi san e la bocca di Uzumaki san aprirsi nuovamente, pronto a dire qualcosa.
Lui agiva sempre per il bene del clan.
«Uzumaki san, la signorina Hinata al momento è in conferenza con Hyuuga sama e non può–»
«Eh? In conferenza?» Che termini usava quello lì? «Ma lui è qui, allora dov’è Hinata chan?» chiese ancora più confuso di prima.
Hiashi era certo di non voler aprire gli occhi nemmeno per sbaglio quella volta: l’espressione di totale deficienza sul suo volto quando non capiva qualcosa – ed accadeva molto spesso – era tanto irritante da spingerlo a non volerla vedere di sua spontanea volontà.
«La signora Hyuuga, sua madre» specificò paziente l’anziano, sperando che quella sua ultima affermazione lo spingesse a comprendere che quello non era né il momento né il luogo.
Naruto non comprese proprio un bel niente, infatti ripartì alla carica.
«E dove posso trovarla?» insistette, cosa che provocò un certo moto di rabbia cieca in Hiashi.
Lo avrebbe ucciso con le peggior armi di tortura del suo clan del periodo Edo che teneva nell’armeria.
Brutto piccolo arrogante marmocchio che…
«Ohe, jiji! Dov’è Hinata chan? Non fare il misterioso, non puoi tenertela tutta per te!» sbottò Naruto con un tono particolarmente serio che portò Hiashi a chiedersi perché quell’idiota non fosse già morto. Poteva assoldare un sicario, chi avrebbe sospettato di lui, solo perché più e più volte aveva dimostrato di non sopportare minimamente quell’idiota?
Nishikado vide il padrone strizzare gli occhi con una certa foga, cosa piuttosto singolare da parte di Hyuuga sama e comprese che per quel mattino era davvero giunto al limite della sopportazione.
«Uzumaki san, la prego di tornare… più tardi» disse, mentre Hiashi espirava in maniera rumorosa, perché fosse stato per lui quell’idiota non ci sarebbe mai più tornato in casa sua, con la sua sudicia persona ad appestare i suoi tatami e la sua proprietà.
«Cinque minuti vanno bene? Il tempo di andare in bagno e–» Naruto non riusciva proprio a comprendere la gravità della situazione o non avrebbe nemmeno tentato di continuare quella conversazione.
Hiashi emise quello che era un mezzo suono quasi impercettibile, poteva benissimo essere scambiato per il tatami che cigolava, ma Nishikado comprese che Hyuuga sama non avrebbe retto a lungo.
Agì con la forza. Afferrò Naruto per il braccio e lo invitò a seguirlo fuori.
«Eh? Perché?» chiese senza comprendere.
«La signorina Hyuuga al momento non è disponibile, la prego di tornare verso il tardo pomeriggio» a quell’ora Hiashi non ci sarebbe stato e, benché sapere che era in casa era motivo di ira, era sempre meglio che continuare ad averlo a pochi metri di distanza in quel momento.
«Oh, certo… beh, arrivederci allora! Ciao, jiji!» e seguì il maggiordomo fuori dalla porta.
Impercettibilmente, Hiashi tirò un sospiro di sollievo; se lo era tolto da piedi, per quel mattino aveva salvato se stesso dal compiere un atto così indecoroso come un omicidio. Utile, certo, ma poco dignitoso.
Ad un tratto, neanche mezzo minuto dopo, la voce di quel… beota, sì, beota poteva andare, giunse nuovamente alle sue orecchie.
«Oh, maggiordomo san, cos’ha jiji? Non ha aperto gli occhi nemmeno per un attimo, ha la congiuntivite? Posso prestargli il collirio del mio amico, anche a lui ogni tanto gli occhi diventano rossi e strani…»
«Da questa parte, Uzumaki san» e poi entrambe le voci scomparvero.
Hiashi aprì gli occhi e li tenne puntati sulla porta scorrevole chiusa.
La tazzina tra le sue mani, quasi vuota a causa del piccolo incidente di prima, l’unico appiglio di salvezza che lo aveva salvato dall’uccidere l’Uzumaki, mostrò un’indecente crepa che partiva dal bordo e andava fino al fondo.
La tazza si era rotta.
In due.
Lui era fuori di sé dalla rabbia.
La tazza si era crepata.
Si era crepata la tazza, si era spazientito lui.
Naruto Uzumaki sarebbe crepato insieme al cimelio del clan che aveva ucciso con la sua idiozia.



Al ritorno di Nishikado, che si massaggiava una tempia con lentezza e probabilmente aveva da vantare un mal di testa degno delle chiacchiere dell’Uzumaki che si era dovuto subire, la tazza era stata prontamente sostituita e quella rotta fatta scomparire. Rompere una tazza poteva essere ritenuto sì un semplice incidente, ma anche un nefasto presagio; cosa più tragica ancora era che rompere un cimelio del genere era seriamente oltraggioso e, nonostante la tazza fosse stata sostituita con una identica – il clan Hyuuga era sempre un passo avanti e preveniva anche i più tragici incidenti –, rimaneva comunque una cosa piuttosto grave.
Niente tè verde, quella volta. Il tè nero aveva preso il suo posto, benché non ci fossero poi tutte queste grandi differenze.
Mentre sorseggiava la bevanda e Nishikado attendeva in silenzio qualche comando, come di consueto di fianco alla porta – rotta, dannazione, era riuscito a rompere anche la porta! –, Hiashi Hyuuga comprese un sacco di cose decisamente tragiche e drammatiche.
Se si vedeva nei kami l’unica spiegazione alle tragedie del mondo, Hiashi avrebbe chiaramente attribuito la nascita di quel Naruto Uzumaki ad uno che aveva in poca simpatia la famiglia Hyuuga. O forse mal sopportava solo Hiashi, perché quello che rimenava sempre più scandalizzato dal ragazzo era lui, addirittura Hinata aveva fatto più volte cenno al fatto che ne era innamorata.
L’avrebbe diseredata, quello era certo, non poteva permettere che il nome degli Hyuuga venisse infangato da quel concentrato di stupidità.
Solo uno come lui poteva riuscire nel rovinargli al giornata nell’arco di cinque minuti, urlando e rompendo cimeli e porte.
Quell’idiota. Doveva solo trovare un modo per toglierselo definitivamente dai piedi, così che tutto tornasse come prima, Hinata sposasse un magnate di qualche altra grande compagnia commerciale e il clan Hyuuga vivesse per altri cento anni nella più rispettabile condizione che spettava ad un clan del genere.
Doveva esserci un modo, uno semplice e veloce…
Hiashi aprì gli occhi; li tenne fissi sulla porta scorrevole incrinata verso l’interno e non disse una sola parola. Poi abbaiò un severo «Nishikado!» e l’anziano per poco non venne colto da un infarto che avrebbe messo fine alla sua carriera di fidato maggiordomo degli Hyuuga. Aveva ancora tanto da dire, ad esempio alla cuoca, che la trovava bellissima e gentile, al giardiniere, a lui doveva dire che le rose gialle stonavano molto con i lillà viola…
«Sì, Hyuuga sama?» chiese e per un attimo Nishikado temette il peggio.
Il padrone era immobile, con quell’espressione che solitamente non presagiva nulla di buono.
Piani astrusi, si trattava molto spesso di cose del genere, ma nessuno finiva come Hiashi si aspettava. Il capoclan rimase in silenzio, nonostante avesse tempestivamente chiamato all’attenti il maggiordomo. Hiashi sapeva che a tutti i problemi c’era una soluzione e infatti aveva trovato un piano che non sarebbe potuto fallire per nessuna ragione al mondo, nemmeno se quell’idiota patentato avesse pagato oro per salvarsi.
Una volta aveva tentato di fargli dare un esame chiaramente sopra le sue capacità intellettuali. L’aveva scampata, Hiashi non osava ricordare come, ma ce l’aveva fatta. Poi l’aveva obbligato a prendere la patente, certo che quell’idiota avrebbe fatto esplodere il motore semplicemente mettendo la chiave. Ce l’aveva fatta di nuovo, ma era stato solo un fortuito caso.
Quella volta aveva la soluzione perfetta per togliersi dai piedi Uzumaki Naruto, in modo da non dover più avere problemi con lui.
Era incostante, lo dimostravano i suoi vani sforzi di raggiungere un voto accettabile all’università, passando sempre per il rotto della cuffia. Non sapeva gestirsi la sua vita, non sapeva prendersi le sue responsabilità. Quale miglior scelta se non quella di affidargli tante responsabilità da farlo collassare al solo sentirle? Non avrebbe mai accettato, ne era certo. Era troppo stupido per fare fronte a situazione delicate e difficili come quelle che spettavano a chi si rimetteva alle condizioni di Hiashi Hyuuga.
Hinata avrebbe capito, certo… e in caso non lo avesse fatto l’avrebbe comunque diseredata, Hanabi avrebbe preso il suo posto e tutto si sarebbe concluso. Ma no, Naruto Uzumaki era un essere che andava eliminato alla radice, perché anche se avesse deciso di diseredare quella… quella… Hinata, ecco, sarebbe stata un’ulteriore smacco per la casata quello di vedere una figlia del capoclan che, oltre ad essere stata diseredata, se ne stava con quel molesto idiota che era Uzumaki.
Ma presto avrebbe smesso di essere un problema, quello era sicuro.
«Hyuuga sama» intervenne docilmente Nishikado, che rimase particolarmente intimorito nel vedere l’espressione di sadica soddisfazione fare a pugni con l’aria di austerità e di contegno che tentava di mantenere.
«Nishikado,» la presa attorno alla tazzina si fece più salda, tanta era la soddisfazione «convoca qui per domani quell’idiota di Uzumaki Naruto» ordinò e il maggiordomo eseguì un breve inchino.
Che volesse ucciderlo? Nishikado dubitava che tanta soddisfazione potesse coglierlo se non in vista della prematura dipartita del ragazzo.
Prima che potesse uscire per adempiere ai suoi doveri, accaddero due cose piuttosto significative; o meglio, due disgrazie, una connessa all’altra.
Prima la tazzina da tè emise uno scricchiolio piuttosto sinistro e fece la stessa fine dell’altra, con una lunga crepa dal bordo al fondo e poi un «Konnichiwa!» piuttosto esultante provenne dal giardino.
Hiashi fremette e si rivolse al maggiordomo: «Nishikado, non farlo entrare per nessuna ra–»gione.
Per nessuna ragione, certo.
Ad un tratto la porta si aprì con tanta foga che rimase letteralmente in mano a Kiba Inuzuka, che la osservò prima con confusione e poi con orrore. Il terrore più puro lo colse quando vide chi vi era nella stanza.
Hiashi Hyuuga lo osservava con una gelida furia che bloccò anche Nishikado, intento a fare le sue più sentite scuse per essere di nuovo finito addosso al padrone, versando il tè.
«Oh… eh, io… Hyuuga san… eh…» Kiba farfugliò qualcosa che era molto simile ad un ‘buona giornata’ e corse via, mollando la porta a terra.
Nishikado la osservò con fare sconvolto.
Hiashi non fece nemmeno caso al tè che gli colava dalle mani e gli inzuppava i vestiti.
Chiuse gli occhi.
«Tutti e due» sibilò con ira, «in un solo giorno» riaprì gli occhi, Nishikado pensò che fosse il caso di chiedere alla cuoca di scappare con lui lontano da lì «no».
La tazza finì di creparsi in due e cinque minuti dopo l’amante dei cani Kiba Inuzuka scappava a gran velocità da una dozzina di golden retriever – ironia della sorte.



«Teeeeeme!» gridò a pieni polmoni Naruto Uzumaki, benché il suo amico e coinquilino – di quel passo anche assassino – si trovasse a soli venti centimetri di distanza.
Gli stava anche invadendo lo spazio personale, cosa per cui Sasuke Uchiha avrebbe davvero ucciso chiunque avesse osato oltraggiare la sua persona il quel senso, ma era chiaro che Naruto non sarebbe stato zitto nemmeno da morto, perciò inutile sporcarsi le mani inutilmente.
«Ti sento anche se non urli, idiota» lo freddò, mentre minuziosamente mangiava prima tutta l’insalata nel suo piatto, lasciando per ultimi i pezzi di pomodoro, che preferiva mangiare con la debita calma, per assaporarli meglio.
Seduti al tavolo della cucina del loro appartamento, i due coinquilini intrattenevano quella conversazione da almeno venti minuti, ovviamente senza buoni risultati.
Forse era meglio dire che Naruto parlava e Sasuke mangiava senza dare segni di vita, ma in sostanza le cose stavano così. Fortunatamente Sakura non c’era o gli avrebbe cambiato i connotati e lo avrebbe sicuramente sgridato, dicendogli che mostrava una codardia degna di un idiota.
Ma Naruto sapeva che non si trattava di avere paura. No, non era codardia.
Era solo la più grande tragedia che si fosse abbattuta sul Giappone da trecentomila anni a quella parte.
«Ma tu non mi ascolti, questa è una cosa grave!» ripeté per l’ennesima volta, come se per l’Uchiha cogliere il concetto fosse una cosa decisamente complicata.
Sasuke non diede segno di starlo ascoltando più di prima, cosa che creò letteralmente il pandemonio, visto che Naruto trovava veramente che quella fosse una tragedia su scala mondiale.
«Visto? Non ascolti! Io ho bisogno di aiuto!»
«Appunto, trova un buono strizzacervelli e smetti di urlare» gli consigliò, prendendo un’altra forchettata di ‘roba verde’, come la chiamava Naruto.
«Hai capitolo cosa intendo, teme! Potresti almeno far finta di aiutarmi! Io ti ho aiutato quando avevi problemi con Sakura chan!» gli ricordò con fare oltraggiato.
«Tu non hai fatto proprio niente e io non sono mai venuto a raccontare i fatti miei a te» chiarì piuttosto stizzito, mentre uccideva letteralmente un pezzo di pomodoro per infilzarlo con la forchetta.
No, non aveva ancora finito l’insalata, ma parlare con Naruto lo metteva in uno stato di ira incontrollabile a cui solo i pomodori potevano porre rimedio. O meglio, aiutavano, ma non gli impedivano di ucciderlo sbattendolo ripetutamente di testa contro il tavolo se avesse continuato a dire idiozie.
«Oh, e allora quando mi hai detto che saresti morto di crepacuore se Sakura non avesse ricominciato a parlarti?» chiese spiccio, intenzionato a portare a galla tutte le testimonianze possibili per spuntarla su quell’idiota di Sasuke.
Quest’ultimo, dal canto suo, rischiò di uccidersi con un mezzo cubetto di pomodoro – accuratamente tagliato – che gli andò di traverso, perché se c’era una cosa che lui proprio non sopportava era rivangare episodi sconvolgenti e imbarazzanti. Tipo quando aveva dato fuoco ad un cespuglio in giardino in una crisi adolescenziale a cui Itachi aveva dovuto mettere fine inondando con l’idrante da giardino sia lui che il cespuglio. O quando si era messo ad urlare come un invasato nel parco dietro la scuola; chiamava il nome di Sakura, invitandola ad uscire con blande minacce, poiché era certo che lei si trovasse nascosta lì in giro. Nuovamente era intervenuto Itachi e lo aveva caricato in macchina.
Insomma, quel tipo di episodi che di cui lui era protagonista ed artefice, in cui Itachi era sempre il salvatore indiscusso – non si è mai capito il perché – e che Naruto si premurava periodicamente di riportare sempre alla luce della verità.
Brutto bastardo di un dobe. E poi voleva anche il suo aiuto?
«Ero ubriaco, idiota» gli ricordò a mezza voce, benché i suoi propositi fossero perlopiù incentrati sull’insultarlo e poi ucciderlo con la forchetta, in maniera tanto efferata da rendere irriconoscibile il corpo.
«Ah, già, ricordo che poi ridevi e dicevi che il tuo niisan ti aveva fregato lo scoiatt–»
«Sta’ zitto» sibilò con veemenza, benché ormai il danno fosse parzialmente fatto.
Possibile che se li ricordasse tutti, i momenti imbarazzanti della sua vita? Cos’era, se li annotava da qualche parte per poi impararli a memoria e prenderne qualcuno a caso da raccontare ai presenti del momento? A quel punto era scontato scommettere su cosa avrebbe proposto l’idiota al discorso di commiato al suo funerale.
«Beh, comunque ti avevo aiutato! Ho chiuso te e Sakura chan in una stanza e i problemi li avevate risolti anche piuttosto bene» concluse con un sorrisetto soddisfatto.
Sasuke non era del tutto certo che la sua soddisfazione fosse per l’onniscienza che vantava per quanto effettivamente successo nella stanza quella notte o solo perché li aveva chiusi dentro insieme.
«Resta il fatto che devi aiutarmi!» tornò nuovamente all’attacco l’Uzumaki, che non era intenzionato ad uscire da quella stanza se il ragazzo non lo aiutava.
In verità non voleva uscire dalla stanza perché temeva di morire da un momento all’altro, ma erano dettagli. «È una vera disgrazia!»
Sasuke era ritornato alla sua insalata divisa per colori.
Naruto non demorse.
«L’apocalisse si abbatterà su di noi!»
Niente. Una foglia di insalata veniva accuratamente masticata dall’Uchiha.
«Morirò se non mi aiuti, dannato Uchiha!»
Massì, un pomodoro se lo poteva anche concedere, tanto le foglie di insalata era in inferiorità numerica sui quadratini di pomodoro.
«Se muoio vuol dire che crepo!» enfatizzò ancora, ma anche l’ennesimo tentativo non ottenne alcun buon responso.
«Il mio spirito ti perseguiterà, ti sveglierò la notte imprecando al tuo nome, urleroooooo– mfphhhh bastarfo!» Naruto prese a sputare convulsamente le foglie di insalata che Sasuke gli aveva cacciato in gola per farlo tacere.
Se le era anche tolte di mezzo, ora aveva solo i pomodori da mangiare.
«Sei… puh! Che schifo! Roba verde, teme sei veramente un bastardo! È così che si aiutano gli amici, strozzandoli con ‘sta roba? Puh!»
«Per le tue abitudini alimentari forse è un po’ azzardato aggiungere qualcosa di sano, ma sfortunatamente un po’ di verdura non ti ucciderà» commentò Sasuke, mentre Naruto si era alzato e deambulava per la stanza sputacchiando saliva a destra e a manca.
Naruto incrociò le braccia al petto e in tutta la sua dignità di mostrò nella sua espressione più offesa.
Come poteva davvero essere così crudele, quel… quel… quell’essere a cui lui aveva addirittura offerto da mangiare?
Un pranzo, sì. Un paio di anni fa, effettivamente. Ok, erano soldi che aveva fregato all’Uchiha stesso, ma erano solo inutili dettagli, visto che in un modo o nell’altro quell’antipatico stava snobbando il loro legame pseudo fraterno.
Stupido Uchiha.
Era ancora in piedi a poca distanza da lui, sempre stoicamente immobile e con il mento all’insù.
Poi tentennò per un attimo.
Infine si rese conto che quel dannato Uchiha era la sua unica possibilità di salvezza.
In un attimo si fiondo letteralmente ai suoi piedi e si mise in ginocchio, impegnandosi in quella che solo mezzo minuto dopo si rivelò essere una cantilena assordante e snervante.
«Ti prego, teme, tipregotipregotiprego!»
Si era aggrappato alla sua gambe, Sasuke accertò la cosa abbassando di poco lo sguardo.
Osservò l’Uzumaki ai suoi piedi con una certa indifferenza, poi portò la forchetta ad un millimetro dalla sua mano.
«Staccati» sbottò, ma l’Uzumaki probabilmente nemmeno lo sentì.
«… ti prego, ti prego, ti prego…»
«Uzumaki.»
«Ti prego, ti prego, ti preg– Ahia, bastardo!»
Sasuke gli aveva infilzato la mano con la forchetta.
Magicamente, Naruto si staccò e lui tornò ai suoi quadratini di pomodoro.
Era calato improvvisamente il silenzio, rotto solo dalla forchetta che tintinnava contro il piatto e gli sbuffi non troppo ben camuffati da sbadigli molto assonnati di Naruto.
L’Uzumaki ci provò davvero a stare zitto, mosso da una mera speranza che forse l’Uchiha lo avrebbe assecondato se lui avesse tenuto la bocca chiusa per un po’.
Ma del resto era sempre Naruto Uzumaki, eh.
«Teme, ti prego! Ti… farò… oh, che cacchio, farò quel che ti pare, ma salvami!»
Sasuke mangiò l’ultimo quadratino di pomodori e poggiò la forchetta nel piatto. Poi si rese conto che alla fine l’unica cosa da fare per far tacere quel surrogato di persona era assecondarlo. O ucciderlo, sì, anche quello avrebbe garantito il silenzio, ma Naruto aveva già minacciato un suo ritorno sotto forma di spirito scassapalle, perciò no, non aveva altra scelta.
«Basta che stai zitto, dobe» gli disse, portando il piatto nel lavandino.
«Da-davvero? Oh, teme, lo sapevo che anche tu avevi un cuore sotto quello strato di pelle e ossa! Beh, certo, a te pompa succo di pomodoro e non sangue, ma…»
Sasuke stava davvero per dirgli qualcosa come ‘zitto e parla’, ma fece in tempo lui stesso a rendersi conto che non voleva dire nulla, perciò prese un profondo respiro.
«Non farmi cambiare idea» borbottò scocciato.
Anche quella volta sarebbe venuto a salvarlo il suo niisan da quella tragedia?



«Io non vedo dove sia il problema» disse semplicemente alla fine Sasuke, dopo aver ascoltato il patetico monologo di Naruto, in cui il ragazzo si lamentava della triste sorte che gli era capitata, facendo solo di tanto in tanto accenni a quale fosse il problema.
In definitiva, da quel che aveva capito, tutta la tragedia che decantava l’Uzumaki come futura apocalisse che avrebbe devastato il Giappone non era altro che frutto della sua capacità di ingigantire tutto senza motivo.
Gli ricordava vagamente Shisui.
Naruto era ammutolito dinnanzi alla considerazione ultima elaborata da quello che in teoria doveva essere il suo migliore amico.
Ma un migliore amico non smontava tutta la drammaticità con cui il compare farciva la discussione, lo appoggiava, perciò forse c’era qualcosa che non andava.
Di certo non era lui che vedeva la questione dal punto di vista sbagliato, era Sasuke che lo tradiva bellamente.
«Non… non lo vedi?» chiese piuttosto scettico, non riuscendo proprio a capire da dove fosse venuta fuori una risposta così stupida.
«No» ribatté placidamente Sasuke, perché effettivamente lui non lo vedeva.
«Ma dannato Uchiha, mettiti un paio di occhiali!» urlò Naruto a squarciagola, insorgendo con rabbia e veemenza. Da seduto qual era sul divano dell’appartamento – regalo di Mikoto Uchiha, santa donna – si portò in piedi e prese a passeggiare per la stanza, gesticolando e parlottando tra sé e sé.
Sasuke continuava solo a capire ‘stupido Uchiha’ e varianti della stessa imprecazione, solo un tantino più scurrili. La cosa non lo metteva di buon umore, ma non aveva voglia di ascoltare altri farneticamenti da parte di quell’ameba, perciò lo lasciò fare.
Di colpo, poi, Naruto si lanciò addosso a Sasuke e lo prese per le spalle.
«Come fai a non vederlo?! È grande quanto una casa, un transatlantico in confronto è una formica, è grave, una tragedia, morirò» terminò il tutto con un insolito tono lugubre.
Sasuke non rispose.
Avrebbe voluto fargli notare che se era grande quanto una casa, il paragone con il transatlantico non reggeva, ma al momento era il minore dei problemi.
«Qual è il tuo problema?» lo chiese, non che poi si aspettasse una qualsivoglia risposta.
Conosceva da tanto lui e la sua stupidità da sapere senza riserve che non aveva nessun tipo di problema, Naruto. Era semplicemente nato stupido e senza materia cerebrale, tutto il teatrino tirato su fino a quel momento ne era solo l’ennesima prova schiacciante.
«Te l’ho detto qual è!» biascicò con un filo di voce Naruto, che nel frattempo si era ridisteso sul divano, premendo la faccia contro i cuscini e mugugnando.
Sasuke si era spostato sulla sedia lì di fianco.
«Non stai per morire, Uzumaki, ti ha solo chiesto di–»
Naruto si tirò su poggiandosi sui gomiti e girando la testa in una pessima imitazione della bambina dell’esorcista. «Non finire la frase, non finirla dannazione! È la mia rovina, una sciagura… moriremo tutti… sì, anche tu, teme, così impari a non avermi aiutato quando ne avevo bisogno, almeno avrò una consolazione… aaaaah!» sprofondò di nuovo con la faccia tra i cuscini.
Sasuke sbuffò seccato, per poi abbandonarsi contro lo schienale della sedia.
Come poteva davvero esistere un esemplare di persona così fastidioso? Forse lui era unico nel suo genere e pertanto andava soppresso. Come logica non teneva troppo, visto che in quel caso più che altro bisognava pensare alla sopravvivenza della specie, ma erano dettagli.
«Naruto» iniziò, tentando di essere quanto più diplomatico, benché fosse conscio di star digrignando vagamente i denti nel tentativo di non prendere quell’idiota e farlo diventare parte del muro. «Non ti ha chiesto di–»
«Morirò più giovane di teeeeee» Naruto ululò letteralmente e Sasuke ebbe una fugace visione di lui che lo faceva a pezzi e lo metteva in lavatrice.
Se le cose continuavano di quel passo, sarebbe diventata solo la macabra realtà.
«Uzumaki, piantala, non morirai solo per una stupida proposta!» sbottò quando ormai nell’appartamento risuonavano solo più gli sbuffi misti a singhiozzi e quant’altro del ragazzo.
Naruto lanciò un urlò terrorizzato degno di una vera persona terrorizzata che ha un motivo vero per essere terrorizzata.
Sasuke si arrese.



Il giorno prima, villa Hyuuga, soggiorno.





Naruto stava scomodo seduto sui talloni com’era, ma da quella posizione sapeva di non potersi muovere né lo voleva.
Ogni minimo movimento fatto era stato intercettato, fino a quel momento, dal capoclan e le occhiatacce che gli aveva lanciato non erano state esattamente felici.
Mi ucciderà con il cucchiaino da tè, si disse in uno sprazzo di disperazione, mentre nella stanza non volava una mosca. Quella silenziosità era opprimente, Naruto era al limite della sopportazione.
Che poi, c’è differenza tra un cucchiaino da tè e uno da caffè? E metti che vado a dire in giro che mi ha ucciso con un cucchiaino da tè e invece mi ha strozzato con uno per dolci?
Naruto deglutì, ma tentò di farlo senza dare troppo nell’occhio. Purtroppo, il suo buon proposito per poco non lo fece strozzare con la sua essa saliva, cosa che lo portò ad una serie di colpi di tosse convulsi.
Hiashi lo freddò con la peggiore delle occhiate.
Hinata, seduta al lato destro del padre, lo osservava con un misto di disperazione, amore, rassegnazione, ammirazione e angoscia. Erano solo loro tre, più il tal Nishikado che ogni tanto faceva la su apparizione.
Naruto se la stava davvero facendo sotto.
Raramente Hiashi lo convocava direttamente a villa Hyuuga, con l’intento di parlargli. Non aveva mai ben capito perché, ma non stava troppo simpatico al vecchio, bah.
Comunque, tutte le volte che lo aveva convocato ufficialmente c’erano state una serie di disgrazie che Naruto soffriva atroci pene solo a ricordare.
Qualcosa gli diceva che quella volta la questione non sarebbe stata tanto differente.
Forse quando era arrivato non avrebbe dovuto battergli una pacca sulla spalla, chiedendogli come andavano gli occhi e tutto il resto. Forse avrebbe dovuto evitare anche di chiamarlo jiji, ma ormai il danno era fatto. La prossima volta si sarebbe sicuramente ricordato di chiamarlo jiji sama, così non si offendeva. Che permaloso. Hiashi non aveva ancora detto nemmeno una parola e per sua fortuna Naruto ebbe la buona idea di non tentare di dire nulla, nemmeno un mezzo commento sul tempo.
«Ranuto-san, gradisce altro tè?» la voce pacata di Nishikado giunse da dietro di sé, facendogli prendere un infarto. Naruto barcollò pericolosamente, minimamente intenzionato ad abbandonare la posizione sui talloni; quando diavolo era arrivato lui alle sue spalle?
Ranuto, poi?
«N-no, sto bene così» e fece un mezzo cenno alla tazza che troneggiava davanti a lui: non ne aveva preso nemmeno un sorso.
Nishikado non demorse; cos’aveva quel maggiordomo quel giorno? «Non ne avete bevuto, Ranuto-san?»
Naruto, e non Ranuto, avrebbe voluto rispondergli con qualcosa di vagamente sarcastico, ma davanti a lui c’era pur sempre Hiashi, che continuava a bere il suo tè senza dare cenno di voler dire nulla, perciò tacque. Prese la tazzina e la vuotò velocemente, lacrimando un attimo dopo al sapore disgustoso che la bevanda aveva. Lo zucchero e la dolcezza in quella casa, eccezion fatta per Hinata, erano due cose sconosciute.
Doveva resistere.
Nishikado scomparve – e grazie al cielo, almeno quello, Naruto la ritenne una piccola vittoria.
Comunque, doveva davvero resistere.
Ok, forse no.
«Dov’è il bagno?»
«Devi prenderti le tue responsabilità, Uzumaki.»
Lui e Hiashi parlarono praticamente nello stesso momento, tanto che nella mente di Naruto si era venuta a creare una roba del tipo «Devi prenderti il tuo bagno, Uzumaki.»
Forse forse non era stato detto quello.
«Eh?» chiese di rimando, gli occhi azzurri spalancati per la sorprese e i talloni che urlavano imprecazioni colorite.
Con la coda dell’occhio vide Hinata voltarsi lentamente verso il padre.
«Otousan» biascicò la ragazza, che Naruto notò essere sull’orlo dello svenimento.
«Devi prenderti le tue responsabilità, Uzumaki, questo non è un gioco» continuò ancora Hiashi, che beveva ancora il suo santo tè.
Si riferiva al bagno davvero o si era perso qualcosa mentre si impegnava a non spostarsi da su i talloni?
Hiashi finalmente posò la tazzina dinnanzi a sé, ignorando la figlia che presto sarebbe capitolata a terra per ragioni a Naruto sconosciute e puntando la sua attenzione completamente sul ragazzo.
«Questa famiglia ha nobili origini, una reputazione da portare avanti. Non possiamo permetterci che qualche indecorosità macchi l’immagine del nostro antico lignaggio» Naruto si chiese distrattamente se il vecchio non potesse usare un registro più moderno anziché uno del periodo Edo.
E no, non ci aveva capito niente, però Hinata sempre ancora sul punto di incontrare il pavimento.
Hiashi assottigliò maggiormente lo sguardo, in tutta la sua austerità, comprendendo che il ragazzo non aveva capito una sola parola del suo discorso. Troppo idiota, come avrebbe potuto?
A beneficio della comprensione dell’Uzumaki, aggiunse ancora: «Le cose, nel clan Hyuuga, vanno fatte secondo antiche tradizioni, tu non sei esente da queste condizioni.»
«Eh?» chiese con un sopracciglio inarcato, a dimostrato la sua totale non comprensione della faccenda. No, il ragazzo non aveva ancora afferrato il concetto.
«Se vuoi stare con mia figlia» iniziò con solennità, mentre Hinata emetteva un flebile suono e si ammutoliva completamente e Naruto deglutiva. Iniziava sempre così quando doveva tirare fuori qualcosa di impossibile. Esame di elettrochimica. Patente in tempi di record. Un paio di condizioni a caso, ovviamente.
«Devi sposare mia figlia secondo le antiche tradizioni del clan.»
Era calato il silenzio più totale, sembrava che perfino gli uccelli fuori si fossero zittiti di colpo.
«Devi chiedermi la sua mano come è usanza. Devi prenderti le tue responsabilità, spero tu sappia cosa comporta. Hai una settimana di tempo per–»
Due tonfi interruppero il suo discorso esplicativo, uno alla sua destra e l’altro dinnanzi a sé.
Erano collassati contemporaneamente, non era forse amore, quello?
Hiashi chiuse gli occhi ed inspirò a fondo.
«Nishikado,» disse, alzandosi e rassettando i suoi vestiti «occupatene tu.»
Quando uscì dalla stanza c’era un qualcosa di soddisfatto nella sua espressione: quella volta Naruto Uzumaki se lo sarebbe tolto davvero dai piedi.



Jiji sta per vecchio, che non è esattamente un modo carino per appellare la gente, ma Naruto è Naruto, perciò pace.-. Ho smesso di seguire manga/anime e via dicendo (se mai ci facessero un drama forse lo guarderei solo per rimanerne scandalizzata e poi scapperei in Tibet a purificare il mio animo devastato XD) perciò non so che evoluzione abbia avuto il suo personaggio... rimango alla sua versione idiota, che va sempre bene.
Detto ciò: la storia l’ho scritta un bel po’ di tempo fa, probabilmente avevo altro da dire, ma al momento non mi viene in mente, perciò non deve essere eccessivamente importante XD
Con questa lunga storia di due capitoli– nata come una one shot ma sfociata in venti pagine .__. – chiudo la serie Naruto/Hinata che avevo iniziato un paio d’anni fa; conta solo tre storie con questa, il ‘progetto’ iniziale era più ampio, ma la coppia ormai non mi dice più granché, è stata soppiantata dal KibaHinata!XD
Il titolo è scontato come un culo, ma sceglierli non è mai stato il mio forte… non ho la più pallida idea di quando metterò la seconda parte perché in teoria dovrei studiare, anche adesso per esempio, ma dettagli .___.
Tra l'altro... accidenti, sparisco da Efp per un paio di mesetti e postare la storia è diventata un'impresa titanica XDXD
  
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