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Autore: javaddseyes    19/12/2012    1 recensioni
- Ti è mai capitato – iniziò, respirando a fatica per l'emozione – di sentirti indesiderato? Di non sentirti mai abbastanza?
Pronunciò quelle parole così piene di significato per lei fissando il cielo stellato, il cuore che le martellava nel petto.
- Ogni giorno. - rispose il ragazzo, buttando la sigaretta a terra.
- Come fai a sopportarlo? - domandò, gli occhi piantati nei suoi. Le sembrò di vedere una scintilla brillare per un secondo nelle sue pupille.
- Io sono Zayn. - si avvicinò ad Alison, porgendole la mano.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I knew you were trouble



Cause I knew you were trouble when you walked in

So shame on me now.






Alison Stoner era una ragazza parecchio strana. Alison il sabato sera non usciva come i ragazzi della sua età: le piaceva, invece, stare tutto il giorno sul suo letto con un pacco dei suoi biscotti preferiti e un libro appena comprato, scappando dalla realtà che era sempre stata dura con lei. Alison non aveva amiche. Aveva solo una sorella maggiore, che era la persona più importante della sua vita. Almeno, fino a quel giorno.

13 dicembre, 7:35
Non appena si svegliò, Alison capì che sarebbe stato un altro mercoledì mattina orribile. Lei odiava i mercoledì mattina. Era quando Frances, la sorella, non passava la pausa pranzo con lei ma con le sue amiche. Alison ci aveva provato, a stare con le sue amiche; aveva provato ad indossare jeans stretti e a vita bassa, a tenere i capelli sciolti e a parlare di moda e ragazzi. Aveva fallito su tutta la linea. Così aveva ripreso ad indossare jeans a vita alta, a sistemare la sua chioma bruna in una coda striminzita e a parlare solo quando veniva interpellata; riusciva a stare zitta persino per giorni. Frances, però, aveva preferito fare un accordo e aveva deciso di pranzare con lei per tutta la settimana, tranne il mercoledì. Il mercoledì era il giorno in cui Frances ridiventava la ragazza popolare e stimata da tutti, mentre per Alison era il giorno in cui mangiava una mela nascosta in uno dei bagni sporchi e otturati della scuola. Quando tutto andava bene.
Come tutte le mattine, si infilò la solita felpa sformata che nascondeva le sue curve marcate e che alcuni avrebbero trovato anche affascinanti, se solo non le avesse sempre nascoste. Mentre si vestiva con movimenti quasi meccanici, pensava con timore a quello che sarebbe successo quel giorno. Sperava che le andasse meglio della settimana prima, quando si era ritrovata con la testa nella tazza del gabinetto. Al solo pensiero, le veniva voglia di vomitare. Si nascose gli occhi azzurri con gli spessi occhiali da vista, ed entrò in bagno con la pelle d'oca. Spazzolava i denti uno per uno, con estrema calma, come a non voler far vedere che fosse terrorizzata nonostante non fosse successo ancora niente. Continuò a lavarsi i denti molto, forse troppo, lentamente, nonostante le urla della sorella che le intimava di far presto. Aveva parlato con la bocca piena di uova strapazzate, di cui l'odore era salito su per le scale e si era insinuato nelle narici di Alison. Lei non faceva colazione. Aveva smesso in seconda media, quando veniva preso in giro per la sua faccia un po' più rotondetta di quella delle sue compagne di classe. Si sciacquò la bocca con il collutorio, e al contatto con il liquido verde le bruciò leggermente il labbro inferiore fatto a pezzi dai morsi. Finalmente, scese. La prima persona che vide fu la madre, che non la degnò nemmeno di uno sguardo. Non la salutò nemmeno, si limitò a fare un cenno con la testa, impegnata a pulire i piatti nel lavandino. Il padre, invece, la ignorò completamente. Continuò a bere il caffè e a leggere il giornale come se lei non fosse davanti a lui. Come se lei non fosse mai esistita. L'unica che si degnò di darle il buongiorno fu Frances, dandole un bacio sulla guancia. Aveva sempre pensato che i suoi genitori preferissero Frances perché lei era praticamente una sua brutta copia. Anche Frances aveva i capelli neri e gli occhi azzurri. Solo che tutti la trovavano bellissima, mentre Alison era stata eletta “miss cesso 2011” al ballo della scuola dell'anno prima.
- Mamma, papà, noi andiamo! - li salutò Frances, afferrando lo zaino celeste. I genitori, ovviamente, salutarono solo lei.

13:15
- Ci vediamo dopo, allora. - la salutò la sorella, prima di andarsene con il suo gruppetto di amiche. Faceva sempre così: ogni mercoledì, prima di pranzo, la andava a prendere in classe, la salutava e se ne andava. A quel punto, Alison prendeva la mela dalla borsa, e si avviava verso il corridoio dove si trovava il bagno. Il problema era attraversarlo e arrivare sana e salva al suo nascondiglio. Non ci riusciva quasi mai. Quella mattina, si sentiva più timorosa del solito. Si affrettò a prendere la mela, e per poco non inciampò nei lacci delle sue converse strappate. Le mani le facevano male, talmente stava stringendo la mela rossa fra le sue dita. “Non devo avere paura” pensò, ingoiando tremante, “Non possono farmi niente. O almeno, niente che mi faccia tanto male”. Incominciò a pensare di aver sbagliato completamente quando vide Matt Barker venirle incontro. Matt era il ragazzo più popolare della scuola, era stato addirittura il ragazzo della sorella. Era da almeno un anno che andava avanti quella storia; nessuno sapeva di quello strano rapporto fra Alison Stoner e Matt Barker. All'improvviso se lo ritrovò davanti, con un ghigno stampato sul volto e il nuovo profumo di Gucci che la investiva in pieno. Per lei, era quello l'odore del diavolo.
- Bene bene, ma guarda chi si vede...La nostra cara Alison. - le afferrò il volto con violenza, mentre lei tratteneva le lacrime. - Cos'è, ti sei messa un po' di matita?
Si era completamente dimenticata che la sera prima Frances l'aveva truccata un po', giusto per passare il tempo. Non aveva pensato a struccarsi, nemmeno a lavarsi la faccia.
- Lo sai che questo non ti aiuterà a diventare più bella? - strinse di più le sue guance, con più forza. - Rispondi, lo sai?
Alison tentò di parlare, ma non le usciva il fiato dalla bocca. Al suo posto, un mezzo singhiozzo risuonò nel corridoio completamente deserto.
- Hai la memoria corta, eh? - le tirò uno schiaffo con la mano pesante che si ritrovava, talmente pesante da farla cascare per terra. - Quante volte ti ho detto di non piangere davanti a me?
Afferrò i capelli bruni con forza, costringendola ad alzarsi leggermente. Sentiva la testa urlarle dal dolore. Dopo minuti interminabili, le lasciò di colpo i capelli e la buttò contro il muro. Matt stava iniziando a divertirsi. Iniziò con colpi leggeri, quasi come se volesse capire se fosse morta o no. Poi i calci aumentarono, ed Alison credette per tutto il tempo di sentire l'intestino sballottare dentro di lei da una parte all'altra. Sentiva il rumore dei capillari che si frantumavano sul naso, sulle cosce, sulle braccia martoriate. Matt si buttò su di lei, tempestandola di pugni, perfino mordendola sul collo, ma lei non lasciò che una sola lacrima le cascasse dagli occhi lucidi. Lo lasciò continuare a tirare schiaffi sonanti e manate, e non emise un solo suono. Solo quando lui se ne andò, lasciandola tremante sul pavimento freddo e bianco, si permise di piangere un po'.

16:00
Quando suonò la campanella della fine delle lezioni, Alison emise un sospiro di sollievo. Si sistemò la borsa sulla spalla, i lividi nascosti dalla felpa enorme, e si affrettò verso l'uscita da scuola. Anche solo camminare le faceva male, ma ormai non ci faceva quasi più caso. Per lei, era un dolore assolutamente normale. Dal muretto di pietra vicino al cancello, intravide la sorella ridere e scherzare con un gruppo di ragazzi, tra cui c'era anche Matt. Alison distolse lo sguardo; non era in cerca di problemi, in quel momento. A sua volta, Frances la vide, salutò il suo gruppo di amici e la raggiunse con un sorriso splendente. In meno di un secondo, la risata cristallina di Frances riempì il cervello di Alison, senza lasciare spazio per altri pensieri.
- Dobbiamo sbrigarci, abbiamo ospiti oggi a cena. - spiegò la sorella, afferrando la sua mano tremante.
- E chi sarebbero? - chiese, senza molto interesse. E' il tipo di domande che si fanno solo per fare conversazione, non perché ci interessino davvero.
- Vecchi amici di papà. Se ho capito bene, vivono a Bradford o lì vicino.
- Capisco. - rispose solo, completamente indifferente. Non sarebbe cambiato nulla. Sarebbe rimasta sempre la figlia invisibile. Frances aprì il portone di casa senza dire niente, facendo scattare la chiave nella serratura. Alison la guardò con gelosia, pensando che i suoi genitori avevano dato la chiave di casa solo a lei, ad Alison no. Non sapeva se fosse per mancanza di fiducia o per totale disinteresse. Salì in camera, senza mangiare nulla nonostante non avesse pranzato. Le era passato l'appetito. Si chiuse nella sua stanza dipinta ancora di rosa, e buttò lo zaino per terra con un tonfo sordo. Si appoggiò al davanzale della finestra osservando i nuvoloni neri e carichi di pioggia. Quando pioveva, spesso si sedeva vicino alla finestra ed osservava l'acqua cadere, infrangersi sulle macchine e sui passanti. A volte, desiderava poter anche lei cadere e scivolare giù.

19:00
- Alison, vai ad aprire? - le urlò la madre dalla cucina. Era una delle poche volte in cui le rivolgeva la parola. Solo quando doveva fare qualcosa. Alison si avvicinò alla porta con passo lento e strascicato, le scarpe che inciampavano nel lungo tappeto persiano. Le costava un'enorme fatica anche solo allungare il braccio per aprire la porta. Le si pararono davanti un signore dalla faccia simpatica, una donna bassina e un ragazzo che poteva aver all'incirca la sua età. Il ragazzo aveva i capelli scuri tenuti su con il gel, e gli occhi nocciola erano circondati da cerchi neri marcati, con pesanti borse sotto le palpebre. Nonostante questo, Alison non potè far a meno di pensare che fosse un bel ragazzo. Il volto del signore esplose in un magnifico sorriso, e le afferrò la mano ossuta con gentilezza.
- Piacere di conoscerti. Tu devi essere la figlia di Bob. Frances, vero? Bob mi ha parlato così tanto di te.
L'accenno del sorriso di Alison si spense del tutto quando sentì il nome Frances.
- A dire il vero no, io sono Alison. - chiarì, la voce leggermente tremante. Notò un accenno di confusione sul volto di quel signore.
- Non sapevo avesse un'altra figlia.
“A quanto pare neanche lui” pensò la ragazza. Fece per parlare, ma suo padre la spinse da un lato e, con un sorriso di quelli che non aveva mai rivolto ad Alison, salutò calorosamente i suoi amici. Il ragazzo, intanto, entrò dentro casa senza lasciar trasparire nessuna emozione. I suoi occhi si fermarono per un secondo su Alison: la ragazza sentì il suo sguardo bruciarle addosso, spogliarla completamente e lasciarla nuda e inerme di fronte a lui. Ma durò solo un secondo. Poi il moro riprese a guardare la parete con occhi vacui. In meno di un minuto, il gruppetto venne raggiunto dalla sorella e dalla madre; Alison si fece da parte quando notò di non fare assolutamente parte di quel quadretto così intimo e amichevole. Le faceva sempre male notare di non essere mai considerata nella sua famiglia; si sentiva come una vecchia tendina di cui tutti conoscono l'esistenza, ma che tutti ignorano. Ecco, come si sentiva Alison. Li guardava abbracciarsi, parlare fra di loro felici, ogni tanto il padre dava qualche pacca affettuosa sulla spalla di Frances, guardandola con amore. Con lei non l'aveva mai fatto. Si era così tante volte scervellata per capire cosa ci fosse di tanto sbagliato in lei da essere così disprezzata, così non amata, ma non aveva mai avuto risposto. Alla fine, si era solamente rassegnata al fatto di non essere mai abbastanza per nessuno. Iniziò a tormentare il tappeto con la punta dei piedi, cercando di nascondere il rossore per la vergogna che le si era dipinta sul viso. Sentì dei passi pesanti, probabilmente di anfibi, e una seconda ombra si materializzò di fianco alla sua sul tappeto rosso. Alzò gli occhi di scatto, incontrando quelli del ragazzo. Notò che la pupilla aveva riempito lo spazio di quasi tutta l'iride, e aveva un qualcosa di spaventoso negli occhi, qualcosa che le fece rizzare i peli sulle braccia pallide. Il ragazzo non accennava a parlare: si limitava a fissarla intensamente, senza nessun accenno di pudore. Passarono secondi interminabili così, ciascuno a guardare dentro all'altro, come se riuscissero a vedere tutta la loro vita in un semplice sguardo. E, per un secondo, Alison vide nei suoi occhi un bambino piccolo che giocava con il cavallo a dondolo appena comprato.
- Ragazzi, venite a mangiare! - la voce della madre riempì lo spazio che si era creato fra di loro, spezzando l'incanto. Il moro le scoccò un'ultima occhiata, prima di voltarsi e dirigersi verso la cucina. Alison si affrettò a seguirlo, ancora sconvolta da quell'incontro così strano. Strano, eppure bellissimo. Si infilò al suo solito posto, proprio di fronte a quello del ragazzo. La mamma le aveva già messo il piatto di pasta davanti; ovviamente, non si era ricordata che lei odiava la pasta con il pesto. Iniziò a giocare con le linguine nel piatto senza mangiarle, nonostante lo stomaco le tremasse sotto la maglietta. Era tutto il giorno che non toccava cibo, e non avrebbe neanche cenato.
- Allora Yaser, come vanno gli affari? - chiese subito suo padre, dando inizio ad un discorso su quanto fosse difficile guadagnare in modo onesto in quei giorni. Alison si perse nei suoi pensieri su quel moro così strano, in sottofondo i discorsi sulla politica e le voci della madre e di quella signora che ridacchiavano per un qualche scandalo sulla celebrità del momento. Prese a fantasticare, come sempre, su come un giorno sarebbe scappata per non tornare mai più indietro, con i suoi che l'avrebbero supplicata di perdonarli. E lei li avrebbe completamente ignorati, come stavano facendo loro con lei. Un giorno avrebbe avuto anche lei una vita diversa. Se Alison avesse immaginato cosa sarebbe significato più in là “vita diversa” avrebbe passato quella serata chiusa in camera sua, senza mai conoscere quel ragazzo. Purtroppo, però, non era andata così.
Un calcio sotto il tavolo la fece sobbalzare di scatto, facendole sfuggire la forchetta dalle mani. Il moro la fissava con due occhi impenetrabili, e con un gesto secco le fece cenno di uscire fuori. Alison annuì, confusa, e si alzò tremante. Seguì il ragazzo fuori di casa, gli adulti troppo impegnati a parlare per accorgersi di loro. L'aria fredda la investì in pieno ed una smorfia le si formò sul viso, mentre lo “sconosciuto” non accennava ad essersi accorto del freddo pungente, sebbene fosse solo in maniche corte.
- Non hai freddo? - la domanda sorse spontanea dalle labbra di Alison. Il moro si girò, come se si accorgesse solo in quel momento della sua presenza. Si infilò una sigaretta fra le labbra prima di parlare.
- Quando ti fai di cocaina il freddo è l'ultimo dei tuoi problemi.
La ragazza non rimase assolutamente scandalizzata. In un certo senso, quasi ammirava i tossico dipendenti. Almeno loro avevano trovato un modo per fuggire dal dolore. Osservò il fumo della sigaretta formare spirali davanti a lei, prima di svanire nel nulla. A volte se lo chiedeva, come fosse drogarsi.
- Ti è mai capitato – iniziò, respirando a fatica per l'emozione – di sentirti indesiderato? Di non sentirti mai abbastanza?
Pronunciò quelle parole così piene di significato per lei fissando il cielo stellato, il cuore che le martellava nel petto.
- Ogni giorno. - rispose il ragazzo, buttando la sigaretta a terra.
- Come fai a sopportarlo? - domandò, gli occhi piantati nei suoi. Le sembrò di vedere una scintilla brillare per un secondo nelle sue pupille.
- Io sono Zayn. - si avvicinò ad Alison, porgendole la mano. Lei gliela strinse, un po' dubbiosa.
- Alison.
- Alison. - ripetè, con un sorriso sulle labbra. Per un istante, la ragazza pensò che quello sarebbe stato un nuovo inizio. Non sapeva che sarebbe stato l'inizio dell'oblio.

14 dicembre, 15.03
Alison iniziò a camminare avanti e dietro nella sua stanza, indecisa come non mai. Era da mezz'ora che scriveva e cancellava il suo numero sul cellulare, le unghie ormai inesistenti. La sera prima, quando Zayn le aveva dato il suo numero dicendole “chiamami domani”, era rimasta con la bocca spalancata per la sorpresa. Si era soprattutto chiesta per quale motivo avrebbe dovuto chiamarlo, ma poi lui aveva sorriso per la prima volta durante tutta la serata, e la sua mente non aveva avuto spazio per altri pensieri. Non gliene importava nulla che lui fosse un drogato; l'aveva solo spiazzata un po' il modo in cui ne parlava quasi con leggerezza, quasi orgoglioso. O forse era solo una sua impressione.
- Pronto?
Alison emise un gridolino al suono di quella voce. Guardò il cellulare: aveva per sbaglio premuto il verde.
- Emh, Zayn? - la sua voce apparve così debole e imbarazzata, quando lei avrebbe voluto sembrare una figa, una al suo livello. Però non lo era.
- Ciao, sei Alison? - lo chiese con un tono di voce cordiale, nessun accenno di sgarbatezza. Alison annuì, prima di ricordarsi che non era di fronte a lei ma al cellulare.
- Sì, sono io.
Sentì dall'altro capo del telefono un mugolio, come se si fosse fermato a riflettere. Non parlò per talmente tanto tempo che Alison controllò più volte di non aver chiuso la chiamata.
- Vieni a casa mia, verso le cinque. - lo disse con un tono così serio da far capire che non era una richiesta. Era un ordine.
- Ma...tu non abiti a Bradford, scusa? - la confusione stava prendendo il sopravvento sulla ragazza, sempre più intontita da tutte quelle stranezze.
- No, abito a Londra da solo da almeno un anno. - rise, come se fosse la cosa più divertente che avesse mai sentito fino a quel momento.
- Oh, okay. Dove abiti? - prese un pezzo di carta da un quaderno e una penna.
- Bond Street, il sedici. Alle sei. - Alison scrisse l'indirizzo sul foglio, leggermente agitata. Poteva considerarlo un...amico? Sì, il suo primo e unico amico.
- Ci vediamo, allora.
- Ti aspetto.

18.03
Alison si scaldò le mani con il fiato, inutilmente. La misera sciarpa e il cappello di lana che si era infilata non bastavano a proteggerla dal freddo, e aveva le mani talmente intorpidite da non avere quasi più sensibilità. Aveva preso il pullman più vicino a casa sua, senza dire niente ai genitori; non che glielo avessero chiesto. Solo Frances le aveva fatto un po' di domande, alle quali lei aveva risposto sempre sinceramente. Tuttavia, la sorella le era sembrata dubbiosa quando l'aveva vista uscire dal portone di casa. Addirittura le era sembrato di sentire “stai attenta”. Forse era stata un'allucinazione.
Alison guardò un'altra volta l'enorme palazzo grigio che si ritrovava davanti, che si intonava perfettamente alla tristezza di quella Londra caotica e rumorosa. Scorse velocemente la lista di nomi sul citofono, la maggior parte dei quali scritti a penna o cancellati. Quando arrivò a Malik, premette il tasto con un leggere imbarazzo. Subito una voce meccanica disse “chi è?”, ma al solo pensiero che dietro quella voce ci fosse Zayn ad Alison saltò il cuore nel petto.
- Sono Alison.
Il rumore della porta che si apre, lo sfruscio delle sue scarpe sul tappetino, il suono dell'ascensore che si apre. Pochi secondi e si ritrovò davanti al moro che, con una sigaretta accesa e gli occhi iniettati di sangue, la fissava dalla soglia di casa sua. Si scansò senza dire niente per farla passare, e per un istante le loro mani si sfiorarono. Un forte odore di fumo e di birra investì in pieno Alison, abituata al profumo di buono e di cioccolato della sua camera. Il pavimento era completamente ricoperto di vestiti o pacchetti di sigarette vuote; le bottiglie di birra erano state raccolte tutte quante e disposte in un angolo del corridoio. Erano almeno una ventina. Alison tossicchiò, grattandosi la testa. Zayn le fece cenno di entrare in quello che doveva essere il salone; il divano era strappato in diversi punti, mentre un traballante albero di natale era stato sistemato al centro della sala, leggermente spelacchiato. La prima cosa che Alison notò furono le tende sfilacciate e macchiate, probabilmente, da alcool. Zayn, senza dire niente, le passò davanti, la sigaretta ancora accesa.
- Zayn. - lo bloccò per un polso, con un'audacia che nemmeno lei credeva di possedere. - Per quale motivo mi hai fatto venire?
Zayn la fissò per diversi secondi, gli occhi totalmente inespressivi e vuoti. Si liberò il polso dalla sua presa e, molto lentamente, avvicinò la sua mano alle sue guance pallide e smagrite. La accarezzò a lungo, con le sue dita fredde e affusolate, mentre Alison sentiva la pelle d'oca farsi strada sulle sue braccia. Zayn smise di accarezzarla con la punta delle dita e appoggiò tutto il palmo sulla sua pelle, lasciando che le dita si intrufolassero sotto i capelli mori, lasciando che il pollice le massaggiasse lentamente la testa. Alison chiuse gli occhi azzurri come il cielo, ma il ragazzo con la mano libera le tolse gli occhiali e la costrinse a guardarlo. Il suo tocco stava diventando più prepotente, più 'violento', eppure era la cosa più dolce che avessero mai fatto per Alison. Vide le sue labbra screpolate farsi sempre più vicine, fin quando non vide solo quelle. Un attimo di esitazione, prima di posare le sue labbra su quelle rosee e piene di lei. Alison sbarrò gli occhi nel sentire la sua lingua umida entrare nella sua bocca; era una sensazione così nuova per lei, così
strana. Era incapace di muoversi, non riusciva neppure a far finta di muovere le labbra. Era semplicemente rimasta così, in balia di quel ragazzo di cui sapeva a malapena il nome, lasciandosi baciare da un perfetto sconosciuto.


20.06
Alison si chiuse la porta alle spalle con più determinazione del solito. Di solito, lei lasciava che la porta si chiudesse da sola, non se la sentiva neppure di chiuderla mettendoci un po' di forza. Quel giorno, Alison Stoner aveva chiuso la porta spingendola con tutta la sua energia. Si sentiva cambiata; esteticamente, era rimasta uguale. Se si fosse guardato il suo viso, non si sarebbe visto nulla di cambiato da quel pomeriggio. Eppure, dentro di lei, qualcosa era cambiato. Qualcosa, si era irrimediabilmente danneggiato oppure, come credeva lei, migliorato. Dopo quel bacio fuori programma, lei e Zayn avevano parlato a lungo di qualsiasi cosa. Avevano parlato della vita di Alison e dei suoi mercoledì infernali, del suo essere la figlia ignorata, dei suoi sabato sera passati a casa da sola. Avevano parlato dei genitori di Zayn, del suo essere ribelle, del suo volere più libertà. Avevano parlato della droga. Avevano parlato di politica. Avevano parlato di amore. Avevano parlato di vita. E avevano parlato di rivedersi il giorno dopo.
Alison entrò in bagno senza neanche togliersi il giubbotto e il cappello e si chiuse a chiave. Si spogliò completamente, togliendosi anche gli indumenti intimi, e rimase nuda davanti allo specchio a contemplarsi. Guardò per interi minuti ogni suo minimo particolare: si osservò il neo che aveva sulla clavicola, i seni quasi inesistenti e mascolini, l'ombelico profondo, le curve morbide dei fianchi, le braccia spigolose, i lividi sulle gambe scheletriche. Senza smettere di guardarsi, afferrò la forbice posata sulla cassettiera e, con enorme attenzione, iniziò a tagliare i capelli lunghi fino a metà schiena. Le ciocche brune cadevano per terra, mentre lei continuava a tagliare e a tagliare fin quando non arrivarono sì e no al collo. Notò che le donavano un'aria più misteriosa, più oscura. Appoggiò gli occhiali sul lavandino e prese i trucchi della sorella in mano. Non aveva idea di come si usassero. Cominciò a passare la matita nera nella palpebra inferiore stando attenta a non infilarsela nell'occhio. Soddisfatta del risultato, continuò a provare eyeliner e ombretti vari. Sembrava una di quelle bambine piccole che si divertiva a giocare con i trucchi della madre. Trasformò le labbra innocenti in un paio di labbra rosso fuoco, provocanti. L'azzurro degli occhi sembrava più splendente circondato da ombretto nero e trucco pesante. Per la prima volta in vita sua, Alison si piacque.

15 dicembre, 7:40
Frances non si era mai sentita tanto spaesata come in quel momento. Non era sua sorella. Non poteva essere sua sorella, quella ragazza con il sedere mezzo scoperto, i capelli corti e spettinati e il viso nascosto sotto strati di trucco. Non poteva essere l'Alison che solo due giorni prima si era messa a piangere davanti a lei perché non si sentiva abbastanza, perché non si era mai sentita abbastanza. Quando l'aveva vista quella mattina, si era trattenuta dall'urlarle addosso; per un secondo, non l'aveva addirittura riconosciuta. Con quell'espressione strafottente dipinta in faccia, le cuffiette infilate nelle orecchie, gli occhiali sostituiti dalle lenti a contatto che sinceramente non ricordava avesse mai comprato, le era venuto un colpo al cuore. Non le aveva neanche rivolto la parola. Si era limitata a fare un cenno con la testa a 'mo di buongiorno e a scendere le scale facendo bolle con la big babol. Frances non riusciva a ricordare a quando risalisse l'ultima volta che l'aveva vista con la cicca in bocca. L'aveva seguita per le scale sconcertata, un occhio che si fissava le ballerine e l'altro che osservava ogni suo minimo movimento. Guardandola camminare, aveva notato che le scarpe da ginnastica le uscivano fuori dai piedi ad ogni passo. Quando aveva appoggiato la mano sul corrimano, le erano saltate agli occhi le unghie dipinte di nero, ed il pollice era circondato da un anello di legno. Un leggero movimento dei capelli, l'occhio di Frances catturò anche l'immagine di un paio di orecchini lunghi con delle croci. Alison scese l'ultimo scalino muovendo la testa a ritmo e si avvicinò al frigorifero strisciando i piedi sul parquet. Frances guardò con rabbia i suoi genitori, che non si erano neanche degnati di alzare la testa per guardare in faccia la loro figlia minore, per vedere come si era ridotta in un giorno passato con quel mezzo drogato. Sì, Frances lo sapeva chi era. Tutti nella scuola conoscevano Zayn Malik, con le sue pillole che vendeva ogni venerdì pomeriggio nel cortile della scuola. E bastava guardarlo in faccia, per capire che tipo era: uno sfaccendato, un tossico che voleva portarsi via la sua piccola Alison.
- Insomma, non vi degnate più nemmeno di dire buongiorno? - la madre e il padre alzarono la testa di scatto verso Frances, sorpresi. Poi si voltarono in direzione di Alison. In una frazione di secondo, la ragazza vide sul viso della madre scorrere un milione di espressioni: confusione, sorpresa, incredulità, di nuovo confusione, rabbia, indecisione. Aprì la bocca per parlare, ma prima di aver detto una sola parola l'aveva già richiusa. Sembrava che si stesse scatenando una guerra dentro di lei. Il padre, invece, rimase per un istante indifferente. Poi strabuzzò gli occhi, e diventarono talmente grandi che Frances temette che gli scoppiassero. Erano così grandi che la ragazza riusciva a contare i capillari che contornavano le sue pupille. Alison non li guardò nemmeno, rimise il cartone del latte in frigo e lo richiuse con una botta secca.
- Alison... - il padre mormorò quella parola con un filo di fiato, ma in quel silenzio tagliente rimbombò come un urlo. La ragazza alzò la testa con uno scatto, gli occhi infuocati dal rancore.
- Com'è, adesso ti sei accorto che esisto?
Prima che potesse dire qualsiasi cosa, Alison era già fuori dalla porta, incredula per essere riuscita a rispondere all'unica persona che temesse veramente.
Frances li guardò incredula rimanere lì come stoccafissi, senza fare nulla, senza rincorrerla.
- Ma si può sapere cosa diavolo vi prende? Eh, porca puttana? - lanciò il panino alla marmellata sul pavimento lucidissimo, urlandoli contro tutta la sua frustrazione. - E' tutta colpa vostra, tutta. - e senza guardarsi indietro, si chiuse la porta alle spalle. I genitori si chiesero soltanto se avesse parlato davvero la loro Frances, dalla cui bocca non era mai uscita una sola parolaccia in tutta la sua vita.

13.17
Alison si guardò un'ultima volta attorno, mentre attraversava il corridoio che l'avrebbe portata in sala mensa. Si sentiva osservata e, per la prima volta, le piaceva. Amava sentire gli sguardi posarsi su di lei, non con ostilità, ma quasi con ammirazione; adorava i bisbiglii che si creavano quando passava davanti ad un gruppetto di persone; provava lusinga quando scopriva uno dei ragazzi più popolari della scuola guardarle il sedere. Le piaceva. Non si sentiva più la secchiona evitata da tutti, si sentiva una normale adolescente nel suo paio di jeans che le scoprivano l'orlo degli slip neri. Si sentiva un'altra Alison.
- Alison, possiamo parlare? - la sorella l'agguanto per il polso, l'evidente fiatone a causa della corsa che aveva fatto.
- A proposito di quale argomento? - rispose, con tono annoiato. Oh, come le piaceva fare la parte della ragazza menefreghista.
- Mi prendi in giro? Cosa sono
questi? - le prese una ciocca di capelli neri, quasi con disgusto. - Cosa sono questi pantaloni? Dove diavolo sono finiti i tuoi occhiali?
- Di quali occhiali stai parlando? Oh, forse di quelli della vecchia
Alison. - marchiò la parola “Alison” con più enfasi del dovuto.
Frances la guardò, negli occhi un pizzico di tristezza.
- Sappi che non si può diventare una persona diversa in solo una sera.
- Non mi interessa che cosa ne pensi tu o cosa ne pensano gli altri. Non ritornerò come prima. - cambiò direzione andando verso i bagni, correggendosi mentalmente. “Non mi interessa che cosa ne pensi tu, ma cosa ne pensano gli altri sì”.

16.02
Alison si trascinò fuori da scuola con la sua nuova espressione scocciata dipinta in faccia, la borsa che strisciava sugli scalini luridi ad ogni passo. Anche se non come quella mattina, tutti la guardavano di sottecchi, curiosi di nuovi particolari, di più dettagli. In particolare, un ragazzo robusto la guardava furente vicino al muretto di mattoni, osservando ogni suo movimento. “Come si è permessa” pensava “di vestirsi in questo modo. Quella puttanella ancora non ha capito chi comanda”. Salutò velocemente i suoi amici, buttò il mozzicone di sigaretta per terra accompagnato da uno sputo, e si avvicinò con passo veloce ad Alison. La mora neanche lo notò, o fece finta di non vederlo: continuò a guardare davanti a sé, gli occhi coperti dalle ciocche ribelli dei suoi capelli. Senza neanche più fingersi indifferente, Matt serrò la sua mano intorno al polso esile della ragazza.
- Che ti avevo detto? Pensi di essere più carina così? Eh? - mormorò queste parole al suo orecchio, stringendo di più la presa sulla sua pelle. Alle narici di Alison arrivò una vampata di tabacco, che la costrinse a starnutire.
- Non vedo come possano essere affari tuoi. - di nuovo spuntò fuori, il coraggio inaspettato di quella nuova Alison; l'impertinenza mai uscita dalla bocca di quella ragazza si stava liberando tutta insieme. A Matt gli si gonfiarono le vene del collo.
- Tu, piccola p...
Ed eccola. Dopo tanti mesi di soprusi, di maltrattamenti non meritati, di violenze fisiche e psicologiche, eccola. Dopo insulti, botte volate sul suo gracile corpo, pianti silenziosi rannicchiata in un angolo del bagno, eccola. La sua vendetta, finalmente arrivata. Il rumore portò al silenzio generale dell'intero cortile, tutti voltati verso di loro. Tutti che guardavano la piccola Alison rinascere. Matt si portò una mano sulla guancia, sulla faccia un'espressione di sorpresa, di spavento. Per un secondo, Alison ci vedette anche rassegnazione. Senza dire nulla, le guance in fiamme dall'emozione, il cuore rianimato da quella scarica di adrenalina, riprese la sua “sfilata” verso casa, un magnifico sorriso stampato sul volto. Non notò nemmeno Frances che la osservava in mezzo al suo pubblico, con una lacrima sulla guancia pallida, e la consapevolezza di aver perso per sempre sua sorella.

18.00
Alison sentì le sue mani mulatte percorrere i suoi fianchi da sotto la maglietta, le dita che si infilavano sotto il suo reggiseno. Si aggrappò alla sua schiena come se potesse essere la sua ancora di salvezza, non sapendo che proprio quell'ancora l'avrebbe fatta affondare negli angoli più bui dell'inferno. Lui l'appoggiò sul letto con delicatezza, senza smettere di posare le sue labbra morbide sulla sua clavicola, sul suo seno, sul suo ventre piatto. Le sfilò con poca difficoltà il maglione, e per diversi secondi osservò la sua pelle lattea ed invitante, la fossetta su uno dei due fianchi, una voglia vicino all'ombelico. Riprese a baciarla con più foga, con più disperazione, mentre Alison non faceva altro se non ascoltare il ritmo del suo cuore, irregolare e spaventato. Giaceva immobile sotto il suo tocco, gli occhi puntati sulla luna che si intravedeva dalla finestra aperta. Quando anche lui si spogliò completamente, lei continuò a guardare la luna. Quando si unì a lei con un solo, secco movimento, lei continuò a guardare la luna. Quando le lacrime mischiate al mascara iniziarono a scorrerle sulle guance,che non sembravano più tanto innocenti, continuò a guardare la luna.

15 agosto, 21.00
Da alcuni mesi a quella parte, Frances aveva preso l'abitudine di stendersi sul letto in pieno pomeriggio a pensare. Appena prima di fare i compiti, prima di uscire, dopo cena, Frances si chiudeva in camera, si allungava e chiudeva gli occhi. I problemi si rincorrevano prepotenti nella sua testa, quasi volessero litigare su quale fosse il più grande, enorme e problematico. Ma, sebbene Frances lo negasse a sé stessa, lei sapeva perfettamente quale fosse. Ogni tanto, andava in soffitta, chiudeva la vecchia porta polverosa, e passava giorni interi ad osservare foto della sua infanzia, a memorizzare sorrisi, ad assorbire risate. Osservava una piccola Alison felice alla vista dei regali di Natale, e la confrontava mentalmente con quella specie di morto vivente che girovagava per casa sua, che dormiva nella camera di Alison, che mangiava allo stesso posto di Alison. Le piaceva illudersi che quella fosse solo un'impostora, una sporca imbrogliona che si fingeva la sua sorellina, quando la sua sorellina era sempre la stessa sorridente, innocente Alison. Altre volte, piangeva. Si buttava sul letto e singhiozzava fra le lenzuola, dandosi la colpa per tutto quello che era successo, per tutto quello che stava succedendo. In rare occasioni, invece, si arrabbiava. Con i suoi, con Alison, con tutti. E, più di tutti, con quel Zayn, quell'impasticcato, quel sudicio stronzo che aveva trasformato la persona più pura di questo mondo in una come lui. In una drogata.
- Alison, io esco stasera. - entrò nella camera aperta, leggermente intimorita dalla sua reazione. Lo stereo trasmetteva a tutto volume della musica metal, che Frances trovava infernale.
- Non te l'ho chiesto. - rispose con la solita sgarbatezza, prendendo un'altra boccata di fumo dalla sigaretta accesa. La sorella guardò ormai stanca la camera ridotta in condizioni pietose. L'armadio era praticamente vuoto, considerando che tutti i vestiti erano sparsi per terra; ovunque c'erano confezioni vuote di yogurt e pacchetti di sigarette; a Frances sembrò di intravedere un sacchetto di pasticche sotto un paio di jeans, ma preferì non indagare. Si sentiva un'orrenda puzza di liquore e fumo, il tutto mischiato a un forte odore dolciastro di profumo da donna. Gli occhioni spenti di Alison fissarono sprezzanti la sorella, un segnale che Frances prese come un chiaro invito fuori dalla sua camera. La guardò, sperando che si voltasse, che le urlasse addosso, perfino che le lanciasse qualcosa. Sperava ardentemente che la mandasse a fanculo, giusto per vedere la sorella reagire, per vederla vivere. Ma Alison si limitò a osservare le spirali di fumo che le ricordavano tanto quelle del suo primo incontro con Zayn, e Frances se ne andò, definitivamente arresa.

23.50
Alison prese un altro sorso dalla bottiglia di vodka quasi vuota.
- Merda, è finita. - urlò sopra la musica sparata a tutto volume, ma Zayn era troppo impegnato a sniffare la sua striscia di coca mentre guidava. Gli alberi erano solo una macchia di colore dal finestrino, a causa della velocità di centocinquanta chilometri orari.
- Mi senti? - urlò ancora, il cervello che le sembrava pesantissimo da sopportare nel cervello.
- Porca puttana, stai un po' zitta. - fece una manovra appena prima di essere colpito da un camion, una mano ancora impegnata dalla bottiglia di rum. Alison si ammutolì, troppo concentrata a mettere a fuoco gli oggetti che la circondavano sotto l'effetto della droga. Non riusciva a capire se quello che vedeva dal finestrino fosse un gatto oppure un cervo. Tutto le sembrava così surreale e bello quando si faceva; era questo quello che le piaceva. Il fatto che bastasse annusare quella polvere sottilissima, anche leggermente pungente, per dimenticare per un po' la realtà, per vivere nel suo paradiso personale, la faceva sentire bene. I colori distorti dalla sua mente, la facevano sentire bene. Perfino il sesso in macchina con il suo ragazzo, strafatti e ubriachi come sempre, la faceva sentire bene. Quella vita, la faceva sentire bene nonostante tutto.
- Dove andiamo stasera? - chiese, un leggero senso di nausea all'inizio dello stomaco.
- Porca troia, Al, vuoi stare un secondo zitta? - urlò, le vene del collo gonfie all'inverosimile. I suoi occhi completamente neri e ottusi furono l'ultima cosa che vide, prima di un altro tipo di nero che sembrava non finire mai.

- Una commozione cerebrale, dite? - una voce ovattata arrivò al cervello di Alison; sembrava famigliare, tuttavia non riuscì a capire di chi si trattasse.
- Già. - questa volta, invece, era una voce del tutto nuova.
- E il ragazzo?
- In carcere. Guidava strafatto di cocaina, senza contare che era già conosciuto nel giro per via del suo spaccio di pasticche davanti a diverse scuole di Londra.
- Alison?
- Credo che sia meglio aspettare che si svegli.
Ed Alison non aveva assolutamente nessuna intenzione di svegliarsi.

Dieci anni dopo

Alison si stiracchia leggermente, i raggi del sole che filtrano attraverso le tapparelle abbassate male. Guarda l'orologio: le sei e mezza. Si svegliasempre alla stessa ora da quando è nata Lily; istinto materno, le hanno detto. Lei la trova solo la forza dell'abitudine di essere svegliata sempre dal solito pianto soffocato. Si volta dall'altra parte del letto, pensando di meritarsi almeno un'altra ora di sonno. E' mercoledì mattina, uno dei suoi giorni preferiti. E' il suo giorno preferito, perché il mercoledì Liam porta a scuola i bambini, Liam cucina, Liam pulisce la casa, Liam aiuta Lily e Luke a fare i compiti. E' il suo giorno preferito perché è il giorno di Alison. E' il suo giorno libero. Adesso, Alison ama stare nel letto la mattina a guardare il marito dormire; ad Alison piace guardare i film di Natale abbracciata ai suoi due figli, mangiando pop corn al caramello che lei odia, ma che gli altri tre adorano. Amale visite dei suoi genitori, sebbene il suo rancore nei loro confronti non si esaurirà mai. Ama un po' di più le visite di Frances, che portano nel suo cuore tranquillità e gioia. Ama svegliarsi nel cuore della notte ed entrare nella piccola cameretta che ha dipinto appena otto anni fa di giallo, un colore che le mette allegria. Le sembra che sia passata un'eternità. Ama accarezzare le guance paffute e sempre rosee di Luke mentre dorme, ed osservare come le lunghe ciglia di Lily le accarezzino il viso, il piccolo petto che si alza ed abbassa. Ama dipingere, in particolare il sole. Ama l'estate. Ama accoccolarsi la notte al petto di Liam, gli incubi che la tormentano ancora. E' il piccolo prezzo da pagare per avere una vita quasi perfetta. Quasi perfetta per lei.
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Sì, sono di nuovo qui a rompervi le balls, e con un os particolarmente depressa. Ce l'avevo in mente in modo assolutamente diverso, ma poi è uscita sta cacata e vabbè c.c spero possa piacervi comunque c:

  
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