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Autore: Annabelscrive    19/12/2012    0 recensioni
Ero la solita abitudinaria, senza un obbiettivo nella vita.
Da quel giorno tutto è cambiato, dentro quelle mure tutto cambia, tutto diventa oscuro.
Per uscire sarei dovuta cambiare completamente.
Credevo fosse facile, non fu mai così.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Violenza
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" L'ho provato  pure io”.

In quell’istante, non sapevo se era solo la mia immaginazione oppure c’era qualcun altro in quella stanza.

Mi voltai, e vidi una sagoma vicino alla sbarra della cella affianco.

Urlai.

“Zitta!, Non vorrai mica farci scoprire!”.

MI calmai, anche se il mio cuore continuava a battere all’impazzata.

Mi avvicinai alle sbarre, e senza toccarle e  chiesi: “ Chi sei?”

“Per ora non ti interessa chi sono io, l’unica cosa che devi sapere che come te, io non so ancora perché mi trovi qui, ma che so quel che stai provando” mi disse lui.

“Perché?” Gli domandai.
Mentre mi spiegava cercavo di captare, che tipo di uomo era.

L’oscurità delle celle, non mi fece capire molto di lui.

Ricordo solo che era coperto di fuliggine,  e indossava abiti scuri.

Ma forse si sbagliavo riguardo a quest’ultimi dato che non vedevo a un palmo dal naso

Mi raccontò che come me, lui, si trovava per caso li, che cercava quotidianamente di tornare ai giorni prima di essere qui.

“Da quanto tempo sei qui rinchiuso?”domandai.

“ 5 giorni”.

Si mise a piangere, io non sapevo cosa fare, avrei voluto tenergli la mano per consolarlo ma purtroppo, non avevo il coraggio di toccare la cella.

Mi sentii una codarda.

Gli domandai il suo nome, e se non erro si chiamava: Antony.

Ero pronta a rispondere con il mio nome, ma non mi fece la domanda che speravo.

“Quanti anni hai?” mi domandò

Diciassette.

“Pure io”.

Rimasi stupita, a tal punto di domandargli la stessa domanda per ben cinque volte.

Dopo la quinta conferma, finalmente me ne feci una ragione.

Di un tratto mi si accede una lampadina.

“ Lui si mise a piangere oggi pomeriggio!” Pensai.

Avrei voluto chiederglielo, ma non lo feci.

Lui mi fissò,mi osservò da cima a fondo, e mi domandò: “ Vuoi sapere la mia storia vero?”

Io annui.

Era come se avesse letto la mia mente, come se sapesse quali ragionamenti stessi facendo, e cosa avrei voluto domandargli.

“Cinque giorni fa” Incomincio lui.

Io era attenta, e pronta ad assaporare ogni parola che usciva dalla sua bocca.

Mi posizionai,più comoda che potevo.
Immaginai fosse una storia molto lunga.

“Mi trovavo, a fare la mia solita passeggiata quotidiana come ogni giorno passavo davanti all’Agorà....”

Si interruppe il racconto,pianse, di nuovo.

Cercai di tirargli su il morale, consolandolo un po’.

“ Chissà che orribili cose gli sono accadute!” Pensavo tra me e me.

La curiosità prevalse, e quindi dopo dieci minuti di attesa, dove io lo guardavo senza far nulla, chiesi di continuare la sua storia.

Finalmente si calmò e prosegui: “ Come al solito all’Agorà mi ero fermato, per vedere qualche libro  di gialli, e la parte riguardante la cucina.”
“Ricordo ogni dettaglio di quel giorno, e come se fosse successo tre secondi fa” commentò

Ero tutto orecchie, sapevo che qualcosa di terribile stava per accadere.

Continuò dicendomi che uscito dalla libreria era andato verso  la gelateria il Polipo, per prendersi il suo solito gelato: Nocciola e Caffè.

“ E’ qui che è successo..” sussurrò.

“Come?” gli chiesi io, attenta alla sua risposta.

“Poco prima dell’entrata due uomini mi afferrarono, almeno penso, mi presero come ostaggio e chiesero al commesso di dare tutti i soldi che avevano..”

Mi sembrava di sentire la mia storia, e di riviverla mentre lui raccontava  la sua.

“ Successivamente uccisero 4 persone che  erano li, e solo alla fine  uccisero il  negoziante. Io rimasi stupito di questo fatto, cercai di liberarmi, ma non ottenni niente a parte una lacerazione al braccio.” continuò.

“ Ecco te la mostro”.

Mise il braccio, dove c’era più luce possibile.

Osservai quello squarcio che si estendeva dal gomito fino alla spalla, ancora sanguinava.

“ E non ti hanno mendicato?”chiesi perplessa della cosa.

“ No, loro non lo fanno mai, se vuoi sopravvivere devi sempre sapertela cavare”

Ammutolì.

Pensai, che per me era la fine, non sapevo nemmeno chi fossero e perché proprio io, o se ero una scelta a caso.

Il suo racconto termino come il mio: lo legarono, lo colpirono, e lo portarono qui.

“ Ma tu sai chi sono?” gli domandai, sperando in una risposta che mi togliesse ogni dubbio.

“ Non lo so.”

Non ci potevo credere, era cinque giorni che era qui ed ancora non sapeva chi fossero.

“ Sono dei professionisti” immaginai.

Commentò dicendomi che quando vengono a portare da mangiare o per svegliarti , indossano sempre il passamontagna.

Non ce la facevo più a tenermi quel dubbio in testa, così alla fine  gli chiesi se pure lui era presente durante la rapina alla Brisso.

 Stava per iniziare quando la sveglia suonò

Segnava le ore 19:30.

“ E’ l’ora della cena, presto allontanati da queste sbarre, non ci possiamo far scoprire!”

Avrei voluto chiedergli perché, ma obbedì senza esitazione.

Poco dopo, si senti aprire la porta.

Entrò una luce pazzesca. Io cercai di osservare, meglio il luogo illuminato: vidi solo tele di ragno, topi e vecchi letti ammucchiati.
La porta fatta in legno, e mangiata dai tarli.

Da uno spiraglio riuscì ad osservare il corridoio.

Sembrava molto più pulito e presentava molte luci sul soffitto, era di colore giallo. 

Nel frattempo un uomo, incappucciato stava percorrendo il corridoio lunghe le celle.

Arrivato alla mia cella apri uno sportello sotto dalla porta e ci fece passare sotto un piatto.

Del brodo e un po’ di pane.

A me non attraeva per niente: era di colore giallo vomito, e il pane era duro come un mattone, ma a quanto pare era assai gradito da topi e mosche che subito iniziarono a girargli intorno.

Pensavo che era meglio non mangiarli, ma invece ,mi feci coraggio cacciai via le belve e assaggiai un po di quel brodo.

Presi il cucchiaio in mano, e lo riempì  con quella sostanza liquida che loro chiamavano brodo, lo portai alla bocca.

Neanche il tempo di gustarlo e già  l’avevo sputato.

Mi feci coraggio e cercai di berne più che potevo.

Era una cosa rivoltante.

Mentre io, lottavo per cercare di mangiare quella schifezza la guardia della cella, si stava godendo un bel pollo, e delle patate.

Non riuscivo a sopportare questa differenza, e sopratutto  del fatto che ci toccava mangiare differente, lancia il piatto attraverso le sbarre.

Lui non reagì, probabilmente non era stata la prima volta, che accadeva.

Rimasi colpita dal suo comportamento.

La sveglia suono di nuovo: 21:00

Era passata più di un ora dall’inizio della cena, oppure quell’orologio correva un po’ troppo?

Portarono via i rimasugli rimasti e spensero le luci.

Venne buio.

“Ed ora che si fa?”chiesi ad Antony

“ Dormiamo.” mi rispose.

Presi il lenzuolo dal letto, e mi posizionai vicino alla finestra.

Ci misi parecchio ad addormentarmi ma alla fine ci riuscì.

   
 
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