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Autore: Mamey    07/07/2007    0 recensioni
Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era abituato a risolvere i suoi problemi utilizzando i pugni e la forza bruta. Ma Dudley Dursley non era un lupo: era un semplice essere umano e come tutti gli uomini a volte si scontrava contro qualcosa ben più potente di qualsiasi pugno e crollava a terra, senza essere in grado di rialzarsi da solo. Fino a quel giorno non era capitato che quelle poche volte in cui era incappato in qualche diavoleria prodotta da quello sciagurato di suo cugino Harry e dalla sua cricchia di strambi seguaci del Sostantivo-che-non-doveva-essere-detto-senza-fare-gli-scongiuri-del-caso, alias la Magia. Neanche quella volta fece eccezione.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dudley Dursley, Harry Potter, Petunia Dursley, Vernon Dursley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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01:00 - Ballerine d'argento -


"Ci sono state perdite?"

Alastor Moody avanzò trascinando la gamba di legno ormai spezzata.

L'ex professor Lupin era ancora chino su Harry, stretto anche nell'abbraccio di una Ninfadora Tonks dai capelli color topo.

"Ci sono state perdite?!" ringhiò Moody, poggiando la mano sulla spalla dell'uomo.

Prima che qualcuno potesse rispondergli, un gemito si alzò da un gruppo confuso di corpi, vicino ai resti della cucina. "Porc..." sibilò il vecchio Auror, mentre in pochi secondi un manipolo di componenti dell'Ordine cercava di districare George Weasley dall'abbraccio mortale di due Mangiamorte e di Mundungus Fletcher. "Sto bene.." riuscì ad ansimare il ragazzo in risposta allo sguardo preoccupato del gemello, uno fra i tanti del gruppo. Alastor si affiancò al giovane mago e con l'aiuto di Kingsley lo sollevò. Lo tastò in varie parti del corpo per assicurarsi delle sue condizioni "Hey Malocchio, non palpeggiarmi! Non sono mica una ragazza!" esclamò indignato il rosso. "Un paio di costole incrinate, un labbro tumefatto, un ginocchio pesto... da come sbraiti si capisce che stai benissimo ragazzo." concluse l'anziano Auror, porgendo a George la bacchetta che aveva appena raccolto da terra. Quando l'altro fece per infilarsela nella tasca posteriore dei pantaloni l'urlo di Moody lo fece trasalire: "Quante volte devo dirtelo che la bacchetta non si infila nei pantaloni, vuoi perdere una chiappa? Possibile che nessuno segua le elementari norme di sicurezza per bacchette?!". Fred gli fece il verso, rivolgendo al fratello uno sguardo severo: "Vigilanza costante!" per poi scoppiare a ridere, ma George rispose al suo richiamo con un sorriso amaro, troppo intento a guardare il corpo scomposto di Mundungus che fino a pochi istanti prima lo affiancava.

"Lo abbiamo perso?" chiese piano Kingsley, appoggiando un braccio sotto le spalle del giovane per sorreggerlo. Il ragazzo annuì.

"Altri cadaveri dei nostri in giro?" urlò Alastor zoppicando verso Bill Weasley, appoggiato a quello che restava della parete divisoria del salotto. Tonks, che stingeva ancora Harry nel tentativo di calmare i suoi tremiti incontrollati, sbottò indignata: "Malocchio! Ma ti sembra il modo?!"

"Vicino alle scale c'è Dedalus" singhiozzò Hermione Granger entrando nella stanza seguita da Ronald Weasley. "In veranda, o perlomeno in quello che ne resta, c'è Elphias Doge" aggiunse il rosso. Dai piani superiori il signor Weasley si unì al macabro conteggio "Qui ci sono Emmeline e Hestia."

Ginny Weasley entrò in silenzio, inginocchiandosi vicino a Harry e prendendo ad accarezzarli i capelli, sussurrando sottovoce mentre Remus e Ninfadora si alzavano per unirsi al resto del gruppo.

"Quanti Mangiamorte sono scapp..." prima che Alastor potesse finire la frase, le scale che portavano ai piani superiori cedettero, troppo provate per sopportare anche solo l'esiguo peso del signor Weasley. "Arthur!" gridò Lupin correndo verso il salotto seguito da tutti i membri dell'Ordine ancora in grado di muoversi sulle proprie gambe. Il mago di colore aiutò George a sedersi vicino al fratello maggiore, ancora appoggiato alla parete, prima di raggiungere gli altri.

Dopo minuti interminabili in cui l'unico rumore udibile era la sfilza di imprecazioni di Fred, che giungevano ovattate dal salotto, Bill sospirò.

"Gli zii di Harry?"

Harry Potter, il Prescelto, emise un singhiozzo strozzato prima di rifugiarsi fra le esili braccia di Ginny Weasley e scoppiare a piangere.



Dudley era immobile, seduto nello stesso punto in cui i suoi piedi avevano ceduto al peso della paura, con il volto rivolto al soffitto scoperchiato mentre cercava la forza necessaria per fermare il ricordo dei lampi di luce abbaglianti, che ancora lo scuoteva. Gli occhi blandamente azzurri erano chiusi ed i capelli madidi di sudore e di gel rappreso si appiccicavano malignamente alla sua fronte bassa. Sentiva la gola bruciare e raschiare sotto singhiozzi che insistentemente gli partivano dal cervello ed inutilmente cercavano di fuoriuscire attraverso i suoi denti serrati. I rumori giungevano attutiti e remoti ai suoi sensi, troppo stanchi e spaventati per reagire agli stimoli esterni.

Quando Harry Potter scoppiò a piangere dilaniò l'apatia illusoria in cui Big D si era rifugiato: i suoi occhi si spalancarono sotto il peso di una consapevolezza gelida. Con violenza si impose di guardare i corpi dei suoi genitori, pochi metri alla sua sinistra: le labbra si piegarono sotto lo sforzo di bloccare le lacrime.

Quando Big D stava per cedere, un fruscio lo costrinse a voltarsi verso destra. Una esile, quasi eterea, ragazzina dai lunghi capelli vermigli lo osservava. I suoi occhi erano lucidi, le labbra tremanti. Gli bastò soffermarsi sui suoi abiti; grigio perla e sullo strano oggetto di legno che portava allacciato alla cinta per capire che fosse una di quei matti.

Se nella situazione in cui si trovava Dudley Dursley pensava di aver raggiunto l'acme dell'angoscia, scoprì che il suddetto limite era molto, molto più lontano di quello che mai avrebbe potuto immaginare.

Come accecato riportò il volto nuovamente al soffitto, serrando palpebre e labbra nel tentativo di allontanare l'orrenda visione. Fu con paura che accolse un nuovo brusio ed il tocco freddo di una mano appoggiata sulla sua fronte.

Il suo respiro si interruppe, ricordando il vizio che sua madre possedeva sin da quando era bambino: gli adagiava la mano gracile sulla fronte in una carezza protettiva, cercando di rassicurarlo convinta in qualche sua inesistente paura. Petunia Dursley non sapeva, sciocca, che come tutti i lupi della peggior specie Dudley aveva la stoltezza di non aver timore di niente, all'infuori della sua irrimediabile allergia per Colei-che-non-doveva-essere-nominata.

Per pochi attimi Dudley Dursley si rivide bimbo di undici anni, con un'appendice che nulla aveva a che vedere con la sua natura umana, rintanato tremante ed in lacrime sul suo letto. Sentì il fruscio della porta ben oliata della sua camera ed i passi attenuati sulla moquette blu. Avvertì l'aria scostarsi dalla sua fronte quando qualcosa di caldo e rassicurante vi prese il posto.

Certo di trovare due occhi scuri e opachi a rincuorarlo per l'ennesima volta, Big D aprì gli occhi.

Quando realizzò che il gelido arto apparteneva alla ragazzina si ritrasse di scatto con un urlo disgustato e, instabile, costrinse le gambe a risollevarsi aiutate dalle mani ancora più tremanti. Il risultato fu una specie di capriola storta, con annesse imprecazioni del caso, che sicuramente in un'altra situazione sarebbe stata conclusa con un elegante scuotere di spalle, una fine bestemmia ed il giuramento di ammazzare chiunque lo avesse visto. In quale caso lo vide invece indietreggiare di qualche passo strisciando come un verme, pallido in volto.

"Vattene via!" sibilò scuotendo la testa con veemenza.

La ragazzina dai capelli di fuoco lo osservò con lo stesso sguardo etereo e traballante che gli aveva riservato pochi istanti prima.

"Vattene via..." la supplicò di nuovo il ragazzo biondo, spaventato da quello sguardo tremante.



Fu questione di pochi attimi. L'unica cosa che capirono Mattew Werring e Catrine Frensh, due giovani Auror alle prime armi, furono le dure parole del loro capitano che iniziarono con "Imbecilli" e finirono con "degradati!". Come riportarono poi i due giovani Auror ora meno che alle prime armi sul loro Rapporto, il ragazzino era uscito dalla casa correndo ad una velocità che la sua stazza, secondo le leggi della fisica, non poteva permettergli; aveva poi attraversato la barriera di protezione, il cui scopo era nascondere i resti di Privet Drive numero quattro dagli sguardi indiscreti ed indagatori degli altri abitanti di Little Whinging; si era fermato, spaventato dal contatto con la fredda magia protettiva e si era voltato ad osservare incredulo la riproduzione, ovviamente magica, della casa così come era stata fino ad un'ora prima. Con un verso che poco aveva di umano, ma ricordava tanto del suino come precisò il quasi/Auror Frensh, il ragazzino biondo si era diretto di corsa verso il limitare della via, svoltando poi all'angolo fino a sparire dalla vista. Il tutto si era svolto così inaspettatamente e velocemente che i due erano rimasti basiti, senza poter fare nulla.



L'altalena su cui Big D era abbarbicato cigolava impietosa, risuonando cupa per buona parte del parco e sicuramente anche in Magnolia Road che a quell'ora di notte, come si confà ad una via abitata da gente civile, era deserta. Nell'irrealtà della situazione Dudley si chiese come gli abitanti di Little Whinging potessero ancora dormire: sicuramente una casa implosa su se stessa doveva causare un qualsivoglia rumore. Ma l'unico alito di vita, oltre al suo respiro affannato, era il sinistro scricchiolio del metallo a cui era attaccato quasi avesse paura di cadere nel più profondo baratro una volta lasciata la presa.

Sicuramente quell'innaturale silenzio era opera di qualche diavoleria di quei malati esattamente come la riproduzione della sua casa, uguale fino all'ultimo particolare a quella originale che era andata perduta. Si chiese se lo avrebbero cercato, o per lo meno quanto il suo scarso nascondiglio avrebbe resistito. Sorrise amaramente, comprendendo che alla fine non gli importava un benemerito di nessuna di quelle cose: con quelli in circolazione nulla sembrava avere un senso. Qualsiasi sorte gli sarebbe toccata non poteva che accettarla o, nel migliore dei casi, lasciarsi trascinare via da chiunque fosse arrivato a prenderlo.

I suoi genitori erano morti. I suoi stucchevoli, diabetici ed odiosi genitori erano morti e lui non desiderava altro che tutti quegli schifosi fossero morti insieme a loro. Che la vita sregolata del teppista lo avesse reso cinico ed indifferente?

Improvvisamente un lieve picchiettio di tacchi si diffuse nel parchetto.

Probabilmente qualcuno stava tornando a prenderlo, si disse, o magari a farlo fuori. Arrivato a quel punto non gli importava neanche il perché di quel caos assurdo. La sua mano corse inconsciamente alla tasca dei pantaloni imbiancati di intonaco, stingendo il pezzo di carta a cui aveva affidato parte della sua sanità mentale. Si sorprese di trovarlo ancora intatto.

Quando stava per estrarlo e leggerlo, giusto per darsi almeno la forza di credere fino alla fine che un mondo senza orride-cose-da-dimenticare esistesse, il ticchettio si interruppe ed un paio di ballerine argentate, che rilucevano alla fioca luce dei lampioni, si fermarono ai piedi dell’altalena.

La voce strascicata arrivò come una stilettata alle orecchie del ragazzo: "Dovevo immaginare che fossi tu la causa di tutto questo caos, Dursley."

Dudley sollevò il volto di scatto, colpito da un pugno invisibile, ma non per questo meno doloroso. I brillantini argentati davano vita ad una strana danza sul selciato dei giardinetti e, intento com'era ad osservare quelle strane ombre, gli ci volle qualche secondo per riprendersi. Lo spreco di tempo gli costò lo sguardo severo che la ragazza gli rivolse.

Sorrise, di un sorriso così amaro che non gli apparteneva, prima di sussurrare: "Le brave ragazze non dovrebbero essere in giro a quest’ora, Farchet."

"Io vado dove voglio e quando voglio, Dursley. Devo usare il mio Bastone per ricordartelo?"

"No, se dopo non vuoi che inizi ad usare il mio."

"Sei il solito animale, Dursley. Che ci fai qui a quest'ora? Ancora a creare disordini, tu e la tua banda di svitati?"

Il sorriso palesemente falso del biondo si ridusse di qualche centimetro. "Questa notte non sono l'unico svitato in circolazione."

"Se era un tentativo di offesa ti informo che non ha avuto effetto." sibilò la ragazza, riducendo tuttavia gli occhi castani a due fessure.

"Non ci crederai, Farchet, ma non era rivolto a te."

"Per essere un teppista di terza classe sei un pessimo bugiardo."

Big D avvertì distintamente lo scricchiolio dei suoi nervi che andavano in frantumi, ma non fece niente per fermare la sua collera. Si alzò dall'altalena e strinse i pugni, drizzando la schiena in tutta la sua mole imponente.

"Che cavolo vuoi, Farchet. Sei venuta qui a rompermi le scatole senza un motivo, dandomi del teppista, dello svitato, del casinista... e adesso mi dai pure del bugiardo" il suo tono era due ottave più alto del normale e le sue pupille, spalancate all'inverosimile, gli conferivano un aspetto ancora più spaventoso del solito, tanto che la ragazzina dai capelli castani indietreggiò di un passo. "Sai qual'è la novità, piccola odiosa rompiscatole?! Tu non sei il centro dei miei pensieri. E ora sparisci, prima che mi convinca a darti una lezione una volta per tutte."

Il silenzio scese sul parchetto accompagnato dai respiri affannati di Dudley, spossato dalla paura e dalla stanchezza. Ogni secondo che passava rendeva evidente il fatto che sarebbe potuto arrivare davvero a metterle le mani addosso. "Vattene." sibilò infine, risedendosi sull'altalena e appoggiando i gomiti alle ginocchia, troppo esausto per rimanere in piedi anche solo un altro secondo.

La ragazza, spostando il peso da un piede all'altro indecisa sul da farsi, invece di andarsene come il buon senso le suggeriva si avvicinò all'altra altalena. "Posso?" chiese in poco più di un sussurro, tanto che Big D pensò di esserselo immaginato. Così si limitò ad annuire. Iniziò a dondolarsi, le ballerine che rilucevano ad ogni movimento delle gambe ed il volto chino, coperto dalla coltre di capelli opachi.

Big D, con i nervi ancora a fior di pelle, proiettò sopra di lei la sua rabbia, inveendo mentalmente contro quella odiosa ragazzina tanto arrogante. Fece scroccare dita e nocche immaginando di piantargliele dritte nello stomaco. Stava quasi per attuare le sue fantasie, che già assaporava come liberatorie, quando quella si fermò di colpo piantando i tacchetti striminziti delle scarpe contro il terreno.

"Scusami"

Di nuovo un sussurro spaurito, questa volta però Dudley non annuì, colto alla sprovvista e strappato ai suoi dolci propositi di sfogo.

"Non lo pensavo davvero... tutte le cose che ti dico, tutte le volte che ci incontriamo, non le penso mai davvero."

Se non fosse stato troppo incazzato per l'irrealtà della situazione Dudley Dursley sarebbe scoppiato a ridere. Tuttavia non diede segno di aver sentito.

"Anche se sei un imbecille ed un teppista con un solo neurone, io non ti odio veramente." concluse lei ignorando la sua indifferenza.

Dudley si ostinò nel non rispondere.

"Tanto lo so che anche se fai l'indifferente mi stai ascoltando, Dursley. Smettila di ignorarmi."

Big D sospirò per l'ennesima volta chiedendosi quanto ancora avrebbe retto. "Non essere patetica, Farchet. E' ovvio che non mi odi: per odiare una persona bisogna conoscerla, e tu a mala pena sai il mio nome."

La ragazzina alzò il volto di scatto, punta sul vivo dall'insulto. "Io cerco di essere gentile e tu mi insulti, sei proprio un demente Dursley!"

"Dirmi che sono un imbecille ed un teppista senza neuroni è un complimento?" il sopracciglio del ragazzo si sollevò pericolosamente, incerto fra l'essere scettico o seriamente colpito. "Hai uno strano modo di fare i complimenti alle persone."

"Prima di tutto era mononeurone, non senza neuroni. Secondo, sì: era un complimento. Se no mica ti dicevo che non ti odiavo..."

"Tu sei tutta complessata, per non dire fuori come una biglia. Ma da dove cavolo le tiri fuori certe vaccate?" sbottò, risentendo i muscoli contrarsi per il fastidio.

"Adesso stai zitto, ciccione ingellato! Non hai già fatto troppo casino, per stasera?" sbottò lei in risposta, incrociando le braccia sul petto ed imitando il movimento delle sue sopracciglia, tanto per irritarlo ancora di più.

Dudley ammutolì. Per qualche attimo, qualche stupendo, insperato e spaventoso attimo si era dimenticato di tutto: della gente che affollava la sua casa, ormai distrutta, dei cadaveri dei suoi genitori, del suo inesistente cugino Harry. I ricordi gli caddero addosso, pesanti come cascate sulle rocce ed altrettanto dolorosi.

"Di che casino parli?" si sentì sussurrare Big D, chiedendosi se quella voce tremolante fosse realmente la sua.

"Del botto dei lampioni sulla tua via, Dursley. Non hai sentito prima che frastuono? Era talmente forte da raggiungere anche casa mia in Magnolia Crescent. E' arrivato addirittura un poliziotto a rassicurare il vicinato, ha bussato a tutte le porte. Sinceramente non capisco perché non abbia suonato al campanello, al posto di bussare come un ossesso, ma comunque... Lo avrai sentito sicuramente."

L'espressione sul volto del ragazzo gelò: i muscoli della mascella si contrassero sui denti facendoli scricchiolare, le pupille azzurrognole si ridussero a due schegge e le labbra si indurirono sotto una smorfia di disgusto."Si. L'ho sentito." Ma prima che potesse aggiungere altro due uomini ingolfati in abiti stravaganti apparvero davanti a loro.



Il più alto dei due, con lunghi capelli legati in una coda alta ed un orecchino d'oro al lobo, vestiva completamente di rosso: dai pantaloni tagliati al ginocchio alla maglia piena di strappi. Il secondo indossava una vecchia divisa della polizia, scolorita e con i polsini lisi.

"Buonasera signor poliziotto. Ha scoperto poi qualcosa riguardo ai lampioni?" chiese la ragazzina, riconoscendo l'uomo a cui aveva aperto la porta poche ore prima. Lui però la ignorò completamente, incentrando lo sguardo sul ragazzo biondo che sedeva sull'altra altalena.

"Dudley Dursley? Devi venire con noi." a parlare fu quello vestito di carminio. Entrambi gli uomini estrassero dalle tasche uno strano pezzo di legno e lo puntarono verso i due ragazzi.

"Mi scusi, ma che sta facendo con quel bastoncino?" chiese perplessa la ragazza castana voltandosi verso il biondo in cerca di sostegno. Ciò che vide la fece impallidire: Dudley Dursley, il famigerato teppista di Little Whinging, colui che da solo, seppur dotato di un solo neurone, riusciva a tenere testa alle bande dei ragazzi più grandi, stava tremando. E non poco. Delilah Farchet si accorse che qualcosa non andava quando la mano paffuta del ragazzo raggiunse tremando la tasca dei suoi pantaloni, estraendone un foglietto stropicciato che strinse fino a che le nocche non gli diventarono bianche. Quando l'uomo vestito di rosso, che le puntava lo strano legno verso il viso, iniziò a pronunciare ancor più strane parole in una lingua che non conosceva, sentì un torpore innaturale invaderle il corpo. La sua mente era incentrata sui ricordi delle ultime ore e si accorse che, anche se tentava di pensare ad altro, riaffacciavano prepotenti. Avvertì una vocina, poco dietro il suo orecchio, domandarle suadente se volesse liberarsi di quei fastidiosi pensieri tanto invadenti. Annuì, lasciando poi ciondolare la testa sul collo, mentre il ricordo del sonoro botto che l'aveva svegliata ed il viso del poliziotto a cui aveva aperto la porta iniziavano a farsi meno nitidi. Quando rivide se stessa raggiungere Dursley all'altalena e sedersi vicino a lui ebbe un attimo di esitazione. "Dudley..." sussurrò, cercando di mettere a fuoco il ricordo che si andava perdendo.



Quando Big D aveva visto l'uomo vestito da poliziotto estrarre quella cosa e puntargliela contro il naso, aveva iniziato a tremare. Sarebbe anche indietreggiato, se il suo voluminoso fondoschiena non si fosse incastrato nell'altalena formato bambino su cui era seduto da diversi minuti. La mano corse subito al foglietto, stritolandolo per l'ennesima volta in quella infinita sera di terrore: si chiese quanto si fosse ancora salvato della sua sanità mentale, mentre con crescente inquietudine accolse i bisbigli inumani dello strano tizio vestito di rosso, prima di accorgersi con sollievo che a essere colpita era stata la Farchet. I due esseri immondi lo guardavano, invitandolo ad alzarsi, cosa che fece con enorme riluttanza ed enorme fatica visto lo stato delle sue membra. Tanto per esserne certo controllò se non gli fosse spuntata qualche stana appendice, così, giusto per sicurezza. Stava già per alzare le mani in segno di resa, pronto ad abbandonare il foglietto dei suoi Credo e gli ultimi brandelli di dignità, quando la ragazzina, che pareva addormentata, sussurrò il suo nome.

Così come una strana forza lo aveva preso quando nei resti della sua casa natia la pazza coi capelli di fuoco aveva cercato di toccarlo, permettendogli di correre lontano da quel posto di morte senza essere fermato da nessuna di quelli esseri stravaganti, così una strana sensazione lo indusse ad afferrare il polso della Farchet, allontanando la sua fronte dalla schifezza che uno dei due uomini gli premeva ancora contro, e a travolgere con la sua mole i due dirigendosi di corsa verso l'uscita del parco, ignorando le grida scomposte del finto poliziotto ed i spaventosi schiocchi colorati che fendevano l'aria cercando di raggiungerlo. Varcato il cancello dei giardini, procedendo in maniera scomposta nel tentativo di evitare i fasci di luce che lo inseguivano, si diresse verso l'estremità opposta di Magnolia Road, cercando di lasciarsi alle spalle Magnolia Crescent e, soprattutto, Privet Drive.

Aggrappata alla sua mano, con gli occhi offuscati come se si fosse svegliata da un lungo sonno, la Farchet ebbe ancora la forza di rompere le scatole

"Visto Dursley? Lo sapevo che tu avevi a che fare con tutta questa storia."



  
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