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Autore: Mamey    17/05/2007    5 recensioni
Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era abituato a risolvere i suoi problemi utilizzando i pugni e la forza bruta. Ma Dudley Dursley non era un lupo: era un semplice essere umano e come tutti gli uomini a volte si scontrava contro qualcosa ben più potente di qualsiasi pugno e crollava a terra, senza essere in grado di rialzarsi da solo. Fino a quel giorno non era capitato che quelle poche volte in cui era incappato in qualche diavoleria prodotta da quello sciagurato di suo cugino Harry e dalla sua cricchia di strambi seguaci del Sostantivo-che-non-doveva-essere-detto-senza-fare-gli-scongiuri-del-caso, alias la Magia. Neanche quella volta fece eccezione.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dudley Dursley, Harry Potter, Petunia Dursley, Vernon Dursley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La lattina di birra colpì la scritta most wanted impressa sul muro in giallo fosforescente. Notevole, calcolando che il suo proprietario non aveva preso alcuna mira. Una seconda lattina raggiunse in fretta la parete, accasciandosi per terra con un ultimo rivolo strozzato di bibita. Sicuramente una terza avrebbe seguito le altre a breve.

"Agitato stasera, Capo?"

La parabola disegnata dal terzo pezzo di latta si bloccò a metà nell'aria, sussultando appena, prima di cadere di schianto a pochi passi dal muretto. Pochi secondi e il suo corpulento proprietario calpestò con forza lo sventurato barattolo, trasformandolo in una lastra di alluminio.

"Sto benissimo Gordon, non si nota?"

Afferrò con gesto stizzito un'altra birra, aprì la linguetta con uno scatto secco, staccandola di netto per gettarla alle sue spalle. Il primo sorso gli bruciò la gola quasi fosse veleno.

"Perché mai dovrei essere agitato?"

La nota innervosita che aveva la sua voce dovette essere un monito per Gordon, perché cercò subito di rimediare alla sua intraprendenza con le solite frasi di circostanza, già collaudate quando era capitato in situazioni analoghe, e assai utili per sfuggire alla collera del suo Capo e al pestaggio di massa che ad essa sarebbe seguito.

"Niente Capo, dicevo così per dire..."

Una seconda sorsata di birra gli raschiò la gola, bloccando l'insulto che stava per schizzarli dal petto. Un buon leader non dice mai quello che pensa dei suoi sottoposti. Soprattutto non ai sottoposti stessi. In special modo se la più alta opinione che si ha di essi è rottinculo di merda. Bastò l'occhiata raggelante che lanciò allo scheletrico ragazzo tanto indisponente, a zittire i brusii eccitati che si andavano diffondendo nella piazzetta. Una terza sorsata gorgogliante e lo sbuffo deluso di qualche ragazzo annunciarono lo scampato rischio di rissa.

Una ragazza dai lunghi capelli corvini appoggiò una mano sul braccio del ragazzo robusto, si sollevò sulle punte dei piedi per raggiungere il suo orecchio, situato ad una altezza di centonovantuno centimetri, per poi sussurrargli: "Facciamo qualcosa di divertente Big D?". Cenni di assenso e sguardi supplicanti riempirono lo spiazzo davanti ai giardinetti pubblici di Magnolia Road.

"Potremmo sfasciare le panchine del parco." propose Dennis.

"Le abbiamo già distrutte settimana scorsa..." sbuffò in risposta Dudley.

"Potremo rompere le finestre a quella rincoglionita del numero 12 di Wisteria Walk" azzardò Malcolm

"No, non mi piace. A me fate sempre fare il palo e io non mi diverto!" si intromise Polkiss

Gordon, per ridare lustro alla sua immagine incrinata in precedenza con quel commento poco opportuno, lo schernì immediatamente "E cosa proponi di fare, ratto?"

"Potremmo picchiare tuo cugino Harry, Big D."

Il silenzio scese nella piazzetta. Nessuno aveva capito perché, ma l'argomento cugino Harry era diventato tabù da qualche anno a quella parte. Il solo nominare quel teppista, che peraltro era un pericoloso criminale che frequentava il San Bruto, rendeva Big D di malumore e molto propenso a muovere le mani. Un divertimento assicurato per chi assisteva alla scena, un po' meno per chi veniva usato come valvola di sfogo. Dudley guardò raggelante Piers, lasciando cadere la lattina di birra a terra per accendere la sigaretta che la ragazza mora gli porgeva.

Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era cresciuto in fretta, male e da solo. I suoi genitori, opprimenti e talmente dolci da risultare diabetici, lo avevano stancato già all’età di tredici anni. I suoi amici avevano rispetto dei suoi pugni e della sua mole imponente, più che della sua persona. C’era stato un tempo in cui lui e Piers Polkiss erano stati amici, ma amici veramente, cioè quando potevano parlare di tutto fiduciosi di essere ascoltati e si raccontavano segreti che nessuno avrebbe mai scoperto. Ma quel tempo era finito insieme alle scuole medie quando Smeltings, l’aumento di potere di Big D e della sua mole, le lotte fra bande e le fasi più critiche dell’adolescenza li avevano allontanati. Ora lui era il capo, e Polkiss il sottoposto. In una banda, fra il leader e i membri non c’è spazio per l’amicizia.

"Polkiss." la sola parola servì a gelare sul posto lo sventurato ragazzo. Piers si ritrasse di un passo, torturandosi preoccupato le mani. "Cosa ti fa credere che io abbia voglia di perdere tempo con quello sfigato di mio cugino?". Big D si ergeva in tutta la sua pienezza, dalla punta dei capelli biondi e strabordanti di gel fino alle scarpe firmate: gli avambracci schizzavano agitati nelle maniche della maglietta ed i pugni erano chiusi e pronti all'attacco. Nessuno si accorse del tremolio che i suoi vacui occhi azzurri cercavano di nascondere. Big D poteva affrontare tutto: le dispute con le bande dei più grandi, le risse con i compagni di scuola, gli allenamenti più pesanti di Boxe. Perfino le stucchevoli attenzioni dei genitori. Riusciva a non fiatare, a passare per un genio, quando lui stesso sapeva di avere in dote ben pochi neuroni, ad ottenere il rispetto di chiunque gli sbarrasse la strada.

L'unica cosa che Dudley Dursley non era in grado di affrontare era la magia.

Ringraziando il cielo che suo cugino Harry passasse nove mesi rinchiuso in un lontano castello, Dudley cercava di dimenticarsi di lui rimuovendolo il più possibile dai suoi pensieri. Le regole di base erano semplici:

- Harry Potter non esisteva, era un parto della sua mente: sua madre era sempre stata figlia unica

- La strana coda spuntatagli all'età di undici anni era una rara malformazione ossea

- Nessuna Ford Anglia aveva sorvolato Privet Drive con a bordo il suo inesistente cugino e i suoi inesistenti amici dai capelli rossi (due dei quali identici fino all'ultima lentiggine) quando lui non era che un pupattolo di dodici anni, erano soltanto le riprese per il nuovo Mission Impossible IV

- Durante l'estate dei suoi tredici anni, zia Marge si era gonfiata per una strana malattia ancora in fase di studio presso l'università di Londra. In aggiunta nessuno strano individuo dotato di cappello a punta e mantello si era aggirato in casa sua: la crisi mnemonica della zia era dovuta allo shock

- Suo padre non aveva utilizzato l'intero servizio di porcellana cinese come arma da lancio contro una cenciosa persona uscita dal camino del loro salotto, marchiando indelebilmente i suoi quattordici anni. Si era trattato di un malaugurato incidente che aveva visto Mr Dursley inciampare nel tappeto persiano del salotto, aggrapparsi alla mensola del caminetto rovesciandola nell'impatto e facendo rovinare a terra il prezioso servizio dell'epoca Ping.

- Nessun essere immondo aveva tentato di strappargli l'anima nella scorciatoia tra Wisteria Walk e Magnolia Crescent. In realtà era solo una ragazza del suo fanclub di boxe che aveva tentato di baciarlo come regalo per i suoi quindici anni

- L'inquietante vecchietto apparso a casa sua l'estate prima era solo un simpatico agente del fisco venuto a controllare alcuni conti della ditta in cui lavorava suo padre. Era arrivato ad un'ora molto tarda e per scusarsi aveva offerto loro un liquore piuttosto particolare che aveva provocato a tutti un forte mal di testa

- La magia non esisteva, era solo una fantasia da malati mentali

Con questi dogmi trascritti su un pezzo di carta che teneva sempre nel portafoglio, a portata di mano per qualunque evenienza del caso, Big D era convinto di potere rivoltare il mondo. Aspirò l'ennesima boccata di fumo, lasciando cadere a terra la sigaretta mezza consumata per infilare le mani nelle tasche dei pantaloni, prima di avanzare verso Polkiss.Un ghigno si disegnò sulle labbra di molti dei ragazzi del gruppo. "Dagliele Dud!" esclamò Gordon. "Vediamo se impara a stare in mezzo ai grandi, quel piccolo sorcio." sibilò Dennis fregandosi le mani.

Il primo pugno fu così veloce che a stento Malcolm, quasi al fianco di Piers, lo vide. Colpì il macilento ragazzino allo stomaco, facendolo piegare in avanti. Il secondo colpo lo centrò in pieno viso, spaccandogli un labbro che si ricoprì velocemente di sangue. Polkiss piegò le ginocchia cadendo sull'asfalto con un gemito sofferente. Grida eccitate e risate soddisfatte riempirono lo spiazzo; "Ne hai abbastanza Piers, o ne vuoi un'altra razione?" disse divertito Dudley. "Corri a casa dalla mamma, piccolo sorcio!" riuscì a gridare fra le risate la ragazza mora. Nessuno badò più a Piers, che si risollevò a fatica e si diresse velocemente verso l'altro lato della strada, tutti gli sguardi erano concentrati su Big D. I complimenti e le pacche sulle spalle non tardarono ad arrivare.

"Sono le undici, Dud." sbuffò improvvisamente la ragazzina spegnendo contro il muretto la sigaretta consumata. "Devo andare o i miei mi ammazzano". Gli altri ragazzi bisbigliarono annoiati, accertandosi che fosse realmente scattato l'orario del coprifuoco, e ci vollero dei minuti prima che Dudley si decidesse a decretare la fine della serata. Mentre camminavano per Magnolia Road, salutando gli amici che imboccavano le strade laterali, Dennis prese la parola: "Domani sera si va da me, Dud? I miei sono fuori e mio fratello ha affittato quell'horror che ti dicevo." Dudley fece un cenno d'assenso con la testa. "Bene ragazzi, a domani sera." esclamò Gordon prima di svoltare insieme ai due amici in una strada laterale.

Big D e la ragazzina camminavano affiancati e in silenzio lungo Magnolia Crescent. Arrivati all'imbocco della scorciatoia per Wisteria Walk, Dudley si fermò. "Allora ci si vede domani sera." disse prima di voltarsi verso il vicolo.

"Una sera o l'altra potremo andare al cinema insieme, Dud." esclamò la mora voltandogli le spalle.

"Sta bene, dirò a Malcolm di organizzare tutto." rispose quello muovendo qualche passo verso la stradina.

"Intendevo dire noi, Dudley. Tu ed io e basta."

Quando si voltò, Big D si ritrovò la ragazzina a pochi centimetri di distanza. Quando si era avvicinata così tanto? Non aveva sentito i suoi passi sull'asfalto. "Carmen, ne abbiamo già parlato..."

"Si, lo so. Ma lei ti odia, Dud. A me invece piaci." Chiunque conoscesse anche solo un minimo Big D, sapeva che quella sua espressione a labbra imbronciate e occhi al cielo poteva solo significare datemi-la-pazienza-di-sopportare-questa-mocciosa-lagna. "Sai quello che me ne sbatte, Carmen, di quello che vuoi tu. Torna a casa, ci vediamo domani sera." Si voltò velocemente ed iniziò ad attraversare il vicolo. Mentre si guardava intorno con circospezione, per evitare spiacevoli incontri che in realtà non erano mai avvenuti, sentì la ragazza urlare alle sue spalle: "Mi stancherò di aspettarti, Dud. Quando ti accorgerai dell'errore che stai commettendo verrai strisciando da me, ma ti sbagli se credi che ti perdonerò." Ignorando i deliri insensati della mora affrettò il passo e quando raggiunse Wisteria Walk rilasciò il fiato, emettendo un sospiro di sollievo. Si accese un'ultima sigaretta percorrendo quello che rimaneva della strada fermandosi all'incrocio con Privet Drive, per gettare la sigaretta in un tombino. Poi svoltò e si diresse con passo deciso verso il numero quattro.

Aprì la porta entrando nella perfetta Hall della sua casa natia. Abbandonò la felpa firmata sul mobiletto all'ingresso e si diresse a passo deciso verso la cucina. Sua madre era piegata sul lavello, con il grembiule a fiori allacciato in vita ed i guanti di gomma bagnati di detersivo per piatti. Suo padre era seduto sulla sua sedia preferita, davanti alla porta finestra che dava sul giardino interno, rilassandosi leggendo il giornale. Nessuna traccia del suo inesistente cugino. Perfetto.

Accese il televisore e si ritrovò a guardare una replica del The Great Humberto, quel programma che tanto amava a undici anni, quando la cosa-da-non-nominare-MAI-pena-urticaria non era ancora prepotentemente entrata nella sua vita.

Dudley Dursley aveva occhi da lupo e come i lupi era abituato a risolvere i suoi problemi utilizzando i pugni e la forza bruta. Ma Dudley Dursley non era un lupo: era un semplice essere umano e come tutti gli uomini a volte si scontrava contro qualcosa ben più potente di qualsiasi pugno e crollava a terra, senza essere in grado di rialzarsi da solo.

Fino a quel giorno non era capitato che quelle poche volte in cui era incappato in qualche diavoleria prodotta da quello sciagurato di suo cugino Harry e dalla sua cricchia di strambi seguaci del Sostantivo-che-non-doveva-essere-detto-senza-fare-gli-scongiuri-del-caso, alias la Magia. Dudley, nonostante tutti pensassero che fosse un ragazzo dissennato stretto in un’uniforme troppo piccola per la sua mole, possedeva una discreta dose di neuroni ed era abituato ad usarli con parsimonia. Ne usufruiva quando la sua banda si ritrovava incastrata in situazioni di pericolo, ma sembravano destinati ad andare in letargo ogni qual volta qualcosa di irragionevole e assolutamente impossibile gli tagliava la strada: la cricchia di Harry sembrava archiviata in quella categoria.

Neanche quella volta fece eccezione.

Big D aveva iniziato ad accartocciarsi come una foglia secca quando il vetro della cucina era esploso in mille pezzi; il suo stomaco si era ripiegato su se stesso non appena quattro uomini ammantati di nero erano entrati sghignazzando, calpestando i resti di quella che era stata la sua stanza preferita al numero quattro di Privet Drive. Il primo ginocchio aveva ceduto nel momento in cui un lampo rosso lo aveva sfiorato, scagliando contro una parete il corpulento Mr Vernon Dursley. Il corpo di suo padre era scivolato lungo il muro ed era rimasto sul pavimento come una marionetta dai fili recisi. Il secondo ginocchio lo aveva lasciato a terra quando uno dei quattro farabutti si era avventato su sua madre in lacrime, allontanandola dal corpo del marito a cui si era aggrappata con sguardo sgomento. Poi tutto si era fatto confuso. Il nome di suo cugino gridato con rabbia, la porta della cucina che saltava in aria per lasciare entrare un gruppo di strani individui, innumerevoli lampi di luce multicolori che sfrecciavano per tutta la stanza…vide accasciarsi al suolo troppe persone per essere contate, alcune che si contorcevano ancora, altre talmente immobili e dagli occhi così vitrei da non potere essere che morte.

Quando la quiete scese sul campo di battaglia, del numero quattro di Privet Drive non erano rimasti che due pareti grondanti intonaco, molti vetri sparsi in quelle che fino a pochi attimi prima erano state delle aiuole insignite del premio per il miglior prato suburbano e corpi ancora caldi confusi nella polvere. Un urlo straziante quanto lo stridere di un corvo si levò dal fragile petto di Mrs Petunia Dursley, accovacciata contro il corpo ormai gelido del marito. Harry Potter, il Prescelto, era addossato ai resti della cucina, tenendosi una spalla pesta e lacera. Al suo fianco l’ex professore Lupin lo sorreggeva, sussurrandoli parole di incoraggiamento che non sembravano sortire alcun effetto. Fra le macerie si aggiravano uomini dai lunghi mantelli e dai cappelli più improbabili che, come un branco di avvoltoi, stavano contando le vittime e cercando i feriti da soccorrere.

Dudley Dursley era il leader della banda più pericolosa di Little Whinging e conosceva il prezzo della paura. Non si stupì quando si piegò in avanti e appoggiò le mani sul vermiglio pavimento squarciato.

“Le voglio bianche, Vernon caro. La mia cucina deve splendere come se fosse fatta di luce.” Aveva detto sua madre, tanti anni prima, davanti al piastrellista ormai esasperato. Suo padre aveva sbuffato, si era lisciato i baffi con fare stizzito, ma poi non era riuscito che a sorridere davanti al volto gioioso della moglie. Gliele aveva prese quelle piastrelle che tanto voleva, e la cucina adamantina e i lampadari ottocenteschi e il servizio di piatti firmato. Addirittura il televisore per evitare la fatica di percorrere il tragitto fino al salotto, quando il suo piccolo Didino voleva farsi uno spuntino davanti alla tele.

Guardò le piastrelle divelte, rosse di sangue già rappreso, e sentì strisciare sotto le dita l’acqua che scaturiva giocosa dalle tubature infrante, ignara del disastro che la circondava e incapace di lavare quelle lordure. Improvvisamente un rivolo di sangue ancora fresco lo raggiunse con rantolii disperati. Si voltò alla sua sinistra: Mrs Dursley, colei che da ragazza si era chiamata Petunia Evans, era accasciata sul corpo privo di vita di Mr Dursley. Dal suo fianco, lacerato da un incantesimo, scendevano copiosamente rivoli purpurei mentre ansiti le raschiavano la gola, facendosi sempre più flebili. Quando si spensero del tutto Dudley Dursley piegò il capo verso il pavimento, vomitando anche l’anima.

Erano passati pochi minuti dalla mezzanotte del 31 luglio.

Harry James Potter, il Prescelto, aveva compiuto 17 anni.

  
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