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Autore: Belle_    21/12/2012    14 recensioni
«Usagi...», ripeté con dolcezza.
Le stava accarezzando le guance piene di biancore, poi passò a toccarle i capelli dorati lasciati anonimi sulle spalle, ed infine sfiorò le sue labbra con entrambe le mani, con tutte e dieci le dita. La toccava come se fosse tutta roba sua, come se in qualche tempo tutta quella pelle, quelle palpitazioni e quelle ossa fossero state sue. Solo sue.
«Usagi...», sussurrò ancora.
Si chinò sul suo viso con gli occhi dischiusi, le labbra pronte ad improntarsi sulle sue, il respiro spezzato da un'emozione più grande.
Ma lei si scostò, spaventata, e iniziò a toccarsi le mani con morbosità.
Lui le fermò con la sua presa salda, sicura e spaventosa, consapevole di quel vizio immaturo, e la stava fissando con quegli occhi suoi, color cielo. Un cielo antico si stava stagliando su di lei, un cielo pieno di dolore. Ed era tremendo trovarsi sotto una volta così agghiacciante e morbida, meravigliosa e terribile.
* * *
...se perdessi la memoria, a chi crederesti?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inner Senshi, Mamoru/Marzio, Outer Senshi, Seiya, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi, Seiya/Usagi
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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9) Color Sangue
   Un po' eroi, un po' idioti


Morire.

Nascere.
Crescere.
Vivere.
Amare.
Sbagliare.
Soffrire.
Gioire.
E morire.
E poi ancora rinascere.
In un solo mese. Trentuno giorni, settecentotrenta ore, quarantatremilaottocentoventinove minuti e due milioni seicento ventinovemila e settecentoquarantatré secondi. Tutti questi attimi pieni di palpitazioni, momenti colmi di pensieri, sentimenti, respiri e bisogni umani, persi in un solo minuto. Un minuto per morire.
Quante volte si poteva morire in un minuto?
Mille, cento, o forse solo una, se la morte sapeva essere decisiva.
Era stato così per Usagi: un colpo solo, profondo, accurato. Un solo colpo sferrato dalle lame che fuoriuscivano dalla bocca di Mamoru e Usagi era stata messa a giacere dentro un altro mondo, un mondo che era l'immensità del Giappone. Un mondo che non era l'America. No, quello lì era troppo da desiderare, le bastava la realtà, dove a separare il Giappone dall'America c'era un immenso e profondo oceano, ma voleva guardarla da lontano. A debita distanza. Chilometri di distanza, come sarebbero stati da lì a poco, loro. A
chilometri di distanza in un mare color rosso, come il sangue che aveva oscurato i suoi ricordi.
<< Avevo fatto domanda mentre eri in coma. >>, spiegò Mamoru.
<< Perché? >>, chiese senza voce Usagi.
<< Comprendimi, Usagi. Tu eri in coma e... >>.
<< E avevi deciso di scappare da tutto questo! Ecco cosa devo comprendere! >>.
<< Per favore, non fare così. Sai che io sono innamorato di te! >>.
<< Non abbastanza. >>, disse, sconfortata.
<< Ma cosa dici? Hai ricordato tutto, no?!? >>.
<< Sì, ho ricordato come io mi sono venduta per stare con te una sola ora. Ho ricordato il tradimento di Nehellenia, mentre ti stava appiccicata alla bocca, ho ricordato la delusione dei miei genitori quando hanno saputo che mi vedevo con un uomo quasi sposato, ho ricordato le serate che mi hai lasciata da sola al Crown perché Galaxia aveva un problema. Ho ricordato la vergogna che mi ha investito, ho ricordato quello che io ho fatto per te, Mamoru. Perché di concreto non c'è nulla da parte tua, solo parole. >>.
E quanto aveva amato quelle parole che l'avevano tenuta in vita.
E Mamoru l'aveva guardata con il dispiacere negli occhi, un po' rincuorato di rivedere quella forza tornare nella sua voce, ma, con gli occhi bassi, fece per andarsene.
<< Ho lasciato la donna che ha partorito la mia amata bambina per te, Usagi. Ti ho aspettata per ore, al freddo, davanti la scuola solo per rubarti un bacio. Ho litigato, picchiandomi, con il fratello di Galaxia solo perché ti stavo osservando. Sono tornato a sorridere, solo per te, sono tornato ad amare. Se questo è poco per te, dovremmo chiuderla qua. >>
Sì, si poteva morire cento volte in un'ora. Perché c'erano assassini affascinanti che non si limitavano a dare il colpo di grazia, ma continuavano a infierire con i loro occhi di cielo.
<< L'avremmo chiusa comunque qua, no? >>.
<< Non se mi avessi aspettato. >>.
<< E quanto? Sei mesi? >>.
<< Due anni. >>.
Usagi morì per la terza volta in un minuto.
Due anni erano un insieme di giorni, di mesi, di ore e di minuti che non sarebbe stata in grado di affrontare. Una lontananza così prolungata, così sofferta, non l'avrebbe affrontata. No, decise, non potevano stare insieme.
<< Sei forse pazzo? Sai cosa sono due anni, Mamoru? >>.
<< Un immensità di tempo. >>.
Sì, un tempo troppo lungo ad una distanza troppo lunga. E seppe in cuor suo che il loro rapporto era stato plasmato in continuazione dalla distanza, voluta e dovuta.
Galaxia. L'amnesia. E ora l'America.
Non era così difficile da capire cosa avrebbe voluto Usagi, come qualunque ragazza. Non voleva essere una principessa, venerata e amata, ma voleva avere per sé l'unica persona che contava, l'unica che avrebbe voluto. Era stata cosciente sin dall'inizio che non potevano stare insieme, ma desiderarlo non era un reato troppo grave.
Non per il suo cuore, però. Il suo rubino fratturato.
Così Usagi si prese cura di sé stessa e del suo cuore e se ne andò, lasciandolo davanti il campo e lasciandolo all'America, la scusa e il nuovo potere che lo strappava da lei.
Per quanto dolore avesse avuto dentro, questo era il tempo di chiudere questa storia tormentata e cercare in qualche modo di lasciarsi curare dal tempo o da una buona cioccolata.
Era ora di camminare a ritroso, dentro le pozze del suo sangue.
Come un'idiota.

Due sere dopo, Usagi camminava lungo la strada principale che volgeva al Crown, in silenzio e religiosamente chiusa nei suoi pensieri.
Aveva una cena di classe, quella sera. Non ne era molto entusiasta, aveva solo voglia di infilarsi nel suo letto e guardare la TV. Nulla di troppo pretenzioso, solo una quotidianità che prima dell'amnesia amava fare. Anche perché uscire significava rivedere quei volti che aveva dimenticato e non sapeva cosa dire loro, e soprattutto perché aveva il cuore a pezzi. Camminava mentre pezzi troppo grandi rimanevano nelle pozze del suo sangue...
<< Posso entrare nei tuoi pensieri? >>.
Usagi alzò la testa, spaventata dalla voce tiepida che si era intrufolata nel suo orecchio. << Seiya! >>, disse, tirando un respiro di sollievo. << Mi hai spaventata. >>.
Seiya sorrise, annunciando il suo rammarico, e le scompigliò i capelli. << A cosa pensavi? >>, le chiese con curiosità.
<< Non so come scusarmi con gli altri. >>.
<< E per cosa? >>, sbarrò gli occhi.
<< Per essermi dimenticata di loro. >>.
<< Non essere sciocca. >>, cominciò a dire Seiya, sorridendole in quel modo luminoso che spingeva a sorridere anche Usagi.
In verità, il sorriso di Seiya spingeva a fare ben altro, dentro di sé, ora che le memorie si erano ripristinate. Un battito d'ali si smosse nello stomaco di Usagi e i brividi cominciarono a salirle in gola, dicendosi che sì, Seiya era davvero il suo miracolo dentro quella vita. Il primo ricordo nell'amnesia.
Lui, come una calamita, attirava i suoi sorrisi ad estendersi e brillare della sua luce color pastello, o forse perché Usagi era incapace di non fare ciò che Seiya le suggeriva con gli occhi e, quindi, anche con il cuore. Come se tra i due cuori ci fosse stato un filo di connessione che permetteva loro di capirsi in una maniera intima e di muoversi in simultanea lungo la strada della vita.
<< Loro non hanno nulla da scusarti. >>, si mise a giocare con un sassolino lungo il marciapiede, sorridendole appena.
Usagi gli sorrise e ripensò al loro primo incontro, avvenuto anni prima a scuola. Al terzo anno, dove Usagi aveva cambiato classe e indirizzo di formazione.

<< Tu sei Usagi, giusto? >>.
Usagi aveva alzato la testa dalla sua cartella, intenta a cercare il suo cellulare, un po' in disordine, e si soffermò ad osservare il compagno di classe. Uno schianto di compagno di classe, doveva ammetterlo. C'era qualcosa dentro di lui che le apparteneva, ma non seppe se era il sorriso o quegli occhi blu che le sorridevano da appena si erano visti.
Annuì, sorridendogli.
<< Che strana testa che hai! >>, disse lui, beffeggiandola.
Le sorrise nel modo tipico che in futuro avrebbe caratterizzato Seiya e Usagi lo osservò, arrossendo un po', vedendone quegli occhi blu come il mare e i lunghi capelli neri. Ad Usagi era sembrato annegare per un secondo dentro quegli occhi, ma appena scese con lo sguardo sulla bocca, piegata nel sorriso più bello, capì che quelle erano acque che non le avrebbero fatto del male. Anzi, l'avrebbero dissetata. Avvolta, tratta in salvo.
Erano acque buone, acque sue.
<< Perché, cos'hai contro la mia testa? >>, chiese, affilando lo sguardo.
<< Be', sono strani questi cosi. >>, le palpò i codini, incerto. << Cos'è, lisciarti i capelli come il resto della tribù femminile non si adduce ad una come te? Sei sofisticata? >>.
Usagi prese a ridere con dolcezza. << Il resto della tribù è un po' banale, per me. >>.
<< E tu sei ridicola con questi codini, Usagi Tsukino. >>, la guardò seriamente.
Usagi gli sorrise. << Se non ti piacciono, puoi benissimo guardare le altre ragazze con i loro capelli perfettamente lisci e senza forme. >>.
Seiya guardò per un secondo il cielo attraverso la finestra, nascondendo i suoi pensieri e raccontargli solo al silenzio, e poi sorrise. << Credo che mi piacerà guardare solo te con queste polpette in testa e questi occhi che già credono di sapere la vita. >>. Le diede un buffetto sulla guancia, sorridendole.
<< Sono una ragazza fidanzata, io. >>.
<< E chi ti dice che sia quello giusto? >>, ammiccò.


Già. Chi le diceva che Mamoru era quello giusto?
Il suo cuore? Banalità.
I suoi sensi? Banalità.
I suoi occhi? Banalità.
Seiya? Forse.
Guardò il suo compagno di passeggiata e gli sorrise ancora, perché non era capace di far altro in sua presenza se non quello di ringraziarlo con gli occhi per ogni momento restituitele, grazie alla passione che le aveva mostrato.
<< Ma tu devi scusarmi per qualcosa, vero? >>, mormorò, timida.
Seiya la guardò di sbieco. << Forse. >>. <
< Tu sei qui, eri qui già da prima, e io non ho mai fatto nulla per te. >>.
<< Sei solo un'idiota, Usagi. >>, iniziò col dire, avvicinandosi a lei, accorciando il ponte. << Questo Mamoru ti ha preso tutto: tempo, sorrisi, sforzi. Ha preso te stessa e l'ha rubata, non ti ha mai più restituita. Perché se tu sei stata la sua cura, lui era il tuo male. Poco ma sicuro. >>.
<< Sei amareggiato, lo capisco. >>. <
< No, tu non capisci niente. Da quando è uscito fuori questo qui, io non ti ho riconosciuta più. Certo, sei maturata, ma hai perso con il tempo la tua audacia ed è per questo motivo che, durante l'amnesia, ho cercato di farti tornare in mente la luce che eri un tempo. Ovviamente l'incidente e l'amnesia hanno dato il colpo di grazia. >>.
Usagi abbassò gli occhi, dandosi dell'idiota. Ancora una volta.
<< Io l'ho amato moltissimo, Seiya. >>.
Seiya si parò davanti a lei, fissandola severamente. << E con questo? Amare fa così male? Invece ti portarti su, nel cielo, ti porta giù, nel mare? >>.
Usagi cercò di sorreggere il suo sguardo, determinata. << Non tutti gli amori sono da favola, Seiya! Non tutto è rose e fiori, accidenti! >>.
<< E allora? >>, persistette Seiya. << E questo amore quanto buono può essere se ti ha ridotta ad una fiammella? Usagi, tu eri una fiamma! Tu sei un eroe. >>.
<< Buono? Questo amore non ha avuto il tempo di essere buono, non ha vissuto delle quotidianità giuste, dei sorrisi disinteressati, dei litigi. E' stato un amore fatto solo di fretta, di sorrisi innamorati e rari, e non c'era spazio per i litigi. C'era già il mondo che ci voleva separati. >>.
<< Galaxia non è il mondo, Usagi. >>, mormorò amaramente.
<< Ma Chibichibi era il mondo di Mamoru. >>, sputò, avendo gli occhi lucidi.
<< E tu vuoi farti una colpa, Usachan? Vuoi prenderti la colpa della morte di una bambina concepita solo da un rapporto senza amore? Non puoi essere la cura di Mamoru a vita. >>. Seiya osservò l'angolo della strada e sospirò. << E' un uomo fallace, rotto dalla vita, e ha cercato a tastoni di crearsi una famiglia. Non è l'uomo che saprebbe farti brillare, saprebbe portarti sempre più giù e lasciare che su di te si compia un'eclissi violenta. Capisco benissimo la tua prospettiva; prima di lui eri felice e questo dimostra che hai seguito i tuoi sentimenti a discapito tuo e della tua vita. Si vede che lo ami moltissimo. Davvero lo capisco, Usagi, ma quando si tocca il fondo, è giusto tornare a galla. E' ora di rinascere. >>.
Rinascere ancora dalle ceneri, riemergere da quel mare color sangue e affrontare la vita.
Rinascere. Come un eroe.
<< Va' in America, Seiya. L'ho lasciato per sempre. >>.
La sua voce stava morendo in gola, perché era consapevole che un suo per sempre era una promessa irrevocabile.
Questo era un addio, questa era la rinascita.
Seiya abbozzò un sorriso. << Sai, da quanto ti ho incontrata sono cambiate molte cose nella mia vita e nella vita di tutti. Siamo adolescenti e le cose sotto le nostre mani scivolano velocemente e prematuramente, ma tu sei sempre stata una costante. Io non so cosa c'è davvero dentro di te, visto che sei stata capace anche di far a tornare ad amare Mamoru, ma, vedendoti, capisco che l'amore è il motore del mondo. All'inizio ti ho anche odiata un po', ma poi ho sempre avuto voglia di capire questo sentimento, di studiarlo, di abbracciarlo. Davvero, io non conosco la tua educazione e chi ti ha insegnato una forma di amore tanto puro verso gli altri, ma guardare te che aiutavi un uomo spezzato, la tua ex migliore amica ad alzarsi da altre sofferenze, aiutare Rei che rischiava di rimanere incinta, aiutare chiunque, mi ha aperto un mondo. Esiste qualcosa dentro di te che... >>.
Sailor Moon. Lei le aveva insegnato ad amare così.
<< Ora non idealizzarmi, Seiya. Ho solo amato le persone che mi erano vicine, credo che questo tu sai farlo molto meglio di me. >>.
Seiya si fermò, afferrandole un braccio. << No, io non so cosa significhi amare, e tu me lo stai insegnando giorno per giorno, con il tempo, con la dolcezza, con la sofferenza. E' come se tu avessi questo talento particolare, una sorta di terzo arto. Lo spiega anche il tuo incidente. >>. U
sagi scosse la testa, sorridendogli. << Ami la tua ragazza, Seiya? >>, chiese a bruciapelo.
<< No. >>, mormorò, sconfitto. << Non è lei che mi spinge ad amare. >>.
Usagi osservò quel mare in tempesta che erano i suoi occhi ed era strano. Vedere quelle iridi incerte e confuse su qualcosa, le bucava il cuore, e non seppe spiegarsi il perché, quella confusione che aleggiava attorno al sorriso e forava quel mare la rendevano molto inquieta. Stranamente inquieta.
Voleva allungare una mano verso di lui e capire cosa la lasciava così.
Lo fece e il ponte in costruzione minacciò di trovare le fondamenta, perché lo sguardo che adesso Seiya le stava rivolgendo era uno sguardo di ardente voglia di rinascere.
Non più morire.
Non più soffrire.
Non più piangere.
Solo rinascere.
Solo amare.
Solo gioire.
Solo crescere insieme.
Usagi spostò lo sguardo sulla strada e la riconobbe. Quella curva. Quella striscia di sangue ancora permaneva sull'asfalto bagnato e sdrucciolevole, quei suoni ampliati ancora stridevano in quel luogo, quella frenata ancora lasciava il suo segno massiccio e nero. E fu lì che, nelle pozze di sangue rappreso, ad Usagi parve di vedere un riflesso di Seiya e un riflesso di sé stessa. Un sorriso mescolato al sapore di sangue, al sapore di pane e aceto.
Tornò a guardare Seiya con i suoi occhi bagnati dal sangue di quel giorno amaro. Con quegli occhi un po' eroi e un po' idioti.
Le promesse di Seiya erano la doppia faccia delle monete, la parte felice e quella infelice che si poteva vivere in un amore. Ciò che Mamoru, invece, non le aveva dato: una scelta.
Una parte felice ed una dolorosa. Solo la memoria di un amore sofferto, cariato dalla gelosia, ingannato dalle promesse che non avevano trovato rifugio nella realtà. Solo un amore tormentato. Qualcosa che a diciotto anni non si poteva avere, qualcosa che non avrebbe avuto mai più nella sua vita e che non avrebbe desiderato, nonostante tutto questo amore che ancora avvampava.
Era la fine. Ed Usagi lo capì.
Si sentiva distrutta, come lo era stata su questo asfalto.
Si sentiva un po' idiota e un po' eroe.
Come quella maledetta sera in mezzo al suo sangue.

Per Usagi la vita aveva una sua filosofia: c'era un equilibrio da proteggere.
Nella scuola, nel lavoro, con gli amici, con i genitori, con la persona amata e con sé stessi. C'era una sorta di confine, una linea tracciata sulla quale bisognava camminare in punta di piedi e con la malsana sicurezza che quelle punte avessero la capacità di sorreggere tutto il nostro peso. C'erano persone, però, che di quell'equilibrio se ne prendevano gioco; percorrevano la linea come ubriachi, urlando, ridendo, barcollando un po' a destra e un po' a sinistra. Sempre in bilico.
Erano persone irresponsabili, pure, persone determinate e folli. Erano eroi.
Quella sera, infatti, Usagi e Mamoru si erano comportati come due perfetti ubriachi, due perfetti irresponsabili. Si erano scambiati un bacio appassionato davanti a tutti, fuori il Crown, sotto gli occhi increduli di Galaxia, sotto gli occhi critici di tutti.
Non riuscendo a mettere a tacere gli istinti troppo furiosi per la lite, Mamoru aveva messo a tacere la sua bocca con le sue carnose labbra. Muovendole sulle sue come una danza, come un Valzer muto, inoltrando la lingua come se nella vita le sue papille gustative non avessero aspettato altro. Quando si erano staccati, ansimanti e imbarazzati, videro gli occhi sgranati di Galaxia che si aprivano ad un nuovo dolore agghiacciante e iniziarono a camminare verso di lei, indecisi e timorosi.
Usagi iniziò a strofinare le mani, mentre il silenzio ombreggiava la sua mente, ma le mani di Mamoru afferrarono con una strana dolcezza le sue e la osservò con lo sguardo arreso. Strinse la sua mano e camminarono insieme verso Galaxia con la tacita promessa di restare finalmente insieme. Consapevoli del male che avrebbe inflitto.
Doveva chiedere scusa a Galaxia, si era detta,
doveva.
Ma qualcosa irruppe nel suo silenzio: il rumore di un'auto che correva, un motore furibondo che mangiava l'asfalto, così si voltò e vide i fari alti che facevano capolino dalla curva della strada e vide nella stessa traiettoria sua sorella che camminava di spalle, distratta dalle cuffiette dell'Mp3.
Ingerì una dose massiccia di paure e si voltò completamente per chiamare Chibiusa, urlando a squarciagola.
<< Chibiusa, spostati! Chibiusa! >>, urlava come un'ossessa.
Ma la ragazzina non sentiva, non vedeva che la sua vita era appesa ad un filo, appesa ad un filo nero di un Mp3.
Così Usagi prese a correre verso sua sorella, attraversando la strada e percependo che stava iniziando a barcollare sul filo dell'equilibrio. Sentiva i piedi che si prendevano gioco del confine, barcollando un po' troppo a sinistra e un po' troppo a destra.
Sentiva che stava smettendo di proteggere il suo equilibrio per proteggere l'equilibrio di sua sorella.
<< Ehi, dove vai? >>, le chiese Mamoru, cercando di afferrarla.
Usagi nemmeno udì a pieno la voce di Mamoru, era persa nella sua corsa verso sua sorella, nella corsa contro il tempo, contro quei fari troppo alti, contro quel pedale di velocità troppo premuto, contro uno stridio assordante.
<< Ehi, Chibiusa! Chibiusa! Spostati, accidenti!>>. Aveva la gola in fiamme, la voce che era raschiante e pericolosa contro le corde vocali consumate.
E Chibiusa non accennava a sentire, immersa dentro quella canzone che la prendeva totalmente, annullando il mondo circostante.
L'auto era troppo vicina e Usagi troppo lontana.
<<
Usagi! Sta' ferma! >>.
Le urla di Mamoru accompagnarono la marcia di Usagi lungo la linea che si sfilacciava, che diminuiva spaventosamente. Mentre barcollava.
Un respiro profondo e Usagi accelerò i suoi passi e spinse via Chibiusa dalla traiettoria dell'auto, spostandola sul marciapiede rudemente, e così l'auto si impattò contro il suo gracile corpo che scrocchiò terribilmente e venne spintonata via di qualche metro.
Il clacson dell'auto prese a suonare ininterrottamente e la scivolata di Usagi lungo l'asfalto fu quanto dolorosa quanto rude, tanto da giungere a mangiare il primo strato di pelle dell'addome. La scivolata continuò fino a che il corpo stordito di Usagi non cozzò contro il monumento bitorzoluto della curva, sbattendo bruscamente la testa contro lo spigolo del piedistallo del monumento.
Ebbe la gola piena d'aria che non riusciva a ingerire, né a tirar fuori, sentendo le palpitazioni rimbombare nella testa, il sangue che usciva copioso dal suo addome e che si riversava con una certa lentezza all'interno del suo corpo.
Usagi ebbe paura di non respirare più, prima di sgranare gli occhi davanti ad un buio spaventoso e per poi assopirsi pesantemente contro l'asfalto, sbollentato dallo strusciare della sua stessa pelle. Per chiudere la mente con la sua ultima frase che avrebbe dimenticato:
scusami.

Mamoru si era detto di commettere un grande sbaglio nel voler affrontare Galaxia e lasciarla per dirle che amava Usagi, si era dato dello stupido perché dopo la morte della loro Chibichibi non meritava altro. E poi non si spiegava il perché del silenzio di Usagi, non parlava e incedeva con passi incerti.
Certo, dopotutto non poteva essere davvero così forte l'amore di Usagi per lui, non poteva essere determinata a voler avere sulla coscienza l'infelicità di un'altra persona solo per amor suo. Sapeva che Usagi in passato era stata la prima a non voler far del male alla sua ragazza, comprendeva il dolore. Gli era stato sempre vicino.
Lui l'aveva sempre trattata male, l'aveva sempre presa in giro, le aveva sempre detto apertamente che non avrebbe mai lasciato la sua fidanzata. Le aveva sempre mostrato il lato peggiore, sempre spavaldo, sempre arrogante, offensivo, poco elegante, eppure Usagi gli aveva sempre tenuto testa, aveva sempre la risposta pronta e gli era sempre stata vicino. Ingoiava il suo dolore e offriva quella spalla, sempre la stessa, dove Mamoru poggiava la testa e parlava a stento mentre lei finiva i suoi pensieri.
Completandolo.
Succedeva rare volte che Usagi si lasciava baciare e, quando Mamoru ne usciva vittorioso, si innamorava per la centesima volta degli occhi profondi di Usagi, delle smorfie del viso, della labbra mordicchiate e cicatrizzate dai segni. Ogni volta che succedeva, raramente, era sempre una magia che voleva ripetere.
Sapeva che era sbagliato baciarla, come era altrettanto sbagliato correre da lei quando un esame andava male, quando gli amici non ne potevano più del suo carattere, quando era l'anniversario della morte dei suoi genitori. Correre da lei e stare in silenzio perché tanto lei capiva, sapeva che Mamoru non parlava e vedeva che spesso si divertiva a indovinare cosa era potuto accadere, così lui si sentiva in una sorta di cupola soffice e riusciva a parlare senza timore. Sempre poche frasi, ma Usagi sapeva essere già un gran lusso. Sapeva che era sbagliato, ma ogni volta aveva l'infiammante desiderio di baciarla nuovamente, di stringerla a sé e riempire i suoi polmoni di lei, del suo profumo.
Così come era successo quella sera davanti a tutti, per mettere a tacere quelle urla di rabbia contro di lui, quell'inveire contro la sua anima maschile, aveva usato le sue labbra come arma. Ma si ricordò di avere un'arma a doppio taglio, coinvolgendo anche lui. Desiderando di esplorarla sempre di più con la lingua in ogni parte, desiderando di conoscere il suo piacere e i suoi fastidi. Desiderando di averla per sé ogni giorno per godere di un rapporto dove il vero piacere era
dare piacere.
Guardò Usagi e vide che le sue mani si strofinavano l'una contro l'altra, e sorrise. Le fermò le mani con la sua presa salda e la fissò, arreso dinnanzi a lei, davanti al suo timore di ferire un'altra persona. Arreso perché finalmente stava facendo la cosa giusta, finalmente le prometteva di restare insieme.
Finalmente.
Ma Usagi venne distratta da un rumore e la vide agitarsi, la vide ingoiare respiri pesanti e poi voltarsi completamente verso l'altra parte della strada e lasciare la sua mano.
A lungo Mamoru avrebbe rivisto nei sogni quella sua mano staccarsi dalla sua.
<< Ehi, dove vai? >>, le aveva chiesto, ma lei non stava ascoltando.
<< Ehi, Chibiusa! Chibiusa! Spostati, accidenti!>>.
Stava urlando mentre correva verso sua sorella che ascoltava la musica e Mamoru vide solo in quel momento l'auto che sfrenava furiosamente e che si dirigeva contro Chibiusa. Così capì qual era l'intento di Usagi, capì che non stava pensando e che le palpitazioni rimbombavano nella sua testa, ascoltando solo il cuore. Perché Usagi era una persona di cuore, una che quando parlava non mentiva mai, una persona che quando rispondeva ad una domanda era perché la sua voce aveva un canale diretto con il cuore e quasi mai ascoltava il cervello, nonostante fosse una ragazza intelligente.
Perché Usagi amava Mamoru con quel cuore puro e lui era un idiota che l'aveva sempre allontanata quando l'unica cosa sensata da fare era abbracciarla.
Non rifiutarla, non prenderla in giro, ma amarla, stringerla.
Era un cuore puro.
E lui un idiota.
Un cuore spezzato.
<<
Usagi! Sta' ferma! >>, le urlò dietro, sentendo il suo cuore palpitare fortemente e assordargli la mente. I
nfatti, Mamoru vide la scena con il silenziatore. Lentamente.
Usagi raggiunse sua sorella.
Trafelata e rossa in viso.
Spintonò via Chibiusa.
Aspettò coraggiosamente per un secondo interminabile.
L'auto arrivò al suo bacino e la scaraventò via.
Il suo corpo scrocchiò atrocemente e lentamente per gli occhi di Mamoru.
Poi, la vide alzarsi sino a raggiungere quasi il cielo e cascare bruscamente a terra, vide il suo corpo strofinare voracemente contro l'asfalto e perdere una cupa scia di sangue, vide il suo capo e le sue palpitazioni urtare contro lo spigolo del monumento, la vide ingoiare respiri impossibili e poi chiudere pesantemente le palpebre.
Vide il silenzio mentre l'agitazione attorniava Mamoru.
Prima di capire cosa stava realmente accadendo, dovette guardare da vicino Usagi e corse da lei. Era sporca di sangue, un colore così scintillante che non avrebbe dimenticato, e senza sensi. Era vuota.
Le sentì il polso e percepì il battito lento e lontano, e iniziò ad agitarsi, Mamoru, dimenticando i suoi corsi di medicina, il pronto intervento. Era senza un braccio, inutile, non riusciva a salvare l'unica persona che valeva la pena salvare.
Gli era capitato una volta, nel tirocinio, di dover togliere frammenti di vetro dalla spalla di un uomo, era stato un colpo sferrato dalla moglie mal menata e violentata da lui. Non voleva curarlo, non poteva permettere che quell'uomo tornasse ad usare il braccio destro, non poteva permettere che quel braccio destro, curato da lui, picchiasse nuovamente la moglie troppo coraggiosa.
Ma fu costretto e dovette estrarre i residui dei vetri.
Il Giuramento di Ippocrate, bla bla bla.
E cosa era valso studiare sei lunghi anni, tre da tirocinante, se le sue cure non tornavano alla mente ora?
Ora che doveva salvare Usagi.
La sua Usagi.
Ora era come la sua Chibichibi. Senza vita.
Per fortuna, qualcun altro stava chiamando un'ambulanza e stava dando indicazioni precise con la voce rotta, dando recapiti e nominativi necessari.

Qualcuno stava salvando Usagi e non era lui.
Cercò nella folla chi stesse con il telefono all'orecchio e lo trovò, posto appena vicino al corpo svenuto di Usagi con le mani tremanti e il viso preoccupato.

Seiya.
Lui.
Sì, lui stava salvando la vita di Usagi.
Tornò a guardare Usagi e il rosso porfido del suo sangue sparso lungo la strada, i suoi codini biondi, arruffati e abboccolati disastrosamente attorno al viso, i suoi occhi chiusi, il suo viso senza più una storia da raccontare.
La sua Usagi, la sua bambolina preferita, la sua donna preferita. L'unica. Quella in grado di frapporsi al suo malato amore con Galaxia, un amore consumato e mai sbocciato. Un amore senza seme. Invece, in lei c'era il seme dell'amore, lei era l'albero con le foglie che cercava. Germogliante, viva, buona. Pura.
Usagi, la sua Usako.

La sua eroina.
Accanto a lui c'era Chibiusa che piangeva disperatamente, ma annullò quasi subito quell'immagine di rimorsi sul suo volto, perché arrivarono i soccorsi avviluppati dal bianco. Fecero molte domande, troppe, e sollevarono con accortezza la povera ragazza per metterla sulla barella e poi infilarla dentro l'auto.
<< Lei è il suo fidanzato, signore? >>, chiese una donna dall'aria di chi non dormiva.
Mamoru la guardò frastornato, non capendo cosa stesse realmente dicendo e afferrò solo la parola che lui non era mai stato in grado di essere.

Fidanzato.
<< Cosa? >>, chiese.
<< Ho chiesto... >>, la donna sospirò brutalmente. << E' il suo fidanzato? Se vuole, può entrare nell'auto con lei. >>.
Mamoru guardò quella ragazza dagli occhioni blu ora chiusi, quella che era finita su quell'ambulanza per aver salvato la sorella minore, per aver preferito sacrificarsi in un momento lieto come quello e sporcare qualunque cosa con il suo sangue.

Il sangue di un eroe.
E lui non era degno di lei, non era capace di reggere il confronto con una ragazza che si prodigava per l'amore di altri, una ragazza dal cuore tanto grande che gli faceva paura.
<< Signore, non abbiamo tempo da perdere! >>, lo rimbrottò, l'infermiera.
<< No, non sono il suo fidanzato. >>, disse a voce bassa, rotta.

Non sono in grado di esserlo, avrebbe voluto confessare.
<< Sono io, il suo fidanzato! >>, sbottò Seiya. << Posso venire? >>.
L'infermiera guardò prima Mamoru e poi Seiya che si fissarono per la prima volta con complicità, e poi rispose: << Certo! >>.
Mamoru concesse il passo a Seiya e pensò dentro sé stesso che solo Seiya poteva reggere il confronto con Usagi, perché anche lui era un cuore puro.
Lui, Mamoru, invece aveva un cuore di pietra. Un masso nei polmoni pesante e grezzo che serviva solo a pompare sangue al cervello, un masso che aveva un crepa con una piantina rossa insinuata per bene. Un masso che col tempo avrebbe schiacciato Usagi e il suo cuore puro.
L'ambulanza corse via, suonando stridente e fortemente, e Mamoru rimase per mezzo secondo a fissare la lunga striscia rossa lungo l'asfalto.
<< Mamoru... >>, fu Galaxia a chiamarlo.
Lui si voltò da lei e seppe di non voler parlare con la donna che non aveva mai amato in quei lunghi cinque anni, seppe di avercela con lei per aver innescato in lui un senso di dovere, di pietà, da non farla lasciare mai per Usagi. Non si era goduto Usagi per colpa sua, si ripeteva erroneamente.
<< No. >>, disse e si allontanò, lasciandola spaesata.
Andò all'ospedale, dove trovò la triste realtà e Seiya poggiato contro un muro, con il viso immerso in un dispiacere che davvero capiva. Dopo essersi concesso uno sfogo contro il muro del bagno, picchiandolo, se ne tornò al Crown e decise di prendere un caffè. Lo ordinò e rimase per le restanti due ore a fissare il liquido color petrolio nella tazzina, il fumo che aveva smesso di aleggiare e i movimenti impercettibili del liquido.
<< Per quant'altro tempo hai intenzione di rimanere qui, Mamoru? >>.
Mamoru alzò gli occhi e trovò davanti a sé Motoki con il suo solito grembiule, i suoi soliti capelli ramati, i suoi soliti occhi marroni.
<< Adesso me ne vado. >>.
<< Bene. >>, si sedette di fronte a lui.
<< Che vuoi? >>.
<< Non credi che sia ora di cedere? >>.
<< Cosa intendi? >>.
<< Usagi è in ospedale, Mamoru. E' ora che vinci i tuoi fantasmi e corra da lei. Ha bisogno di te, adesso. >>, parlò lentamente.
<< Non posso. >>, disse semplicemente, Mamoru.
Motoki schioccò una risata. << Perché, Mamoru? >>.
<< Lei ha un cuore puro. >>, disse.
<< E tu uno di pietra. >>.
<< Esatto. >>.
<< Però, lei è l'unica che ha creato delle crepe in quella pietra. Mi sbaglio? Tu l'ami. >>, Motoki prese a girare il caffè.
<< Non l'ho mai negato. >>.
<< Non essere ipocrita! >>, sbottò l'amico. << Hai sempre cercato di reprimere tutto. >>.
<< Sì, Motoki, ma adesso che... >>.
<< Adesso, cosa? Mamoru, smettila di giocare. Hai ventiquattro anni, una figlia al cimitero ed una donna che già si è distrutta per te. E' ora che guardi in facci a la realtà. Chibichibi non c'è più e il tuo amore con Galaxia altrettanto. Rifatti una vita, e sai che quella vita può essere solo con Usagi, la tua seconda possibilità. >>.
<< La realtà è che non posso reggere il confronto con una persona che sceglie di sacrificare la propria vita per salvarne altre. >>, Mamoru stava iniziando ad alterarsi.
<< Anche tu salvi vite. >>.
<< Ma non sono lì a impedire che muoiano parandomi con il mio corpo. Io le curo quando hanno già commesso uno sbaglio. >>.
<< Sei talmente sciocco da non renderti conto quanto tu e Usagi abbiate in comune, nonostante le grandi differenze caratteriali. Pensavo che per te ci sarebbe stata una seconda possibilità, Mamoru, e l'avevo vista in Usagi. Ma mi sbagliavo. Mi dispiace. >>, commentò tristemente, alzandosi dal tavolino del Caffè.
<< Usagi è la mia possibilità di migliorare? >>, chiese.
<< Usagi ti ha già migliorato. >>, sorrise Motoki. << Era un'eroina già da tempo! >>.
Ridacchiarono insieme.
Mamoru posò lo sguardo sul sangue che macchiava la strada di fronte, il sangue rappreso che disegnava strane forme sul nero dell'asfalto. <
< A cosa pensi? >>, chiese Motoki.
<< Al colore degli eroi. >>, rispose Mamoru, guardandolo in faccia.
<< E qual è il colore degli eroi? >>.
<< E' color sangue. >>.
   
 
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