Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Adrienne    22/12/2012    5 recensioni
Harry Potter stava giusto decidendo se andare a bere un normale caffè da qualche parte, oppure se fare un salto a Diagon Alley per un po' di succo di zucca ghiacciato, quando una ragazza che gli stava venendo incontro, sul marciapiede, attirò tutta la sua attenzione. - Dopo la morte di Voldemort, Harry Potter e Hermione Granger si incontrano dopo tre anni di assoluto silenzio. Nuovi problemi, nuove rivelazioni; il trionfo dell'amicizia, ma soprattutto dell'amore. E un segreto da custodire, per sempre.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Ron Weasley, Un po' tutti | Coppie: Harry/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lo so, ci ho messo tanto tempo per finire questa storia. Due anni per scriverla, a conti fatti, e più o meno lo stesso tempo per postarla. Ci tengo talmente tanto (è la mia prima long-fic Harmony) che non volevo affrettare le cose e che non volevo rischiare di rovinarla terminandola quando non avevo ispirazione o voglia.
Non so se qualcuno mi legge ancora, ma vorrei lo stesso ringraziare chiunque lo stia facendo ora e chiunque lo abbia fatto in precedenza; chi ha commentato, chi ha messo la storia per i preferiti, eccetera. In particolare vorrei ringraziare roxy_xyz per aver commentato il capitolo precedente :*
Che dire... Anche questa è andata. Sono soddisfatta, e penso che questa storia meritasse questa fine, tutto sommato.
A voi i commenti (che spero arriveranno)... E ancora, grazie.
Adrienne



Epilogo

Epilogo.





Due anni dopo.



Era un giorno soleggiato ed Harry Potter camminava per le vie Babbane di Londra.
Era in ritardo e sapeva che lei l'avrebbe ucciso.
Accelerò il passo, facendosi spazio tra la folla scalpitante. Era dicembre: la gente comprava i regali di Natale e si perdeva tra mille regalini, attività, chiacchiere davanti a un thè delle cinque. Londra a Natale era veramente stupenda, quasi magica; tutto era addobbato di lucine, festoni, alberi scintillanti. In giro vi erano tanti Babbo Natale che distribuivano caramelle a bambini ed adulti.
Qualche giorno prima aveva anche nevicato, ma uno strano e pur sempre timido sole era spuntato da un paio d'ore ed ormai tutta la neve era sciolta, fatta eccezione per qualche spauracchio che rimaneva agli angoli delle strade, destinato anch'esso a sciogliersi molto presto. Harry aveva trovato quei giorni davvero perfetti, speciali, ed era felice di esser lì proprio in quel periodo dell'anno.
In cuor suo sapeva che nessun'altro posto sulla faccia della terra avrebbe potuto eguagliare quella città, la sua città. Gli mancava da morire. Ancora non si era completamente abituato a quella mancanza e se avesse potuto, avrebbe fatto le valigie anche l'indomani e sarebbe tornato lì per rimanerci. Ma lui non poteva, non poteva assolutamente rimanerci.
Era stato meglio così per tutti, come aveva immaginato. Avrebbe sbagliato ancora una volta.
Dopo parecchie gomitate e piedi pestati, Harry arrivò all'ingresso di Hyde Park.
Lei ovviamente era accanto ai cancelli che già l'aspettava da chissà quanto, le braccia conserte sul petto, una smorfia a deformarle la bocca.
“Scusa,” ansimò Harry non appena le fu a pochi centimetri di distanza. Lo sguardo di lei gettava saette nella sua direzione. “Ho dovuto prendere la metropolitana. C'era una confusione assurda...” continuò a giustificarsi Harry. Aveva praticamente corso e gli faceva male il fianco, così si piegò leggermente sulle ginocchia riprendendo fiato, e con una mano fece segno a lei di aspettare.
“Mi perdoni?” biascicò però, guardandola negli occhi e rivolgendole quello sguardo che lui sapeva piacerle tanto, quello che le rivolgeva quando aveva bisogno di un favore, quando doveva farsi perdonare di qualcosa - come in quel caso.
“E' inutile che mi guardi così, Harry James Potter,” annunciò in modo cristallino la voce squillante di Ginny Weasley, “Ti perdono.”
Lui le sorrise e ridacchiò. Il dolore al fianco era diminuito, così torno in posizione eretta, riprendendo un contegno. “Vieni qui,” disse lui poi, aprendo le braccia.
Lei rise e si gettò fra di esse. Si strinsero in un abbraccio, e Harry respirò a lungo quel profumo di lavanda, quel profumo che aveva e avrebbe sempre associato a lei. Quello che aveva respirato per tanto, tanto tempo fra le lenzuola del letto sfatto, quello che nei suoi ricordi l'attanagliava di sensi di colpa. Gli era mancata davvero tanto anche lei. Era da un po' che non si vedevano ormai.
Harry la lasciò andare e Ginny gli regalò un sorriso a trentadue denti. Il tempo non aveva mutato il suo aspetto, ma anzi sembrava sempre di più una di quelle modelle d'alta moda che ogni tanto Harry incrociava alla tivù o sulle riviste: Era snella ed alta, i lucenti capelli rossi le incorniciavano il volto e gli occhi chiari erano truccati da un perfetto tratto nero di eyeliner sulle palpebre. Le labbra erano leggermente rosse ed indossava un cappotto grigio e una sciarpa nera; aveva una borsa di pelle sicuramente molto costosa e un paio di stivali col tacco. Ai lobi dei semplici orecchini di perle. Era davvero bellissima, e Harry pensò che qualsiasi ragazzo che passava in quel momento accanto a loro si sarebbe potuto innamorare di lei, e che chissà quanti e quali di essi lo avrebbero invidiato vedendola lì con lui.
“Beh, andiamo” disse lei improvvisamente, scrollando le spalle. Harry annuì ed entrarono a Hyde Park. Cominciarono a passeggiare tranquillamente, camminando l'una al fianco dell'altro. Nonostante il sole la giornata era fresca ma i Londinesi non si lasciavano scoraggiare: c'era qualche famigliola che girava lì attorno e dei coraggiosi ragazzi che andavano in bicicletta, quelle che si potevano affittare giornalmente.
Harry e Ginny non parlavano. Non avevano bisogno di farlo, nonostante quello fosse il loro primo incontro dopo un certo periodo di tempo. Sapevano tutto. Lei gli mise un braccio sotto al suo, e camminarono così, tenendosi a braccetto, il rumore di due respiri a far loro compagnia.
Harry, due anni fa, aveva deciso di ritornare lo stesso a Dublino.
E da allora ci era rimasto.
Quando era tornato nella loro vecchia casa, Ginny gli aveva lanciato oggetti e rivolto insulti spaventosi, proprio come Harry aveva pensato e temuto, ignorando le sue scuse e le sue motivazioni. Gli chiedeva perché era tornato con la coda tra le gambe, e in effetti neanche Harry lo sapeva con esattezza. Ma qualcosa nel proprio istinto gli diceva che nonostante tutto aveva già deciso di tornare a Dublino e ormai doveva rispettare quella promessa fatta a sé stesso. Era chiaro che Londra l'aveva intossicato, gli aveva fritto il cervello, e voleva staccarsene per un po'. Voleva staccarsi dalla famiglia Weasley e, a malincuore automaticamente anche da lei, Hermione.
Ginny poi si era calmata, ed aveva dovuto accettare passivamente una convivenza forzata con il suo ex fidanzato, finché almeno lui non avesse trovato una nuova sistemazione e raccolto tutta la sua roba in grossi scatoloni.
Ma quella nuova sistemazione non era mai arrivata, dopo le prime ricerche di Harry.
I due, sfogata tutta la rabbia e il nervosismo del loro rapporto ormai finito, avevano cominciato ad essere più tranquilli, meno gonfi di risentimento e dolore. Certo, Ginny ancora non gli perdonava quello che aveva fatto a tutti loro, a lei per prima, ma evitavano l'argomento se potevano, e così non ne avevano parlato più. Harry le voleva bene, e Ginny non aveva mai smesso di amarlo.
Si trovarono a parlare tanto, a sfogarsi a vicenda sui loro sentimenti perché erano ormai slegati da qualsiasi vincolo e perciò era più facile essere sinceri, e con i giorni la rabbia di lei si affievolì fino a sparire. Si trovarono a scherzare, a ridere insieme. Uscivano la sera, frequentavano vari amici Dublinesi, facevano insieme la spesa, si erano perfettamente riabituati l'uno ai gesti e al modo d'essere dell'altra, e la convivenza ormai si era fatta piacevole in tutti sotto tutti gli aspetti. Ginny aveva smesso di scrivere sul diario e non piangeva più, non gli urlava più contro, ma anzi si scambiavano sempre grandi sorrisi. Sembrava che non fosse successo mai niente di brutto tra loro. Per Harry era come se fossero tornati indietro nel tempo e una sera, complice parecchio Whisky Incendiario e altro alcool Babbano, si erano baciati di nuovo. Era stato lui, Harry, a farsi avanti per primo e lei l'aveva assecondato immediatamente.
Solo l'indomani mattina Harry si era reso conto della grande cavolata che aveva fatto. Temeva che lei provasse ancora qualcosa per lui e con quel bacio aveva paura di averle dato di nuovo false speranze, di aver rovinato ancora una volta tutto quello che erano riusciti a ricostruire.
Una volta ripresi dal dopo-sbornia, avevano deciso di parlarne e Ginny era stata la prima a dirlo, con grande sorpresa di Harry:
“Non ho sentito nulla, davvero. Non credevo potesse succedere, con te. E' stato solo un contatto fisico, nient'altro.” gli disse, schietta.
“Perché siamo amici, ormai” le rispose Harry con sincerità.
Era vero. Erano amici, e non volevano tornare indietro, né andare avanti. Finalmente iniziavano a conoscersi davvero, a capirsi, a sapersi leggere, e Harry si era reso conto di quanto Ginny potesse essere un'amica davvero speciale, cosa che non aveva mai capito prima d'ora, perché non l'aveva mai ascoltata veramente né, forse, si era mai sforzato di comprenderla a fondo. Non erano più appesantiti dalle responsabilità del dover stare insieme ed entrambi avevano aperto il loro cuore.
Quella sera, - quando preso dalla frenesia dell'alcool Harry aveva baciato di nuovo Ginny - si era ubriacato in quel modo perché era profondamente triste. Il motivo era che lei quella stessa mattina gli aveva rivelato che Hermione era incinta.
Harry e Hermione, dopo quel giorno in cui avevano fatto l'amore – e per Harry ricordarlo era insieme un dolore e un piacere – non si erano più sentiti né visti. Lui aveva deciso di andare lo stesso a Dublino, e ai momenti dei saluti, baciandola per l'ultima volta a fior di labbra, le aveva promesso che si sarebbero rivisti presto, che avrebbero parlato, che avrebbero deciso cosa fare con molta più calma, che quel tempo lontani avrebbe chiarito ancora di più le cose. Lei, con i capelli arruffati e i vestiti sistemati alla bell'e meglio, gli aveva sorriso e aveva detto: “Non voglio perderti.”
Invece, Harry era stato preso dalla nuova vita a Dublino, dalla ricerca della nuova casa, dalla risvolta del rapporto con Ginny e non c'era stata più occasione, anche se lei gli mancava come non mai. Sapeva che Ron e Hermione non si erano ancora lasciati ufficialmente, forse perché lui aspettava il momento giusto per confessarsi e forse perché lei, invece, aspettava notizie da Harry. Malgrado ciò, e nonostante quel tempo divisi senza alcun contatto, Harry non aveva avuto bisogno di nessun chiarimento perché ormai era sicuro al cento per cento su quello che provava e su quello che voleva fare: Voleva stare con Hermione.
Proprio il giorno in cui era libero dai suoi impegni dopo tanto tempo, ed aveva già preso in mano una pergamena e una piuma per scriverle pagine e pagine su quello che gli stava succedendo e per chiederle di vedersi, Ginny gli aveva detto quella cosa.
“Ron mi ha detto che Hermione è incinta.”
Lo disse con tono serio ma anche grave. Non parlavano mai di Hermione, ogni tanto parlavano di Ron e del signor Weasley ed era già tanto, ma Ginny sapeva perfettamente quali erano i sentimenti di lui nei confronti della riccia. E sapeva anche che quella sarebbe stata una coltellata al cuore per lui, perciò lo disse con quel tono, calma e lenta.
E in quel momento, quando Ginny pronunciò quella frase, Harry lo seppe: Si erano persi.
Si erano persi di nuovo, lui l'aveva persa, lei l'aveva perso.
Non si poteva più tornare indietro. E non sarebbero mai stati insieme, quella volta per davvero.
Decise (da solo, stavolta) di troncare del tutto i rapporti. Ron non l'avrebbe mai capito, era ovvio, l'avrebbe odiato. Ma Harry non poteva più farcela, non dopo quella rivelazione, non l'avrebbe mai sopportato. Ginny provò a parlargliene, a farlo ragionare, ma lui era ormai assolutamente fermo su questa decisione.
Hermione gli scrisse una lettera, e Harry la gettò nella spazzatura senza neanche aprirla, anche se la curiosità lo mangiava vivo. Non la voleva più vedere, non la voleva più sentire.
L'aveva ucciso. Lei e Ron l'avevano ucciso, distrutto. Annientato.
Si era ubriacato perché voleva dimenticare quella terribile notizia e anche tutto il resto. Sugli sgabelli di quel pub aveva osservato attentamente Ginny, lì accanto a lui, col bicchiere in mano, che rideva e scherzava con tutti, decisamente brilla anche lei. Aveva pensato a quanto Ginny fosse attraente e simpatica in realtà, a quanto fosse felice di averla al suo fianco come amica, di non aver perso anche lei alla fine di quella tremenda storia. Ma ancora una volta si era chiesto perché diavolo Ginny Weasley non fosse Hermione Granger in quel momento.
A quella conclusione le aveva preso il bicchiere tra le mani e l'aveva baciata mandando al diavolo tutti e tutto, come se avesse potuto trasformarla solo con quel bacio. L'aveva fatto pensando proprio a lei, Hermione, la ragazza che amava, quella per cui stava soffrendo come un cane da un tempo incalcolabile ormai.
Non era più successo niente del genere dopo quella volta, dopo che entrambi erano arrivati alla conclusione di aver fatto un piccolo sbaglio e che non avevano provato assolutamente niente in quanto a sentimenti, e tutto era tornato alla normalità. Lui non aveva più toccato alcool.
Aveva detto a Ginny di non parlargli mai più di nessuno di loro, che non voleva saperne niente, e meno che mai voleva alcuna notizia del bambino. Ginny era ormai cambiata, era tornata quella ragazza solare e determinata di sempre, aveva riallacciato i rapporti con la sua famiglia e ad intervalli regolari andava a trovare tutti alla Tana o al San Mungo. Un giorno lui la trovò sul divano, sorridente, ad ammirare delle foto che dovevano essere sicuramente del bambino – bambina?, Harry non lo sapeva né voleva saperlo – perché quando entrò nella stanza, lei le nascose dietro la schiena per oscurarle alla sua vista. Harry le disse di riferire a tutti i Weasley che dopo essersi lasciati lei non sapeva che fine lui avesse fatto, che chissà quale losca via aveva deciso di intraprendere a causa del Ministero, e soprattutto le ordinò di cestinare tutte le lettere da parte di Hermione per lui. Il secchio della spazzatura era colmo ormai della sua calligrafia, di lei, delle parole scritte con il calore della sua mano, della forza che reggeva la penna. Le disse inoltre di avvisarlo in anticipo se loro avessero deciso di andarla a trovare lì a Dublino, perché lui sarebbe sparito per tutto il tempo che era necessario. Si sentiva malissimo, ma non poteva fare altrimenti. Non c'erano parole né scuse che tenessero, non c'era niente da fare, non voleva saperne. Non avrebbe sopportato di recitare ancora.
Avevano un figlio ormai, Ron e Hermione, ed era ovvio che non si sarebbero mai più lasciati. Ron doveva essere tornato sui suoi passi, doveva essere felicissimo di avere un figlio, la Signora Weasley si sarebbe rinfrancata e rinvigorita dopo quell'avvenimento, aveva anche ritrovato la figlia che credeva ormai perduta. Cosa c'entrava Harry in quel quadretto perfetto? Lo avevano escluso, ed Harry stesso aveva deciso di farsi da parte.
Pensava a Hermione spesso, ovviamente. Si chiedeva come stesse, e che cosa pensasse di lui; arrivò alla conclusione che probabilmente doveva farle molta pena. La notte, quando si svegliava e non riusciva più a prendere sonno, si lambiccava disperatamente il cervello chiedendosi se anche a lei mancasse, se fosse felice, se sentiva di appartenere di nuovo a Ron. E in particolar modo si chiedeva se si sentisse davvero viva senza di lui, senza Harry.
Non erano solo le foto di suo o sua nipote che Ginny stava a guardare sul divano. Harry aveva notato che molto spesso lei si portava a casa tante riviste d'abiti di sposa Babbane e stava ore a guardarle, a studiarle, a sfogliare le pagine aggrottando le sopracciglia e corrugando la fronte. Ma non era per quel motivo degli ultimi anni che lei le comprava e le guardava: a Ginny interessava la moda. Cominciò a scrivere e a disegnare in grandi blocchi da disegno con matite e pastelli colorati, a prendere misure su di sé, a farsi foto da sola allo specchio. Di punto in bianco lasciò la squadra di Quidditch, senza dare molte spiegazioni alle sue compagne, senza alcun tipo di rimorso.
Una sera, a cena, diede ad Harry la grande notizia, sempre con quel tono delle comunicazioni importanti.
“Voglio tornare a Londra, Harry. Devo tornare a Londra. Amo la moda, voglio lavorare in quel campo.” gli disse, tra una forchettata di pasta e l'altra.
Harry comprese e non ribatté. In fondo erano solo amici e lui non doveva né voleva seguirla ovunque lei volesse, meno che mai in quel progetto. Sapevano entrambi perfettamente che Harry, nonostante amasse Londra con tutte le sue forze, doveva evitare quella città. Quindi capì la decisione della rossa e si mostrò felice per lei e per quel grande cambiamento che sembrava entusiasmarla, ma in realtà aveva paura. Aveva paura di restare ancora una volta solo.
Lei fece le valigie e dopo qualche mese partì, in cerca di fortuna, ma decisa nell'impegnarsi in questa passione trovata e scoperta così, per caso, per sbaglio.
“A presto. Ci vedremo presto.” gli disse.
Harry non poteva esserne poi così sicuro.
Ginny cominciò a lavorare come modella. Era bella, questo era innegabile, e non fu difficile per lei: non passava inosservata. La vita notturna Londinese l'aiutò, poiché la notarono una sera, in un locale, mentre ballava su un tavolo dopo un paio di drink. Quando Harry lo lesse in una delle sue tante lettere, scoppiò a ridere. Poteva succedere solo a lei una cosa del genere.
Da quei pomeriggi sul divano Ginny non aveva mai smesso di disegnare abiti da sposa. E un giorno, dopo tanta gavetta, sudore e lacrime, notarono anche i suoi bozzetti. Li trovarono buoni e così Ginny, giovane e completamente estranea a quel mondo (e soprattutto al mondo Babbano, a cui lentamente dovette abituarsi, sforzandosi non poco) si ritrovò stilista di abiti da sposa.
Era un paradosso, proprio lei che tanto tempo prima aveva pianto su quelle riviste, su quegli abiti candidi, sulle modelle che riteneva così felici e spensierate. Harry era felicissimo per lei: se lo meritava. Meritava di essere felice, questo l'aveva sempre pensato e sperato.

Non si erano più visti ed era passato parecchio tempo. Hermione aveva smesso di scrivergli e l'unica corrispondenza che Harry intratteneva era quella con Ginny.
Harry si abituò a stare di nuovo da solo, in quella grande casa che per anni aveva condiviso con Ginny, e soprattutto si abituò a non contare su nessun'altro a parte sé stesso. Quella fase della sua vita non fu tremenda come aveva immaginato e piano piano la paura della solitudine prese a diminuire. Usciva con gli amici, incontrava tanti maghi, si buttò a capofitto sul lavoro, impegnandosi più di prima – ricevette addirittura una promozione. Cominciò ad uscire con diverse ragazze, con qualcuna si spinse anche un po' più in là di qualche semplice uscita, ma a lui non importava nulla di loro in realtà. Non si sbilanciava e faceva intendere di non essere pronto ad alcun tipo di relazione, che non voleva legami. Non era perché volesse essere cattivo con loro, ma la realtà era che non riusciva per davvero a legarsi a nessuna, anche se ci provava, addirittura si sforzava. Pensava che per tutta la vita avrebbe dovuto convivere con quel tipo di dolore, quello che dentro di lui bruciava ardentemente; pensava che i sentimenti per Hermione non sarebbero mai svaniti, che non avrebbe mai incontrato nessuna come lei, e che se era con lei che aveva provato tante forti emozioni e che se era di lei che si erano innamorato veramente per la prima volta, allora non sarebbe più capitato niente del genere con nessun'altra. Era rassegnato, ma abituato.
Non sarebbe mai finita, per lui, quindi tanto voleva abituarsi.
Ginny in tutte le sue lettere gli diceva di andarla a trovare, che stare a Londra gli avrebbe fatto bene e che in fondo non era costretto a rivedere nessuno che lui non volesse, che era curiosa di mostrargli la sua nuova vita lì e che avrebbe potuto fargli conoscere tante modelle con le quali aveva stretto amicizia. Harry ogni volta ci scherzava su ma rifiutava categoricamente. Non era pronto, e chissà quando lo sarebbe stato. Però lei gli mancava, e gli mancava quella città.
Ma un giorno, stressato da lavoro, stressato da mille altri pensieri e da una ragazza che aveva conosciuto per caso e che ultimamente lo stava assillando, scrisse a Ginny che aveva finalmente deciso di fare una capatina da quelle parti. Lei gli rispose entusiasta, e una settimana dopo Harry prese un aereo e partì. Era nervoso e, allo stesso tempo, triste. Non sapeva come prendere quel viaggio, se positivamente o negativamente.
Ad ogni modo, prenotò un albergo e dopo qualche giorno di permanenza lì, quella mattina aveva finalmente accettato l'invito da parte di Ginny.
Quest'ultima non aveva ancora mollato la presa sul braccio di Harry e sembrava che lo stesse guidando in un punto preciso del parco; era lei a condurre le danze. Harry sospirò profondamente.
“Più tardi andiamo a casa mia” disse all'improvviso Ginny spezzando il silenzio, “Te la farò vedere e pranziamo lì a che ci siamo. Sono diventata molto brava a cucinare. Ti piacerà.”
“Te la cavavi già abbastanza bene, mi farai trovare su un vassoio d'argento un'aragosta che hai pescato personalmente e del caviale?”
Lei gli fece una smorfia. “Come siamo spiritosi.”
Harry rise. Gli era mancato il profumo di lavanda e il suono della sua voce.
Si chiese se un giorno si sarebbe potuto innamorare di nuovo – o meglio, se si sarebbe potuto innamorare realmente e ancora una volta – di Ginny. Non lo sapeva con certezza, la vita era imprevedibile, ma di certo in quel momento gli sembrava proprio impossibile. Sapeva solo che ci teneva che lei fosse una sua amica, che le voleva bene, e che gli piaceva averla accanto a sé: questo gli bastava. E sopratutto si chiese se lei si sarebbe potuta innamorare di nuovo di lui, se l'avesse mai ricambiato; l'aveva fatta soffrire tanto, troppo. Da sempre poi lei aveva potuto avere tutti i ragazzi che voleva, ora più che mai. Perché avrebbe dovuto scegliere di innamorarsi ancora una volta di Harry?
Ma lo sapeva bene, lui: Non si può scegliere di chi innamorarsi. L'amore ti travolge, e ti porta da chi gli pare.
“Comunque, mi chiedevo”, continuò Harry, “Perché mi hai portato qui? Non per fare il solito guastafeste, ma non credo che oggi sia proprio una giornata ideale per fare una passeggiata al parco. Cioè, è una bella giornata, ma ha nevicato...”
Ginny inizialmente non rispose e cadde di nuovo il silenzio. Si erano ormai inoltrati in una parte del parco dove c'erano tante altalene, varie giochi e giostre per bambini e molte panchine affollate di genitori. Lì infatti c'era il pienone: le famiglie dovevano sicuramente aver approfittato del timido sole di quella giornata.
“Beh, vedi Harry... Devi promettermi una cosa.”
“Spara.”
“Sicuro?”
“Sì.”
“Devi promettermi che non mi odierai. E che continuerai a parlarmi e ad essere mio amico.”
Harry si girò a guardarla sgranando gli occhi. “Ma che razza di...”
“Promettilo!” esclamò Ginny interrompendolo.
“Okay, okay. Anche se non capisco proprio perché dovrei prometterti una cosa del genere, è chiaro che...”
“Ricorda che hai promesso ormai.”
“D'accordo.” tagliò corto Harry, che non capiva proprio dove volesse andare a parare la rossa e si era stufato di quei messaggi in codice.
Ginny accelerò leggermente il passo e cominciò a guardarsi attorno, ma con discrezione; Harry però se ne accorse lo stesso.
“Ginny, cosa stai...”
Approfittando del fatto che Ginny aveva ancora il braccio stretto a quello di lui, si avvicinò alle famigliole e agli schiamazzi dei bambini trascinandolo con sé, finché non inchiodò vicino a una panchina.
Ad Harry gli si mozzò il fiato e dovette sforzarsi di ricordarsi come si respirava perché gli sembrava di non esserne più capace.
Hermione era seduta su quella panchina. I capelli riccissimi erano molto più corti: adesso arrivavano alle spalle. Le ciglia lunghe le incorniciavano gli occhi, aveva un cappotto candido e una sciarpa rossa; non aveva con sé nessuna borsa. Il suo aspetto era semplice ma sempre molto piacevole, e quando alzò lo sguardo e li vide di fronte a loro, Harry capì una cosa, una cosa che forse aveva sempre saputo ma che di certo non poteva più ignorare perché lo in quell'istante lo capì perfettamente e si rassegnò. Aveva incontrato molte ragazze nella sua vita, e capì che nessun'altra gli aveva mai provocato quello che il sorriso di Hermione gli stava scatenando dentro in quel preciso istante.
Hermione sorrideva loro e lo stomaco gli si accartocciò tutto. Anche Harry stesso avrebbe voluto accartocciarsi a palla e buttarsi nel più vicino cestino della spazzatura.
“Sei una stronza.” mormorò a Ginny, e in quel momento gli parve la cosa più giusta ed intelligente che potesse riuscire a dire o che potesse dire in generale.
“Ricorda che hai promesso,” gli ripeté Ginny, e gli lasciò finalmente il braccio. Fece dei passi verso Hermione, che ormai si era alzata dalla panchina e continuava a sorridere.
Ma cosa diavolo c'era di tanto bello, si chiese Harry? Per cosa e perché doveva sorridere? Rimase lì inchiodato, immobile, e si rese conto che stava stringendo i pugni, così tanto che sentì le sue unghia corte arrivare alla carne. Perché Ginny gli aveva fatto questo? Perché aveva deciso di tornare a Londra? Quanto era stupido in una scala da uno e dieci? Non si sarebbe mai aspettato un tiro meschino del genere da parte di Ginny, mai. Rimase lì fermo perché non riusciva a muoversi, gli tremavano le gambe, e perché non sapeva come avrebbe reagito quando si sarebbe mosso. Avrebbe cominciato a urlare? Sarebbe scappato a gambe levate?
Ma Ginny e Hermione risolsero i suoi dubbi decidendo di raggiungerlo e dopo essersi scambiate qualche parola che Harry non si sforzò di comprendere, si mossero verso di lui.
Quando Hermione gli fu vicinissima, si sentì il cuore scoppiare. Ricordava benissimo tutti i particolari del suo viso, dei suoi capelli, e delle sue labbra e rivederli così vicini fu un colpo.
“Bene ragazzi,” disse Ginny allegra, battendo le mani, “Io adesso vado, credo sia meglio lasciarvi soli.” Scoccò un'occhiata a Harry e disse ancora: “Con te ci vediamo dopo, ovviamente. Ti aspetto all'entrata del parco.”
Harry la guardò come assente, senza dire né fare nulla, non preoccupandosi di farle capire che aveva recepito il messaggio. In quel momento la stava odiando praticamente con tutte le sue forze e non aveva voglia di mostrarsi gentile, e di certo lei non poteva aspettarsi che le sarebbe saltato addosso ringraziandola per quel gesto. Ginny sospirò e fece dietrofront, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo che Harry interpretò come un “Non fare cavolate”.
Poi Harry si voltò a guardare Hermione, in piedi accanto a lui, nonostante una parte di sé non volesse farlo. Deglutì sonoramente, e sciolse i suoi pugni, che ormai gli stavano facendo male.
“Davvero commuovente,” commentò Harry in un patetico tentativo di mostrarsi forte e cattivo, “Tu e Ginny siete di nuovo migliori amiche. Così tanto che avete architettato questa messa in scena. E io che avevo creduto che lei volesse rivedermi veramente. Immagino che lei ti avrà detto tutto... Complimenti.”
Hermione lo guardò attentamente negli occhi e Harry si pentì immediatamente di quella frase.
“Non essere sciocco, Harry,” disse lei, e quando parlò Harry sentì tutte le sue già deboli difese crollare miseramente, “Lo sai anche tu che non è così. Non capisco di cosa tu stia parlando: Ginny non mi ha detto nulla. Io avevo... Io avevo dei sospetti, sapevo che eravate ancora in contatto in qualche modo, ed evidentemente i miei sospetti erano giusti. Le ho solo chiesto di fare in modo che noi due potessimo rivederci.”
Perché?” le chiese subito Harry, in un modo quasi disperato. “Cosa vuoi da me? Perché vuoi farmi ancora del male?”
Hermione non riuscì a sostenere il suo sguardo e lo distolse per un attimo. “Io non ho mai voluto farti del male.”
Harry si mise le mani nelle tasche, non smettendo di guardarla. Anche se il cuore nel petto gli tamburellava ancora furiosamente e anche se lo stomaco gli si stava praticamente disintegrando, stava iniziando a riprendere il controllo di sé. “Eppure è successo. A proposito... auguri.”
Lei non lo ringraziò e una piccola ruga le passò sulla fronte. “Questo atteggiamento alla Malfoy non ti si addice minimamente, Harry. Vuoi smetterla?”
Lui alzò un po' la voce. “Cosa dovrei dirti, Hermione? Cosa dovrei fare? Avrei dovuto riabbracciarti e baciarti come se niente fosse?”
Hermione non rispose. I bambini giocavano sulle giostre ridendo e rincorrendosi. I genitori accanto a loro stavano in piedi a fumare sigarette o a discutere, altri erano appollaiati sulle panchine ad osservare i propri mocciosi, ed Harry non poté fare a meno di notare che avevano attirano l'attenzione di qualche curioso.
“Non c'era motivo che ti rivedessi, oggi,” continuò lui, “Né in qualsiasi altro giorno. Non ho niente da dirti. Non abbiamo niente da dirci, è andata come è andata e sappiamo perfettamente entrambi perché. Penso tu sia abbastanza intelligente per capirlo. Io non devo avere più niente a che fare con te e con nessuno di voi, ho scelto così. E tu oggi stai rovinando tutto, tutto quello che ho fatto negli ultimi anni per provare a vivere solo, e soprattutto per provare a vivere senza te accanto. Okay?”
La riccia annuì. Si guardarono ancora negli occhi e sostennero a lungo lo sguardo.
Harry si sentiva meglio per quello che aveva detto. Dopo lo shock iniziale, non pensava di poter essere tanto determinato e si scoprì fiero di sé stesso. Credeva davvero a tutto quello che le aveva appena detto, in modo particolare era fermamente convinto che quell'incontro non avrebbe mai portato da nessuna parte. Non aveva alcun senso. Neanche lei poteva aspettarsi un'accoglienza calorosa da parte sua.
“Hai perfettamente ragione, Harry. Potrebbe non esserci nient'altro da dire. Infatti non voglio parlare e dire qualcosa che potrebbe suonarti falsa e terribilmente banale. E' per un altro motivo che ho chiesto a Ginny di poterti vedere oggi... Voglio che tu veda una cosa. ” annunciò lei.
E tutto d'un tratto, come se avesse pronunciato un incantesimo non verbale, una piccolissima figura corse verso di lei, fermandosi ai suoi piedi ed poggiandosi sulle sue gambe. Hermione se ne accorse e in un batter d'occhio si inginocchiò verso la figura, per abbracciarla leggermente e capire cosa avesse bisogno.
Harry si costrinse ad abbassare lo sguardo. Si costrinse a guardare e il respiro gli si bloccò di nuovo in gola.
Una piccolissima figura che poteva avere un anno e qualcosa, quasi due, era ai piedi di Hermione e biascicava qualcosa, con una voce squillante ed infantile: era una bambina. Hermione le pulì le manine, sporche di sabbia o di terra, e le disse qualcosa per tranquillizzarla. Le sistemò il cappellino colorato che la bambina portava in testa, dal quale spuntavano dei capelli castani, come quelli della madre. Harry non riusciva a capire cosa si stessero dicendo, perché aveva completamente spento l'audio tutt'attorno, si stava concentrando solo sulle immagini che aveva davanti a sé. Però qualcosa di insolito la percepì: un nome, Rose. Delicato, così delicato che quando Harry lo ripeté dentro la sua testa tante volte temette di poterlo rovinare.
Così il bambino di Hermione era in realtà una bambina e il suo nome era Rose.
Non seppe il motivo né che cosa lo spingesse a farlo, ma anche Harry decise di inginocchiarsi sulle gambe, arrivando alla stessa altezza di entrambe. Forse voleva solo guardarla in viso, vedere se era bella, com'era il suo naso, com'erano rosse le sue guance. Quando lo fece, la bimba si accorse di lui e gli puntò addosso lo sguardo. Lo guardò con dei grandi, disarmanti occhi verdi.
E anche in quel preciso istante, quando l'osservò veramente da vicino, quando sentì quello sguardo dentro i propri occhi, anch'essi verdi, Harry capì una cosa.
Harry capì quella cosa che Hermione gli disse dopo che Rose tornò a giocare lì accanto, e lo fece con un tono assolutamente sereno, come se gli stesse dicendo che quel giorno era martedì e mancava poco a Natale.
“E' tua figlia.”
Anche se era tornato in piedi, Harry perse l'equilibro. Le gambe gli tremavano di nuovo, ma questa volta molto più pericolosamente. Si fece forza e si trascinò fino alla panchina di prima, che era rimasta vuota. Hermione lo raggiunse, ed Harry poteva scorgere una sfumatura preoccupata nel suo sguardo. Poteva immaginarlo, del resto.
Quando Harry finalmente si sedette si rese conto d'essere veramente esausto. Come se un peso incredibile gli fosse finito sulle spalle, come se avesse percorso tanta strada a piedi senza mai fermarsi, come se avesse giocato tre partire di Quidditch di fila.
Non disse nulla per un bel po', l'audio era ancora disattivato. Si portò le mani alle tempie, si tolse gli occhi, si stropicciò gli occhi, inforcò nuovamente gli occhiali. Quando le gambe sembravano essere tornate stabili decise di riattivare l'audio. Decise anche di sforzarsi di non guardare Rose, quella bambina, la sua bambina, sua figlia, troppo a portata di vista.
“Perché n-non... Non me l'hai...” iniziò a dire Harry, ma non ci riuscì bene. Si schiarì la voce. “Perché non me l'hai.... detto prima?”
“Ho provato a dirtelo, ma...” disse Hermione, accanto a lui, con la voce leggermente spezzata. Anche lei non era rimasta impassibile a quel momento.
Lui ricollegò subito, precedendola. “Le lettere...”
“Sì.”
“Non le ho mai aperte. Manco una...”
“Lo so.”
Calò il silenzio. Harry la guardò.
Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare. Era stato preso in contropiede. Non poteva crederci.
“Mi dispiace.” disse alla fine, e quella frase gli venne fuori senza che lui potesse controllarla.
Hermione scrollò le spalle e scosse piano la testa. “No. Non c'è niente di cui tu debba dispiacerti. Va bene così. Pensavo... Pensavo dovessi sapere... Che dovessi vedere. Che dovessi vederla.”
Harry spostò lo sguardo di nuovo su Rose, attentamente la studiò. Non riusciva davvero a realizzare, non del tutto. Il cervello era un po' sconnesso.
“Harry, non lo saprà mai nessuno.” disse lei ancora.
“Ma Ginny...”
“Non sa nulla, come ti ho già detto sa solo che oggi volevo vederti. Sarà il nostro segreto, Harry.”
“Nessuno ha mai...”
“Nessuno.”
Ancora una volta Harry la guardò. Si perse in quegli occhi. C'erano tremila cose che voleva dire, che voleva dirle; stava provando così tante cose e voleva che lei le sapesse tutte.
Ma non c'era bisogno di parlare. Hermione in quel momento lo guardava di rimando ed era come se stessero parlando. Gli lesse nella mente e capì tutto, come sempre, come aveva sempre fatto.
In un secondo Harry la baciò piano, a fior di labbra, e poi si alzò dalla panchina.
Sapevano che era arrivato il momento dei saluti.
“Le parlerò di te, quando incontrerà il tuo nome sui libri di scuola,” gli disse Hermione, sorridendo, ma Harry sapeva che stava lottando per impedire che le lacrime sgorgassero dai suoi occhi, “Le parlerò di te e capirà quanto sei fantastico, che amico fantastico eri. Saprà chi sei. In un modo o nell'altro.”
Harry le sorrise. Le fece un sorriso vero, a trentadue denti.
“Grazie.” le disse soltanto, sincero. Hermione annuì e si guardarono ancora per un'altra volta. Harry temeva di non riuscire più a scollarsi da quello sguardo tanto amato, ma si impose d'esser forte.
Dunque si voltò, dandole le spalle, ed iniziò a correre.
Non voleva camminare lentamente, perché non voleva vedere, e perché temeva che quella lentezza avrebbe potuto insinuare in lui delle indecisioni e dei ripensamenti. Era meglio scappare, andare via, lasciarsi tutto indietro. In quei momenti si concentrò solo sullo slancio delle gambe e nella strada a ritroso verso l'uscita non pensò assolutamente a nulla. Non che lo facesse di proposito: La mente era come annebbiata.
Arrivò all'ingresso di Hyde Park con il fiatone.
Ginny, seduta lì vicino su un muretto, lo vide arrivare e si alzò di scatto. Harry le si parò davanti e lei individuò il suo sguardo sconvolto, ma non fece domande. Lui si fermò respirando a grandi boccate, per riprendersi, e non seppe né cosa dire né cosa fare, di nuovo. Ma fu lei a decidere per lui. Gli sorrise e disse:
“Vieni, andiamo via da qui.”, offrendogli la propria mano.
Lui la prese e strinse forte quelle dita sottili fra le sue. Non se la sentiva ancora di ricambiare il sorriso. Insieme, mano per mano, si allontanarono da quel parco.
“Non sono sicuro di voler mangiare.” annunciò Harry, e si sentì proprio un vero idiota.
Ginny rise. “Ma quanto sei stupido?”
Parecchio, pensò lui.
Sul marciapiede chiuse leggermente gli occhi mentre camminava, riuscendo di nuovo a pensare.
Si sarebbe perso tante cose. Gli sarebbero mancate per sempre, tantissimo.
Hermione.
Non l'avrebbe mai più dimenticata. Mai, mai più.
Rose.
Lei avrebbe saputo chi era. In un modo o nell'altro. Già.
E poi tutti gli altri.
Harry decise di concentrarsi sulle mano di Ginny, e riaprì finalmente gli occhi. Londra gli si apriva davanti, e lui era lì. Con lei.
Si voltò a guardarla e finalmente decise che era venuto il momento di ricambiare il sorriso di prima.

 




QUESTA è la canzone dalla quale ho preso spunto per il titolo: http://www.youtube.com/watch?v=HClZwFNNMKs
Mentre QUESTA è la canzone dalla quale è partito TUTTO, che mi ha ispirato e che mi ha accompagfnato durante la scrittura. Vi consiglio di cercare la traduzione: http://www.youtube.com/watch?v=aPbcXiSSLg4
:) <3
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Adrienne