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Autore: Kaho    08/07/2007    4 recensioni
[Fanfic a quattro mani scritta da Kaho e Samy]
Dopo il preludio in “Harry Potter e il Principe Mezzosangue” la Seconda Guerra si scatena ancora più violenta con terribili ripercussioni sul mondo babbano. Tra un’inarrestabile colonia di Dissennatori, squadroni di Inferi, draghi, giganti e sanguinolenti Lupi Mannari Harry Potter inizia la disperata ricerca di R.A.B. e degli Horcrux rinunciando al suo settimo anno. Ma nel bel mezzo di questo mondo travagliato dalle continue battaglie non manca il romanticismo e lo humor con l’amore inconfessato tra Ron e Hermione, l’affetto che nasce tra Harry e Ginny ostacolato dalla guerra e l’ambigua relazione tra Draco e una Mangiamorte.
“Ti ho disarmato, Harry Potter. Ora sei morto… ma prima…”
[Main Couples Hermione/Ron, Harry/Ginny, Draco/Samantha. Altre: Remus/Tonks]
Questo è un'ipotetica fine di Harry Potter, e tutto ciò che vi è narrato è un'invenzione delle autrici, perciò non vi sono Spoiler del vero settimo libro. Se qualche elemento coincide, è un puro caso.
Genere: Romantico, Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Past Legacy'
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Capitolo 11 – Lo PseudoProfeta

 

 

 

Dietro la Maschera di R.A.B.

[La Maledizione dei Black]

 

 

L’immaginazione era terribilmente ingrata, le allucinazioni anche peggio perché ti facevano vivere qualcosa di tremendamente reale e, al contempo, assolutamente falso. Un uomo che si sapeva morto ormai da ben due anni, un uomo caro che avresti disperatamente voluto riavere con te, che aveva alimentato per gli anni antecedenti alla sua morte una delle tue più grandi gioie, un uomo il cui infelice destino ti era risultato dannatamente ingiusto, un uomo il cui destino avevi imparato ad accettare…

 

E tutto il dolore di quel distacco ti riassale ferocemente, quando credevi di averlo accantonato, ma non dimenticato. Rivedi ancora e ancora gli ultimi istanti della sua morte: un fastidioso drappo rosso ti blocca la visuale, impedendoti di regalargli l’ultimo addio. Quanto avresti dato per quell’ultimo saluto?

 

Ma ora non importa, perché è di fronte a te: il senso di nostalgia e malinconia passata si è immediatamente trasfigurato in un’accecante speranza. Da qualche parte nella tua testa una vocina minuta ti grida di smetterla di illuderti, ma hai preferito abbandonare il buon senso per crogiolarti in quell’improbabile, impossibile visione: il tuo amato padrino, morto da due anni, sta a pochi passi da te, seduto su una poltrona.

 

Quello è il posto di R.A.B., ma non ti importa, non ci pensi neanche: l’importante è continuare a seguire tenacemente quella convinzione, tutto ciò che di razionale ti è stato insegnato lo abbandoni subito per continuare a credere; nulla ha senso in quello che vedi, ma preferisci non farci caso.

 

Non sbatti le palpebre e non distogli lo sguardo da lui perché forse ti sei reso conto, nel più profondo della tua coscienza, che quello è solo un miraggio, nulla di reale e di tangibile, non un uomo che puoi abbracciare, con cui ameresti sfogarti, ma semplicemente una disperata macchinazione della tua mente sconvolta dal rogo di Hogwarts che non ne può più della solitudine.

 

“Sirius…?”

 

Il fiato ti esce di bocca come un’invocazione, una conferma… che cos’è? Vorresti un’immediata risposta, anche se la temi quasi più della morte… un’ennesima delusione, dopo quello che è capitato a Hogwarts, no, tu non te lo meriti. Sirius è tornato per consolarti, quindi è reale, è vivo.

 

Sirius ti sorride, ma è un sorriso che non ti piace: lo hai già visto da qualche altra parte, lo stesso tipo di sorriso ghignante, derisorio, ma non sulle labbra di Sirius, quel sogghigno appartiene ad un altro.

 

Sirius resta immobile, nascosto nella penombra, non fa niente per confermare la tua speranza. Tu lo osservi meglio, ma è difficile cogliere i tratti del suo viso, è lontano dalla luce della luna, mitigata sottilmente dalla nebbia. Ma sei assolutamente certo della sua identità: Sirius Balck. Gli somiglia dannatamente, lo cogli dal suo profilo, è identico; non può essere che lui.

 

D’un tratto si alza; il tuo cuore sobbalza con lui, il tuo stomaco si stringe, ma non sai descrivere con precisione il sentimento che ti fa contorcere le budella. Avanza di qualche passo e si lascia investire dai raggi di luna: il tuo cuore può smettere di battere all’impazzata, è lui.

 

*

 

“Sirius…!”

 

Esclamò disperatamente Harry Potter, ora libero da ogni dubbio.

 

Sirius sogghignò, forse con un’ombra amara. Gli occhi scuri come l’ebano striati di un blu profondo scrutarono attentamente Harry Potter.

 

“Harry, lascia perdere, non sono lui.”

 

Non appena le labbra di Sirius si richiusero, il cuore di Harry sprofondò in qualcosa di talmente oscuro e doloroso che persino la visuale di Hogwarts carbonizzata non reggeva il confronto.

 

“Cosa…?” balbettò il ragazzo con quella che avrebbe potuto sembrare la più disperata delle voci “Sirius, sei tu! Ma come hai fatto?”

 

Sirius storse il ghigno, lasciando spazio ad un vago accenno di compassione.

 

“Ti ho detto di smetterla” disse lui “Non serve a niente torturarsi con false speranze.”

 

Harry era assolutamente incapace di trovare una spiegazione ragionevole a tutto ciò che gli stava capitando: ma, d’altronde, Azkaban aveva logorato parecchio la mente di Sirius, quindi era probabile che manifestasse degli sprizzi di pazzia… tutto quello che Harry voleva sapere era in che modo Sirius fosse riuscito a riattraversare il velo dell’Ufficio Misteri: quella spiegazione gli sarebbe bastata come conferma. La sua speranza non era futile e distruttiva, come sosteneva Sirius, era invece incoraggiante e vitale… forse.

 

“Spiegami come ci sei riuscito, Sirius?” gli chiese Harry con un inspiegabile nodo alla gola “Come sei riuscito a… a tornare indietro?”

 

Sirius alzò un angolo della bocca “Finiscila, Harry, ora stai sfociando nel ridicolo.”

 

Harry non lo stava realmente ascoltando, perché non voleva sentire la voce di quello che credeva essere Sirius, perché quella voce stanca e derisoria non era di Sirius, apparteneva al vecchio che era venuto ad uccidere.

 

“Come hai fatto, Sirius?” borbottò Harry, marcando con enfasi l’ultima parola, come a volercisi aggrappare.

 

Il volto di Sirius si contorse per la rabbia, tutte le tracce di comprensione volatilizzate in un attimo “Non sono Sirius, dannato ragazzo! Ascolta la mia voce! Hai capito chi sono?”

 

Harry lo fissò assolutamente sconvolto, eppure non fece nulla per ribattere o per dar segno di avere compreso.

 

Sirius emise un grido stridulo, fremendo alla vista dell’immobilità di Harry. Marciò con decisione verso un angolo della camera, lasciando Harry totalmente scombinato. L’uomo tornò quasi subito, reggendo tra le mani una ciotola carica di una sostanza fangosa e dall’aspetto nauseabondo.

 

Harry sapeva cos’era: Pozione Polisucco. Ma non batté un ciglio; in qualche modo l’informazione che i suoi occhi avevano registrato non gli giunse al cervello, non venne elaborata o interpretata in alcun modo: era solo della Pozione Polisucco.

 

“Ora l’effetto è finito” sibilò Sirius “Questo è il mio vero aspetto.”

 

Harry fu colpito come da una violenta scossa: il suo vero aspetto? Che quello fosse davvero R.A.B.? La voce derisoria era la sua. Ma se quello era realmente il suo vero aspetto, allora R.A.B. era Sirius… R.A.B., che lui intendeva assassinare fino ad un attimo prima, era il suo amato padrino?

 

“Sirius… R.A.B. … Lyons Kaus?”

 

Una serie scoordinata di nomi: in che modo questi fossero legati, Harry non lo sapeva; ma se davvero erano uniti da qualcosa, dunque Harry aveva sinceramente desiderato la morte del suo padrino, perché lui aveva architettato la distruzione di Hogwarts, confabulando con Piton.

 

Sirius sbuffò, sembrava totalmente estraneo alla disperazione di Harry, alla confusione di quel momento “Uno su tre, Harry. Non sono Sirius, non sono Lyons Kaus, ma sono R.A.B.”

 

Harry scosse il capo: Sirius era ambiguo... Sirius faceva dei discorsi assurdi, totalmente sconnessi.

 

“Ma, Sirius…?”

 

“Ti ho detto: Basta!” gridò quell’uomo andando fuori controllo “Non sono Sirius! Non sono mio fratello…”

 

L’ultima parola cadde nel silenzio e in una sorta di meditazione.

 

“Fratello?” mormorò Harry, senza dare particolare peso alle sue parole: se davvero quello non era Sirius, allora non gli importava più di niente.

 

L’uomo lo scrutò con due occhi tremendamente uguali a quelli di Sirius, aprì lentamente le labbra, e la voce che ne uscì era quella di R.A.B.  “Il mio nome è Regulus Arthemius Black.”

 

Il mondo di Harry si concentrò totalmente su quelle parole, mentre la nube di confusione cominciava a diradarsi, lasciando passo alla medesima rabbia che lo aveva portato in quel luogo, per uccidere l’uomo che detestava. Delusione e un’atroce sentimento di repulsione e furia: era stato ancora tradito e ingannato…

 

Tradito e ingannato… Harry detestava i traditori per principio o forse perché, da qualche parte nella sua anima, un’entità ferita dal rifiuto era naturalmente portata all’odio verso coloro che la tradivano; non era concessa alcuna seconda possibilità, né tanto meno perdono, la morte era la soluzione ideale.

 

E R.A.B. se la meritava.

 

Harry strinse gli occhi fino a farli diventare due fessure cariche di rabbia; la bacchetta si rialzò all’istante: una nuova e assassina decisione si risvegliò nel ragazzo.

 

Quando Bellatrix aveva assassinato Sirius, Harry aveva tentato di ucciderla, ma il suo Cruciatus era risultato debole e poco convinto, ma ora sapeva che se avesse tentato di eseguire la più fatale delle Maledizioni Senza Perdono non avrebbe fallito.

 

Regulus incrociò lo sguardo mortifero di Harry, gli occhi di coloro che hanno perso tutti i limiti morali, per cui ogni infamia è lecita “Non lo fare” gli ordinò con una sottile invocazione nella voce.

 

Harry levò più alta la bacchetta “Adesso non c’è nulla che tu possa dirmi, niente che possa salvarti la vita.”

 

Regulus tremò interiormente, ma non lo diede a vedere; sostenne lo sguardo senza distogliere gli occhi dalla bacchetta puntata contro di lui “E invece credo ci sia qualcosa di interessante che vorresti sapere. Ad esempio la posizione esatta di un Horcrux…”

 

“Finiscila!” strillò Harry “Ti ho detto che devi stare zitto. Ora sto per ucciderti.”

 

Le parole erano sulla punta della sua lingua, ma non volevano uscire. Ogni attimo esitante che passava con la bacchetta puntata su quella faccia infame, tanto simile a quella dello zio, era un istante di profonda rabbia: perché non riusciva ad ucciderlo? Eppure lo voleva con tutto il cuore: non gli importava nulla di quell’uomo, nemmeno la curiosità lo avrebbe spinto ad informarsi sulla sua vera situazione, nemmeno la proposta allettante di un Horcrux… voleva solo ucciderlo, all’istante e senza ripensamenti o rimorsi.

 

“Non lo farai. Non ne sei capace. Il tuo animo è troppo tenero per commettere un omicidio a sangue freddo.”

 

Harry non riuscì ad evitare un sogghigno cogliendo nella voce dell’uomo una nota di supplica, quasi speranza.

 

“E invece ti sbagli, io non ho nessun problema ad uccidere i traditori.”

 

Per qualche inspiegabile ragione, Regulus riprese a sorridere.

 

“Non è questo il tuo pensiero. Lui sta usando le tue labbra e la tua voce come tramite.”

 

“Lui? Chi, Voldemort?” gli chiese Harry con tono ironico, la bacchetta ancora saldamente stretta tra le dita.

 

“L’altro: Lui” ribatté Regulus, calcando sulla parola un’incredibile solennità “L’entità che entrambi condividete, tu e Riddle o, meglio, il Signore Oscuro; potrei smetterla di esprimermi come Kaus ora che conosci la mia vera identità.”

 

Seguì un lungo silenzio, interrotto regolarmente dagli ansiti di Harry: levare quella bacchetta in faccia ad un uomo con la ferma intenzione di ucciderlo, quasi percependolo come un dovere, era incredibilmente faticoso. La stessa fatica ed esitazione di Malfoy sulla Torre, un anno fa, ultimo giorno di vita di Albus Silente… se nemmeno Malfoy, molto più malvagio di Harry e Mangiamorte già da diversi mesi, era riuscito ad uccidere un uomo, che speranze poteva avere il buon Grifondoro e Prescelto Harry Potter, l’innocente ragazzino sopravvissuto?

 

Uccidere non è nemmeno lontanamente facile come credono gli innocenti.

 

Le parole di Silente… Harry scosse il capo, risoluto più che mai, ma non fece nulla per attaccare Regulus.

 

Regulus sembrò approfittare del silenzio per elaborare un discorso arguto e sottile che avrebbe dissoluto Harry dai suoi propositi omicidi “So per certo che non mi ucciderai, tale non è il mio destino. La sorte di un Black è molto più crudele.”

 

Harry lo scrutò torvo, conscio delle intenzioni dell’uomo, ma, tuttavia, un briciolo di curiosità lo spinse ad indagare “Quale sorte?” si arrischiò a domandare.

 

“La sorte dei Balck” rispose Regulus “La Maledizione dei Black.”

 

Harry rimase di stucco: la Maledizione dei Black… i Black… quindi anche Sirius.

 

“Dimmi di più.”

 

Regulus sogghignò impercettibilmente “Si tratta di un anatema relativamente recente, credo fu formulato venticinque anni fa o poco prima.”

 

Regulus si fermò volutamente, lasciando la curiosità di Harry insoddisfatta.

 

Harry strinse i denti: lo sta facendo di proposito. Devo solo scoprire di più stando attento a non cadere nella sua trappola.

 

“E che tipo di Maledizione è?”

 

“Una Maledizione davvero crudele” disse Regulus “E come tutte le Maledizioni che si rispettino termina con una morte crudele.”

 

Una morte crudele, ingiusta… “Sirius…?”

 

A quel nome Regulus ebbe un sussulto “No, lui no. E’ stato fortunato. Era già stato diseredato quando la Maledizione fu formulata, ciò significa che ufficialmente non era un Black e, non appartenendo all’arazzo di famiglia era immune all’anatema.”

 

Ormai Harry aveva dimenticato il suo preambolo: non perdere il controllo, stare ben attento a non farsi coinvolgere nelle macchinazioni di Regulus, non dargli la soddisfazione di vederlo pendere dalle sue labbra “Ma allora perché è morto in un modo del genere, sparendo dietro ad un velo?”

 

Regulus storse il naso “Non credo sia morto.”

 

“Non prenderti gioco di me!” esplose Harry facendo tremare la bacchetta.

 

“Calmo” sospirò Regulus con un accenno di sogghigno che lo fece somigliare terribilmente a Sirius “Ne sono quasi certo, mio fratello è vivo. O quasi. Ma di sicuro tornerà, deve terminare il suo lavoro.”

 

“Quale lavoro?”

 

Regulus sbuffò, virando intenzionalmente il discorso su un altro vertice “La Maledizione dei Black: venire uccisi dalla persona che più si ama.”

 

“Non cambiare argomento” inveì Harry “Rispondi alla mia domanda: quale lavoro?”

 

“Forse ho risposto alla tua domanda.”

 

“Smettila di fare il vago o giuro che ti…” Harry si morse la lingua: … ammazzo. Forse non ci sarebbe riuscito, quella sua dannata curiosità stava surclassando la rabbia.

 

Regulus colse lo smarrimento di Harry per una fruttuosa occasione. Estrasse la bacchetta più fulmineo di un lampo e richiamò quella di Harry nella propria mano.

 

Harry si sentì scivolare la bacchetta dalle dita; un instante dopo Regulus la stringeva saldamente in pugno con aria compiaciuta e pericolosa.

 

Harry sentì il sapore della bile e della repulsione invadergli la bocca: se doveva farla finita era meglio sbrigarsi, non avrebbe tollerato un altro attimo quel ghigno sprezzante su di un viso così tremendamente simile a quello di Sirius.

 

“Sbrigati” disse secco, abbassando il capo.

 

Regulus lo scrutò divertito e gettò la bacchetta del ragazzo nell’oscurità del piccolo locale.

 

“Non ti voglio uccidere, piuttosto, voglio che tu mi ascolti.”

 

Harry levò il capo con aria rancorosa, tuttavia era interessato alla proposta dell’uomo la cui vera storia era stata sempre coperta dal mistero e da innumerevoli allusioni.

 

“Ti ascolto.”

 

Regulus gli sorrise di rimando, ormai sentendosi padrone della situazione “Certamente avrai compreso la mia vera identità: Regulus Black, fratello del tuo amato padrino, presunto morto diciassette anni fa.”

 

Harry accennò con il capo, rammentandosi chiaramente della data di morte ricamata sull’arazzo di famiglia Black a Grimmuald Place.

 

“Ebbene, sono tuttora vivo grazie ad un piacevole fraintendimento di persona. Il sottoscritto ed uno tra i più anziani Mangiamorte venimmo a conoscenza dell’esistenza degli Horcrux e, quindi, agimmo di conseguenza. In realtà fu una cosa architetta da tempo ai danni del Signore Oscuro.”

 

Harry strinse le labbra: ‘Signore Oscuro’ era l’appellativo che utilizzavano prettamente i Mangiamorte.

 

“In breve tutto terminò con la distruzione dell’Horcrux nella caverna, il medaglione di Serpeverde.”

 

“Perché?” intervenne Harry brusco “Perché avreste dovuto distruggere un Horcrux se eravate suoi servi?”

 

“Ecco perché” ribatté Regulus veemente “L’altro Mangiamorte non tollerava l’altisonante portata di Lord Voldemort che pretendeva ci rivolgessimo a lui acclamandolo ‘Signore’ e ci prostrassimo ai suoi piedi: servi, ecco cos’eravamo diventati, in principio compari, dunque compagni subordinati, infine servi. L’altro Mangiamorte, grazie alla sua anzianità, aveva potuto assistere al fenomeno di progressivo decadimento della dignità del Mangiamorte con i propri occhi; quest’uomo, in qualità di Purosangue altamente altolocato, proprio non lo digeriva e per questo decise di ribellarsi segretamente. In me trovò un valido spalleggiatore.”

 

“Perché?” insistette Harry “Ho capito i motivi dell’altro, ma i tuoi?”

 

Regulus fece una smorfia “Non è poi così importante” disse con voce distaccata “Piuttosto, distrutto l’Horcrux ci ritrovammo in una posizione di stallo; eravamo veramente malconci, non avevamo immaginato che la distruzione di un Horcrux avrebbe comportato un simile dispendio di energia. E alla fine la notizia del nostro tradimento giunse alle orecchie del Signore Oscuro. Egli si dimostrò particolarmente tenace nel darci la caccia e nello scovarci ma alla nostra cattura sembrò più interessato a Lyons Kaus, io fui affidato alle mani di un Mangiamorte minore. Probabilmente avvertiva di essere stato tradito da un vecchio amico e compagno di scuola.”

 

Harry sbarrò gli occhi “Lyons Kaus?”

 

“Esatto, colui che ha fornito la mia copertura per tutti questi anni” disse Regulus senza l’ombra di un’emozione “Fortuna volle che il soprannome di Kaus, R.A.B., fosse identico all’anagramma del mio nome; questo mi fece riflettere: forse potevo prendere il posto di Lyons Kaus, fingermi lui? Scampato all’esecuzione, agii in tale modo e continuo ormai da diciotto anni.”

 

“Il Mangiamorte incaricato non ti uccise?”

 

Regulus accennò col capo “No, mi salvò l’amicizia che ci legava. Buffo, no? Quanto provvidenziale possa essere il caso.”

 

“Tu e il Mangiamorte eravate amici?” chiese Harry, dubbioso.

 

“Nei limiti sentimentali di due Serpeverde e Mangiamorte, sì, eravamo buoni amici” Regulus si interruppe, come a voler dar peso a quelle parole “Sicuramente ne avrai sentito parlare: Rabastan Lestrange. Ai tempi, suo fratello Rodolphus e mia cugina Bellatrix si erano da poco maritati e così ci incontravamo spesso ai ricevimenti a casa Lestrange o Black. Avevamo molto in comune, specialmente nelle relazioni concernenti i fratelli…”

 

Regulus si interruppe bruscamente, come se le sue stesse parole fossero indegne.

 

“Ma queste sono storie noiose. In sostanza hai compreso come feci: regolare Pozione Polisucco con i resti del povero Lyons Kaus.”

 

“Quello che non capisco è perché hai voluto prendere il posto di Kaus, non ti bastava restare Regulus Black?”

 

“Come sei semplicistico, Harry. Vi sono cose ben più spaventose di una morte da braccato, ossia una morte scontata, già prestabilita, un destino con una destinazione macabra ed infelice.”

 

Harry tirò un lungo sospiro di comprensione, gli occhi che cercavano distrattamente la sua bacchetta abbandonata nel buio “La Maledizione dei Black.”

 

Regulus permise ad un vago stupore di intaccare il suo volto, quindi il consueto ghigno si impadronì della sua espressione “Arguto, Harry. Sull’arazzo è indicata la data della mia morte e questo è bastato per scampare la maledizione, almeno fino ad ora” un’occhiata penetrante e dal sentore omicida venne rivolta al ragazzo “Perché ora tu conosci la mia vera identità, Harry, sai che sono vivo…”

 

Harry sobbalzò, cercando con più impegno la bacchetta nell’ombra della stanza. Gli occhi scintillanti di Regulus, così simili a quelli di Sirius nel loro colore e nella loro stanchezza, si spensero per un attimo.

 

“Ma non posso fare nulla” sospirò l’uomo “Anche per te è riservato un altro destino. Due grandi Maledizione si intrecciano nel nostro reciproco fato e non v’è nulla che si possa fare per annullarle. Soltanto un sacrificio estremo potrebbe bloccare il nostro destino ingrato.”

 

Harry bloccò la sua ricerca, concedendosi un attimo per soppesare le parole di Regulus: Nostro?

 

“C’è una Maledizione anche per me?”

 

“Buffo, vero?” sogghignò Regulus “Di questi tempi il destino condizionato da terribili anatemi è all’ordine del giorno per maghi come noi, sfiorati da quella particolare presenza.”

 

“Cosa… cosa mi dovrebbe succedere?” chiese Harry esitante, quasi balbettando.

 

“Oh, niente” ribatté Regulus con totale disinteresse “Se davvero, come me, sei stato semplicemente sfiorato. Ma se la cicatrice sulla tua fronte servisse da tramite, o da catalizzatore… Due entità simili e perfette non tollerano che un’altra invada il proprio territorio, una delle due deve necessariamente morire. E’ la legge della natura: non possono esistere due divinità uguali, ciò rappresenta il colmo dello squilibrio. Finché una vive, l’altra tenterà di ucciderla e viceversa.”

 

Harry sobbalzò nuovamente: la Profezia. Lui e Voldemort erano legati da un reciproco sentimento di vendetta omicida: uno dei due sarebbe morto alla fine di tutto.

 

Era in quei momenti che Harry avvertiva una forza suprema dalla quale era totalmente escluso che prestabiliva con infinita precisione tutte le mosse che avrebbe compiuto in futuro; era in quei momenti che quasi perdeva la speranza, incatenato in un destino già prestabilito.

 

Parve che per un attimo la nebbia si diradò lasciando trapassare dei raggi di luna più copiosi. La stanza venne illuminata brevemente. Harry scorse la sua bacchetta in un angolo, proprio ai piedi della poltrona prediletta di Regulus. Ma gli occhi del ragazzo furono quasi forzati a contemplare la figura dell’uomo che gli stava davanti, sogghignante: indubbiamente simile se non identico a Sirius, Regulus aveva i medesimi occhi blu profondo e i capelli corvini dai riflessi metallizzati, tuttavia trascurati e in parte incolti. Un leggero strato di barba scura gli incorniciava il mento non in modo volgare, ma conferendogli un’aria di solenne austerità. Il medesimo fascino naturale che contraddistingueva tutti i Black, pareva affievolito sul volto stanco ma comunque sogghignante di Regulus, spossato da molti anni di reclusione e paura.

 

Solo quel ghigno beffardo e vagamente fascinoso e un leggero distacco d’età lo separavano da Sirius. Harry sospirò amaramente: buffo che il sosia del suo amato padrino fosse anche l’uomo che desiderava morto… Uno dei molti che desidero morto… si ritrovò a riflettere il ragazzo. Se fosse male o meno desiderare la morte di una persona, seppure malvagia oltre i normali parametri morali, non lo sapeva, ma comunque gli lasciava l’impressione, una volta affievolito l’impetuoso odio iniziale, di aver agito in modo cattivo.

 

Non può essere così tanto cattivo desiderare la morte di un traditore, di un vile, di un codardo o dell’uomo che ha assassinato i tuoi genitori… anzi sarebbe innaturale, è perfettamente normale che io voglia vederli strisciare ai miei piedi, in una pozza di sangue, imploranti… e poi finirli.

 

Lo sguardo di Harry si era indurito, mortifero, mentre trasfigurava i suoi pensieri in immagini fantasiose, tuttavia così intense da sembrare concrete e raggiungibili.

 

Il ghigno di Regulus si affievolì appena “A che cosa pensi con quegli occhi?”

 

“Penso che somigli molto a Sirius” rispose Harry con una voce bassa e sordida che non gli sembrava neanche la sua.

 

Regulus si agitò inquieto, le palpebre si abbassarono pesanti sugli occhi come in tutte le altre occasioni che suo fratello era stato menzionato “Molti lo dicevano: Regulus e Sirius si assomigliano, sono due gocce d’acqua… ma c’è una differenza incolmabile tra di loro” il ghigno ricomparve sulle labbra di Regulus, questa volta più sadico e forzato “Regulus è un vero Black.”

 

Harry fece una smorfia, mentre la voce di Regulus si caricava di esaltazione:

 

“Regulus non si è mai mescolato a degli sporchi Mezzosangue o traditori del proprio sangue, come invece fa Sirius con Potter, Lupin e Minus… Regulus ascolta sempre i consigli della madre e del padre e rispetta entrambi con l’adeguata ubbidienza e devozione, non come Sirius, l’emblema dell’insensata ribellione adolescenziale, che non sa fare altro che disubbidire, deludere e mettere in imbarazzo la propria famiglia… Regulus è il perfetto erede della casata Black con il suo portamento aristocratico e dosato, non come Sirius così volgarmente alla mano, così squilibrato, troppo esuberante… Regulus è un Mangiamorte, serve la più nobile delle cause, non come Sirius che è fuggito di casa per vivere alla babbana con una famiglia di Purosangue in decadenza.”

 

La voce di Regulus si smorzò d’improvviso, il tono quasi nostalgico e risentito:

 

“Ma ad un certo punto non si parlò più di Sirius, Sirius non era più un Black, quindi era come se non fosse mai esistito: io ero diventato figlio unico, solo erede maschio della Nobilissima e Antichissima Casata dei Black. I Black… fu poco dopo il mio ingresso nei Mangiamorte che scoprii l’entità della Maledizione che sovrastava la mia famiglia. Davvero un anatema ben congegnato, ma non scoprii mai chi condannò la mia famiglia alla decadenza, seppi solo che il destino dell’ultima generazione dei Black, in breve i nomi che stanno all’estremità dell’arazzo di famiglia, è di morire sotto la mano della persona che più amano.”

 

Harry storse la bocca “E c’è qualcuno che tu ami?” chiese, decisamente scettico e ironico.

 

“Certo” ribatté Regulus, ignorando la provocazione del ragazzo “Ma credevo che quella persona non mi avrebbe più potuto ferire, già solo il suo rifiuto e il suo disprezzo nei miei confronti mi parevano una punizione sufficiente, invece, venni a sapere che sarebbe stato anche il mio carnefice.”

 

“L’hai ucciso?” domandò Harry, dubbioso “Voglio dire, se il suo amore non era ricambiato e se sapevi che in un futuro ti avrebbe ucciso, non avresti potuto precederlo?”

 

Regulus lo fissò con occhi quasi compassionevoli “Oh, che infelice proposta la tua, Harry: uccidere l’unica persona che davvero amassi? Forse nemmeno un Mangiamorte potrebbe arrivare a tanto… ma forse mi sbaglio. Forse sono solo io, povero illuso, che spera ancora di essere ricambiato, di ricevere vero amore da un’altra persona. Qualcosa mi dice che la felicità somma di un essere è l’amore reciproco.”

 

Harry si stupì molto nel vedere i lineamenti del volto di Regulus addolcirsi che per un attimo gli sembrò proprio identico a Sirius, lo stesso sorriso nostalgico e felice di quando parlava delle spensierate avventure dei Malandrini.

 

Regulus si rigettò sulla poltrona con un enorme sospiro. Harry rimase in piedi a fissarlo, interrogativo.

 

Silenzio. Scomodo ed inquietante.

 

Per Harry risultava molto complicato riflettere immerso in quell’atmosfera tesa, tuttavia un altro ricordo gli era riaffiorato alla mente: era un dubbio piuttosto fastidioso che non aveva smesso di assillarlo, soprattutto dopo la caduta di Hogwarts.

 

“Perché stavi parlando con Piton?”

 

“Affari nostri, suppongo” ribatté Regulus con il consueto ghigno beffardo.

 

“Stai dalla parte di Voldemort?” chiese Harry, con insistenza.

 

Regulus fece spallucce “No.”

 

“E allora perché Piton…?”

 

“Niente che ti debba interessare” lo interruppe bruscamente Regulus “Piuttosto ho un’altra proposta per te. Mi sono stancato di questo gioco noioso che è divenuta la mia vita.”

 

“Sentiamo, allora” disse Harry con un vago tono ironico. Che cosa c’era di più importante di scovare la vera indole di Severus Piton?

 

“Ora ti dirò dove trovare un Horcrux.”

 

*^*^*^*^*^*

 

[L’odore di cenere;

brucia via, l’innocenza]

 

 

L’odore di cenere di per sé non aveva mai dato fastidio a Ron.

 

Lo aveva associato facilmente (e molte volte) al caminetto della Sala Comune, alla pittoresca immagine di lui, Hermione e Harry seduti sulle poltrone, sorridenti, a parlare della giornata scolastica o – non raramente – più seri a discutere le prossime mosse della loro infantile “guerra contro il male”.

 

[Adesso, tutto si era incrinato.]

 

L’odore di cenere, ora, creava un’altra immagine nella sua testa, ben meno serena.

 

La Foresta Proibita, che aveva fatto a molti paura e che molti segreti aveva celato dentro di sé come molte avventure, mentre soccombeva contro le grandi fiammate di fuoco.

 

Il castello, devastato, diroccato, divorato dalle fiamme. Lo stesso castello grazie a cui aveva imparato la magia, in cui aveva riso con Harry, in cui aveva litigato e baciato Hermione, in cui molte generazioni della sua famiglia erano usciti maghi e streghe adulti.

 

Distrutto. Tutto.

 

È il prezzo della guerra, si disse. È il prezzo della crescita.

 

Bambino, corri.

Fuggi via da questa realtà [che fa male].

Stai crescendo, bambino.

Non è più la lotta bene contro male.

Solo una lotta per la sopravvivenza…

Essere dalla parte del giusto

è una semplice fatalità.

 

Ma  c o m b a t t i, bambino, ormai uomo.

Per non perdere ciò che hai di più caro

(Anche i tuoi valori, se vuoi.

Anche per le persone che ami, se devi.

Anche per me, se puoi.)

 

*

 

[Via da Hogsmeade

L’ansia di Ginny]

 

Hermione si riscosse dalla vista del castello in fiamme. Aveva gli occhi arrossati, umidi per le lacrime e la cenere, ma capì per prima che non potevano rimanere lì.

 

“Ron!” esclamò aggrappandosi al maglione del ragazzo, i cui occhi rimanevano fissi sullo scenario infuocato di Hogwarts. “Ron!” lo richiamò, scuotendolo.

 

Questi parve rinvenire da un incubo tremendamente reale, si voltò verso di lei con espressione stupita ‘Uh?’.

 

“Non possiamo rimanere qui! Ci saranno gli Auror che verranno a prendere i sopravvissuti e noi dobbiamo-”

 

“Hermione, Ron non possiamo stare qui!” l’aveva interrotta Ginny, arrivando tutta trafelata di corsa. “Dobbiamo avvertire Harry! Dobbiamo fargli sapere che stiamo tutti bene!”

 

“Ginny, cosa…?” Ron non ebbe il tempo di chiedere nulla perché ogni suo pensiero si cancellò nell’istante in cui sua sorella si aggrappò al suo maglione, gridando frasi sconnesse rotte dai singulti che scuotevano il suo esile corpo con una facilità che lo sorprese e lo spaventò (era da tanto tempo che non si trovano così, lei in lacrime e lui nel ruolo [patetico, inutile] del consolatore.)

 

“Ginny.” Riuscì vagamente a sussurrare.

 

“Ti prego Ron, andiamo da Harry, morirà di sensi di colpa se non lo troviamo! Lui e quel suo dannato complesso dell’eroe…” la presa sul suo maglione si fece più ferrea, quasi convulsa; la faccia di Ginny si nascose tra le pieghe dell’indumento, mentre lei la sfregava, come per fermare le lacrime. “Starà male di nuovo, Ron!, lo sai quanto è stupido… non voglio che stia male, voglio che stia calmo e lo sarà solo se saprà della nostra incolumità!”

 

“Ginny…” la voce di Hermione era incrinata.

 

Ronald Weasley chiuse gli occhi, come per convogliare a sé le energie, e sospirò forte. La sua mano si mosse verso i capelli della sorella, prendendo ad accarezzarli amorevolmente, nonostante il suo disagio – non si era mai sentito bravo a consolarla. Di solito era lui a farla piangere, da bambina.

 

“Non ti preoccupare Ginny.” Bisbigliò. “Lo avviseremo e lui si tranquillizzerà, ok? Andrà tutto bene…”

 

La ragazza annuì, stringendolo di più a sé, e cercando di calmare i singulti. Ron le accarezzò per qualche minuto la testa rossa e intanto incatenò lo sguardo con Hermione, che sorrideva, commossa. Arrossì un poco.

 

“Uhm,” disse infine, baciando la fronte di Ginny. “Andiamo?”

 

Lei annuì nuovamente, asciugandosi gli occhi con la felpa grigiastra. “Dove?”

 

“Direi che il provvedimento più saggio è andare al Ministero e avvertire l’Ordine, Harry potrebbe tornarci e, poi, così avremmo svolto la nostra missione.” Intervenne Hermione.

 

Ron annuì. “Bene. Dato che siamo fuori da Hogwarts, possiamo Smaterializzarci, vero Hermione?”

 

“Se avessi letto ‘Storia di Hogwarts’, Ron…” ironizzò Hermione, facendo ridacchiare Ginny e arrossire le orecchie di Ron.

 

“Risparmiami la predica, So-Tutto-Io.” Borbottò contrariato il rosso.

 

Ginny si staccò da lui. “Eddai, fratellone, sbrighiamoci a raggiungere il Ministero. Mi Smaterializzerò assieme a voi, anche se è illegale.”

 

“Quando hai imparato a …?”

 

Ginny sogghignò, le guance ancora umide. “Hermione.”

 

Ron alzò gli occhi al cielo. “Ah, donne. Riescono sempre a farmela.”

 

Con tre sonori e secchi ‘Blop!’, si smaterializzarono per giungere al Ministero.

 

*^*^*^*^*^*

 

Covo Oscuro

[Ricompensa negata – Vendetta: Gelosia]

 

 

Felicità ed esuberanza erano spesso interdetti all’interno del Covo dei Mangiamorte, ma quello era un giorno speciale. Un’orda impressionante di Mangiamorte si era riversata nella Sala Principale: decine e decine di uomini incappucciati si sbracciavano e si scalmanavano tutti febbricitanti dalla gioia, ignorando l’afa opprimente: quel giorno si festeggiava la sconfitta di Hogwarts, il più imponente simbolo eretto a scapito del Signore Oscuro.

 

Il Ministero, Auror, Eclitti, Ordine della Fenice, tutti erano rimasti scioccati dal repentino e diabolico attacco dei Mangiamorte: senza pietà avevano stroncato la vita di centinaia di innocenti. Pensare che potessero essere maghi al loro pari, con una simile morale, praticamente inesistente, li aveva gettati nello sconforto… davvero non se la sarebbero aspettata una cosa del genere, neanche dai crudeli Mangiamorte.

 

Ma i Mangiamorte festeggiavano. Quelli più giovani roteavano per la stanza senza la minima coordinazione, febbricitanti al limite della follia, così come i Lestrange, Bellatrix, Rodolphus e Rabastan che pazzi lo erano davvero.

 

Ai margini della sala si erano raccolti i pochi Mangiamorte dal portamento inviolabilmente austero che contemplavano con una vaga vergogna il bordello di gaiezza dei propri compagni. Fra questi vi erano Lucius Malfoy e Severus Piton, qualche metro più in là, poggiato malamente contro il muro, Draco Malfoy, l’unico giovane che aveva resistito alla tentazione di gettarsi nella mischia febbricitante dei Mangiamorte. Il suo sguardo, vacuo, era l’unico in tutta la sala che avrebbe potuto esprimere un vago giudizio di rimprovero: forse non era così decoroso imbastire una festa con uomini quasi invasati da un massacro indegno… ma era solo un’idea fievole in mezzo al tripudio schiamazzante dei Mangiamorte.

 

Samantha stava al suo fianco, più preoccupata ad osservare le emozioni che combattevano sul volto impenetrabile di Draco, più che a partecipare alla festa dei Mangiamorte. Le feste le piacevano ma quella aveva un insopportabile odore di perverso, come se al solo prendervi parte si rischiasse di macchiarsi con una vergogna indelebile.

 

D’improvviso lo schiamazzo tacque. Lord Voldemort fece il suo ingresso nella stanza, lento nei movimenti e quasi solenne, gli occhi socchiusi, e la bocca piegata in un leggero ghigno. Preso posto sul trionfale trono della stanza rivolse ai suoi Mangiamorte un sogghigno esaltato:


“Dunque… Avete il permesso di continuare i vostri festeggiamenti, ve lo meritate. Ciò che avete fatto è meritevole di lode ed onore.”

 

I Mangiamorte esplosero in grida di acclamazione:

 

“Evviva il Signore Oscuro! Evviva!”

 

Si levò un incomparabile giubilo dalla folla, omaggi e onori tutti rivolti a Lord Voldemort.

 

Il tumulto non cessò per più di due ore, finché i Mangiamorte, spossati da quel festeggiamento folle, cominciarono ad uscire dalla sala. Infine restarono solo i sette comandanti che avevano diretto la missione di distruzione della scuola: Darcy Donovan, Severus Piton, Lucius Malfoy, Bellatrix e Rodolphus Lestrange, Draco Malfoy e Samantha Drake. Naturalmente, in un angolo della stanza, Fenrir Greyback sogghignava con il suo impareggiabile latrato inumano.

 

“Eccovi, il motivo del mio orgoglio” esordì Lord Voldemort. Gli otto si inginocchiarono rispettosamente.

 

“La vostra missione è stata un pieno successo. Devo dirmi soddisfatto, assolutamente. E, naturalmente, oltre alla mia approvazione guadagnerete altro: un omaggio e un premio a ciascuno di voi. L’omaggio è una più alta considerazione delle vostre capacità, maggiore rispetto da chiunque, nonché, maggiori favoritismi da parte del sottoscritto. Il premio è una richiesta; ditemi cosa desiderate ed io farò il possibile per esaudirvi, naturalmente la richiesta deve rientrare nei parametri del possibile e del decoroso. Inoltre, per Darcy Donovan che ha capeggiato l’intera operazione conferisco la carica speciale di comandante supremo delle truppe combattenti dei miei Mangiamorte.”

 

Neanche il volto austero di Doppio Dolore riuscì a celare l’immensa soddisfazione “Grazie, mio Signore.”

 

Lord Voldemort reclinò la canuta testa bianca e viscida in segno di approvazione “Ora procediamo con l’assegnazione dei premi: fatevi avanti ed esponete i vostri desideri.”

 

Il primo a presentarsi al cospetto del Signore Oscuro fu Greyback che con la sua consueta bramosia selvaggia espose una tale richiesta che persino l’impassibile volto di Lord Voldemort cedette ad un poco di divertimento.

 

“Pare che anche dopo la luna piena i tuoi, Fenrir, sia gli atteggiamenti tipici della bestia” commentò l’Oscuro Signore con un lieve sogghigno.

 

Greyback si inchinò goffamente, esponendo i denti immensamente aguzzi: evidentemente per lui quello era un complimento.

 

“Vi ringrazio, mio Signore.”

 

Lord Voldemort lo contemplò con aria allietata “Il tuo premio ti sarà recapitato questo pomeriggio, lo selezionerò io personalmente; non hai di che preoccuparti.”

 

“Certo, mio signore” ribatté Fenrir con un mezzo latrato euforico “Ne sono onorato.”

 

Darcy Donovan si fece avanti con passo solenne. Bellatrix soffiò indignata; come si permetteva quell’uomo ad atteggiarsi così pomposamente di fronte al Potente Signore Oscuro? Lord Voldemort lo guardava di sottecchi, in parte divertito: il Mangiamorte ambizioso cedeva sempre alla sua vanità.

 

“Mio signore” disse Doppio Dolore inchinandosi senza troppo esagerare.

 

“Sono davvero curioso, Darcy” sogghignò il Signore Oscuro “Perché temo che mi porrai una richiesta impropriamente eccessiva.”

 

“Non mi permetterei mai, mio Signore” rispose Donovan, e dalla sua voce non era distinguibile né ironia, né serietà “Detesto eccedere. Vorrei semplicemente il permesso di addestrare una recluta.”

 

“Una così misera richiesta? Da parte tua, Donovan? O suvvia” disse Lord Voldemort in tono ironico e di leggero rimprovero.

 

“Si tratta di una recluta molto speciale, dalle immense potenzialità, oserei dire” soggiunse Doppio Dolore “e che si è dimostrato particolarmente meritevole di lodi dato il suo più che utile appoggio nella Camera dei Segreti.”

 

Dietro di lui, Bellatrix sibilò: attendeva con trepidazione i consensi del Potente Signore Oscuro per l’ottima missione svolta da lei nella Camera ed ora Doppio Dolore intendeva adombrare il suo impeccabile impegno; dopotutto il ragazzino si era limitato a biascicare in Serpentese, forse permettendole di risparmiare un poco di tempo, ma niente di più.

 

“Il suo nome è Josh Currey” annunciò Darcy Donovan.

 

Piton lo squadrò da dietro: ancora un impercettibile tremolio nella voce di Donovan, che solo un udito pronto a cogliere i turbamenti come il suo poteva percepire. Cosa nascondeva Josh Currey di tanto spaventoso da far tremare persino la voce ferma e risoluta dell’impassibile Doppio Dolore? Ma non si arrischiò a dire nulla, per ora, almeno.

 

“Se ci tieni così tanto non posso che acconsentire, anche se mi sorprendo alquanto. Mi comunicherai i progressi di questa eccezionale recluta quando saranno meritevoli della mia attenzione” concluse Lord Voldemort in tono imperioso, il sogghigno scomparso. Anche lui, come Piton, cominciava a sospettare qualcosa.

 

Donovan si ritirò con un rispetto alquanto discutibile, nettamente in contrasto con lo slancio di assoluta devozione ed obbedienza che Bellatrix Lestrange mostrò al suo signore, prostrandosi ai suoi piedi. 

 

“Come sempre, Bella, valorizzo la tua devozione” attaccò Lord Voldemort, il sogghigno improvvisamente tornato sulle labbra “Tu e tuo marito potete espormi la vostra richiesta.”

 

Anche in un immenso gaudio come quello, inchinata lì, di fronte al Potente Signore Oscuro, Bellatrix non poté evitare una smorfia: sempre i Lestrange, mai Bellatrix. Era perennemente condannata a sentirsi apostrofare moglie di un uomo che aveva sposato per pura carità verso la sua casata in declino. Lei sola avrebbe dovuto rifulgere agli occhi di Lord Voldemort, lontana da Rodolphus che invece insisteva nel volerle stare appiccicato come un insopportabile parassita.

 

Rodolphus, inchinatosi profondamente ai piedi del Signore Oscuro, squadrò la moglie, in attesa che formulasse la richiesta: lui non aveva nulla in mente, del resto, aveva la più che concreta sensazione di aver lasciato la mente ad Azkaban; la testa che aveva sulle spalle eseguiva ancora i suoi desideri, ma gli serviva solo per compiere meccanicamente ordini e tutto ciò che un uomo doveva fare per sopravvivere. Poi il suo cuore era sempre stato di Bellatrix, anche se in un modo insolito ed impetuoso, totalmente estraneo al romanticismo.

 

Da Azkaban era uscito completamente vuoto, come una marionetta, ma, stranamente, i fili che lo legavano a Bellatrix c’erano ancora, addirittura rafforzati, l’unico appiglio ad una mente né lucida, né sana, ma che sapeva ancora prendere decisioni, reagire, combattere con furore. Forse non si rendeva conto di essere considerato alla stregua di un insetto fastidioso e ronzante dalla moglie, né di essere completamente dipendente da essa, qualcosa di cui, prima di Azkaban, se ne sarebbe vergognato a morte.

 

“Tutto ciò che desidero io è la vostra fiducia, mio Signore e la vostra ammirazione, se non è troppo chiedere” pronunciò Bellatrix con la voce che vibrava dall’emozione e gli occhi scuri e tremanti spalancati.

 

“Mi sarei aspettato qualcosa del genere, Bella. E, sì, accetto con molto piacere. Naturalmente anche a tuo marito sarà riservato lo stesso privilegio, se lui è d’accordo” Voldemort fece scorrere le sue iridi serpentine verso Rodolphus.

 

Lestrange accennò vigorosamente col capo, senza bisogno di una conferma visiva per cogliere lo sguardo di Bellatrix: ‘se rifiuti o manchi di rispetto al nostro Potente Signore, io ti ammazzo.’

 

“Certamente, mio Signore, è un onore immenso per me.”

 

In verità, Rodolphus non provava nulla per quell’uomo che prima di Azkaban aveva ispirato parte della sua fiducia e ammirazione: tutto ciò che lo legava al mondo era Bellatrix e lei, quell’uomo, lo ammirava alla follia e a lui questo bastava: gli occhi di Bellatrix brillavano sempre quando contemplavano l’Oscuro signore; ormai Rodolphus non riusciva a concepire nemmeno la gelosia.

 

Quando i Lestrange furono tornati al loro posto, Lord Voldemort indugiò sulla figura nera e ossuta alla destra di Rodolphus.

 

“Severus, del tuo compenso ne parleremo dopo, in privato” accennò Lord Voldemort con dolcezza, suscitando un’ondata di gelosia.

 

Piton si inchinò prontamente “Certo, mio Signore.”

 

Lord Voldemort fece un rapido cenno alla figura alla destra di Piton, un uomo alto, biondo e dallo sguardo glaciale e implacabile. Lucius Malfoy si inginocchiò al cospetto dell’Oscuro Signore non tralasciando il decoro di un potente lord.

 

“Dunque, Lucius, che cosa desideri?”

 

“Una totale riabilitazione, mio Signore, se è possibile” affermò Lucius in tono deciso tuttavia rispettoso “Rispetto e affidabilità al pari del mio apice di successo, prima del fallimento al Ministero, mio Signore” la voce di Lucius si incrinò leggermente “Non desidero nient’altro.”

 

“Ovviamente, Lucius” disse Lord Voldemort “Il tuo pieno successo nell’operazione affidatati ad Hogwarts più il recupero del veleno di Acramantula ti hanno riabilitato pienamente ai miei occhi e oltre. Avrai tutto il rispetto che meriti.”

 

Il volto di Lucius si arrossò dalla soddisfazione “Grazie, mio Signore.”

 

Samantha venne dopo di lui, anche lei si inchinò rispettosamente.

 

Lord Voldemor la squadrò con curiosità; non poteva prevedere la richiesta della ragazza, d’altronde aveva avuto poco tempo per comprenderla a fondo “Parla, Samantha.”

 

“Anch’io richiedo fiducia, mio Signore” cominciò la Mangiamorte in tono risoluto “Ma non per me, la richiedo per altri.”

 

“Spiegati” sibilò Lord Voldemort.

 

“Mi è giunta una comunicazione dalla sede dell’associazione che gestisce il progetto D.I.O. (Diffusione Internazionale Oscura) che sono in molti a voler prendere attivamente parte alla seconda guerra magica, qui in Inghilterra. I miei superiori hanno selezionato accuratamente i migliori campioni sia in intelligenza, forza, scaltrezza e perfidia. Questi miei colleghi amerebbero immensamente potersi rendere utili e combattere per la Nostra Causa, mio Signore. So che di questi tempi con la pressante intromissione di alcune società occulte l’I.M.M.U.N.D.O. ha perso di affidabilità ai suoi occhi, mio Signore, ma la prego di conferire a questi eccezionali maghi la possibilità di potersi battere per lei e di poter riacquistare pienamente la sua fiducia.”

 

Per un qualche oscuro motivo, Darcy Donovan sogghignò.

 

“Ti avrei detto di attendere una mia decisione, Samantha, ma visto che ti sei dimostrata all’altezza del compito affidatoti approvo con immediatezza la tua richiesta. I tuoi colleghi sono liberi di unirsi ai miei Mangiamorte.”

 

Draco la fissò con occhio critico: Samantha sorrideva in un modo inconsueto, come a voler celare un altro sentimento oltre alla gioia.

 

“Grazie, mio Signore” disse e ritornò al suo posto, al fianco di Draco che aveva cominciato a muovere qualche passo verso il trono di Lord Voldemort.

 

Samantha colse di sfuggita uno sguardo ansioso negli occhi solitamente freddi e impassibili di Draco; il ragazzo si stava mordendo il labbro inferiore tenendo le mani fortemente serrate e quasi tremanti. La Mangiamorte sobbalzò: cosa voleva chiedere quello stupido?

 

Draco si inchinò. Voldemort sogghignò appena, l’insensatezza e l’impulsione di quel ragazzino lo rendevano molto curioso: già una volta aveva osato eccedere e disubbidire ai suoi ordini, chissà se avrebbe avuto il coraggio di ripetere quella sciocca impresa.

 

“Parla, Draco.”

 

Draco smise di tormentarsi il labbro, rendendosi vagamente conto della precarietà della sua domanda, ma doveva farlo, convincere il Signore Oscuro ad approvare la sua richiesta, a tutti i costi.

 

“Mio Signore” cominciò con voce ansante, gli occhi fissi sul pavimento e una sgradevole sensazione di vulnerabilità e di pericolo in gola “Mi è giunta voce delle intenzioni del Ministero, Signore, di come intendono controllare il ‘problema Mangiamorte’ - sperò di non essere risultato impudente – anche a lei, mio Signore, ne è giunta notizia?”

 

“Spiegami tu, Draco” sentenziò Lord Vodemort con tono insinuante.

 

“Dopo il crollo di Hogwarts il Ministero ha intrapreso un’offensiva più feroce” senza volerlo, la voce si incrinò in un mugugno “Il Ministero ha emanato un editto speciale che prevede l’imprigionamento dei sospettati Mangiamorte e… l’eliminazione di tutti i membri delle famiglie accertate Mangiamorte.”

 

Le labbra di Lord Voldemort si storsero in un sogghigno “Comprendo, tua madre…”

 

“Esatto, mio Signore” affermò Draco con la voce poco più alta di un sospiro “Vorrei che venisse mandato qualche Mangiamorte per condurla fino al Covo Oscuro, così sarà al sicuro.”

 

“Credo proprio che non sia possibile, Draco.”

 

Il fiato di Draco si mozzò di colpo “Ma… ma” balbettò incoerentemente, il sudore scendeva libero lungo il volto “Perché?”

 

Bellatrix sibilò: come si permetteva quell’impudente di suo nipote? Come poteva contestare una decisione del Potente Signore Oscuro? Doveva accettare il rifiuto in silenzio. Forse non pensò nemmeno che la donna la cui vita era in gioco non era solo la madre di quel suo nipote impudente ma anche sua sorella, un tempo la sua migliore amica, la sua confidente… Lord Voldemort era tutto per lei, in quei momenti la sua imponente figura oscura riusciva ad offuscare tutto il resto, inclusa la sua amata sorella.

 

“Perché probabilmente il Ministero sta già tenendo sotto controllo Malfoy Manor e se mandassi i miei Mangiamorte a salvare tua madre per condurla al Covo svelerei automaticamente la nostra posizione: anche se sono degli incapaci quelli del Ministero hanno sufficiente abilità per pedinare tua madre e gli altri sino al Covo Oscuro. Non posso rischiare di svelare la nostra nuova base operativa solo per salvare una donna che, tra l’altro, non è nemmeno una Mangiamorte attiva. Quindi devi cambiare richiesta, Draco” concluse Lord Voldemort in tono totalmente asettico.

 

Draco rimase completamente immobile, aveva smesso di tremare ed ansimare: la sua era la calma che preannunciava la tempesta.

 

Alle sue spalle Samantha continuava a fissarlo, esasperata: non fare lo stupido, non fare lo stupido…

 

Lord Voldemort lo fissava incuriosito: il giovane Malfoy se ne stava quieto e tranquillo ai suoi piedi, comportamento decisamente insolito data la portata della sua dichiarazione: sua madre era praticamente morta. Aveva sperato che il ragazzino facesse qualcosa di avventato o che cedesse a quella sua ridicola impulsione sentimentale… forse aveva imparato a controllarsi.

 

Ma l’Oscuro Signore non sospettava che dietro a quell’incorruttibile calma fremesse una rabbia talmente pulsante da aver paralizzato tutto il corpo del ragazzo. Fare un’altra scelta? Come se esistesse un’opzione più importante della vita della propria madre… Voleva metterlo alla prova, vedere fino a che punto avrebbe resistito la sua pazienza?

 

…solo per salvare una donna che, tra l’altro, non è nemmeno una Mangiamorte attiva…

 

Maledizione! Quella donna era sua madre ed era anche la sorella e la moglie di altri due Mangiamorte… ma allora perché non intervenivano, reclamando al suo fianco, implorando il Signore Oscuro perché la salvasse? Perché poi doveva decidere lui della vita di sua madre? Non era forse libero di andare a salvarla? Che stupido! Da quando si era unito ai Mangiamorte non era stato più libero di fare nulla.

 

Sapeva che se avesse reagito come gli comandava la sua rabbia sarebbe finito ammazzato… ma francamente non gli importava. In quel Covo Oscuro anche il valore della propria vita, che aveva sempre giudicato preziosa ed inviolabile, lo considerava superficiale, se non superfluo, anzi, cominciava a diventare un peso con tutto quel dolore, quel rifiuto, quelle delusioni.

 

Eppure non poteva cedere alla rabbia, perché avrebbe condannato sua madre a morte. Doveva sopravvivere ed aiutarla, anche se poi avrebbe dovuto disobbedire ad un ordine diretto del Potente Signore Oscuro.

 

Si inchinò profondamente, gli occhi ancora incollati al suolo. Sapeva che se li avesse levati e incrociati con le iridi penetrati di Lord Voldemort tutta quella rabbia che gli ribolliva in corpo sarebbe stata dannatamente evidente. Ingoiò saliva a vuoto e dischiuse le labbra, sperando in cuor suo che anche la voce non lo tradisse, che la rabbia non avesse contaminato anche quella:

 

“Comprendo mio Signore” disse con voce spaventosamente neutrale “Ma non desidero nient’altro.”

 

“Allora puoi ritirarti.”

 

Draco si levò di scatto, il capo chino e tornò al suo posto. Sapeva che avrebbe dovuto dire ‘Grazie, mio Signore’, ma era davvero troppo, quelle parole, sulle sue labbra tremanti di rabbia, sarebbero inconfondibilmente state impregnate di veleno e odio.  

 

Fissò suo padre di sottecchi: il volto impassibile. Di colpo tutta la rabbia che aveva accumulato in seguito al rifiuto di Lord Voldemort virò su suo padre e su quell’insopportabile volto austero ed impassibile.

 

“Potete andare.”

 

Avvertì le parole dell’Oscuro Signore molto lontane e, meccanicamente, le sue gambe lo condussero all’uscita della sala: tutto il suo essere concentrato sull’odio verso il padre.

 

*

Draco uscì dalla Sala Regia con un forte senso di rimpianto e rancore.

 

Lucius gli passò accanto con aria indifferente; il ragazzo avvertì la rabbia e il disprezzo: di come suo padre lo trattasse ormai non gli importava molto, ma il fatto che sdegnasse così glacialmente il pericolo che correva sua madre lo caricava di una collera incomparabile, proprio quella che nasce dal rifiuto di una persona cara.

 

Ora mai non aveva più molto da dire a suo padre, se non parole vuote cariche di sdegno e alterigia: il mito, l’idolo paterno che aveva ispirato la sua infanzia era crollato miseramente. 

 

Suo padre, Lucius Malfoy, scomparve nell’oscurità del corridoio.

 

“Ehi, Draco!”

 

Una distrazione giunse dalla persona di Pansy Parkinson: ragazza superficiale, nevrotica, ma che lo gratificava e lo contemplava con occhi carichi di ammirazione.

 

In quel momento la necessitava: aveva bisogno della sua superficialità per immergersi in un mondo semplicistico libero da ogni turbativa, della sua ammirazione perché lo potesse riverire, non importa cosa lui facesse o dicesse, in completa devozione, senza impicciarsi troppo delle sue faccende private, che si limitasse a tenergli la testa sulle ginocchia e ad accarezzargli i capelli, sussurrandogli parole di venerazione.

 

Non aveva alcun bisogno di una consolazione profonda da una persona che in fondo lo capiva, avendo condiviso con lui i medesimi momenti di disperazione. Il suo sguardo volò ad una certa Mangiamorte: lei no. Samantha lo conosceva troppo bene, aveva imparato a percepire le sue emozioni, lo aveva visto vacillare più di una volta: lo capiva con troppa indiscrezione, aveva appreso il suo lato più fragile, che il ragazzo aveva sempre voluto tenere nascosto agli estranei.

 

La loro intesa rischiava di diventare troppo forte e Draco non avrebbe tollerato un altro essere umano infiltrato nella sua più intima sfera di affezione, come suo padre. Quell’uomo che poi lo aveva deluso mortalmente proprio perché rappresentava una persona cara. Forse aveva paura di avvicinarsi troppo al prossimo, perché conoscendo profondamente una persona e facendosi conoscere a sua volta si rischiava un’inguaribile ferita, intensa e impossibile da sanare.

 

Meglio restare distaccati e glaciali: mantenendo le appropriate distanze non si rischiava nulla.

 

“Un’altra riunione, accidenti! Sembra che tu sia veramente importante qui” squittì Pansy avvicinandosi parecchio a Draco che, con enorme sorpresa e compiacimento della ragazza, la afferrò per un polso, continuando a camminare a braccetto.

 

“Sì, sono abbastanza importante” rispose Draco con enorme sollievo: qualsiasi cosa gli sarebbe uscita dalla bocca, Pansy avrebbe continuato a riverirlo.

 

Draco percepì qualcosa di inquieto agitarsi alla loro destra. Con una rapida occhiata scorse il broncio contrariato di Samantha Drake: quella Mangiamorte che aveva ucciso Goyle e che insisteva nel volergli stare vicino, nel volerlo conoscere… e lui che quasi intendeva ricambiare. Meglio troncare il problema alla radice.

 

A lui era riservato un trattamento speciale, Samantha insisteva sempre nel volerlo accanto per assicurarsi che non si ferisse. C’era un’unica spiegazione alla pazienza e all’apprensione della ragazza che risultava, al contrario, snervata e seccata con gli altri Mangiamorte.

 

Draco sogghignò impercettibilmente: aveva sempre avuto fiuto per quel genere di cose, si accorgeva senza troppa malizia quando una ragazza si interessava a lui. Quella era l’occasione ideale per allontanare definitivamente Samantha Drake, per farla soffrire, per punirla per quello che aveva fatto a Goyle.

 

“Sei proprio fantastico” continuò Pansy aggrappata al suo braccio “Ho sempre creduto che saresti arrivato molto in alto, sicuramente sarai molto soddisfatto…”

 

Un ampio sbuffo scettico li raggiunse alle spalle: Samantha contemplava i due con un vago senso di divertimento e un’accentuata aria turbata.

 

Pansy si accostò maggiormente a Draco per sussurrargli all’orecchio “Possiamo andare da un'altra parte. Non mi piace che quella tipa ci segua ovunque. Credo che tu le interessi, è così evidente, no? Forse dovresti mettere in chiaro le cose” quindi si aggrappò con più tenacia al suo braccio.

 

Anche se Samantha non aveva inteso a pieno le parole di Pansy, solo il tono squittente e l’eccessiva complicità nei confronti di Draco le bastarono per prendere in considerazione l’idea di freddarla all’istante.

 

“Temo che questo non sia possibile, Pansy” disse Draco con voce calma e dosata “Perché dovremo condividere l’alloggio con lei. Vieni, ora ci smaterializziamo là, stringi quanto vuoi.”

 

Pansy emise un risolino nervoso e, puntandosi sui piedi, lanciò le braccia al collo di Draco, affondando la faccia nell’incavo del suo collo.

 

Samantha ebbe giusto il tempo di realizzare a pieno la dichiarazione di Draco: lei, lui e l’altra lei nello stesso appartamento? E ora l’altra lei che si appiccicava come un’ostrica al suo lui? E i due che sparivano abbracciati?

 

Samantha si arrese ad un sorrisetto sadico con una vaga aria d’intesa. Dunque il suo lui aveva di certo architettato tutto per fargliela pagare: scatenargli un’indomabile gelosia? Tsk, proprio folle il suo lui a voler testare il limite di sopportazione di Samantha Drake. Ma lei sarebbe stata più che accondiscendente a dare una breve ed intensa manifestazione del suo punto limite di sopportazione: poi se ne sarebbero guardati entrambi dal volerla scatenare di nuovo.

 

La Mangiamorte cominciò la smaterializzazione, riflettendo distrattamente da quand’era che aveva cominciato a pensare a Draco come al ‘suo lui’.

 

*^*^*^*^*^*

 

Ministero – San Mungo

[Il Salvatore dei Granger – Une bonne nouvelle!]

 

 

Il rifugio dell’Ordine era ben nascosto, merito degli speciali accorgimenti del nuovo comandante della squadra, il misterioso Albatros.

 

Innanzitutto, bisognava conoscere il giusto punto su cui era possibile invocare un incantesimo speciale per materializzare la soglia, e, secondariamente, per attraversarla era necessario rientrare in una lista speciale, sigillata da un potente ed invalicabile Incantesimo di Protezione elaborato dallo stesso nuovo ‘capo’ dell’Ordine.

 

Ron, Hermione e Ginny stavano percorrendo i corridoi, cercando di non incappare in qualche squadra di protezione; ma la marcia si rivelò presto una passeggiata, dato che il Ministero sembrava svuotato: innumerevoli Auror ed Eclitti erano caduti ad Hogwarts e i rimanenti soccorrevano quanti era ancora possibile salvare.

 

Comunque, con tutta probabilità, aveva riflettuto Hermione, alcune delle squadre Auror, saputo dell’attacco dei Mangiamorte, avrebbero dovuto restare di vedetta al Ministero per preservare l’ultimo quartier generale rimasto alla Resistenza Oscura.

 

E per questo era bene rimanere all’erta, di certo non sarebbe stato piacevole farsi sorprendere da qualche Auror o Eclitto irascibile.

 

“Magari proprio Tonks è stata affidata a difesa del Ministero.” Propose Ginny, titubante.

 

Ron arricciò il naso. “Mah, e se quelli dell’Ordine sono stati chiamati ad aiutare gli Auror e gli Eclitti ad Hogwarts? Avremmo fatto tanta fatica per niente.”

 

In effetti, Hermione non aveva pensato a quell’eventualità: l’Ordine probabilmente era stato chiamato sul campo, o era stato mandato sul campo.

 

Ma non era il momento dei dubbi.

 

“Lo verificheremo tra poco,” rispose alla costatazione di Ron.

 

Svoltato l’angolo, la ragazza si trovò in pochi secondi a terra. Dopo un attimo di stordimento, Hermione alzò lo sguardo e vide un uomo, con diversi graffi sul volto, la testa rasata e il viso pingue su cui spiccavano alcune rughe.

 

“Voi che ci fate qui? Siete alunni di Hogwarts?” domandò l’uomo. Solo allora Hermione si accorse della divisa da Auror nera, bruciata e stracciata.

 

“Noi, ecco…” balbettò, incerta su cosa inventarsi.

 

Fu Ginny ad avere il tempismo giusto. “Oh, per fortuna abbiamo incontrati un Auror! Signore, vede, noi siamo riusciti a scappare ma non sapevamo cosa fare, così abbiamo pensato di venire qui a chiedere aiuto.”

 

“Questo edificio era l’ex-Ministero.”

 

Hermione vide Ginny aprire la bocca, come scioccata. “Davvero? Ma come potevamo saperlo, noi? La Gazzetta non diceva niente in proposito, anche se avevamo sentito di uno strano spostamento.”

 

Hermione pensò che la mezza-bugia di Ginny era molto credibile, quindi annuì per dar più veridicità alle sue parole.

 

L’uomo sbuffò, sembrando acconsentire di mala voglia “Va bene, allora vi scorto al San Mungo dove hanno radunato tutti i vostri compagni sopravvissuti e il personale scolastico.”

 

Lei e Ginny annuirono, Ron rimase in silenzio, esitando nel seguire l’uomo.

 

Il viaggio fu breve ed Hermione sperava di poter tornare al Ministero una volta lasciato l’Auror (così da non destare sospetti) e intanto approfittare delle cure magiche del San Mungo. Non l’aveva detto a nessuno, ma durante l’esplosione nei Sotterranei si era lussata il polso destro, sbattendolo violentemente contro una roccia dopo il violento scossone.

 

“Allora, come siete scappati da Hogwarts?” domandò l’Auror con tono casuale.

 

Furbo, pensò Hermione, mordendosi un labbro. Come avrebbero potuto dirgli la verità? Ci sarebbe stata da spiegare la festa, il perché conoscessero il passaggio segreto e il furto della Felix Felicis. Un vero casino.

 

“Ecco noi…” cominciò incerta, mentre il suo cervello cominciava a elaborare alcune possibili spiegazioni.

 

Dalla faccia

 

“Siete i due Weasley e Hermione Granger, giusto?”

 

I tre sbatterono le palpebre, stupiti, e annuirono.

 

L’Auror sorrise. “Mi ha parlato di voi il gruppetto che avete salvato rompendo quella parete già distrutta dai Mangiamorte. Io sono Albert Gray, Capitano di Secondo Grado nell’Accademia Auror e attuale comandante delle operazioni di soccorso nell’Inghilterra. Vi devo ringraziare per la prontezza di spirito, ragazzi. Senza di voi, avremmo avuto più vittime.”

 

Beh, per aver spifferato la loro tattica di fuga, Hermione avrebbe volentieri tagliato la lingua-lunga che aveva fatto da spia, ma per una volta sembrava avessero fortuna; almeno avevano trovato un modo per amicarsi l’Auror.

 

“Scusi, ma quanti sono sopravvissuti?” era intervenuto Ron, un po’ preoccupato.

 

L’Auror si irrigidì. “Degli studenti la maggior parte è stata tratta in salvo, siamo riusciti ad arginare le perdite a venticinque morti, ma rimangono almeno una quindicina di feriti gravi.”

 

“E gli Auror?” domandò timidamente Hermione.

 

“La metà delle truppe è morta in combattimento. Un quarto dei sopravvissuti è grave, la metà ferita e alcuni immobilizzati a vita. Cinque uccisi sotto l’ordine del comandante Marshall perché morsi dai Licantropi.”

 

La voce dell’Auror era meccanica, ma tradiva rabbia e risentimento.

 

Hermione si zittì di fronte al numero delle vittime.

 

[ Sangue sparso sulle mura che avevano cresciuto molti di loro. ]

 

“Mi… mi dispiace.” Mormorò.

 

Albert si irrigidì, ma le spalle si rilassarono appena. “No, sono io che mi devo scusare. Vi ho rattristito con questa sfilza di dati. Inoltre non avrei nemmeno dovuto comunicarvi una stima delle vittime, molti preferirebbero che non raggiungesse l’opinione pubblica, e poi, alla vostra età... ma, d’altronde, in questo clima oscuro si cresce in fretta. Purtroppo, siamo in tempo di guerra e mi avete beccato in un momento un po’ difficile, ragazzi.”

 

“Non si preoccupi,” lo rassicurò Ron. “Comprendiamo che la perdita dei propri compagni sia un boccone amaro.”

 

L’Auror squadrò il ragazzo con uno sguardo ammirato. “Grazie, ragazzo. Il tuo nome?”

 

“Ronald, Ron per tutti.”

 

Albert sorrise con tenerezza. “Ron Weasley. Mi ricorderò di te.” Poi rivolse gli occhi alle due ragazze. “E anche di voi due, signorina Granger e Weasley. Ora saliamo al San Mungo, vi farò medicare appena possono.”

 

L’ospedale magico era immerso nel caos più completo.

 

L’organizzazione interna di reparti e padiglioni era evidentemente ignorato. All’ingresso stavano feriti per ustione, infermiere che correvano di qua e di là con frenesia, persone che gemevano in attesa, altri con fasciature babbane di fortuna, c’era chi sanguinava ancora e uomini le cui ossa erano messe in strane posizioni non del tutto naturali.

 

Il sentore forte di sangue, anestetico e disinfettante colpì il naso di Hermione, dandole un leggero senso di nausea.

 

“Oh per Merlino… cosa è successo qui?” Domandò Ginny, in ansia “Sembra di avanzare attraverso un campo di battaglia.”

 

“Abbiamo dovuto spostare tutti i feriti meno gravi in questo piano e usare gli altri per quelli più gravi. Mentre il grosso dei Mangiamorte invadeva Hogwarts, altri giovani aspiranti oscuri hanno colpito alcune piccole città e paesini a prevalenza babbana, soprattutto nelle vicinanze di Londra.”

 

Hermione trattenne il fiato. “Anche… anche Camden?”

 

“Sì.” Confermò l’Auror, annuendo. “Vado a cercarvi un’infermiera per quei graffi.”

 

Le gambe si fecero pesanti. Hermione crollò a terra sulle ginocchia, gli occhi spalancati e le guance rigate da lacrime.

 

“Oh Merlino, oh Merlino...” Continuava a ripetere, istericamente. Sentiva la bocca improvvisamente secca e acida, le guance umide e un nodo serrarle lo stomaco e la gola. Pure la vista cominciava ad offuscarsi e la testa diventava leggera, come sul punto del collasso.

 

E probabilmente sarebbe svenuta tra qualche minuto.

 

“Hermione!”

 

Le braccia di Ron la sorressero, forti.

 

“Cosa succede?!” si aggiunse ansiosa Ginny, sedendole vicino.

 

D’un tratto la debolezza di Hermione sparì, lasciando spazio ad una scarica di agitazione e nervosismo. “I miei genitori… loro vivono a Camden! Oh Merlino… i Mangiamorte… quei dannat Mangiamorte… e se avessero…?” Il piccolo corpo di Hermione era conquassato dai singulti e tremava addosso a Ron. “Lo sapevo, dovevo insistere perché si trasferissero da zia Lory, ma non mi hanno dato retta! E se… e se adesso…”

 

Ron l’abbracciò di slancio, lasciando che la sua spalla si bagnasse di lacrime per un’altra volta. Il petto del ragazzo era colmo di tristezza e non poté trattenere un sospiro stanco.

 

“Non lo dire nemmeno per scherzo, Hermione. C’è la possibilità che siano vivi, non c’è motivo di farsi prender dalla disperazione già adesso. Andremo a cercali, ok? Io, te e Ginny. Insieme.”

 

“Ron… ho paura che loro…” espirò Hermione, stringendolo forte a sé.

 

Ron si sentì completamente inutile.

 

“Non piangere, ti prego.”

 

Ma come poteva consolarla? Come poteva chiederle di non disperarsi se anche lui, in una situazione così precaria, avrebbe fatto lo stesso?

 

Tuttavia le lacrime di Hermione lo stavano uccidendo, veramente. E lui non poteva asciugarle – come avrebbe potuto colmare la tristezza della sua ragazza? Hermione non era stupida, sapeva bene che era probabile che i suoi genitori non fossero sopravvissuti. Come poteva Ron illuderla che andava tutto bene?

 

“Hermioni!”

 

La ragazza parve riprendersi un poco, strinse un po’ la sua maglietta e alzò lo sguardo. “Viktor?”

 

“Hermioni! Finalmente ti ho tvovata!”

 

Il bulgaro si avvicinò al gruppo, sorridendo. “Ho incontrato i tuoi genitovi, Hermioni!”

 

Hermione si staccò da Ron e corse incontro a Krum con espressione speranzosa e le guance ancora scintillanti. “E… stanno bene? Ti prego Viktor, dimmi di sì!”

 

Il bulgaro annuì, e sorrise. “Lovo mi hanno detto di dire a Hermioni che va tutto bene. Li ho salvati io.”

 

Hermione abbracciò di slancio Krum, sotto gli occhi scioccati di Ron: vero, era soltanto una pura formalità quell’abbraccio, un modo innocuo ed innocente per ringraziarlo, nient’altro, ma... come non poter esplodere di gelosia? Infondo, il primo bacio di Hermione l’aveva ricevuto Krum, aveva il diritto di essere verde di invidia!

 

“Oh, grazie, grazie Viktor, tu non sai quanto mi hai resa felice!”

 

“Anche io sono felice, se tu è felice.” Il ragazzo l’abbracciò di rimando.

 

“Ma perché eri a Camden? Ero convinta fossi in viaggio da qualche parte in Asia con la tua squadra di Quidditch?” domandò Hermione, ancora un po’ stupita.

 

Krum sospirò. “Colpa guerra partite tutte annullate. Però ero in Inghilterra e ho pensato di venive a tvovarti perché io preoccupato. Però mentre ero coi tuoi ho sentito incantesimi e grida, così mi sono Smaterializzato coi tuoi genitori a Londra.”

 

Hermione rinnovò l’abbraccio “Grazie, Viktor.”

 

“Ehm, ehm” tossicchiò Ron, furente. “Krum… quanto tempo.” Digrignò i denti il Weasley.

 

Il bulgaro si voltò verso di lui, mentre Hermione si staccava, imbronciata. “Ron, non cominciare!” gli intimò, senza essere (naturalmente) ascoltata.

 

I capelli rosso fiamma del ragazzo erano un tutt’uno con il suo viso. “Via le mani da Hermione! Lei è la mia ragazza!” strepitò, incollerito.

 

“La tua…?” Il campione di Quidditch sembrava un po’ spiazzato. “Quando?”

 

Hermione arrossì leggermente. “Da poco, Viktor, te l’avrei raccontato nella prossima lettera.”

 

“Oh, peccato” sospirò Viktor, ma sorrise ugualmente con un’alzata di spalle. “Sono felice se tu è felice, Hermioni. Tu sai, vero?”

 

La ragazza aveva nuovamente le lacrime agli occhi. “Viktor… mi dispiace…”

 

A Ron venne naturale un commento sardonico: “A me per niente.”

 

“Scusalo Viktor, Ron è sempre stato un tipetto focoso.” Commentò acidamente Hermione scoccando uno sguardo infuocato al suo fidanzato, che non si fece intimorire, ostentando la sua smorfia ostile.

 

Krum rise con la sua voce baritona. “Ma io capire Ron! Anche io sarebbe molto geloso di Hermioni.” Disse, facendola arrossire furiosamente.

 

Ron ne approfittò per prendere Hermione per la mano e trascinarla verso di sé. “Appunto, se capisci non te la prenderai se la voglio più vicina a me che a te, vero?”

 

Hermione alzò gli occhi al cielo. “Ron tu non sei geloso. Sei possessivo oltre che esagerato.”

 

“Vuol dire che ci tengo a te.” Ribatté lui, scontroso.

 

“Devo farti anche io il discorso di Ginny? O uno sulla fiducia tra fidanzati?” incalzò la ragazza, mettendosi le mani sui fianchi, irata.

 

“Hermioni ha ragione.” Intervenne Krum, ricevendo due replcihe completamente antitetiche: “Grazie Viktor” e “Ma stai zitto!”.

 

Ginny sbatté il palmo della mano sulla fronte in segno di esasperazione, un tantino divertita. Almeno la lampante gelosia di Ron era riuscita a distrarre tutti dalla situazione contingente??

 

“Oh, Ginnì, Ron, e Harmioni! State tutti bien, oui?”

 

Ginny sentì un brivido gelido lungo la schiena, mentre si girava e fronteggiava un’allegra e bellissima Fleur avanzare verso di lei, circondata da almeno una quindicina di individui tutti rigorosamente biondi tra cui aveva riconosciuto la sorellina piccola che Harry aveva salvato al quarto anno… come si chiamava? Gabrielle?

 

“Flebo…? Cioè, Fleur, cosa ci fai qui? E chi sono questi?”

 

Fleur sorrise. “Oh, questi è mia famille, sono giuntì ici pour la guerre, anche in Franscia i maghi oscuri si stonno ribelando. Siamo venuti parce que sci hanno detto que Bill si trouve ici.”

 

Oh Meerlino. I Delacour invadono l’Inghilterra. “Ma è meraviglioso Fleur! Così finalmente potrò conoscere i miei parenti francesi.” Cinguettò ironica Ginny.

 

Fleur non sembrò accorgersi dell’evidente nota di sarcasmo, o almeno non lo diede a vedere.

 

“Sono arrivati oji con un pormesso spesciale” spiegò Fleur “Proprio pour sapere della buona nouvelle.”

 

Ginny inarcò un sopracciglio. “Quale notizia?”

 

Fleur le si gettò addosso, circondandola con le braccia. “oh, Ginnì: diventerai zia!” esclamò in lacrime la bionda cugina di Veela, facendola irrigidire.

 

Oh Merlino. Merlino, perché?!

 

Ginny fece un sorriso tirato, e diede un paio di pacche alla nuora. “Oh, sono felicissima Fleur… ma quando l’hai scoperto?”

 

Fleur sospirò sulla sua spalla, sognante. “Io e Bill siamo ondati dal medico per le sue scicatrisci e Bill ha insistito pour una visita pour moi, parce que continuavo ad avere la nauseà. Et voilà! Tu diventerai zia! Non sei entusiasta?”

 

Ginny sospirò nuovamente, e rise. Beh, un nipotino non doveva essere male anche se figlio di Flebo, no? “Sì, Fleur, sono felicissima. Hai sentito, Ron? Diventerai zio.” Lo informò gongolante, riuscendo a distrarre il fratello dalla lite per ‘il possesso di Hermione’.

 

“Eh?” balbettò quello spiazzato. “Z-zio?”

 

Ginny annuì ghignando sadicamente mentre Fleur la lasciava e saltellava verso Ron, abbracciando anche lui. “Oui, oui, Ron tu non sei felice? La famiglia si allarga!”

 

Ron era rimasto senza parole. Ginny rise insieme ad Hermione. Aveva la stessa faccia di uno stoccafisso.

 

“Zio.”

 

“Sì, Ron” sorrise Ginny. “Zio.”

 

“Zio.” Ripeté quello, come un automa.

 

Krum sorrise dando una pacca sulla spalla di Fleur. “E’ fantastico. Spevo che sia maskio.” Le augurò; erano rimasti in contatto dal Torneo Tremaghi, mantenendo una buona corrispondenza amichevole, naturalmente, non al pari con quella di Hermione.

 

Fleur si avventò su Krum, stavolta, annaffiandolo di lacrime. “Oh Viktor, io sporo che sia una petite femme. È da generazioni che siamo quasi tutte femme.”

 

Ron sembrò riprendersi. “Noi Weasley sempre maschi.” Si bloccò allo sguardo di Ginny. “tranne Ginny, naturalmente.” Lei sorrise, più contenta.

 

Hermione si sentiva un po’ in imbarazzo, quindi decise di fare qualche domanda alla nuova mamma. “Allora, quanti mesi?”

 

“Due.” Fleur era raggiante. Continuava ad abbracciare Krum e intanto si toccava la pancia istintivamente, sorridendo commossa a tutti.

 

“La notre petite Fleur!” esclamò una donna sulla quarantina, bionda e slanciata, e molto simile e con raffinate fattezze da Veela; un fazzoletto ricamato in mano con il quale le asciugava le lacrime.

 

“Sembra iori che era una petite fille.” Riprese un uomo fascinoso e distinto, alto e moro.

 

“Ah, Ginnì, Ron, questi sono i mioi jenitori.” Sorrise Fleur. “Pére, Mére, questi i frères di Bill, la loro amica Ermione e Viktor Krum.”

 

“Felice di conoscervi.” Dissero insieme i quattro ragazzi, a cui la signora Delacour regalò un grande sorriso.

 

“E’ piascere nostro.” Disse il signor Delacour, e indicò le sue spalle. “Questi sono la mia famille. Ma fille Gabrielle che conoscete già, mio zio Gustave,” un longilineo e anziano uomo con i baffetti eleganti e bianchi fece un cenno di saluto, “Ma souer Marguerite, la zia Marie, nonno Paul, zia Josephine, le cugine di Fleur Felicitè, Chantal, Chanel e infine” l’uomo fece una piccola smorfia “la cugina Giulie.”

 

Tutti i Delacour avevano cominciato a fare cenni di mano come saluto e sembravano molto cordiali, tranne l’ultima cugina. La sua distaccata indifferenza la faceva sembrare essere una sorta di anomalia all’interno della famiglia francese e, per questo, attirò l’attenzione dei Weasley e di Hermione: infatti, tutte le donne Delacour erano meravigliose (al contrario dei mariti – Ron si chiese come fossero riusciti ad averle) e, soprattutto sorridenti, ma la ragazza (doveva avere ventitre anni) ostentava un viso (che avrebbe potuto essere indiscutibilmente splendido e attarente se rilassato in un sorriso) crucciato e annoiato, non tentando minimamente di dissimulare l’evidente fastidio di quell’incontro inaspettato e di quei saluti forzati.

 

“Giulie, saluta.” Qualcuno le mormorò e quella, invece di ubbidire, voltò il capo dall’altra parte e grugnì.

 

“Uh?” mormorò sconcertata Hermione, mentre il signor Delacour sospirava. “Giulie è sompre stata una ribelle. Non ubbidisce jamais. Je suis desolè.” Borbottò mesto.

 

La ragazza lo ignorò e tirò fuori dal vestitino nero un pacchetto di sigarette, mettendosene una tra le labbra e accendendola.

 

Una donna – Chanel, se Ron non sbagliava – si avvicinò a lei con le mani sui fianchi. “Non avviscinarti a Fleur, potresti fare male al petit enfant.” Le disse.

 

Giulie alzò un sopracciglio e si avvicinò a Fleur. La francese indietreggiò istintivamente sotto lo sguardo scuro della cugina. Una nuvola densa di fumo le arrivo in pieno viso quando Giulie, boccheggiando per espirare, gliela sbuffò contro con aria indifferente.

 

“Ma sei passa?” bisbigliò tossendo.

 

Quella alzò le spalle e continuò a fumare tranquillamente in faccia alla cugina, che prese a tossire.

 

“Ehi, non credi che sia ora di smetterla?” ringhiò Ron, irritato dal comportamento malsano della cugina di Fleur.

 

Ok, vuole fare la ribelle? Non con la mezza-Veela futura madre del prossimo Weasley!

 

Giulie Delacour fece un ghigno mellifluo e arrogante, assottigliando appena gli occhi. “Tu guarda, anche in Inghilterra hanno gli imbecilli che si credono principini azzurri.” Commentò con sarcasmo in un perfetto inglese impeccabile nell’accento, prendendo un’altra generosa boccata.

 

Ron digrignò i denti, offeso. Non sarebbe stata una scommessa azzardata valutare quale Casa si meritasse quell’insipida francesina: Serpeverde. Già, sarebbe finita a Serpeverde se solo Hogwarts…

 

“Mentre da qual che vedo le mezze-Veela non sono perfette.” Replicò Ron asciutto. “L’aspetto fisico non significa niente.”

 

Giulie rise, senza allegria ma con una punta di ironia. “Ecco quello che odio della gente: ha sempre aspettative a cui dovresti adeguarti, chinare la testa e rispettarle. Invece io non lo faccio.”

 

Hermione si accigliò. Quello di Giulie non era un semplice ed infantile tentativo di ribellione, era puro egocentrismo: non sforzarsi nemmeno di adeguarsi alle regole del prossimo o di apparire gentile per compiacere qualcuno… si ostinava a non ‘chinare la testa’ esclusivamente perché desiderava soddisfare il proprio ego e le proprie ed esclusive necessità.

 

Hermione stava per aprire bocca, decisa a far valere la propria opinione, ma l’ombra di un uomo dietro la Delacour ribelle la fece zittire improvvisamente, la bocca riarsa.

 

John Marshall sorrideva mellifluamente, squadrando lei, Ron e Ginny. I muscoli di Hermione si tesero istintivamente mentre il Capitano degli Eclitti li esaminava, sogghignando.

 

“Granger e Weasley insieme, con mio grande stupore vedo che vi siete salvati. E, sfortunatamente, senza gravi danni.” Commentò serafico l’Eclitto, sfidando apertamente gli occhi ottenebrati del giovane Weasley.

 

La prima mossa di Hermione fu di stringere il braccio di Ron, nell’ennesimo tentativo di bloccare i suoi nervi esplosivi, già messi a dura prova da Krum, la Delacour e, in maniera più incisiva, dalla fuga da Hogwarts.

 

A quel gesto, Marshall ghignò con maggior gusto “I codardi che scappano dalle battaglie sono quelli con meno ferite.”

 

La mano mitigatrice di Hermione sul braccio, non impedì a Ron di tremare di collera e di odio.

 

Ma al suo posto intervenne Ginny, più risoluta a non perdere le staffe, non dando così la possibilità a Marshall di infierire sulla sua rabbia “Non mi pare che sia ferito gravemente, Generale. Questo significa che anche lei è scappato dalla battaglia?”

 

L’Eclitto alzò le sopracciglia in tono di sufficienza. “L’opinione di voi inetti non mi sfiora minimamente, sei libera di pensarla come più ti pare, signorina Weasley. Almeno, abbi un po’ di rispetto per un coraggioso soldato di guerra, nonché Generale delle uniche forze del bene rimaste.”

 

“Non le uniche” ribatté Ginny tenacemente “E comunque non siamo più ad Hogwarts, signore,” continuò in tono provocatorio sotto gli occhi sbigottiti dei Delacour – che sembravano non capire -  e lo sguardo realmente preoccupato di Fleur, che non sembrava gradire minimamente la presenza del nuovo Generale degli Eclitti.

 

Marshall si chinò fino a restare a pochi centimetri dal volto di Ginny. Ron fremeva con un incontenibile impulso di saltare alla gola dell’Eclitto, trattenuto a viva forza da Hermione, che lo incoraggiava a mantenersi calmo.

 

“Resto sempre un militare, Weasley, e uno coi gradi più alti. E’ un consiglio da buon ex-professore: non mi provocare” sibilò Marshall, raggelandola sul posto.

 

Lo sguardo del generale poteva essere crudele e la sua vicinanza faceva sentire Ginny incredibilmente vulnerabile: quell’uomo aveva la stessa aura di un Mangiamorte.

 

Monsieur, lasci in pasce mon amie Ginnì, voi siete plutot scortese.” Con grande sorpresa generale, Fleur si piantò tra Ginny e Marshall, le mani sui fianchi ancora piccoli e aggraziati e gli occhi celestini che mandavano scintille. La giovane Weasley sbatté più volte le palpebre, confusa, ma grata a Fleur che l’aveva allontanata da Marshall.

 

Marshall alzò un angolo della bocca. “Scortese? Io? Sono un militare, bellezza, non un gentleman.” Rise infine l’Eclitto .

 

Fleur indietreggiò all’istante, colpita da quella risata rozza e sguaiata.

 

“Umhf.  Andiamoscene, con scerte persone non sto bien.” Sbuffò Fleur, prendendo per un braccio Ginny e Ron, e cominciando ad andarsene con lunghi passi decisi verso destra, seguita dall’intera famiglia che, premurosa, le stava accanto, mugugnando in francese considerazioni aspre sull’educazione degli inglesi.

 

Solo Giulie Delacour si fermò, irremovibile nella sua disobbedienza.

 

Marshall alzò un sopracciglio e la francese sogghignò.

 

“E tu cosa vuoi?” domandò scorbutico, ampliando il ghigno di quella.

 

Giulie rise e aspirò la sigaretta. “Fai tanto il duro, ma potrei batterti su due piedi, militare.” Si vantò sbattendo le lunghe ciglia bionde, ammiccando in sua direzione.

 

Marshall poteva sentire su di sé gli sguardi scocciati del gruppetto, che si era fermato per osservare la scena.

 

L’Eclitto digrignò i denti. “Non ho problemi a picchiare una donna. E comunque, non si fuma qui.” Disse, strappandole la sigaretta dalle dita e buttandola a terra. La calpestò violentemente, schiacciandola sotto i piedi con un ghigno di trionfo che aveva dell’infantile.

 

La biondina rise e prese dalla borsa un’altra sigaretta, portandosela dietro l’orecchio con un’aria da monella. “Fermami, militare.” Sogghignò, leccandosi appena le labbra.

 

Marshall si irrigidì con una strana e scomoda sensazione allo stomaco. Grugnì qualcosa e uscì dall’ospedale continuando a borbottare risentito.

 

I Delacour e il resto dei ragazzi osservarono, storditi e confusi, la risata vuota della cugina ribelle che seguiva con lo sguardo Marshall.

 

“Ma… cosa..?” balbettò sconnessamente Hermione, perplessa dagli ultimi scambi di battuta.

 

Fleur espirò forte dalle narici. “Giulie, andiamo!” la chiamò, ma quella si mise la sigaretta in bocca e uscì anche lei dall’ospedale, meditabonda.

 

“Argh, c’est impossible!” urlò in preda ad una crisi isterica – probabilmente dovuta alla gravidanza – Fleur, e prese a ripercorrere l’ospedale a gran passi, urlando e sbraitando, mentre la famiglia l’accompagnava annuendo ad ogni sua parola e dandole ragione su tutto, lasciando Ron, Hermione e Ginny da soli.

 

Questi si unirono in una perplessità generale.

 

“Beh, andiamo al Ministero” propose Ron, e le altre due annuirono.

 

Davanti a loro un’accesissima e conturbante lite si infiammò tra i Delacour, rabbia e insulti dalle consonanti languide e strascicate francesi tempestavano la cugina Giulie, apertamente dichiaratasi la pecora nera della famiglia.

 

Krum intervenne per tentare di rabbonire la situazione, ma fornì solo altri pretesti per infiammare la collera generale. Hermione contemplava la scena con un poco di inquietudine, sentendo tempestare motti francesi e vedendo qualche bacchetta luccicante sprizzare delle scintille di avvertimento. Ron la stringeva, anch’egli altrettanto turbato da quella scena di guerriglia raccapricciante.

 

Ginny, preferendo estraniarsi da quel putiferio francese, lanciò distrattamente un’occhiata al calendario magico, dove spiccava la data lampeggiante di quel giorno.

 

25 Dicembre.

 

Fece una smorfia contrita: nessuno avrebbe mai potuto affermare che quel giorno era Natale.

 

*^*^*^*^*^*

 

Lui, lei e l’altra

[Scena Madre]



Gelosia: Sentimento di angosciosa apprensione di chi si considera, o teme di essere, posposto ad altri nell’affetto di qualcuno e, in particolare, della persona amata.

 

Lui voleva la gelosia? E allora lei gliel’avrebbe data all’ennesima potenza, amplificata in tutte le sue estreme sfaccettature, in caricatura passionale, come uno stereotipo impetuoso ed indomabile.

 

Da più di un’ora Pansy si era stabilita nell’appartamento e già la sua presenza e il suo intollerabile profumo scadente avevano intaccato l’equilibro precario che si era venuto a stabilire tra Samantha e Draco.

 

La nuova intrusa se ne stava comodamente adagiata sul divano con la testa di Draco sul grembo; gli accarezzava i capelli con un’assoluta devozione; lui la contemplava con uno sguardo totalmente assente, ma lei insisteva nel suo ostinato battibecco che ormai continuava, ininterrotto, da più di mezz’ora.

 

Samantha stava ultimando gli ultimi preparativi per inscenare la figura travolgente che lei amava considerare la ‘psicopatica amante rifiutata’. Passionale al punto giusto, violenta, aggressiva, impetuosa; avrebbe lasciato di stucco sia lui che l’altra lei: nessuno poi avrebbe più osato provocarla.

 

Aveva orchestrato un’impareggiabile contro mossa alla provocazione di Draco; credeva di farle effetto vedendolo con un’altra che lo coccolava, ebbene sì, le dava una bizzarra sensazione di gelosia, ma dopo la sceneggiata teatralmente drammatica il rispetto sarebbe stato rivalutato in quell’appartamento.

 

Finì di truccarsi e di acconciarsi i capelli mentre l’orecchio teso coglieva di sfuggita qualche cinguettio di Pansy:

 

“Che bello, questa sera dormiremo tutti e due qui, se ci penso, divento tutta rossa.”

 

Vedrai, vedrai. Ora ci penso io a scaldare la situazione.

 

Samantha aprì la porta del bagno con impeto e fece il suo ingresso in scena, addobbata di tutto punto.

 

Pansy e Draco la fissarono: due diverse tipologie di stupore si mescolavano sui loro volti.

 

Samantha indossava un vestito aderente e rosso accesso con una prominente scollatura che non lasciava spazio all’immaginazione. Il tessuto lucente le fasciava il corpo evidenziando le morbide curve, la spaccatura del corto vestito mostrava con impudenza una gamba sollevata da un tacco affusolato e vermiglio. Una spallina volutamente calata lasciava provocatoriamente una spalla scoperta.

 

“Non credo di poterlo sopportare ancora a lungo” affermò Samantha, le labbra rosso intenso piegate nell’indignazione.

 

La mascella di Pansy sprofondò verso il basso “Che cosa?”

 

“Il mio uomo e un’altra” dichiarò Samantha con voce carica di colore e impeto.

 

Draco si rizzò all’improvviso con un’aria pressoché frastornata “Di cosa stai parlando?”

 

Samantha spalancò la bocca esageratamente, il viso un’espressione di puro sconcerto “Ora tenti anche di negarlo. Che c’è? Non ti soddisfo più? Eppure mi parevi piuttosto contento, ieri notte, quando ti ho sorpreso nel mezzo del sonno e ci siamo divertiti insieme, senza controllo.”

 

“Che bugiarda!” esclamò Pansy sull’orlo dell’isteria “Draco mi ha detto che siete solo colleghi, anzi meno di questo. Ha detto che gli sei indifferente!”

 

“E allora perché credi che condividiamo lo stesso appartamento?” le chiese Samantha pungente e piccante, insinuando il dubbio nella mente di Pansy.

 

“Cosa credi che possano combinare un uomo e una donna, da soli, di notte?”

 

“Finiscila!” strillò Pansy, cercando una disperata conferma dal ragazzo “Draco, dille qualcosa!”

 

“Oh, lui ha molto da dirmi, vero tesorino. Ti piace giocare a fare il padroncino dell’harem, vero?” chiese Samantha, suadente e languida, scostando Pansy violentemente, imponendosi padrona della situazione “Beh, mi dispiace, ma detesto per principio le orge” sibilò a Draco, storcendo l’angolo della bocca e socchiudendo gli occhi infiammati.

 

Abbandonò il corpo disposto contro quello del ragazzo, chinando il capo verso il viso di Draco; alle sue spalle avvertiva l’esasperazione di Pansy. Non ci fece caso, nascondendo un ghigno divertito. Il suo naso urtò contro l’incavo del collo del ragazzo, proprio sopra la spalla sinistra. Draco rimase immobile mentre Samantha gli sfiorava la pelle con le labbra e respirava avidamente il suo profumo.

 

“Detesto che il mio uomo puzzi dell’odore di un’altra femmina!”

 

Si accostò al suo orecchio, sussurrandogli in tono piccante “Se non puoi essere tutto mio, allora non ti voglio affatto!”

 

“Allora, vattene via! Perché Draco è mio!” urlò Pansy, strattonando il braccio di Samantha per staccarla dal ragazzo. Samantha resistette tenacemente, affondando le dita tra i capelli serici di Draco. Si liberò dalla stretta di Pansy senza particolare difficoltà, la sua totale attenzione ritornò a Draco, che sospirava inquieto contro il corpo di Samantha, il suo viso a pochissimi, fatali centimetri dal petto virtuoso della ragazza, o donna da quella prospettiva.

 

“Ti piacerebbe, vero? Ma bisogna combattere per possedere le cose che si desiderano” soffiò Samantha rivolta a Pansy, con le dita ancora aggrovigliate nella chioma bionda del ragazzo.

 

D’improvviso, Samantha si staccò da Draco, lasciandogli un senso di vuoto e l’odore di lei, e il suo calore, ancora impressi sulla sua tunica di Mangiamorte.

 

“Che aspetti, colei che sopravviverà avrà il diritto di stare con Draco” ghignò Samantha mentre sfoderava la bacchetta.

 

Pansy rimase di stucco, gli occhi che guizzavano inquieti all’indirizzo di Draco, invocando sostegno. Ma il ragazzo sembrava preso da tutt’altri pensieri.

 

“Su, avanti. Non mi dire che non vuoi, io sto qui ad aspettarti” disse Samantha con voce profonda e, a brevi tratti, provocante.

 

“Sei pazza!” strillò Pansy, indietreggiando ad una velocità spaventosa. Si ritrovò ben presto con le spalle al muro.

 

“Certo” Samantha si leccò le labbra con gli occhi più scuri e scintillanti “Pazza per lui. Sono disposta ad uccidere per lui, non c’è niente che non farei per lui.”

 

Il passo incalzante di Samantha portò la sua bacchetta a pochi centimetri dalla faccia di Pansy.

 

“E ucciderò te” dichiarò infine.

 

“Pansy.”

 

L’attenzione di entrambe venne bruscamente deviata verso il giovane uomo che contemplava entrambe con aria vagamente divertita.

 

“Forse è meglio che tu vada. Torna a casa, ci terremo in contatto” disse Draco.

 

Pansy si strinse la mano sul cuore, ancora tremendamente intimorita dalla bacchetta puntata contro il viso “Ma, Draco…”

 

Draco la fece zittire con un rapido cenno di mano “Ci penso io a tenerla a bada, lei è capace di tutto quando si scatena.”

 

“Vai pure cara, lui è uno specialista, sa come domarmi, vero?” Samantha si rivolse infine a Draco con un’espressione maliziosamente supplicante e languida.

 

Draco sospirò appena “Certo, Drake.”

 

Pansy venne violentemente spinta verso l’uscita sotto la minaccia della bacchetta di Samantha.

 

“Allora, io vado a casa mia. Ti aspetterò, Draco, quando la guerra sarà finita. Ti aspetterò sempre” dichiarò infine Pansy, il viso quasi in lacrime che fissava Draco dallo spicchio aperto della porta.

 

Samantha le sbatté la porta in faccia, cancellando anche l’ultimo singhiozzò di Pansy.

 

“Molto teatrale” disse Draco quando entrambi furono certi che Pansy fosse uscita dallo stabile “Per un attimo ho creduto che facessi sul serio.”

 

“Ti è piaciuto?” gli domandò lei con una punta di malizia.

 

“Mi piace come sei vestita” ribatté lui, lanciando una fugace occhiata all’ampia scollatura del suo vestito.

 

Samantha sogghignò appena, distogliendo brevemente lo sguardo dall’espressione insieme divertita e maliziosa di Draco, ma quando lo tornò a fissare quell’espressione era scomparsa.

 

“Senti, Drake. Posso chiederti un favore?” le domandò lui, d’improvviso serio.

 

Samantha accennò lievemente col capo.

 

“Vuoi aiutarmi a salvare mia madre?”

 

Il viso di Samantha si rabbuiò brevemente “Disubbidiremmo ad un ordine diretto del Signore Oscuro, sarebbe tradimento questo.”

 

“Un attimo fa hai detto che non c’è niente che non faresti per me.”

 

“E’ vero” confermò lei con un sorriso divertito.

 

“Lo prenderò come un favore in cambio dell’assassinio di Goyle” disse Draco, le parole sembravano uscite con grande sforzo.

 

“Se ti aiuto, dimenticherai che ho ucciso il tuo amico?”

 

“Sì.”

 

“Allora va bene.”

 

Seguì un altro di quei profondi silenzi che infastidivano molto Samantha, così la ragazza si affrettò a trovare una qualsiasi domanda per interrompere quella calma snervante:

 

“C’è qualcos’altro che vuoi che faccia?”

 

Draco sogghignò appena, ma in un modo del tutto nuovo, né amaro, né nostalgico, solo vagamente impudente e dispettoso “Con quel vestito addosso mi stanno venendo in mente un paio di idee.”

 

Samantha ricambiò in pieno il ghigno “Mi spiace, niente favori sessuali. Era l’accordo per una convivenza pacifica.”

 

“Oh, ma che peccato!” disse lui enfatizzando il lato ironico dell’esclamazione “Credo di aver perso un’occasione unica al mondo.”

 

*^*^*^*^*^*

 

Ministero della Magia,

[La Controffensiva di Marshall]

 


Stavano ripercorrendo i corridoi che portavano all’entrata nel Quartiere Generale dell’Ordine della Fenice per la seconda volta in quel giorno, ma stavolta Ginny, Ron ed Hermione erano intenzionati a raggiungere il loro obiettivo: informare i componenti dell’Ordine e fare in modo di contattare il più presto possibile Harry. Del giovane Potter si erano perse le tracce e, se davvero sapeva della distruzione di Hogwarts, gli amici potevano a stento immaginare il dolore di Harry, il dolore dei sopravvissuti.

 

Ron aveva avuto da ridire durante il viaggio dal San Mungo al Ministero, aveva borbottato contro ‘il perdente’ Krum, contro la cugina di Fleur – altro che “inglesi maleducati” - inveito contro Marshall… non che fosse una novità.

 

Tutti e tre insieme però si erano ritrovati alquanto spaesati dalla recente bombardata di eventi e, benché molti fossero spiacevoli, qualcosa era riuscito ad alleviare la loro tristezza: il bambino di Fleur, ad esempio. Ginny stessa sembrava aver accettato ancor di più la cognata nel momento in cui si era messa tra lei e Marshall, difendendola (anche se in modo un po’… Fleuresco), e dopo lo shock le brillavano gli occhi all’idea di diventare presto zia, come a Ron, d’altronde.

 

Arrivati al Ministero, le discussioni cessarono all’istante: occorreva, infatti, un assoluto silenzio per poter sperare almeno di superare la guardia esterna; non sarebbe stato facile come la prima volta. Ci dovevano essere più Auror di guardia e più probabilità, quindi, di essere scoperti.

 

Con circospezione erano riusciti grazie ad un semplice incantesimo di rabbia a far litigare violentemente due passanti, creando un diversivo e distraendo le guardie all’entrata dell’edificio, che erano intervenute per far  smettere i due.

 

Successivamente, erano sgattaiolati per i corridoi, appiattendosi ogni qual volta sentivano dei rumori e sperando di avere con loro il Mantello dell’Invisibilità di Harry – o quello di Moody, se proprio. La fortuna sembrava nuovamente dalla loro parte; forse erano gli strascichi della Felix Felicis, aveva dedotto Hermione a poche svolte all’arrivo nel cuore del Quartier Generale.

 

Ginny sorrideva all’idea di poter (magari) incontrare Harry, o almeno contattarlo per sapere come stava. Le mancava terribilmente, e sentiva il bisogno oggi più che mai di stringerlo a sé e confortarlo, rassicurarlo.

 

“Generale, cosa si fa ora?”

 

Il trio si fermò di colpo, nascondendosi dietro l’angolo. La voce tonante e sarcastica, ormai famigliare, di Marshall mozzò loro il fiato.

 

“Umhp, nessuna cattura a Londra? Solo dieci miseri arrestati nelle segrete?”

 

La prima voce, probabilmente un sottoposto, rispose: “Sì, Generale.”

 

Sul pavimento i tre ragazzi videro le due ombre molto leggere date dalla luce, che non era omogenea in quei corridoi delle viscere del Ministero.

 

Poi un grugnito. “Dovremo prendere seri provvedimenti. Innanzitutto, quest’edificio ritornerà la base ufficiale del Ministero, ci serve un esercito saldo e un comandante deciso... ormai il Scrimgeour è andato e se dovessimo attendere l’elezione del prossimo Ministro la guerra finirebbe per concludersi prima del dovuto, e non a nostro favore. E infine, muoio dalla voglia di stanare e terminare qualche Mangiamorte... dobbiamo essere più decisi  riguardo a questo, Scrimgeour è stato troppo blando e, infatti, è finito com’è finito. Dobbiamo adottare una tattica più aggressiva contro i Mangiamorte.”

 

“Come farete, signore?”

 

Anche senza vederlo, Ron, Ginny ed Hermione immaginarono il ghigno malefico di Marshall tra le sue labbra. “Catturate tutti i parenti dei Mangiamorte che conosciamo per certo, e poi uccideteli con cautela, in modo che non si venga a sapere. Con il concilio magico intento a cercare un nuovo leader sarà facile.” Ordinò secco.

 

L’Eclitto annuì con un “Sissignore!”

 

“Ora andiamo, il concilio magico è in piena crisi e necessita di un valido supporto. Rimarranno incartati per un po’ nelle solite e noiose pratiche burocratiche… questo è il nostro momento” Sbuffò Marshall, e le due ombre scomparirono dal corridoio.

 

I tre ragazzi rilasciarono il fiato, contenti di essere riusciti a scamparla ancora.

 

Hermione stava per bisbigliare di proseguire, quando una mano calda le toccò la spalla; la ragazza lasciò che un gridolino di sorpresa e spavento le uscisse dalle labbra, ma voltandosi trovò fortunatamente dei famigliari capelli rosa cicca e una Tonks lievemente perplessa.

 

“Voi che ci fate qui? State bene?” mormorò ai ragazzi un po’ preoccupata.

 

Hermione riprese fiato e annuì veemente. “Abbiamo pensato di riferire quello che sappiamo sulla disfatta di – insomma, sulla distruzione di Hogwarts. Inoltre, speravamo di trovare Harry e magari anche i signori Weasley.”

 

Tonks annuì e scoccò loro un sorrisetto. “Vedo che anche i membri più giovani dell’Ordine sono duri da sconfiggere.”

 

Ron alzò le sopracciglia. “Ehi, abbiamo quasi più esperienza di te in sopravvivenza.” Ironizzò, facendo sorridere tutte.

 

“Bene, allora, meglio per voi,” gli fece l’occhiolino Ninphadora. “Andiamo, vi accompagno.”

 

I tre annuirono e la seguirono fino all’Ordine, dove fecero rapporto non senza marcare la loro indignazione e il profondo odio e disprezzo verso i Mangiamorte. Ma chiedendo informazioni su Harry scoprirono di trovarsi ad un punto morto: dopo l’incontro con il Primo Ministro Babbano e Kingsley era scomparso.

 

L’ansia per l’amico si acuì, invece di smorzarsi come avevano sperato.

 

“Forse” aveva mormorato Hermione, tremante e incerta “l’effetto dalla pozione è svanito.”

 

Né Ron né Ginny replicarono, limitandosi a finire di medicarsi.

 

*^*^*^*^*^*

 

La Camera delle Torture

[L’Oracolo si Presenta – “Vita o Morte, caro professore?”]

 

 

Forse era il luogo più segreto e appartato del Covo Oscuro, il più intrinseco di magia proibita, dove il terrore era palpabile nell’aria. Lord Voldemort permetteva a pochi eletti di raggiungerlo in quella che ormai si era trasformata nella camera delle torture con aggiunta di interrogatori sanguinari e di esperimenti su cavie umane vive: traditori, mezzosangue, babbani e anche qualche occasionale giovane e fortunato ragazzo sopravvissuto al rogo di Hogwarts che Greyback aveva trascinato fuori dal castello in fiamme.

 

Severus Piton era forse il massimo pupillo dell’Oscuro Signore. Un legame li univa, oscuro al resto del mondo; ed era quel legame a pesare sul piatto della bilancia: vittoria o sconfitta per Lord Voldemort. Piton sapeva che in realtà il grande segreto era condiviso anche dal misterioso R.A.B., alias Regulus Black. Quell’uomo dalla mente contorta e dalla crudeltà perversa era totalmente inaffidabile, ma il suo isolamento aveva determinato una specie di garanzia per Severus Piton, in tal modo non avrebbe potuto rivelarlo a nessuno. Ma puntualmente Harry Potter si era intromesso ed ora conosceva il maggiore segreto dell’Oscuro Signore, ma, per grazia alla parte oscura, non comprendeva l’enorme portata di quella rivelazione.

 

Piton era stato convocato nella camera delle torture; al suo fianco l’Oscuro Signore sembrava quasi giacere nell’ombra della camera, cullato dall’oscurità di quel luogo. Rivolse a Severus il cenno d’intesa che lo autorizzava ad iniziare la sua arringa.

 

“Mio Signore, già mi favorisce con immensi privilegi, quindi non credo di… meritarmi un premio come nel caso dei miei compagni.”

 

“Infatti, Severus” biascicò Lord Voldemort con eleganza “sempre una spanna più in alto dei tuoi compagni, se così ami chiamarli. Sai che soltanto il ruolo di cui ti investo è degno dei più incommensurabili degli onori?”

 

“Lo comprendo, mio Signore” disse Piton con profondo rispetto “E non esiste nulla al mondo che mi piegherebbe al tradimento. Le rimarrò fedele per tutta la vita.”

 

Lord Voldemort lo fissò dritto negli occhi concentrando l’enorme potenzialità delle sue doti Legimens “E sei sincero. E’ la tua vita che è così preziosa per me, Severus. D’altronde tu sei il sigillo che mi permette di esistere senza indicibili tormenti. Sarei peggiore che il più miserevole degli spettri, peggiore di come mi ritrovai dopo la sconfitta che mi impartì Harry Potter – come di consueto i suoi occhi serpenteschi si strinsero acutamente - sarei vivo, ma assolutamente miserevole. Compresi infine il significato delle parole di Silente: c’è qualcosa peggio della morte. Sono tuttora convinto che no, non esiste nulla peggiore della morte, ma una vita del genere… la augurerei solo al nostro caro Harry.”

 

Piton sogghignò con lui, tuttavia conscio della sua posizione subordinata.

 

“Severus” Lord Voldemort mormorò solo lievemente quella parola, levando il braccio bianco, dissimulando il suo ordine imperioso in un invito declinabile; il Mangiamorte si avvicinò all’istante.

 

Piton si arrestò a pochi passi dal suo signore, immobile come il silenzio che circondava entrambi.

 

Lord Voldemort mosse appena le labbra bianche e talmente sottili da sembrare irreali, inumane “So che qualcosa ti tormenta, nulla può sfuggire al mio occhio. Qualcosa di grave e pericoloso…”

 

Lasciò sfumare le parole nella quiete della stanza.

 

“Si tratta del giovane Potter?”

 

“No, mio Signore” rispose Piton con la calma che aveva imparato a coltivare negli anni di spia “Si tratta invece della recluta che Darcy Donovan si propone di addestrare.”

 

“Le sue doti sono dunque così sorprendenti da allarmare persino te, Severus?”

 

“Più che sorprendenti sono alquanto curiose, mio Signore” disse Piton pacatamente “Quella recluta racchiude in se molte qualità che già singolarmente sono assai rare: è sia Rettilofono che Metamorofmagus completo.”

 

“Un fenomeno unico al mondo, mai documentato nella Storia Magica, a quanto mi risulta” rifletté Lord Voldemort avanzando nella stanza con la lunga veste nera che gli svolazzava alle spalle “Sicuramente un elemento da tenere d’occhio, potrebbe risultare eccessivo il suo talento: da utile diverrebbe dannoso per la Nostra Causa. Un servo più potente del proprio Signore.”

 

Piton nascose abilmente la sua inquietudine: già di suo sospettava che le doti del giovane Mangiamorte sorridente eguagliassero quelle dell’onnipotente Lord Voldemort e persino le riverenti parole di Darcy Donovan avevano fornito una conferma: Vedi, Piton, se anche egli fosse il più grande mago di tutti i tempi, ciò non basterebbe. Perché Lord Voldemort è pur sempre un umano mortale.

 

Mortale? Umano? Perché prendersi la briga di sottolinearlo, significava forse che quel giovane era ben più che un comune mago o un semplice umano? E se davvero era immortale, allora poteva essere…

 

“Non credo, mio Signore. Voi siete molto più potente di lui, avete molta esperienza, un’istruzione e una conoscenza della magia più raffinata. L’unico suo pericolo è la scaltrezza, quel ragazzo è subdolo: si direbbe che dietro al suo perenne sorriso si nasconda un demonio” Piton sobbalzò. Che fosse proprio così?

 

“Dopo che avremo terminato con lo PseudoProfeta, manda a chiamare la recluta” Lord Voldemort lo fissò e apparve molto turbato “Troppi sono i pericoli che si stanno ergendo contro di me: il Ministero e l’Ordine della Fenice, non che lo stesso Harry Potter sono dei nemici da considerarsi pressoché innocui, non temo più la Profezia. Ma queste singole figure dal contorno misterioso e mistico rischiano di causare un insormontabile intralcio, per questo necessito di una previsione, una certezza concreta.”

 

“Per questo richiese la mia presenza.”

 

Li raggiunse una voce che pareva attorniata dal mistero e dalla solennità.

 

Lord Voldemort turbinò come una spirale nera verso la voce, le braccia aperte e il volto una mistura grottesca di allegria e ansia “Ecco dunque il mio diletto. Severus, hai mai avuto l’onore di conoscere il venerabile Oracolo?”

 

Piton colse il riflesso d’inquietudine sul volto glabro e solitamente impassibile. Un istantaneo nervosismo lo catturò mentre volgeva l’attenzione verso il proprietario di quella voce insigne “No, mio Signore” rispose con la consueta voce controllata.

 

Era bianco, totalmente fasciato da drappi di lino e seta candida che brillava anche nell’oscurità della camera. Abbigliato come un solitario viandante del deserto, lasciava scoperti solo due inviolabili occhi nocciola, acuti e più penetrati dell’occhiata serpentina dell’Oscuro Signore. Dalla sua figura trasparivano rispetto e solennità, generando quasi un’aura divina sul suo giovane corpo appena trentenne.

 

I suoi occhi scattarono su Piton, stringendosi in due fessure senza però mutare l’impassibilità del suo volto.

 

“Tu morirai miseramente.”

 

Piton sobbalzò e con lui l’Oscuro Signore.

 

“Stroncato dalla mano erede del tuo protetto. Soffocato da un amore inestirpabile e violento. Soffocato lentamente da una seta serpentina e antica.”

 

Il silenzio era immobile ed inquietante. Il volto esangue e sudato di Piton si rifletteva nelle profondità mistiche e impenetrabili quali erano gli occhi nocciola dell’Oracolo.

 

“So di essere un elemento scomodo. Ma so anche che non morirò, qualsiasi cosa io decida di fare. Perché io mi vedo nel futuro.”

 

“E’ sufficiente, ti ringrazio” mormorò distintamente l’Oscuro Signore.

 

Piton seguitava nel suo silenzio.

 

La solenne voce si levò, lievemente attutita dal drappo che l’Oracolo portava sul volto “Lo so che faccio paura. Ora il suo molliccio, professor Piton, si rispecchierà nella mia figura. La rivelazione della propria morte è un fatto, nulla si può fare per arrestare la morte: è il destino incorruttibile quello che io rivelo. Non si inquieti, professore, che io gliel’abbia detto o meno non altera il futuro, tutto ciò che può fare è aspettare la morte e accettarla.”

 

Piton fu colto da un incredibile fremito. Le parole di quell’individuo non appartenevano a quel mondo, nella loro assoluta certezza erano estranee, inumane, superiori. E il modo in cui lo apostrofava: professore… nulla gli era apparso altrettanto inquietante e persino il suo allenato volto impassibile faticò a stare calmo.

 

“Non sono un mago particolarmente potente, ma ciò che possiedo è ben più elevato della magia: il futuro.” 

 

Lord Voldemort si allontanò velocemente. Piton lo imitò senza fiatare, lasciandosi alle spalle l’Oracolo.

 

“Dobbiamo accogliere un ospite, Severus, quindi è il caso di ricomporre i nostri volti.”

 

Horace Lumacorno venne trascinato mollemente nella camera da due Mangiamorte corpulenti, i piedi del vecchio strisciavano sul pavimento, le membra del suo corpo parevano abbandonati e cadenti.

 

“Vi avevo pregato di trattarlo con deferenza” sentenziò l’Oscuro Signore fulminando i due Mangiamorte con lo sguardo.

 

“Noi non abbiamo fatto nulla” si affrettarono a discolparsi “E’ rimasto chiuso nelle prigioni ma non gli è stato torto nemmeno un capello. Se n’è rimasto quieto tutto il tempo, cosa strana, mentre il suo compagno di cella, Rufus Scrimgeour, si agitava come un leone in gabbia.”

 

 Il corpo del professore venne abbandonato ai piedi di Lord Voldemort come una grande massa informe di carne priva di volontà. L’Oscuro Signore sogghignò compiaciuto.

 

“Dov’è finito il suo orgoglio, professore? Le pare il caso di lasciarsi andare così, non abbiamo ancora fatto nulla.”

 

Il massiccio corpo dell’uomo ebbe un terribile fremito che lo fece tremolare tutto come una gelatina instabile.

 

“Ma non tema, professore. Dopotutto lei mi ha dato l’immortalità, in un certo senso. Le pare che io sia un ingrato? No, le sono così debitore: grazie a lei sono potuto diventare ciò che oggi sono; sopravvivere, diventare immortale…”

 

Lord Voldemort era perfettamente conscio del turbine di rimorso e terrore che avevano inghiottito Horace Lumacorno: la colpa e il rimpianto si mescolavano negli occhi tremanti dell’uomo, specchi cristallini che l’Oscuro Signore trapassò con una sola occhiata: grazie alle sue eccezionali abilità di Legimens e allo stato di agitazione e di privazione di autocontrollo del vecchio, che lo rendevano un pessimo Oclumante, catturò le sensazioni di Lumacorno, le manipolò per volgerle a suo favore.

 

“Ora mi segua, professore” accennò Lord Voldemort con falsa gentilezza.

 

Lumacorno rimase immobile e tremante.

 

“Che cosa le prende. Non si fida più del suo pupillo Tom Riddle?” Lord Voldemort non tentò neanche di celare il marcato disgusto che calcò sulle ultime due parole: le sue reminescenze babbane all’orfanotrofio, qualcosa per cui aveva ardentemente desiderato una nuova identità, più gloriosa, rispettabile, nobile: Lord Voldemort.

 

Lumacorno levò lo sguardo e se ne pentì all’istante quando incontrò gli occhi rossi e serpentini dell’Oscuro Signore. Un’ondata di terrore lo investì in pieno.

 

“Si muova, professore” disse lievemente l’Oscuro Signore, sottintendendo chiaramente un comando ineluttabile.

 

Uscì dalla stanza accompagnato da Severus Piton. Non ritenne necessario voltarsi ed incoraggiare nuovamente il professore, sapeva che la paura lo aveva spinto ad ubbidire al suo comando come un servizievole cagnolino. Puntando sul suo timore avrebbe ottenuto qualunque cosa e, se il rimorso si sarebbe rifatto vivo nella sua coscienza da codardo, avrebbe ripiegato su intimidazioni più concrete: Vita o Morte.

 

Camminarono in assoluto silenzio per breve tempo, inoltrandosi sempre di più nei sotterranei del Covo. Lumacorno guizzava gli occhi per il buio corridoio con circospezione: dove si trovava? Cosa avrebbe dovuto affrontare? Quell’uomo… il Signore Oscuro… Lord Voldemort… tutto fuorché Tom… lo avrebbe ucciso? Sapeva che nessuna speranza riusciva ad oltrepassare il covo segreto dell’Oscuro Signore, sapeva di stare per morire, il punto era: come doveva andarsene? Sarebbe ricordato nella storia come colui che rese Lord Voldemort immortale? No, aveva deciso. Anche se gli sarebbe costato la tortura avrebbe resistito, non avrebbe ricommesso lo stesso tragico errore, non avrebbe più aiutato Lord Voldemort nella sua scalata al potere.

 

Infine giunsero in un seminterrato debolmente illuminato da qualche lanterna. Molti scaffali carichi di ingredienti in bottigliette e contenitori ricoprivano le pareti, ad eccezione di una, sgombra per lasciare posto ad un enorme calderone.

 

Lumacorno sobbalzò quando udì la voce sibilante di Voldemort: dunque era il suo talento in Pozioni che desideravano.

 

“Non c’è bisogno che le spieghi niente professore, è abbastanza sveglio per capirlo da solo: necessitiamo della sua preziosa arte nelle pozioni, Severus le darà una mano, ma lei indubbiamente conosce alla perfezione la formula che ci occorre per distillare un particolarissimo infuso.”

 

Lumacorno lo ascoltò, fremendo ad ogni parola. D’improvviso gli occhi gli saettarono in un angolo tetro della stanza. Sul duro pavimento di pietra quattro vampiri succhiavano avidamente il sangue dalle carcasse ancora calde di due unicorni. I lunghi canini affilati fendevano i candidi mantelli, giungendo sino all’aorta da cui estrapolavano il sangue, lucente e fluido come argento fuso, che riversavano poi in piccole boccette ammassate ai loro piedi.

 

“Questa è…” singhiozzò Lumacorno “… sangue di unicorno e bava di vampiro… il Luparina… il più potente anti-veleno del mondo.”

 

“Precisamente. A quanto mi ha detto Severus serve a controbilanciare gli sporadici effetti dei più temibili veleni senza però togliere in potenzialità a questi; in pratica permette di sopravvivere  pur avendo il corpo saturo di veleno mortale, ma solo con l’assunzione ripetuta del Luparina, mi corregga se sbaglio, professore.”

 

Voldemort fu volutamente provocante, ma ciò non scosse Lumacorno troppo impegnato a trovare una valida spiegazione che giustificasse il suo ruolo nei piani segreti dell’Oscuro Signore.

 

“Questi sono i suoi utensili e gli ingredienti, professore.”

 

Con un gesto elegante della mano indicò un lungo tavolo su cui erano poggiati ordinatamente vari strumenti da taglio, cucchiai di tutte le forme, dimensioni e materiale, assi di legno, piccoli calderoni, fiale e una provetta che Lumacorno riconobbe all’istante: il Veleno di Acramantula. La fiala giaceva al fianco di un uovo nero striato di rosso, inconfondibilmente un uovo di Basilisco; circa una dozzina di potentissimi veleni era sparsa lungo il tavolo.

 

Una lista proibita, ricercata nei libri più nefandi di pozioni, balenò nella mente dell’uomo:

 

Veleno di Acramantula

Tuorlo di Uovo di Basilisco

Estratto di veleno dello Scorpione Maculato

Veleno…

 

Per assicurare al designato la facoltà di comunicare le sue visioni all’interlocutore, si consiglia un’abbondante e ripetitiva dose di Luparina.

 

… Pozione Rituale dello PseudoProfeta…

 

“Esattamente, professore, sono lieto che lei conosca la formula.”

 

Gli occhi Legimens di Lord Voldemort avevano violato i suoi pensieri senza eccessiva difficoltà. Ora l’Oscuro Signore sapeva di poter ottenere da lui la formula maledetta di quella pozione proibita.

 

“Non esiti, professore, le do la possibilità di andarsene incolume da questo posto se lei accetta. Altrimenti morirà nel più orribile dei modi.”

 

Il viso di Lumacorno si era fatto rosso e gonfiato, il sudore scendeva copioso.

 

“Avanti, professore, in fondo è solo una pozione. Le permetto anche di andare a spifferare tutto al Ministero quando l’avrò lasciata andare, perché io la liberò vivo, professore. A meno che lei decida di fare la parte dell’insensato martire. Prima o poi riuscirò a trovare un altro mezzo per raggiungere il mio obiettivo e quindi il suo eventuale sacrificio sarebbe del tutto inutile. Allora che cosa mi dice?”

 

“Stima davvero così poco la sua vita? Se non considera neanche la propria, come può curarsi di quella degli altri? Dovrebbe ritenersi onorato, è la prima volta che prego qualcuno, professore, di solito preferisco ricorrere immediatamente ad una buona dose di Maledizione Senza Perdono. Ripensandoci, potrei anche usare l’Imperius, giusto? Ma in fondo lei è sempre stato il mio insegnante preferito.”

 

Un’ondata di orgoglio colse Lumacorno. Lui sapeva che avrebbe dovuto sentirsi disgustato, oltraggiato da quella sensazione, eppure non era così. Tom Ridlle era diventato il Grande Signore Oscuro, malvagio, crudele, ma pur sempre Grande.

 

Per Voldemort non fu difficile avvertire quel minuto senso di orgoglio; le labbra bianche si piegarono in un sorriso.

 

“Vita o Morte, caro professore?”

 

“Scelgo… - le mani si chiusero a pugni, rosse, tremanti – scelgo… - la voce si incrinava, strideva, trascinata da due emozioni diverse – scelgo la vita!”

 

 L’Oscuro Signore ghignò.

 

“Forse è il caso che indossi la mascherina e i guanti, professore, anche solo i fumi potrebbero ucciderla.”

 

Voldemort si stava ritirando “Mandate a chiamare il nostro Profeta.”

 

Avrebbe avuto ancora la possibilità di cambiare decisione, ma non lo fece.

 

*^*^*^*^*^*

 

Lo PseudoProfeta

[Promessa di Vittoria Oscura – Le parole della Fine]



Lo PseudoProfeta… un rituale capace di estorcere dalle viscere della tua anima una verità futura: ogni anima contiene in sé il proprio destino che si lega a sua volta col destino del mondo e di altri. Un qualsiasi essere umano può così diventare un infallibile profeta a cui poter porgere la propria domanda. La letale mistura dei più tremendi veleni esistenti sulla faccia della terra causa un trapasso violento della mente, già inevitabilmente proiettata verso la morte prossima; così si è in grado di sbirciare la propria anima e, quindi, il futuro.

 

 Il Profeta designato venne spintonato nella stanza, il suo orgoglio da combattente fremeva contro gli sforzi immani dei due Mangiamorte che tentavano di trascinarlo nella stanza.

 

Lord Voldemort si ergeva nel centro del locale in tutta la sua oscura autorità.

 

Severus Piton e Horace Lumacorno, il primo glorioso nel compimento della sua missione, l’altro miseramente schiacciato dal rimorso ma desideroso di abbandonare quel luogo tenebroso incolume. Il Mangiamorte diletto dell’Oscuro Signore porse a questi la fiala schiumante contenente il micidiale composto finale, risultato della combinazione di tredici veleni letali.

 

“E’ sufficiente una sola goccia, mio Signore.”

 

Il Profeta, l’orgoglioso Rufus Scrimgeour, venne fatto piegare infine dopo numerosi colpi di bacchetta.

 

Lord Voldemort lo torreggiò, reggendo la fiala tra le bianche dita sottili. La sollevo, mormorando incantesimi e formule dalla risonanza antica e oscura.

 

Scrimgeour fu trapassato da un’occhiata penetrante quanto l’acciaio: due occhi serpenti e rossi, incandescenti di desiderio di conoscere, di svelare il proprio destino.

 

Imperius

 

Mormorò l’Oscuro Signore a fior di labbra.

 

Scrimgeour fu scosso da una forza magistralmente potente: il suo orgoglio scalpitante si affievolì sotto il sibilo tetro e imperioso che Lord Voldemort proferiva nel profondo della sua mente.

 

“Alzati e bevi.”

 

La volontà di colui che era stato acclamato come l’inarrestabile Ministro della Magia, capo degli Auror, fondatore e comandante dell’ordine degli Eclitti e Preside di Hogwarts, si spezzò come un ramoscello secco: incapace di protestare, di reagire o di fermare il proprio corpo che si protendeva per assaggiare quell’intruglio micidiale.

 

La lingua sfiorò appena il liquido salmastro e viscosamente nero pece: un tremito scintillante, pari quasi al Cruciatus, lo scosse lungo tutto il corpo. Strinse gli occhi, fiammeggianti di tenacia:

 

Fermati, fermati, fermati…

 

“Bevi” ripeté la voce nella sua testa; le labbra dell’Oscuro Signore si mossero in contemporanea, tornando poi sogghignanti e soddisfatte.

 

La fiala si inclinò verso l’alto, il liquido scese pigro lungo la superficie di vetro e una minuta parte scomparve nella gola dell’uomo: Scrimgeour ingerì la prima goccia di pozione.

 

Il suo cuore, la vista e tutto il suo corpo creparono, squarciati da quella singola goccia: l’ombra diventava luce, tutto il freddo e il sudore scomparivano per dar passo al tepore del sonno eterno.

 

“Ingoia questo”

 

Ancora quella voce insinuante e diabolica.

 

Sentì appena il sapore di una seconda pozione e di colpo, il sudore e il freddo tornarono, così anche la percezione del proprio corpo e della paura: ma tutto era ancora bianco.

 

“Dimmi, cosa ne sarà del Potente Signore Oscuro? Chi vincerà la battaglia?”

 

Quella voce gli ordinava di trovare una risposta, di ubbidire e di adempiere alla sua volontà. Il suo corpo non poteva reagire, ma la sua mente volò via per un istante in cerca di quello che doveva essere il futuro.

 

“Dimmelo! Voglio sapere! Vincerò io? E Potter, che fine farà quel ragazzo?”

 

Harry Potter… Lui lo ricordava bene. Il suo fulmineo ricordo lo portò ad immergersi in quel bianco che sembrava velargli gli occhi: eccolo Harry Potter, lo poteva vedere, ora e nel futuro: percepiva tutta la sua esistenza non con i deboli sensi del corpo ma con il forte supporto della sua stessa anima.

 

Nessuna reazione o emozione poté cogliere Scrimgeour quando questi contemplò il destino di Harry Potter, il suo corpo era insensibile allo stupore e al dolore che forse avrebbe potuto provare.

 

“Che ne sarà del Potente Signore Oscuro?”

 

Sentiva che dell’altra pozione gli veniva versata in gola, e il bianco perse un po’ della sua nitidezza.

 

Lord Voldemort… Lui lo conosce di fama, la sua famigerata fama. Il bianco si tinse di nuovo, Scrimgeour affondò in quell’infinito pallore e lo percepì: smania di potere e pura solitudine, ciò che era l’Oscuro Signore. Vide il suo futuro, il suo destino segnato da una maledizione, intrecciata e indissolubile da quella che marchiava Harry Potter.

 

“Chi vincerà?”

 

Altra pozione gli venne fatta trangugiare: ora avvertiva la lingua e il palato, un sapore orripilante gli invadeva la bocca, ma il resto del corpo era ancora assopito, il bianco diventava più insistente.

 

“Quando… - la voce di Scrimegour, percepì la propria voce fuori dal luogo candido in cui si trovava - … Harry Potter… non avrà… vita… tu… esisterai… ancora…”

 

L’assoluto trionfo dell’Oscuro Signore gli giunse anche in quel luogo. Ebbene sì: quando la morte sopraggiungerà su Harry Potter, l’Oscuro Signore avrà ancora vita.

 

Il corpo ormai trapassato del vecchio leone morente venne abbandonato al suo inevitabile destino. Nel buio della Camera delle Torture, immobile nell’oscurità, allucinante dal veleno, Rufus Scrimgeour pronunciò la più grande delle Profezie.

 

“… ma… così… rompi il corso del… destino… la maledizione… crei un’anomalia… e ce ne sarà un’altra… dopo di te… quella… quella… distruggerà il mondo…”

 

Le ultime e apocalittiche parole dello PseudoProfeta, quelle che davvero avrebbero dovuto pesare sul destino di tutti, si persero nel vuoto: Scrimegour venne inghiottito dal bianco.

 

 

~ [ End of Chapter 12 ] ~

 

=*=*=*=*=

 

Eccoci qui! XD

Come sempre un ritardo increscioso ma, sembrerà strano, le vacanze estive sono più impegnative della scuola.

 

Ah, che bel capitolo, diciamo che l’amore delle autrici per i personaggi da loro creati è aumentato a dismisura e continuerà fino al culmine della seconda e terza parte [spoiler… possiamo darne? XD].

Ma la parte sicuramente più bella è stato il triangolo amoroso Samantha/Draco/Pansy. Finalmente Samantha comincia a mostrarsi veramente per quello che è, sembrava dolce e carina, vero? XD Ragazzi, è solo la metà di quel che sembra (se non niente… Kaho ci ha messo secoli per capire il vero ‘io’ di Samantha XD nd Samy Umhp… ndKaho).

 

News scottanti: mancano quattro capitoli! Esatto! I capitoli arrivano fino al 15! Poi HP7 termina… finirà nel sangue (*_*) Ma… finalmente (^_^ °_° ndSamy&Kaho) inizia: P a s t L e g ac y Part II!!!

Intrallazzi amorosi e nascite… (Kaho non vede l’ora)… ma Samy non vede l’ora di scrivere la 3^ Parte con i bocha cresciuti dei nostri eroi. Auspichiamo di finire la 1^ parte prima dell’uscita del 7° libro ufficiale (sogna, sogna ndKaho Ma poi se il finale del libro non mi piace andrò in crisi mistica ndSamy >.<). Rimaneteci fedeli perché (si spera) non vi deluderemo.

 

Indizietti (Spoiler): abbiamo notato ke nella 3^parte ci sono un pacco di persone colte da improvvise crisi mentali (non troppe). Uno dei figli di genitori misteriosi (ma già conosciuti XD) è proprio un gran bel **** (Samy e Kaho sbavano per l’emozione… è così bello creare personaggi tremendamente fascinosi!!).

 

~Risposte ai Lettori~

 

Apple: Te non hai idea delle soddisfazioni che ci dai *___* Innanzitutto, la soddisfazione a Samy che si impegna ad incasinare le cose e vede che tu le noti (es. le tue attente osservazioni su Jolly), e poi la soddisfazione di vedere che ti stai appassionando alla Samantha/Draco. *____* Lo sappiamo, Marshall crea una specie di rapporto amore/odio (anche se ormai Kaho lo adora! XD)  ma poverino, ha avuto i suoi traumi *Kaho e Samy ammiccano verso la tua recensione tossicchiando per non dare spoiler agli altri lettori*. Oh sì, Sirius. Traumatico, eh? Ma adesso è tutto svelato, volevamo lasciarvi con l’ansia di un nuovo capitolo… i metodi scorretti per tenersi stretti i lettori! XD Presto arriveranno momenti Harry/Ginny più sostanziosi, intanto Kaho si gode la tua raccolta. ^^ Grazie per le recensioni, we love you! *-* Un bacio, Kaho&Samy

Saty: Oh, ma nostra veterana recensitrice *___* Grazie per la precisazione su Seamus, in effetti ci pareva che c’era qualcosa anche sui libri della mamma Row, ma non ne eravamo sicure perchè abbiamo postato senza controllare… avere la tua ‘accertazione’ ci fa stare più tranquille. E per i microfoni che funzionano *ehm* diciamo che sono magici. In effetti, un Sonorus era più semplice. Oh beh, ormai ciò che è scritto è scritto! xD Oh, sì, approfondiremo meglio Harry/Ginny, non ti preoccupare. Siamo contente di essere riuscite a mantenere il climax per tutto il capitolo e di averti incuriosito con Sirius. Ma davvero non ti piace? *Kaho spalanca gli occhi, il suo tesorino non piace!* Oh, beh, gustibus non disputandum est, giusto? XD Però siamo riuscite a farti piacere Draco/Samantha. *Samy felice* A presto! ^.^ Un bacio Kaho&Samy

EDVIGE86: Carissima hai visto che stavolta siamo state più veloci? ^^ Ci fai sempre arrossire con i tuoi complimenti, grazie. *-* Il pezzo con Krum-il-Tricheco *Kaho e Samy scoppiano a ridere per il soprannome* ti è piaciuto?  Tch, Ron è così prevedibile… è diventato verde di gelosia! XD Anche a Kaho non piacciono i serpenti, ma c’è Samy che li adora. Questione di gusti. Bellatrix è pazza, sì, povero Rodoulphus, a noi fa così pena quell’uomo! Ç__ç Un bacio, facci arrossire anche con questo capitolo! XD Kaho&Samy

amy: Benvenuta, benvenuta, siamo sempre felici di avere nuovi recensori! *___* Oh, sei riuscita a leggere la storia nel giro di un giorno? Noi molto colpite, è un malloppone! *___* Meglio per noi! XD Piaciuta l’entrata di sopracciglio Krum? Ah, per gli spoiler che abbiamo dato (e la morte di uno del trio) non possiamo dire niente… solo continua a seguirci! XD Grazie! Un bacio, Kaho&Samy

HarryEly: Benvenuta! *abbraccio* Addirittura la più bella che hai letto?? Oddio, non esageriamo… (ma dai ce lo meritiamo! ndSamy SAMY!! ndKahoScandalizzata) Grazie per i complimenti, diciamo che per la somiglianza con la mamma Row abbiamo rubato in anteprima il suo manoscritto e lo abbiamo tradotto (scherzo! XD). Davvero grazie per i complimenti, ti aspettiamo anche per questo capitolo! ^^ Un bacio, Kaho&Samy

 

Oddio, oggi siamo commosse da questi recensori, sìsì. Un saluto alle fedelissime Saty e Edvige, alla ritrovata Apple, e alle nuove arrivate amy e HarryEly.

 

Vi adoriamo, senza le recensioni la storia non andrebbe avanti per carenza di affetto… Quindi, dovete proprio lasciarci una recensione, ragazze! XD

 

Un bacio e a presto *___*

Kaho&Samy

 

 

P.S = Kaho ha scritto una drabble su Draco, non collegata alla storia, per il compleanno di Samy. Se a qualcuno andasse di leggerla, la troverete sul profilo dell’autrice, con il titolo “Regret”. Semplice introspezione di un personaggio, il suo punto di vista. Recensioni sempre benvenute! ;)

 

COUNTDOWN (alla fine di H P 7): meno 4 capitoli

 

  
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