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Autore: Melanto    22/12/2012    6 recensioni
Aria. Acqua. Terra. Fuoco. Alla disperata ricerca del Principe scomparso, mentre nel cielo rosseggia un'alba che odora di guerra. Una lotta contro il tempo per ritrovare la Chiave Elementale, prima che finisca nelle mani del Nero, e salvare il pianeta.
Siete pronti a partire?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementia Esalogy'
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ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 17: Nuovo sole sulle Terre del Nord

Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

“Elemento Izawa, ma io che cosa vi avevo espressamente raccomandato?!”
Il Naturalista Elementale levò per l’ennesima volta lo sguardo al cielo. Aveva quell’aria rassegnata di chi sapeva che se avesse parlato con un muro, questi gli avrebbe dato maggiore soddisfazione. Con movimenti svogliati prese una fiala, dove un liquido che tracciava deboli scie rosso scuro nell’acqua restava sospeso al suo interno, e la agitò. Poi la porse a Mamoru, stringendo gli occhi e tendendo le labbra quasi fossero delle linee. “Niente incantesimi. Niente. No. Nemmeno mezzo. Neanche a pensarli, è chiaro? Il vostro spirito ha subito lacerazioni gravissime durante lo scontro con il Nero, ma se continuate a fare di testa vostra, non guarirete mai e a lungo andare finirete col risentirne. Gravemente.” Ci tenne a sottolineare il medico.
Mamoru non si premurò di nascondere la noia con cui ascoltava le sue infinite chiacchiere, anzi, ruotò addirittura gli occhi al cielo. Eppure prese l’ennesimo rimedio che l’uomo gli stava offrendo buttandolo giù senza aggiungere altro.
“Adesso voi mi starete a sentire per l’ennesima volta e farete in modo che sia quella definitiva: tra pochi giorni partirete per tornare a Raskal, bene, in questi mesi di viaggio vi proibisco tassativamente – e mi premurerò di dirlo anche ai vostri compagni – di fare magie. Proibito. Neanche una scintillina sfuggita per sbaglio. Ci siamo capiti?”
Il ‘sì’ dell’interpellato fu un palese sbuffo che il medico si fece bastare, tanto ormai c’era abituato.
Mentre usciva dalla tenda dell’uomo a Mamoru venne da ridere. Aveva una strana sensazione di già visto, già vissuto, solo che quella volta si era trovato a Sendai. Per quanto le esperienze l’avessero messo di fronte a scelte e sacrifici, certe cose non sarebbero proprio mai cambiate.
“Hai finito di farlo esasperare?”
La voce di Yuzo comparve al suo fianco dove lo trovò, appoggiato al palo della tenda medica allestita nell’accampamento degli Ozora, anche se ormai la battaglia era finita ed erano trascorsi almeno cinque mesi per cui non c’era più motivo di parlare di fazioni.
“Sto benissimo.”
“Staresti anche meglio se gli dessi ascolto.” Il volante si diede una leggera spinta per raggiungerlo. “Se non facessi di testa tua come ormai siamo abituati, di certo non dovresti ricorrere a quei rimedi ogni tre giorni.”
Mamoru si inorgoglì e allargò le braccia. “Vedi qualche ferita, per caso? Sono guarito.”
“Oh, il tuo corpo sì.” Yuzo gli poggiò una mano sul petto con quella naturalezza e confidenza che la Fiamma permetteva solo a lui, al Tritone e al tyrano, ma la sensazione che il tocco del voltante gli provocava era sempre diversa da qualsiasi altra. “Ma il tuo spirito è ridotto a un colabrodo e non devo essere io a ricordartelo, quindi, fai contento il Naturalista e anche me: dagli ascolto.”
“Me lo stai chiedendo, per caso?” Mamoru inarcò un sopracciglio non sottraendosi alle sue dita che, invece, si ritrassero spontaneamente.
“Lo faccio praticamente tutti i giorni. Mi domando come tu non ti sia ancora stancato di sentirtelo ripetere e, a pensarci bene, non mi hai ancora mandato a quel paese. La tua soglia di sopportazione ha fatto passi da gigante.”
La Fiamma si portò le mani ai fianchi, assottigliando lo sguardo con fare minaccioso. “Mi stai sfottendo?”
Ironicamente, Yuzo sgranò i begli occhi nocciola. “Ops.”
“Che stronzo.”
Sbottarono a ridere entrambi.
Avevano ripreso a farlo da un po’, ridere, da che la guerra era finita, e a volte gli sembrava che fosse così fuori luogo che si interrompevano all’improvviso, guardandosi intorno e sentendosi addirittura in imbarazzo.
C’erano feriti molto gravi che venivano curati costantemente e che, a poco a poco, venivano spostati appena si rendeva possibile il loro trasferimento.
Le prime esequie per i compagni caduti si erano svolte dopo due mesi. C’era voluta un’infinità per riuscire a recuperare tutti i corpi e tentare di dividerli tra Elementi, soldati, Stregoni e legionari. Un lavoro certosino e straziante cui nessuno di loro si era risparmiato.
I Master avevano tentato di tenerli fuori, adducendo al fatto che avessero già fatto fin troppo, ma Yuzo era stato il primo a impuntarsi: quelli erano i suoi fratelli d’Aria, erano gli amici delle persone a lui care, erano soldati che si erano battuti con onore; il tempo di riposarsi lo avrebbe trovato alla fine di tutto quello. Mamoru, Hajime e Teppei erano stati dalla sua parte, ovviamente, irremovibili.
Yuzo aveva così scoperto di aver perduto centotredici compagni, Hajime e Teppei rispettivamente centotrentaquattro e duecentodieci, Mamoru centonovantadue. I soldati dell’armata, purtroppo, furono le vittime maggiori. Gli Elementi persero il conto intorno agli ottomila. Gli Stregoni furono circa un migliaio; era risaputo che Huria fosse la Scuola di Magia più grande di Elementia. I legionari ben più di dodicimila unità accertate e dopo anche il loro conto fu perduto.
Dopotutto, il bilancio non era così rilevante come appariva, ciò che contava era segnare ogni singolo nome, tenerlo appuntato con precisione e poter avvertire le famiglie una volta che la delegazione reale fosse rientrata a Raskal.
La notizia della vittoria era già arrivata ovunque, ma il popolo aveva bisogno di sapere chi non sarebbe più tornato a casa; chi, per quella vittoria, era morto.
I funerali furono celebrati per tutti, su volere diretto del Re Koudai. Legionari e soldati, Elementi e Stregoni. Per un attimo, in quel lungo giorno di lutto, furono tutti uguali, poi ognuno – soprattutto i cadaveri degli Elementi – fu affidato alle delegazioni delle rispettive scuole affinché venissero riportati alle proprie città per celebrare i riti dei rispettivi credo.
Mamoru si era rifiutato di rientrare a Fyar Major quando Magister Gentile gli aveva proposto di guidare la delegazione funebre e non fu il solo. Hajime, Teppei, Yuzo. Uno dopo l’altro risposero con un secco ‘no’ all’invito ad abbandonare la Lingua di Serpe. C’era ancora molto da fare, si erano giustificati Hajime e Teppei e volevano essere d’aiuto il più a lungo possibile; Yuzo, invece, aveva già dato il suo saluto ai compagni lì, in quella piana. Era inutile tornare ad Alastra per poi ripartire alla volta di Raskal perché, sì, tutti e quattro avevano ricevuto l’ordine di tornare alla Capitale assieme al Principe Tsubasa.
Nel cuore pulsante delle Terre Centrali i preparativi per l’incoronazione erano di nuovo ripartiti e questa volta nulla avrebbe potuto interromperli, così come i preparativi nuziali dove – si era saputo solo successivamente – la futura Regina Sanae Nakazawa, del Dogato di Nankatsu, era sempre stata al corrente del mancato arrivo del futuro sposo grazie a una missiva che il giovane le aveva fatto segretissimamente recapitare e in cui le spiegava ogni cosa e la pregava di non farne parola con nessuno.
Così, tra sorrisi che a volte venivano soffocati quasi con terrore e tentativi di tornare a riprendere il corso di una vita normale, Aria, Acqua, Terra e Fuoco erano rimasti alla Lingua di Serpe.
“E tu stai bene?”
Mamoru conosceva già la risposta, poiché aveva sempre continuato, molto silenziosamente, a vegliare sull’uccellino, un po’ come l’uccellino, meno silenziosamente, faceva nei suoi confronti.
Yuzo aprì e chiuse la mano, guardando la chiara cicatrice che segnava palmo e dorso. “Sì, ormai non mi dà problemi. Al massimo sarà un buon indicatore meteorologico più avanti.” Sorrise.
Senza accorgersene presero a camminare lungo il campo, anche se non avevano un luogo preciso cui dirigersi. “Anche Hajime e Teppei ormai sono completamente ristabiliti. Devi vederlo Teppei come solleva pesi a destra e a manca e lì Hajime che lo prende in giro.”
Anche Mamoru sorrise ripensando a scene cui aveva assistito in prima persona. Teppei aveva davvero la tempra più dura che avesse mai visto e quando si erano ritrovati alla fine dello scontro e gli aveva raccontato d’aver usato di nuovo il siero di zaikotto, lui aveva scosso il capo in maniera rassegnata. Teppei se la rideva come non fosse accaduto nulla di particolare, ma dietro ogni parola o mimica aveva notato quanto fosse cambiato. Quanto tutti loro fossero cambiati. Tendevano a camuffare quelli che erano stati i reali sentimenti verso quei momenti terribili, ma andava bene così, per ora. Avrebbero avuto tempo per imparare a conviverci e a ritrovare, seppur in parte, quella sincera serenità che adesso credevano fosse irrecuperabile, ma anche l’irrecuperabile lasciava briciole nella sua fuga. Le avrebbero raccolte, ricomposto i pezzi, trovato un nuovo ordine.
“Hai saputo?” Yuzo gli parlò di nuovo, fermando il loro passo. “Il Re Koudai resterà al Nord.”
Mamoru non nascose un’espressione di pura sorpresa. “Chi te lo ha detto?”
Il sorriso ironico tornò ad arricciare le labbra del volante, mentre cercava di trattenersi. “Mi sono solo trovato nel posto giusto al momento giusto.”
“Ah! Hai origliato?”
“Puro caso.”
Yuzo sospirò. Lo sguardo spostato lontano, al campo di battaglia, che aveva delle specie di percorsi tracciati attraverso i quali ci si spostava da una parte all’altra della piana. Eppure non c’era più alcun pericolo, ma i superstiti sembravano avere timore, rispetto o forse solo dolore a camminare su quel terreno ancora sporco di sangue.
“Si sente responsabile di quello che è avvenuto con le genti che lo popolano. Li ha trascurati per così tanto tempo e vuole rimediare. Per questo tornerà con noi a Raskal, per effettuare il passaggio di consegne, e poi rientrerà qui. Non vuole più che gli abitanti di queste Terre vedano la sua famiglia come un nemico.”
Cinicamente, Mamoru si strinse nelle spalle. “Auguri.”
“Non essere così sprezzante.” Yuzo non lo disse con rimprovero e la Fiamma lo comprese. Abbassò quindi il capo e diede un calcio a un sassolino, spostandolo più lontano. “Bisogna pur ricominciare in qualche modo, perché non farlo da qui? Molto presto arriverà la pioggia e tutto questo sangue verrà lavato via.”
Mamoru sbuffò una smorfia, guardandolo con la sua solita ironia. Per fortuna come c’erano delle cose di sé che non cambiavano, c’erano anche delle cose di Yuzo che restavano costanti ed erano le migliori, secondo lui.
“E poi?”
“E poi tornerà il sole.” Il volante sorrise. La cosa che non sarebbe mai cambiata. “Tu sei pronto per ripartire?”
“Ho viaggiato così tanto che la sola idea di rimettermi in sella non mi fa saltare di gioia, però, sì. Sono pronto. Tu?”
“I bagagli sono già chiusi.”
Mamoru inspirò a fondo, portandosi teatralmente una mano al petto. “Fama e gloria, stiamo arrivando.”
La loro conversazione venne interrotta proprio in quel momento. La Fiamma riconobbe nel giovane Elemento d’Aria quello incontrato durante la battaglia finale.
“Perdonate l’intrusione.” Takeshi si profuse in un inchino di scuse, poi guardò il volante. “Yuzo, avremmo bisogno di una mano, potresti aiutarci?”
“Ma certo.” L’uccellino continuava a non tirarsi mai indietro, qualsiasi cosa gli si chiedesse, anche quello, per fortuna, non sarebbe mai cambiato di lui e Mamoru sorrise anche se avrebbe preferito restare ancora con lui a parlare, solo un altro po’, anche per dire stupidaggini, ma il giovane si volse e si congedò dandogli appuntamento a più tardi. Si sarebbero ritrovati per pranzo insieme con Hajime e Teppei. Lui annuì e lo vide andare via.
Osservando la sua schiena si chiese quanto davvero fosse pronto per rientrare a Raskal, quanto davvero fosse pronto ad affrontare la festa che li avrebbe attesi, lo sposalizio, l’incoronazione e… il dopo.
Quando le luci si sarebbero spente, cosa sarebbe accaduto?
Perché se lì, nella Lingua di Serpe, aveva la certezza di poter restare al suo fianco, una volta che si fossero trovati a Raskal quali certezze avrebbe avuto?
Nemmeno di quello aveva mai avuto modo, tempo o forse coraggio di parlare.
“Che ne sarà?” domandò piano, l’amaro alla bocca; forse era colpa della medicina del Naturalista. “Che ne sarà di noi?”
Anche lui avrebbe dovuto ricominciare, proprio come dopo la pioggia tornava il sole.
Il suo sguardo cercò l’astro che adesso sembrava splendere come non avesse mai abbandonato quelle terre. Si schermò con una mano. Quel sole era così fastidioso.
“Forse preferisco che piova ancora.”

Tsubasa restava fermo sul rialzo di roccia.
Conosceva la simbolica importanza di quel luogo: era da lì che ogni strategia era stata decisa, da lì che erano partiti gli ordini, da lì che suo padre aveva vegliato sui suoi uomini mentre il massacro prendeva corpo. Sempre da lì avrebbe iniziato a dare forma al mondo nuovo che sarebbe nato dai resti della battaglia.
Ryo restava costantemente al suo fianco, anche se avrebbe potuto andarsene a bighellonare per l’accampamento. La Chiave preferiva però stargli vicino e per Tsubasa era stata un sostegno insostituibile; per quanto fosse una semidivinità, lui la considerava come il primo, vero amico che avesse mai avuto e averlo accanto nei momenti più duri gli era stato di conforto più di quanto avesse potuto immaginare. Presto, quando sarebbe stato incoronato Re, Ryo sarebbe stato presentato al popolo per ciò che era davvero.
Il giovane in questione, anche se non lo diceva apertamente nascondendosi dietro momenti di improvvisa altezzosità e egocentrismo, era un po’ intimorito dalla cosa. Per anni era stato abituato a vestire i panni di un semplice ‘accompagnatore’ e a conoscere la verità erano stati in pochi, troppo pochi rispetto alla moltitudine che lo avrebbe atteso. Anche ora, al campo, per quanto non ci fosse stato alcun comunicato ufficiale e ciò che circolavano erano solo racconti di chi ‘aveva visto’, molti avevano già iniziato a capire che lui fosse la Chiave Elementale e il modo in cui lo guardavano e gli rivolgevano reverenze, se da un lato lo faceva sentire pieno di orgoglio, dall’altro lo metteva a disagio.
Tsubasa aveva sempre pensato che si sarebbe trattato solo di abituarsi. E considerato l’ego di Ryo non ci avrebbe messo troppo.
Ad ogni modo, proprio per il significato profondo di quel rialzo, aveva deciso di accogliere lì la delegazione consolare in arrivo da Bachchalaarya. Non ci sarebbe stato il Consiglio al completo, ma solo una metà, mentre l’altra metà era già alla capitale per sostenere la Regina Natsuko.
Per quanto non fosse stato eletto ancora ufficialmente Re, suo padre gli aveva già affidato la maggior parte dei compiti che da Raskal in poi l’avrebbero atteso e il giovane non si era tirato indietro, mostrando una propensione al comando perfettamente naturale e forte.
“Vostra Altezza.”
Master Misugi atterrò con eleganza alle spalle del Principe.
“I Consoli sono arrivati” annunciò l’Airone di Cristallo e Tsubasa lo guardò con attenzione.
“Come state, Master?”
L’altro parve sorpreso da quella domanda, ma seppe subito come mimetizzare le proprie reazioni. “Bene, Vostra Altezza. Mi sono già ristabilito.”
“Sappiamo entrambi che non è così.”
Provare a ingannare il Principe era decisamente fuori questione, eppure il giovane non lo stava rimproverando.
“Non trascurate la vostra salute, avete delle grandi responsabilità sulle spalle. E lo sappiamo tutti e due.”
Master Misugi non rispose, ma comprese perfettamente le parole del giovane Ozora. Si limitò ad accennare un inchino e a farsi da parte. L’attimo dopo il Console della Terra, Tatsuo Mikami, fece la sua comparsa  accompagnato dal Console dell’Aria, Tadashi Shiroyama.
“Convincere il Console Kitazume a restare a Raskal è stata una vera impresa, Vostra Altezza” esordì l’anziano tyrano, accennando un sorriso cui il giovane rispose.
“Non stento a crederlo.”
Entrambe le alte cariche elementali rivolsero una profonda riverenza e il saluto tipico nei riguardi della Chiave.
“E’ un vero piacere vedere che state bene, giovane Principe.” Lo sguardo di Tadashi esprimeva chiaramente la sincerità delle sue parole e lui gli sorrise.
“Vi ringrazio, Console. Se non fosse stato per i quattro giovani che hanno viaggiato in lungo e in largo per queste terre e sono rimasti al mio fianco fino alla fine della battaglia, non credo sarei qui ora.”
“Era il loro compito.” Tatsuo cercò di essere più pratico, ma la ruga al lato del labbro mostrava quanto in realtà fosse orgoglioso del lavoro svolto dagli Elementi. “Avremo tempo di parlare anche di questo. Ora bisogna organizzare il vostro rientro, l’incoronazione e il momento in cui mostrerete la Chiave al mondo.” Si guardò intorno un po’ perplesso. “A dire il vero vorrei scambiare due parole anche con vostro padre, ma non lo vedo…”
“Calma, calma, Console Mikami. C’è tempo. Avete affrontato un lungo viaggio per arrivare fin qui, è giusto che vi riposiate un po’. Dopo parleremo di tutto ciò che desiderate, ma ora lasciate che vi offra qualcosa per darvi ristoro.” Tsubasa sollevò le mani per fermare il pragmatismo che sempre aveva contraddistinto Tatsuo Mikami.
Quest’ultimo parve capitolare, seppur con una certa riluttanza, però era ansioso di parlare anche con Genzo. L’aveva intravisto assieme al suo enorme quanto permaloso golkorhas, voleva sapere le sue impressioni sulla vicenda. E poi il peso dell’età iniziava davvero a farsi sentire. Lui e Kitazume erano i più anziani tra i quattro.
Mh, forse sì. Forse è il caso di riposarsi un po’. A mente fresca si riesce a ragionare meglio. Che ne pensi, Tadashi?”
“Sono d’accordo.” Shiroyama annuì con un sorriso, quando il Principe si rivolse proprio a lui. Solo in quel momento, quando il giovane lo guardò dritto negli occhi, il Console dell’Aria capì che aveva rinviato ogni cosa di proposito.
“Console Shiroyama, se volete, perché non raggiungete vostro figlio? Non credo sapesse del vostro arrivo. Potrete trovarlo laggiù.” Indicò una zona più distaccata, dalla quale provenivano latrati e versi bestiali poco rassicuranti. Tsubasa ridacchiò. “Aiuta gli Erboristi e i Naturalisti Animali con alcuni kamalocha feriti che abbiamo trovato sul campo di battaglia.”
Tadashi strabuzzò gli occhi. “Kamalocha?!”
“Sì.” Tsubasa si strinse nelle spalle. “Sembra che gli piacciano.”
Tadashi non riuscì a trattenere una mezza risata, un po’ rassegnata e un po’ paterna. Chinò leggermente il capo in segno di gratitudine e si congedò.
Anche se l’aveva visto davvero di rado e quando era poco più di un bambino, Tadashi comprese che il Principe Tsubasa era davvero la persona speciale che tutti credevano che fosse.

“Buono! Stai buono!”
Il Naturalista Animale tolse l’ago con un moto di stizza dopo aver iniettato un antibiotico a un kamalocha dal pessimo carattere. Aveva una delle sei ali tranciata di netto e un’altra seriamente ferita, in più presentava tagli sul ventre. Niente di troppo profondo, ma facilmente infettabile. Di sicuro sarebbe stato in grado di volare ancora, ma solo dopo aver ricevuto le cure necessarie. Peccato non volesse essere toccato.
“Ecco fatto. C’era bisogno di fare tutte queste storie?! Tsk! Mi domando per quale diamine di motivo perdiamo tempo dietro queste stupide bestiacce! Con tutte le persone che hanno ucciso, meriterebbero di fare la stessa fine!”
L’Erborista al suo fianco andò su tutte le furie. “E ti fai chiamare ‘medico’?!” sbottò di rimando, lanciandogli un’occhiata assassina. “Questi animali sono stati strappati dal loro ambiente naturale! Sono vittime, tanto quanto gli altri!”
Il Naturalista ruotò gli occhi. Ormai aveva sentito quella solfa da parte degli Erboristi e altri medici animali decine e decine di volte, tanto che non rispose nemmeno. Agitò una mano in segno di noncuranza e si allontanò per dedicarsi, secondo lui, ai cavalli che meritavano maggiormente le sue cure.
L’Erborista gli fece una smorfia. “Presuntuoso del cazzo!”
Yuzo sorrise. “Non prendertela, Hiroya.”
“Non dovrei? Quel Kawakami(1) è solo un pallone gonfiato!” Shimada(2) passò una mano sul ventre della bestia. Gli avevano legato le zampe e tenuto ferma la coda affinché non tentasse di infilzarli. Il muso era stato chiuso per evitare che la lingua acida uscisse all’esterno, ma aveva una possibilità di gioco necessaria per dargli del cibo. Purtroppo, per quanto si cercasse di aiutarli, bisognava prendere delle precauzioni e sedarli di continuo avrebbe potuto far loro del male.
“Nemmeno a me piace, ma l’importante è che continui a curarlo.” Yuzo fece lo stesso gesto di Shimada e l’animale sembrò agitarsi di meno. “Dopotutto, se ci fai caso, brontola brontola… ma alla fine lo visita lo stesso.”
L’altro piegò le labbra in una smorfia. “Mh, è vero.” Poi allargò un ampio sorriso, cambiando discorso. “Certo che ci sai proprio fare!” Osservò come il kamalocha cessasse di dimenarsi appena Yuzo gli toccava il ventre dal piumaggio morbido e verde. Era sempre nervoso, ma appariva più tollerante. “Hai detto che ad Alastra ti occupavi delle phaluat, vero?”
“Sì.” Il volante sorrise.
Phaluat. Oddee, quanto era che non ne vedeva una? Sembravano passati secoli. Chissà come se la stava cavando Magister Matilda senza di lui.
“Si vede, diavolo! Devi averci una specie di dono naturale! Di solito siamo noi Erboristi che risultiamo particolarmente simpatici agli animali. È come se tendessero a fidarsi di noi più che degli altri esseri umani, forse perché siamo molto più in contatto con la natura rispetto agli Elementi.” Shimada aveva un entusiasmo molto forte e contagioso. Credeva davvero in ciò che faceva e lo amava in maniera profonda. Per lui non era importante ciò per cui erano stati usati i kamalocha: erano animali e avevano bisogno di aiuto, poiché feriti.
Yuzo pensò alle sue parole e si ritrovò a inarcare il sopracciglio, abbozzando un sorriso. “Mia madre era un’Erborista.”
“E allora l’hai ereditato, fratello!” La cosa sembrò galvanizzarlo tantissimo. “Adesso devo passare a trovare un altro di questi bestioni. Ti spiace se ti lascio da solo? Tanto te la stai cavando alla grande! Basta che non si agiti troppo; se si rilassa, la medicina farà più effetto.”
Il volante rise, scuotendo il capo. “Va’ pure, non preoccuparti. Ci penso io.”
Hiroya gli mollò una vigorosa pacca sulla spalla e se ne andò, fischiettando addirittura.
Yuzo pensò che fosse un tipo davvero singolare, ma non gli dispiaceva affatto. Purtroppo, nel momento in cui si allontanò, il kamalocha sembrò avvertire il distacco dall’Erborista e iniziò ad agitarsi. Tentò di sbattere le ali e un verso acuto, quasi piangente, gli sfuggì dalla bocca chiusa.
“Ehi, no, no!” Yuzo fece scivolare la mano fino al collo, ma il suo ascendente era molto meno forte di quello di Shimada. Le dita camminarono sulle squame nere che erano lisce al tatto, simili a quelle di un rettile. “Va tutto bene, ‘sta calmo… calmo…”
Di solito, quando parlava con le phaluat funzionava e se erano agitate tendevano a calmarsi. Soprattutto quando provava a cantare in loro compagnia. Il canto era un elemento di unione con quel tipo di animali, ma con un kamalocha la melodia non c’entrava nulla.
Yuzo fissò l’occhio camaleontico della bestia che continuava a girare come impazzito in ogni direzione. Il corpo percorso da spasmi e tentativi di spezzare le catene e le corde che lo tenevano immobile. Un altro pianto.
Il volante poggiò entrambe le mani sul suo collo, facendole scivolare adagio, come per farlo abituare alla sua presenza.
“A nessuno piace restare in catene, lo so.” Gli disse piano, con un tono più intimo e basso, come se quello dovesse restare un discorso solo loro. “Sembra una punizione, vero? Pensi che non sei nato per questo, per rimanere legato e a terra, contro la tua volontà. Vorresti solo volare via.” Le narici sbuffarono, irrequiete, ma il corpo sembrò perdere lo stimolo a combattere. “Lo farai presto. Lo farai. E tornerai a casa.”
L’occhio si fermò, cercò il suo e rimase immobile. Di sicuro non c’era comprensione verso la lingua degli uomini, ma il kamalocha poteva sentire, oltre i suoni diversi dai suoi, l’energia che proveniva dall’umano, e poteva scambiare con lui un contatto visivo, avvertirne l’odore. Ogni segnale sembrava spiegare al suo cervello che non c’era nulla da temere, che quell’umano era diverso dagli altri che gli erano balzati in groppa e non si erano curati di lui, ma gli avevano imposto dei comandi, un lavoro da compiere. Era diverso, ma anche simile, però a sé stesso.
“Non è colpa tua.” Yuzo fissava la sferula scura del suo occhio e questa restava su di lui. La mano aveva assunto un movimento ritmico e sempre uguale che potesse rendere sicuro l’animale e a suo agio. Aveva smesso di agitarsi. “Se il tuo istinto è forte e feroce, non è colpa tua. È la tua natura.” Yuzo parlava al kamalocha, ma in realtà era come se stesse parlando a sé stesso, era come se stesse imparando ad accettarsi per quello che aveva capito di essere. “La nostra.”
La bestia rilassò i muscoli tesi del collo e lo appoggiò del tutto al suolo, mettendosi finalmente a riposare. Aveva deciso di fidarsi dell’impressione che avvertiva, sbuffò ancora e smise di agitarsi.
Yuzo sorrise e lo carezzò un'ultima volta prima di lasciarlo andare.
“Se raccontassi a Magister Matilda che sei capace di tenere buono anche un kamalocha, non penso mi crederebbe.”
Quella voce giunse chiara alle sue spalle e così familiare che il giovane si volse di scatto, convinto d’esser stato ingannato dal suo stesso udito. Nel gesto, l’orecchino oscillò con forza toccandogli il collo e rendendo ancora più vero ciò che stava vedendo.
Tadashi aveva le mani intrecciate in grembo e il solito sorriso quieto che cercava di trattenere strenuamente quanto fosse emozionato di vederlo. Non solo di vederlo vivo, ma proprio di vederlo, letteralmente. Suo figlio era partito un anno e mezzo prima da Alastra e l’ultima volta che lo aveva incontrato risaliva a molto, molto tempo prima. Forse l’anno precedente. A conti fatti non si vedevano da due anni e mezzo.
“Padre…” Yuzo avvertì la bocca divenire arida all’improvviso. Dire che era sorpreso era dire poco, ma molto più di tutto era felice. Felice come non si sentiva da molto tempo. Felice come se non avesse affrontato una battaglia votata al massacro né avesse ucciso. Felice come se non avesse viaggiato per tutto il mondo e avesse conosciuto persone ora fondamentali della sua vita, felice come non fosse innamorato. Eppure aveva fatto tutto questo e forse, la vera felicità che stava provando, non era la sensazione di essere tornato indietro, ma di essere lì, di aver affrontato tutto a testa alta, di essere sopravvissuto, di aver sbagliato e stare ancora pagando ma di poterlo fare senza vergognarsi di guardare suo padre negli occhi. Era felice di poterlo guardare e di lasciare che lo vedesse finalmente uomo.
“Padre!” Lo raggiunse in passi rapidi, decisi. Un tempo gli sarebbe praticamente corso incontro e invece dei due fu proprio Tadashi quello che per poco non si mise a correre.
Gli mostrò il sorriso più vivo da che la battaglia era finita e lo abbracciò, ma soprattutto si fece abbracciare e la stretta di suo padre non gli era mai parsa così forte come in quel momento. Era sempre stata protettiva, ma questa volta la sentì commossa, quasi disperata.
“Dee Misericordiose, fatti guardare.” Tadashi sentì di doversi separare a viva forza o si sarebbe messo a piangere, cosa poco adatta al Console dell’Aria e alle discipline dell’Autocontrollo che tanto venivano decantate. Inspirò a fondo, gonfiò il petto e lo prese saldamente per le braccia. “Ma guarda qui che spalle! E… e sei diventato più alto.”
Yuzo rise del suo modo di comportarsi un po’ da padre e un po’ da Console senza riuscire a far trovare un equilibrio tra le due cose. Notò come i capelli iniziassero a ingrigire e le rughe sul viso si facessero più profonde. Troppi pensieri e preoccupazioni, di sicuro, in parte anche a causa sua.
“Solo un po’. Ma… non mi avevano detto che saresti arrivato! Sarei venuto ad accoglierti!”
Tadashi scosse il capo. “E’ solo una visita piuttosto rapida e informale. Sono con il Console Mikami, ripartiremo assieme a voi alla volta di Raskal. Siamo venuti a vedere con i nostri occhi com’era la situazione e a parlare un po’ col Re Koudai.” Poi agitò una mano e indicò delle rocce lì accanto. “Ma abbiamo tempo per questo, il Principe Tsubasa vuole che ci riposiamo, prima. Vieni, sediamoci. Parliamo un po’.”
Yuzo lo seguì, accennando un sorriso. “Parlare. Non lo facciamo da parecchio.”
“Lo so. E’ sempre stata un po’ colpa mia, del resto non c’ero quasi mai.” Tadashi prese posto e non gli importò affatto che la roccia fosse dura o scomoda, incrociò le mani sotto al mento e poggiò i gomiti sulle ginocchia. Con espressione un po’ incredula fissava la bestia quieta. “Giuro che non avrei mai pensato di vedere un kamalocha dal vivo.”
“Neppure io. E comunque non penso sia colpa di nessuno. Tu avevi degli impegni e io ero un ragazzino difficile.”
Il Console sbottò a ridere e si girò. “Tu? Difficile? Da quando?”
“Da quando ho sempre cercato di rifuggire tutto quello che mi feriva.” Yuzo lo guardò con assoluta calma, come se parlare di certe cose non fosse più in grado di fargli del male perché era già andato oltre.
Tadashi fissò attentamente i suoi occhi e questo non passò inosservato al giovane che seppe sorprenderlo più di quanto si sarebbe mai aspettato.
“E’ inutile che cerchi, non lo troverai” disse con un accenno di sorriso. “Perché non c’è più.”
E infatti non c’era. Tadashi non scorse più il muro invalicabile che lo aveva respinto ogni volta aveva tentato di oltrepassarlo per leggergli dentro, più in fondo. Non c’era nulla che gli impedisse di guardare davvero suo figlio, di vedere il vero colore dei suoi occhi o scorgere quanto tra angoscia e consapevolezza si muovesse nel suo animo, ma erano in equilibrio. Sembravano bilanciarsi, o forse era solo Yuzo che aveva capito come muoversi tra di esse nel modo giusto e non lasciarsi sopraffare.
Il doppio incantesimo di Autocontrollo non aveva lasciato tracce.
La sua espressione si addolcì. “E’ così. Non lo vedo.”
“Hai sempre saputo che c’era, anche quando neppure io mi rendevo conto di tenerlo in piedi.”
Il Console inspirò a fondo, spostando le iridi sulle mani ora abbandonate in grembo. “Diciamo che all’inizio ero convinto di essermi sbagliato. Poi quando ormai avevi dodici anni era divenuto impossibile che io continuassi a ignorarlo. Jinnosuke se n’era accorto ben prima.”
Yuzo rise sottilmente ripensando con affetto al vecchio guardiano della voliera. “Magister Matilda è sempre stato molto attento con me.”
“Ti è particolarmente affezionato, lo ammetto.” Il Console guardò il profilo rilassato di suo figlio e si sentì improvvisamente più rilassato anche lui. Se Yuzo si era lasciato alle spalle quel blocco, doveva essere successo qualcosa. Forse proprio quel qualcosa che lui aveva sempre sperato in silenzio in tutti quegli anni. “Cosa ti ha spinto ad affrontarlo?” domandò infine.
Yuzo seguitò a guardare altrove.
“Sono stato a Ghoia. Sapevi che ci saremmo passati, non è così?”
Il suo cuore innalzò una preghiera a Yayoi. “Sì, era una delle tappe del viaggio del Principe.”
Ci fu una lunga pausa. A Tadashi parve che Yuzo stesse come raccogliendo tutti i pensieri per riuscire a raccontarglieli in maniera più rapida possibile. E infatti fu diretto e senza fronzoli; ogni notizia venne seguita da una pausa più lunga come se ciascun evento fosse fondamentale.
“Ho conosciuto la zia Haruko. Ho conosciuto l’ultimo brigante. Ho saputo tutta la storia.” Levò lo sguardo al cielo e poi lo abbassò sul kamalocha ancora quieto. “Ho visto i resti del villaggio e sono stato nella mia vera casa. Sono stato al cimitero. E ho visto il quadro.” Una pausa più lunga. “Ho conosciuto i loro nomi. Ho brandito Dolore e Vendetta.” Un’ultima pausa. “Ho fatto arrestare Van Saal.”
Tadashi drizzò la schiena. Sorrideva. “Lo hai fatto arrestare?”
“C’è stata una mezza rivolta popolare e lui ha sfidato la persona sbagliata.” Yuzo sorrise e si volse. “Per chissà quale caso delle Dee, in quel momento è arrivato il Doge di Tha Cerròs. Tutte le sue malefatte sono venute a galla e ora non potrà più far del male a nessuno. Ai Briganti è stato riconosciuto il valore della loro resistenza e della difesa di Ghoia.”
Il Console sorrideva e il suo sguardo era così pieno di orgoglio come non avrebbe saputo dire neppure a parole. Scosse il capo adagio con incredulità. “E’ una bellissima notizia. I tuoi genitori sarebbero-”
“A questo proposito avrei una richiesta da avanzare.” Yuzo lo interruppe prima che terminasse la frase. Cambiò postura sulla roccia per poterlo guardare meglio e lui lesse una leggera titubanza nei suoi occhi.
“Qualsiasi cosa.”
“Ci ho pensato a lungo e non vorrei ferirti né che ti sentissi messo da parte o che pensassi ch’io sia un ingrato a chiedertelo.”
“E perché dovrei pensare una cosa simile? Non essere sciocco e parla pure.”
Yuzo si morse appena il labbro, ma glielo chiese senza mai abbassare lo sguardo. “Vorrei… vorrei aggiungere il cognome di mio padre al tuo.” Ci aveva davvero pensato per molto tempo, valutando se fosse corretto nei confronti del suo padre adottivo, ma si era risolto di non poter più rinnegare la propria storia. “Almeno questo io glielo devo, visto che sono arrivato troppo tardi a dar loro giustizia. Vorrei… sentirmi parte della famiglia, anche se ormai non esiste più, e dimostrare che i Morisaki non sono morti con mio padre e mio nonno. Ci sono ancora io.”
Il sorriso di Tadashi non si incrinò, ma rimase lì, limpido e carico di affetto. Con l’aria di chi l’avrebbe sempre saputa più lunga di lui avvicinò un po’ il viso e disse: “E questo come dovrebbe ferirmi?” I denti vennero snudati appena, mentre gli poggiava una mano sul capo in un gesto affettuoso che forse non avrebbe più dovuto compiere; dopotutto, Yuzo non era più un bambino. Ma gli venne naturale che neppure ci pensò e suo figlio non si ritrasse. “E’ quello che mi sarei sempre aspettato da te una volta che avessi saputo la verità su di loro. Anzi, mi sarei sentito ferito del contrario, invece. Se non me l’avessi chiesto ci sarei rimasto male.” Tadashi si rilassò, tornando a intrecciare le mani in grembo, mentre suo figlio distoglieva lo sguardo e guardava le proprie, di dita.
La crescita di Yuzo non era solo nelle spalle o nell’altezza, l’aspetto era solo una conseguenza meccanica. La vera crescita la si vedeva anche da quelle piccole cose, dalle consapevolezze e dalle scelte che venivano prese, non sempre piacevoli, e dalla capacità di riconoscere i propri errori.
Ora, lui non aveva più niente da insegnare a suo figlio, ma forse non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato suo figlio a insegnargli qualcosa. Qualcosa di difficile e doloroso. Qualcosa che forse era troppo gravoso per la schiena di un vent’enne, così come per quella di un cinquant’enne.
“Sì, i tuoi genitori sarebbero davvero molto orgogliosi di te. Yuzo Morisaki Shiroyama.”
“Forse non così tanto.”
Tadashi inclinò leggermente il capo. Suo figlio continuava a fissarsi le dita che si intrecciavano e scioglievano adagio. Non lo guardava, ma lui capì subito dal profilo che qualcosa era cambiato nella serenità di poc’anzi. Le labbra del giovane avevano perso la presa sul sorriso ed ora erano serie.
“Forse nemmeno tu lo sarai. Non dopo quello che sto per dirti.”
Tadashi incassò il mento. “Non capisco-”
“Ho compiuto un disastro.” Diretto, fermo. La voce non vacillò un solo attimo, lo sguardo si levò al kamalocha e lì si fermò. Guardava quell’animale dall’indole feroce che però ora restava quieto davanti a loro. “Seppur non lo facessi ora lo leggeresti comunque nel rapporto stilato da Mamoru-… dall’Elemento Izawa durante l’intero viaggio, quindi preferisco che tu lo sappia da me.”
“Cosa dovrei sapere?” Tadashi non avrebbe voluto esalarlo con un tono così sussurrato, preoccupato, ma dal modo in cui Yuzo la stava mettendo non si preannunciava nulla di buono. Anzi. Sembrava davvero qualcosa di particolarmente grave.
Dal canto suo, l’uccellino non aveva fatto altro che pensare anche a quello nei mesi che avevano seguito la battaglia contro il Nero. Aveva pensato a come impostare il discorso, a come spiegarlo, addirittura a quali parole usare, ma ogni volta gli era sembrato sempre un modo per giustificare sé stesso e aveva lasciato perdere. Non avrebbe mai pensato che suo padre sarebbe piombato lì così all’improvviso e se c’era una cosa che aveva imparato in quel viaggio era di affrontare i problemi così come gli si presentavano davanti, senza cercare di aggirarli o fingere di non vederli. Il problema c’era. Il problema era lui.
“Ho ucciso.”
Il colpo ebbe la forza di una coltellata nel fianco.
Tadashi si sentì uno sciocco nel pensare che suo figlio sarebbe rimasto immune da una simile eventualità, ma una guerra restava sempre una guerra, dopotutto, ma per Yuzo doveva essere stato devastante se sentiva di doverglielo dire in prima persona. Assunse un’espressione comprensiva. “Non si può pensare di restare immacolati nel corso di una battaglia-”
“Ah! La battaglia? Quella è venuta dopo e solo le Dee sanno quanto vorrei si trattasse solo di quello.” Yuzo scosse il capo. “Non eravamo al fronte, ma ancora al Sud. Cercavamo il Principe. Abbiamo incontrato uno Stregone in erba che mi ha lanciato un incantesimo di controllo mentale. Con le mie abilità avrei potuto contrastarlo. Non è stato così.”
Tadashi si accorse di quanto gli costasse, di quanto male gli facesse anche solo ricordare, figurarsi a dirlo. Dirlo a lui, che era suo padre. Poi, arrivò la mazzata.
“Ho distrutto tre villaggi. Non me ne rendevo neppure conto. Ho reso orfani centinaia di bambini e ucciso figli davanti agli occhi dei genitori. Chiunque. Chiunque mi capitasse a tiro. Chiunque fosse abbastanza vicino da essere fulminato o infilzato. Il mio vento è stato morte. Forse te ne sarà arrivata voce, di solito queste notizie passano in fretta, ma se hai mai sentito parlare di Sendai e del suo mostro… sappi che stavano parlando di me.” L’alastro si volse e non lo ferì leggere l’orrore negli occhi di suo padre più di quanto l’avesse ferito vivere con il rimorso. “Sono io il Mostro di Sendai.”
“M-ma… come…”
Yuzo si strinse nelle spalle. “La magia dello Stregone era imperfetta, ma perfetta per la mia onice, padre. La mia onice.”
Gli occhi di Tadashi si fecero enormi e stavolta l’orrore non era per suo figlio. “La… pietra?”
“In risonanza con l’incantesimo, sì. Non potevo contrastarlo.” Yuzo distolse lo sguardo e si passò le mani sulle gambe, sfregandole nervosamente. “Immagino verrà istituita una commissione disciplinare o un processo o quel che sarà, non importa. Accetterò qualsiasi decisione verrà presa. Va bene così. È una mia responsabilità e non intendo rifug-”
Un sussulto proveniente da suo padre lo interruppe e gli fece volgere lo sguardo. Lo vide piegato in avanti, una mano sugli occhi e nessun incantesimo a nascondere il dolore che erano abituati a mimetizzare. In quel momento, si rese conto che era la prima volta che lo vedeva piangere.
“Papà…”
Tadashi si volse di scatto e lo abbracciò forte, quasi avesse voluto soffocarlo, nasconderlo dentro di sé perché nessuno potesse fargli del male.
“E’ colpa mia! E’ tutta colpa mia!” Lo sentì singhiozzare, lui ne rimase sopraffatto perché non era la reazione che si sarebbe aspettato da lui. Era convinto che lo avrebbe deluso e invece… “Se solo mi fossi comportato più da genitore e meno da Master, non avrei mai permesso che ti mettessero quella dannata maledizione! Avrei dovuto oppormi!”
“Padre, erano gli ordini-”
E tu sei mio figlio!” Tadashi lo prese saldamente per il viso, costringendo i loro occhi a restare fissi gli uni negli altri e in quelli di suo padre Yuzo lesse rabbia. Rabbia vera. “Cosa doveva essere più importante?!” Scosse il capo e strinse le labbra. “Questa volta non commetterò lo stesso errore e se qualcuno proverà anche solo ad accusarti di strage, io-”
“Avevamo detto niente favoritismi.”
“Me ne frego di quello che avevamo detto! Io non permetterò a nessuno di condannarti per qualcosa di cui non hai colpa. A nessuno! Fosse anche il Re in persona, la Chiave, l’intero Consiglio, Elementia stesso!”
D’un tratto, al viso di suo padre e al suo tono rabbioso e deciso si sovrapposero quelli di Mamoru. Mamoru gli aveva detto le stesse cose, fatto le stesse promesse. In quel momento, Yuzo si sentì così al sicuro e amato che anche a lui venne da piangere.
“Io non permetterò… io…  Mi dispiace… mi dispiace non ti ho protetto come avrei dovuto… mi dispiace tanto…”
Yuzo poggiò la fronte contro quella di suo padre e i suoi occhi versarono lacrime, però sorrideva lo stesso e continuava a farlo nonostante tutto, nonostante le sue mani sarebbero rimaste macchiate per sempre e il suo cuore tarlato da un’aggressività che continuava a scavare per cercare una via d’uscita. Lui si sentiva al sicuro, qualunque cosa fosse accaduta. Piangere e ridere assieme dopotutto aveva un senso.
“Tu hai fatto molto di più di quanto avessi mai potuto sognare. Grazie. Grazie per essere mio padre.” Sciolse l’abbraccio e si passò rapidamente la manica sugli occhi. “Ora, però, se piangiamo tutti e due, che figura ci facciamo come alastri?”
“Una pessima, direi.” Tadashi corrugò la fronte, gli occhi rossi e le ultime lacrime che abbandonavano le sue iridi.
Si guardarono, risero.
Come il sole dopo la pioggia.

“Acqua per tutti!” La voce dell’agadiro Takeshi Kishida annunciò finalmente la pausa dei tyrani.
Hiroshi Jito fece cadere il grosso tronco che portava sulle spalle con un sonoro tonfo, sedendosi pesantemente a terra.
“Mamma mia, la mia povera schiena.”
“Reumatismi a quest’età?” Lo prese in giro Shingo Takasugi, accanto a lui. Il gomito poggiato su un altro tronco, messo in verticale. Jito agitò una mano senza replicare, ma allungò l’altra per prendere la tazza metallica che un Elemento d’Acqua gli stava porgendo.
Teppei mise giù, con più delicatezza, il masso che stava spostando con la telecinesi e vi si sedette sopra a gambe incrociate. Osservò Hajime farsi dappresso con la tazza per lui e una brocca.
“Si lavora sodo?” domandò l’agadiro appena fu abbastanza vicino.
“Come tutti i giorni. Dobbiamo allargare il passaggio per facilitare lo spostamento di carri e merci da una parte all’altra. Forse stiamo gettando le basi per il primo prolungamento della Via Crociata qui al Nord.”
Mh, qualcosa di cui andare orgogliosi.” Gli porse la tazza, ma il giovane non la prese. La guardò e poi levò lo sguardo su di lui.
Hajime assunse una smorfia minacciosa. “Non provarci.”
“Eddai, non essere antipatico.”
“E tu non comportarti da bambino viziato.”
Teppei drizzò la schiena e sollevò il mento. “Io non sono viziato, sono semplicemente privilegiato.”
“E da quando?” ironizzò il Tritone.
“Da quando ho salvato il Principe, il pianeta e, oggettivamente, da quando ti conosco.”
Lo disse con un tale candore e faccia tosta che alla fine Hajime sbuffò una mezza risata e capitolò; come ultimamente faceva anche troppo spesso. Poggiò al suolo la tazza e la brocca e chiuse le mani a coppa. Quando le riaprì, dell’acqua sgorgava tra esse come una piccola sorgente.
Teppei allargò un felicissimo sorriso, gli prese le dita e bevve. Bevve direttamente dalle sue mani. Un gesto, tra gli agadiri, considerato di fiducia assoluta e profonda unione.
Quando si sentì dissetato, il tyrano vi affondò completamente il viso per sciacquarlo. Poi lo lasciò andare e tornò a sorridere. Soddisfatto. “Freschissima. Molto più fresca di quella nella brocca.” L’acqua gocciolava dal naso e dal mento.
Il Tritone non commentò, ma si limitò a scuotere il capo e a nascondere lo sguardo dietro al ciuffo ribelle, come faceva sempre per non mostrarsi in imbarazzo. Scrollò le mani e queste tornarono perfettamente asciutte. Chiese spazio al compagno e si accomodò anche lui sul masso. Insieme rimasero a guardarsi attorno mentre gli altri tyrani si rinfrescavano a loro volta e si riposavano.
A Teppei non sfuggì il sorriso pensieroso di Hajime.
“Cos’hai?”
“Ho visto Yuzo e suo padre.”
“Il Console è qui?” Teppei non nascose la sorpresa, mentre l’altro annuiva.
“C’è anche il Console Mikami, l’ho visto assieme al vostro Master; credo che dopo passerà a salutare anche voi.” Cambiò posizione; la roccia era piuttosto piccola per entrambi e scomoda. “A ogni modo credo che Yuzo abbia detto a suo padre cosa è accaduto a Sendai.”
Teppei annuì, spostando lo sguardo altrove. Parlò con tono fiducioso. “Andrà bene. Yuzo ne verrà fuori, ne sono sicuro.”
“Sempre ottimista, vedo.”
“Non dovrei esserlo? Ora che l’Ordine sarà fatto a pezzi, anche questo andrà a posto. Dopotutto, non è Yuzo l’assassino, ma loro che gli hanno messo quella dannata pietra. Quindi, sì, sono ottimista.” Prese un respiro più profondo e continuò a sorridere, anche se le sue parole avevano una sfumatura amara. “Lo sono anche quando chiudo gli occhi e vedo i miei compagni diventare di roccia e tornare polvere. Lo sono perché devo esserlo. Per loro.”
Hajime sospirò. “Ne abbiamo persi tanti.”
“Maledettamente tanti.” Lo corresse l’amico. “Ma sono ottimista. Porteremo noi la loro memoria.”
Il Tritone lo guardò, ma non disse altro. Capiva il discorso del suo compagno e ne apprezzava, forse addirittura invidiava, la forza d’animo.
“Sai? Sono felice che Yuzo abbia potuto incontrare suo padre.”
Teppei convenne. “Anch’io. Penso che ne avesse bisogno forse più di noi.”
“Vero. Ma ormai manca poco e anche noi torneremo.”
“Ho già preparato i bagagli. Si rientra a Raskal-”
“No, io parlavo di casa.” Hajime lo guardò. “Casa nostra, quella vera. Ilar.”
L’espressione di Teppei mutò in sorpresa, mentre quella del Tritone aveva una sfumatura nostalgica. Ed era una cosa ben più che rara. Rarissima.
Hajime era stato abituato a stare lunghi periodi lontano da casa e molto spesso determinati sentimenti venivano lasciati decantare sotto la superficie liscia dell’acqua. Il viaggio affrontato e la guerra avevano rimescolato tutto e gli avevano fatto capire che il distacco andava bene, sì, ma non sempre e non verso tutti.
“Ci meritiamo un po’ di ‘vacanza’, se così vogliamo chiamarla, no? E io vorrei tornare a Ilar, vorrei nuotare nel Dun. Abbracciare mamma e papà, zio Hide e zia Reika. Vorrei tornare a casa. Mi manca.”
Il sorriso ampio si distese sulle labbra del tyrano pur senza snudarne i denti. “Certo che ci torniamo, Hajime. E faremo una di quelle abbuffate che tanto piacciono a mio padre! Mamma e zia Arin prepareranno dei dolci fantastici e io e papà andremo a Ribis a prendere la più buona carne di cinghiale del Dogato, mentre tu e zio Shiro pescherete le carpe blu più grandi del Dun!” rise, scuotendo il capo e i ricci assumevano colori più chiari e più scuri sotto i raggi del nuovo sole del Nord. “Mangeremo così tanto che ci terremo la pancia!”
Rise anche Hajime, stiracchiando poi le braccia verso l’alto. L’onice era ancora nel palmo e oggettivamente non sapeva con precisione quando sarebbe stata rimossa, eppure per lui era già come non averla più. Si mosse, cercando la posizione più comoda, per quanto fosse un po’ difficile, ma riuscì a stendersi e ad appoggiare la testa sulle gambe di Teppei. Chiuse gli occhi perché il sole, anche se non forte come quello che gli era picchiato sul capo quando si trovavano al Sud, era pur sempre fastidioso.
“Sì, ci terremo la pancia…” fece eco, sorridendo.
Le dita di Teppei arrivarono a fargli ombra e si poggiarono appena sulle palpebre chiuse.
Gli sembrò di essere acqua di sorgente riparata dalla solida e fresca roccia.

 

E la chiamano Guerra, la chiamano Guerra
che le sue spire tende e d’improvviso afferra.
È la fornace rovente che la tempra forgia,
incisa nel sole e plasmata dalla pioggia.


[1]MORIMICHI KAWAKAMI: era il capitano della squadra della scuola elementare Shimizu. Sì, quel  marmocchio arrogante e saccente, che faceva il portiere. XD di certo non poteva essere Mr. Simpatia anche qui, però insomma… cattivo cattivo non è. XD diciamo che è simpatico come un palo nel chiul! XD (Kawabonga XD: *clicca qui*)

[2]HIROYA SHIMADA: Shimada! *-* Ciccino. Ho un legame speciale con questo pg e chi mi legge sa il perché. :3 Era un giocatore della Shutetsu che non venne selezionato per far parte della Nankatsu. Hiroya è un nome che gli ho scelto io, visto che nel manga non viene mai chiamato per nome, ma solo per cognome :3 E visto che anche la sua caratterizzazione in pratica rasenta lo zero assoluto nel manga, l’ho dipinto come un puccino super attivo. Glielo dovevo, e lui sa perché :3 (Shimaduccio *-*: *clicca qui*)


 

…Il Giardino Elementale…

 

Ultimo capitolo prima dell'Epilogo.
Come ci si sente ora che si è a un passo dalla fine di questa lunghissima storia?
Da parte mia, forse si inizia già a sentire la malinconia. Quando una fic tiene impegnati per così tanto tempo, separarsene diventa 'strano'. Ovviamente, come già detto più volte, la Saga di Elementia ha ancora altro da dire, al di là delle vicende di "The War". :3

Nuovo aggiornamento per l'Enciclopedia Elementale, l'ultimo per questa storia. :3 Chissà se nelle prossime chiederà altre informazioni per cui debba venire aggornata. :333 Come voi, non ne ho idea XD, quindi credo che lo scopriremo insieme!!! Nel mentre: beccatevi il Volume Decimo - Il Bestiario!!! *W*
E abbiamo anche una nuova fanart alla raccolta: "Padri - Bashaar&Nasir" :333 era giusto dare un angolo anche ai papottini!!!


Galleria di Fanart (NUOVA IMMAGINE!!!)

- Padri - Bashaar&Nasir

Enciclopedia Elementale (AGGIUNTO IL DECIMO!!!):

1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki


  • 8) Enciclopedia Elementale - Volume Ottavo: Gli Stregoni di Huria

  • Capitolo 1: Storia
  • Capitolo 2: Gerarchia Stregonesca


  • 9) Enciclopedia Elementale - Volume Nono: Le Sacerdotesse Elementali e gli Elementi Eterni

  • Capitolo 1: L'Ordine Sacerdotale
  • Capitolo 2: Gli Elementi Eterni
  • Capitolo 3: Le Sacerdotesse Elementali


  • 10) Enciclopedia Elementale - Volume Decimo: Bestiario

  • Capitolo 1: Fannùsh e Golkorhas
  • Capitolo 2: Màlayan e Iktàba
  • Capitolo 3: Phaluat
  • Capitolo 4: Rankesh e Zaikotto (o Rubinato)
  • Capitolo 5: Kamalocha delle Vette Aguzze
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