1. COSA ACCADDE DURANTE IL TEMPORALE
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e grosse
nubi temporalesche e ricche di pioggia che avevano iniziato ad ammassarsi, nere
e viola, già da quella mattina, stavano dando il meglio di
loro.
In una casa in pietra ai margini di
un boschetto, una ragazza era distesa sul letto nella sua camera mentre leggeva
un libro il cui titolo diceva Le grandi avventure nei mari del Sud di Sir
Gahna.
Un lampo illuminò a giorno la
stanza, rischiarata solamente dalla fioca luce di una candela posta sul
comodino, e il tuono che seguì fu così forte che sembrava dovesse spaccare il
cielo da un momento all’altro.
Josephine non vi badò, tanto era
presa dal suo libro (che era il suo preferito. Lo adorava perché sognava anche
lei un giorno di avere delle avventure come quelle di Sir Gahna, che viaggiava a
bordo di un bellissimo veliero, incontrando la gente più strana, e visitando
posti esotici e lontani). Non vi badò più di tanto anche perchè adorava il
temporale, trovando in esso rumori rilassanti: la pioggia che batteva contro i
vetri della sua camera, una finestra delle stanze del piano di sotto che
sbatteva a causa del vento e il rombo di qualche tuono lontano.
Mentre Josephine sfogliava una delle
ultime pagine, qualcosa echeggiò nell’aria fresca della pioggia, un rumore che
in realtà non aveva niente a che fare con i classici suoni del temporale: un
grido, o almeno così le era parso, flebile e lontano.
La ragazza alzò gli occhi dal libro.
Tese le orecchie, trattenendo il respiro, nella ricerca di qualche altro rumore.
Ma l’unico era la pioggia che continuava a frustare le
finestre.
Corrugando la fronte, ritornò alla
sua lettura.
Un altro minuto e rieccolo di nuovo,
adesso più forte e acuto di prima.
Questa volta Josephine ne era
sicura: quel grido non era frutto della sua immaginazione.
Chiuse il libro e si mise a sedere.
Prese in mano la candela, uscì dalla
stanza e scese le scale di legno che portavano al piano di sotto. Prese una
torcia elettrica e uscì di casa.
Fuori la luce sembrava scomparsa del
tutto, tanto che non sembravano le tre del pomeriggio, ma già il
crepuscolo.
Puntò la luce davanti a lei, ma nel
giardino non c’era nessuno. Magari si era confusa, forse non era un grido, ma il
miagolio di un gatto impaurito.
Tuttavia per essere più sicura,
decise di andare a dare un’occhiata vicino al boschetto, così rientrò e andò in
cucina, dove si trovava una porta secondaria che dava direttamente sul bosco.
La cortina fumosa creata dalla
pioggia battente era talmente fitta che non si riuscivano neanche a distinguere
le sagome dei maestosi alberi secolari.
I suoi grandi occhi castani
scrutavano nell’oscurità: niente.
La pioggia batteva con tutta la sua
violenza sulla grancassa che era il bosco e anche riuscire a distinguere un
rumore sarebbe stato impossibile.
Fu proprio nel momento in cui stava
per rientrare in casa che Josephine vide qualcosa, e per poco il cuore non le
scoppiò nel petto per la paura.
Un lampo illuminò il panorama, e in
quei pochi secondi che il cielo si era rischiarato la vide: una
donna.
Alta (sicuramente più del normale) e
magra, i capelli neri, lisci e lunghi mettevano in risalto il viso bianco come
la porcellana (per non dire come la morte, che penso sia più appropriato!).
Indosso aveva un vestito chiaro dal
quale si intravedevano le perfette forme del suo corpo. Era lungo fino ai piedi,
ma lasciava scoperte le braccia bianchissime.
Una mano della donna era tesa verso
Josephine come per chiederle aiuto.
Poi tutto venne riavvolto
nell’oscurità.
Josephine rimase immobile, incapace
di pensare e agire. Non fu tanto quella donna a spaventarla, quanto i suoi occhi
color del ghiaccio: stupendi e terribilmente spaventosi allo stesso tempo. Uno
sguardo fisso ed enigmatico, che anche a tutta quella distanza, era riuscito a
incuterle un terrore vivo, mai provato in vita sua: l’aveva fatta sentire debole
e impotente, scaraventata in un profondo oblio, ma soprattutto, che l’aveva
fatta sentire
(cos’era quell’altra sensazione?)
quasi morta.
Il rombo del tuono la
ridestò.
Il cuore ritornò alla sua normale
velocità, e il cervello riprese a lavorare.
“Ma che cosa…?”.
La sua mente si sdoppiò. “Era un
fantasma?” si domandò la prima parte. “Josephine cosa stai dicendo? I fantasmi
non esistono.” Rispose la seconda, quella razionale. “Ma allora cos’era? Magari
solo un illusione ottica…” e mentre pensava ciò accadde una cosa strana: le sue
gambe cominciarono a muoversi, ma quest’azione non venne comandata dal suo
cervello. Sembrava piuttosto una di quelle bambole che camminano attraverso
l’impulso di un telecomando. Era come se qualcuno, proprio come una marionetta,
la muovesse verso quella macchia nera e informe che era il bosco. Gli occhi
inespressivi, proprio come quelli di una bambola di porcellana, guardavano
davanti senza realmente osservare le cose.
La pioggia battente le appiccicò il
maglione di lana addosso, una sensazione che lei odiava. Eppure non si accorse
di nulla.
Come non si accorse della pioggia
che le cadeva copiosa sul viso, infradiciandole i capelli
castani.
Uscì dal cancello e attraversò il
piccolo sentiero acciottolato che separava la sua casa dal bosco. Il terreno
cominciò a salire, e le pietre vennero sostituite da soffice erba.
Molto, ma molto lentamente, come se
avesse pesanti macigni sulle braccia, puntò la torcia nel luogo dove un attimo
prima era apparsa la donna.
Non sapeva cosa aspettarsi, ma ebbe
un tuffo al cuore
(di sollievo o dispiacere?)
quando vide che non c’era più,
svanita nel nulla, così come era comparsa.
Josephine non si fermò ed entrò nel
bosco, la pioggia era diminuita perché attutita dalle grandi chiome degli
alberi.
I piedi nudi si inoltravano sul
terreno insidioso, coperto di fango e foglie che nascondevano radici e arbusti
che facevano inciampare la ragazza.
Lei, però, sembrava non curarsene
minimamente, si rialzava e continuava a camminare, senza alcun lamento, come se
nulla fosse. E altre molte volte cascò e si rialzò.
C’era un silenzio irreale in quel
bosco, non un solo rumore, né qualche verso di animali notturni.
Niente.
Ma Josephine sembrava non
capacitarsene.
La pioggia era cessata del tutto e i
tuoni si erano ridotti a rumori ovattati in lontananza.
Fu all’ora che la ragazza si
ridestò, come se si fosse appena svegliata da un sogno, e gli occhi
riacquistarono la loro naturale lucidità.
Si guardò intorno e capì di essersi
addentrata troppo.
Si era persa.
“E adesso che faccio?”
Davanti a lei aveva tre scelte:
ritornare indietro, andare avanti o rimanere lì fino a che qualcuno non fosse
passato.
Lo sconforto la investì ancora di
più quando apprese che tutte le possibilità erano da
bocciare.
Non poteva tornare indietro, non
sapeva neanche come ci era arrivata laggiù.
E come poteva andare avanti? Punti
di riferimento neanche a parlarne. Avrebbe solo peggiorato la
situazione.
Aspettare qualcuno? E a quale matto
sarebbe venuta in mente l’idea di passare da quelle parti? Sarebbe rimasta lì,
immobile, per tutta la sua vita nella futile attesa.
Si tolse il maglione di lana,
infastidita dal prurito che le arrecava, e il freddo la investì in
pieno.
Voleva mettersi a piangere, e
dopotutto come biasimarla? Era da sola, infreddolita e fradicia dalla testa ai
piedi, in un posto sperduto per giunta.
Non si fece vincere dalle emozioni
tuttavia, si accovacciò e iniziò a pensare cosa fare.
Fu in quel momento che sentì uno
strano rumore, come quello di un legno che si spezza, ma molto più forte e
acuto.
Josephine si era voltata appena in
tempo per vedere un grosso pino, sorpassato un attimo prima, che le veniva
incontro.
Si rialzò frettolosamente ma fece un
solo passo prima che l’albero la colpisse lo stesso.
Cadde a terra dolorante e poi divenne tutto buio.
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L'autrice scrive...........
QUESTO È IL
PRIMO CAPITOLO DELLA MIA STORIA. PRESTO METTERÒ ANCHE IL SEGUITO, CHE STO
RIGUARDANDO E RICORREGGENDO.
SPERO CHE INTANTO, ALMENO
L’INIZIO VI SIA PIACIUTO E CHE
INTANTO
ASPETTO LE VOSTRE RECENSIONI, NON CI VUOLE MOLTO TEMPO PER LASCIARE COMMENTI,
QUINDI FATELO!!!
GRAZIE
MILLE, AL PROSSIMO CAPITOLO!!!