2. UNO STRANO
RISVEGLIO
D |
elle
voci parlavano indistinte lontano pronunciando parole che Josephine sentiva a
malapena.
- Non
può rimanere qui… - sentì quasi come un sussurro.
- Ma non
possiamo neanche portarla indietro…per ora deve restare…deve
curarsi…
Le voci
erano ovattate, come ovattato era il rumore dello scoppiettio di un fuoco che
bruciava in un camino poco distante.
Aprì
lentamente gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per mettere a fuoco la
vista.
Aveva un terribile mal di testa, e
toccandosela con una mano scoprì di avercela completamente fasciata, come anche
il braccio destro.
Si guardò
intorno.
La stanza in cui si trovava era
piccola e accogliente, con pareti di pietra marrone.
Una di esse era occupata da una
grande libreria piena di libri fino a scoppiare (piccoli, grandi, vecchi e
nuovi, con copertine colorate o nere come la notte). Su un’altra parete vi erano
appesi dei quadri raffiguranti paesaggi stupendi: boschi, lunghe distese erbose,
montagne, colline e uno (che diventò presto il suo preferito) con l’immagine di
una nave che filava su un mare liscio come l’olio, la prua color argento e le
vele bianche con il disegno di un sole dorato e la sagoma di un unicorno nero al
centro.
Dall’altra parte della stanza
c’erano due porte, una che portava nelle camere da letto e l’altra nella cucina,
dove stavano parlando i tre sconosciuti, a porta leggermente socchiusa. In mezzo
alla sala c’era un grande tavolo di legno con intorno quattro sedie dello stesso
materiale, e sopra di esso un bel vaso di camelie rosa e bianche fresche, il cui
profumo inondava tutta la stanza.
Josephine era distesa su una
materasso morbidissimo, posto in un angolo della stanza il più vicino al camino.
Accanto a lei c’era un piccolo mobiletto in legno che serviva da comodino. Sopra
c’erano un bicchiere e un paio di bottigliette, una dal contenuto color lampone,
e un’altra dal contenuto bianco come il latte.
Cercò di alzarsi, ma non riuscì a
muovere la gamba destra, probabilmente anch’essa ferita “o peggio, rotta” come
pensò la ragazza.
I borbottii in lontananza si
spensero, e Josephine sentì un rumore di passi venire dalla sua parte. La porta
della cucina si aprì e Josephine vide una donna sbucare sulla
soglia.
Il viso rotondeggiante e roseo era
incorniciato da lunghi capelli lisci color rosso rubino raccolti sulla nuca in
un elegante chignon, gli occhi erano grandi e di un bel verde
smeraldo.
Josephine rimase colpita dal suo
vestito. Arrivava fino ai piedi e aveva maniche lunghe. Era semplice nel
complesso, niente disegni e merletti, di un bel verde bottiglia, stretto in vita
da una cintura marrone, però non aveva mai visto in vita sua una persona che
vestisse in quel modo alquanto bizzarro.
- Oh, siano ringraziati gli dèi. Sei
sveglia finalmente! Presto ragazze, venite, la nostra ospite si è svegliata –
disse voltandosi verso la cucina.
Josephine vide altre due figure
sbucare da dietro la donna.
Una (senz’altro la più bella e anche
la più giovane tra le tre) aveva lunghi capelli lisci biondi che arrivavano a
metà schiena e occhi color del mare, l’altra, invece, aveva capelli riccioli
castano scuro lunghi fino alle spalle e occhi dello stesso colore. Lei, invece,
doveva essere la più anziana, almeno da quello che potevano confermare le rughe
nel viso.
“Ma dove sono finita? Nel posto dei
vestiti stravaganti?”
Proprio come per la prima donna,
Josephine rimase colpita nuovamente solo dai vestiti.
“Ma come sono vestite?” si domandò,
ripensando ai blu jeans, alle t-shirt e alle scarpe da ginnastica che
solitamente portava.
Anche la donna con i capelli
riccioli, proprio come l’altra, portava un vestito lungo. Questo a differenza
del primo, però, era color porpora, con degli ornamenti dorati intorno alla fine
della manica. Non portava cinture.
La ragazza bionda, invece, aveva un
paio di pantaloni aderenti infilati in un paio di stivali alti fino al
ginocchio, e un maglione largo, stretto sui fianchi da una cintura di pelle.
Tutto rigorosamente nero.
Josephine la osservò. Era davvero
bellissima e a occhio e croce doveva avere circa la sua età. Era alta e snella,
la pelle del viso chiara e tendente al rosa sugli zigomi.
Gli occhi azzurri, però, erano fissi
e severi, che non promettevano nulla di buono, e Josephine fu costretta a
distogliere presto lo sguardo.
- Finalmente! Come ti senti? –
domandò la donna con i capelli riccioli.
- Ho avuto giorni migliori. –
rispose sforzandosi di sorridere.
- Non ne dubito. – disse sorridendo
la prima donna che le aveva parlato.
- Da quanto tempo sono qui? –
domandò Josephine.
Le si avvicinarono.
– Sono due settimane che dormi
ininterrottamente. Non davi accenni né di miglioramento né di peggioramento. -
rispose quella con i capelli riccioli e mentre lo diceva sollevò delicatamente
la testa della ragazza e le fece bere il liquido color lampone. Era in assoluto
la cosa più buona che avesse mai assaggiato. Dolce come il miele, dissetante
come l’acqua e caldo come un tè bollente. La ragazza, non se ne stupì, si sentì
subito molto meglio, ma la testa continuava a farle male.
- Non mi ricordo niente. – disse
Josephine, con un tono come per scusarsi.
- Non ti devi preoccupare, – disse
quella con i capelli rossi come se avesse captato il disagio della ragazza – è
più che normale con la botta che hai preso...
- Devi ringraziare gli déi se sei
ancora viva. – la ragazza bionda finalmente parlò, il tono duro, esattamente
come i suoi occhi profondi.
Josephine non capiva proprio.
Perché mai la guardava in quel modo?
E parlava in quel modo? Con quel tono così aspro? Come se fosse stata colpa sua
se quell’albero le fosse caduto addosso!
Nessuno disse niente a questa
affermazione, ma Josephine notò che la donna con i capelli riccioli aveva
mandato all’altra un occhiata furente.
- Abbiamo cercato di fare il
possibile, – proruppe quella con i capelli rossi frettolosamente, per allentare
la situazione carica di tensione – ti abbiamo bendato e steccato la gamba. Ma
hai riportato anche diverse ferite, e specialmente non abbiamo gli strumenti
adatti in caso di fratture o cose simili. Però non ti devi preoccupare,
-aggiunse vedendo l’espressione cupa di Josephine – abbiamo provveduto di già a
chiamare il Vecchio. Vedrai, saprà curarti bene e tempo qualche settimana potrai
tornare a casa tua.
Quella bionda soffocò uno sbuffo in
un colpo di tosse.
– Hai qualcosa da dire Fedora?
– Si, Ofelia (era il nome della
donna con i capelli riccioli), in effetti ho qualcosa da dire. – era appoggiata
allo stipite della porta con le braccia incrociate, e guardava l’altra con una
certa aria da sufficienza, come di chi la sa lunga su qualcosa. - Mi fate
davvero ridere con tutto quest’ottimismo, lo sapete?
- Fedora, ne abbiamo già parlato… -
Ofelia cominciava a perdere la pazienza, glielo si leggeva chiaramente in faccia
e dalle mani che si stringevano sempre di più in pugni.
- Ofelia cara, - disse l’altra con
un sorriso di scherno – sei la più anziana tra di noi, ma quanto a saggezza
lasci proprio desiderare… E tu Drusilla, smettila di diffondere false speranza
nella gente e di vedere del buono laddove non esiste: mi disgusta questa
cosa.
Drusilla, la donna dai capelli
rossi, emise un gemito di paura portandosi al contempo una mano sulle labbra.
Era una donna molto sensibile, che cercava con i suoi modi calmi e pacifici, di
risolvere sempre tutto. E proprio come aveva detto Fedora, riusciva a vedere del
buono dappertutto, addirittura anche nei sassi (così le diceva l’altra per
prenderla in giro).
L’affermazione di Fedora la lasciò
impietrita, e se Josephine l’avesse conosciuta meglio, avrebbe giurato che in
quel momento si stava astenendo dal piangere, trattenendo con tutte le sue forze
le lacrime, unicamente per la presenza di un estraneo.
- Fedora, stai esagerano!! – Ofelia
iniziava ad alzare la voce.
- Mi disgusta la vostra convinzione
ottusa, – continuò Fedora, incurante di quello che le era stato appena detto –
la convinzione che lei è morta, quando non lo è affatto…
- E a te chi ti da la certezza che
non sia realmente morta? – la interruppe Ofelia. – L’hai vista per caso? È
risorta dalle sue ceneri come le fenici? L’HAI VISTA? – urlò.
Josephine sobbalzò leggermente,
Fedora, contrariamente, ostentava il suo sorriso di
scherno.
- E SMETTILA DI SORRIDERE E AVERE
QUELL’ARIA DA CHI SA TUTTO!!!
Il sorriso di Fedora svanì,
lasciando posto a uno sguardo duro e pieno di rancore.
- Tu, invece, hai visto il suo
corpo, immagino. – rispose invece con tutta calma. – Non prendermi in giro
Ofelia, e non prendere in giro nemmeno te stessa! Ricordi bene quello che fece
quando era al comando, le stragi che fece solo per dissetare la sua sete di
potere. Ricordi bene la sua potenza e la sua forza. Un essere del genere non può
essere di sicuro morto.
- Ah no? E come pensi possa essere
uccisa?
- Non stiamo facendo congetture per
combatterla, Ofelia. Ti sto solo chiedendo di aprire definitivamente gli
occhi.
- I miei occhi sono ben aperti,
Fedora! – alzò la voce.
Fedora rise di gusto. - Non vedresti
un problema neanche se ti ballasse davanti!
- Cento anni di silenzio non ti
hanno detto nulla? Se fosse stata ancora viva, secondo te avrebbe aspettato
cento anni? A che scopo???
- Ti dico io cosa mi dicono cento
anni di silenzio: tornerà, e sarà più potente di prima.
Le labbra di Ofelia si incresparono
in un sorriso, questa volta rise lei di gusto.
Fedora divenne rossa. Sembrava una
teiera in abolizione, e Josephine sapeva che stava per scoppiare. Le nocche
delle mani stringevano le braccia conserte fino a diventare
bianche.
- Mi deludi Ofelia! – il tono,
invece, era nuovamente e stranamente calmo. – Mi deludi fortemente!
Non aggiunse altro, prese il
mantello e uscì sbattendosi la porta alle spalle facendo tremare i quadri sulla
parete.
Ofelia sbuffò, socchiudendo un
secondo gli occhi. Drusilla invece, rimase a fissare la porta. Josephine voleva
solamente sprofondare nelle viscere delle terra.
- Ti prego di scusarci, - Ofelia
ruppe quel silenzio riempito solo dai crepitii del fuoco - siamo proprio delle
maleducate. Non devi sentirti in imbarazzo. Spetta a noi.
Josephine scosse
il capo: - non è nulla, sul serio…
Le due sorrisero.
– Comunque io sono Ofelia, e lei è mia sorella Drusilla. Fedora è la nostra
sorella più giovane…oh, che stupide, non sappiamo neanche il tuo
nome.
- Josephine, mi
chiamo Josephine.
– Bene, Josephine, - disse Drusilla
con un largo sorriso, quasi come se non fosse successo nulla - ora faresti
meglio a riposarti, domani verrà il Vecchio e dovrai farti vedere almeno
riposata, altrimenti se la prenderà con noi. – le fece l’occhiolino - Tieni,
bevi un po’ di questo, passerai una notte tranquilla e priva di dolori.
E così dicendo le alzò la testa e le
fece bere il liquido bianco. Contrariamente al primo, era amaro, e faceva venire
una sete terribile.
Facendo un po’ di smorfie, lo bevve
tutto e sprofondò tra le coperte addormentata.
Un vento ghiacciato pungeva
violentemente il viso di Fedora. La ragazza respirò più volte a pieni polmoni
guardando in cielo, dove le nuvole che si stavano ammassando nuovamente
preannunciavano un’altra nevicata durante la notte.
Era furiosa, terribilmente in
collera con le sue sorelle!
Perché non capivano? Perché si
ostinavano in quell’ottusa convinzione?
Dopo aver camminato su e in giù per
diverse volte si fermò e si sdraiò sull’erba coperta di neve, incurante del
freddo che faceva.
Osservò le nuvole muoversi
velocemente, nascondendo quei pochi squarci di cielo pieni di
stelle.
I respiri si condensavano in sbuffi
di fumo bianco, e fu in quel momento che notò una cosa.
Corrugando la fronte si alzò in
piedi, per osservare meglio.
Non poteva essere. Non credeva ai
propri occhi.
E sul suo viso le si dipinse un
espressione mista tra terrore e trionfo.
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L'autrice
scrive...........
SPERO NUOVAMENTE CHE ANCHE QUESTO CAPITOLO VI SIA
PIACIUTO!
ASPETTO COME SEMPRE VOSTRE RECENSIONI, E COLGO L’OCCASIONE PER
RINGRAZIARE CHI GIA’ ME NE HA LASCIATE. QUINDI GRAZIE
A:
SUPERPIGO
CRISTIE
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