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Autore: La neve di aprile    09/07/2007    3 recensioni
Ricordo la prima volta che ti vidi, Izzy.
È una scena che si è stampata nella mia memoria, un marchio che non vuole saperne di sbiadire.
Pioveva da giorni, non c’era stato un attimo di tregua. Nemmeno il più piccolo spiraglio di sole.
Il cielo continuava a vomitare pioggia sulla città, che scintillava.
Le luci dei lampioni, le vetrine, i grattaceli: si rifletteva tutto nelle strade coperte di pozzanghere.
E adesso che gli anni sono passati, che le cose sono cambiate, mi rendo conto che forse la mia vita, la tua vita, sarebbe stata diversa se le cose avessero preso una piega diversa.
Forse ci saremmo risparmiati tante cose, forse saremmo stati persone diversi.
Ma non sarebbe stata la stessa cosa.
REVISIONE IN CORSO.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hand in glove'
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HAND IN GLOVE
#6 THE GROUND BENEATH THEIR FEET

~ minutes to midnight


 

PARLA ROXANNE:

Quando si ha appena venticinque anni, è difficile capire cosa sia effettivamente giusto e sbagliato.
Quando poi, a venticinque anni, si è talmente famosi da non poter nemmeno uscire da soli a comprare un pacchetto di sigarette, diventa ancora più difficile capire.
Con questo non voglio dire che eri giustificato,sia chiaro.
Dico solo che posso capire i perché che si nascondevano dietro tue determinate scelte.
All’epoca invece mi rifiutai di cercare di capire, seguii il mio istinto e basta.
Avevo un po’ la sensazione di essere trascinata in un buco nero, senza poter far nulla, quando in realtà mi sarebbe bastato fare un piccolo passo e allontanarmi da quell’orbita che mi tirava verso il basso.
Immagino che sarebbe bastato veramente poco per cambiare le cose, per superare quegli ostacoli che mi sembravano intramontabili.
Forse fu per questo che non mi arresi, che mi illusi, che chiusi gli occhi e finsi di non vedere tante cose.
Forse fu per questo che ti aspettai per mesi, prima di crollare davanti all’evidenza.
Ma l’ho già detto: a venticinque anni è difficile vedere le cose per quello che realmente sono.
Se è successo quello che è successo, la colpa fu mia tanto quanto tua.
Siamo stati due stupidi.
Questo è un dato di fatto che non si può scavalcare o nascondere in un angolo.

 

 

The fairy tale life wasn't for me
I don't wanna be like Cinderella
Sitting in a dark old dusty cellar
Waiting for somebody.
 

Play, Cinderella.


 

Los Angeles, gennaio 1988

“Allora? Dove sarebbe questo fantomatico paradiso?” chiese Axl tra una boccata di fumo e l’altra a un concentratissimo Izzy, che cercava di orientarsi in un dedalo di strade e vicoli mai percorsi prima.
Dietro di loro, le risate di Slash, Duff e Steven facevano da coro al monologo del bel front-man, insolitamente imbronciato.

Erano usciti qualche ora prima, praticamente costretti da Izzy che aveva detto loro di aver scoperto un posto dove facevano della musica straordinaria e avevano dell’ottima birra per pochi dollari.
Musica e birra, le due paroline magiche che avevano messo in moto tutti e li avevano portati a girare sotto il caldo crepuscolo di Los Angeles per un paio d’ore senza cavarne un ragno dal buco.

Contrariato, il chitarrista si fermò, guardandosi attorno con una smorfia sul viso.
Axl aveva più un buon motivo per essere arrabbiato, pensò tentando di capire dove andare, primo fra tutti il caldo.
Si passò una mano sulla fronte, malicendosi silenziosamente per aver avuto la brillante idea di mettere quel cappello che piaceva tanto a Roxanne.
Si morse le labbra, facendo appello a tutta la sua memoria per richiamare alla mente le indicazioni della ragazza.

Sette isolati da casa mia aveva detto lei una sera.
E loro erano a sette isolati da quel buco che si ostinava a chiamare casa.

Poi, quando vedi sull’angolo una lavanderia, giri la prima a destra e subito dopo la seconda a sinistra.
E fin li c’era arrivato.

Dopodiché, ti troverai davanti a un enorme casermone nero, mezzo bruciacchiato e il casermone era davanti a loro, in tutto il suo macabro splendore.
Qualche metro alla sua destra, Slash stava proponendo di andare in esplorazione del condominio fatiscente e vedere se era possibile organizzarci una festa “di quelle giuste, cazzo!”. Sospirò.

Poco lontano dal casermone, c’è un sottopassaggio abbandonato.
Ecco l’inghippo. Non c’era nessun sottopassaggio. E comunque, non aveva idea di che forma avesse un sottopassaggio in disuso.
Si morse la lingua, inclinando il capo di lato.
“Allora?” insistette Axl, agitandogli la sigaretta davanti al viso.
“Axl, invece di fare domande del cazzo – perché mi pare evidente che non è qui il posto che stiamo cercando - perché non ti rendi utile e cerchi un fottutissimo sottopassaggio abbandonato per favore?” sbraitò irritato, bloccando Duff nel bel mezzo di una battuta.
Tre teste più o meno ricciute, delle quali due biondissime, si girarono verso di lui simultaneamente.

Il cantante si passò una mano tra i capelli rossi, e si guardò attorno, accigliato.
“Certo che sei insopportabile quando sei nervoso, Isbell.” commentò semplicemente.
“Ma si può sapere perché non andiamo in un pub qualunque?” domandò Slash, una sigaretta abbandonata tra le labbra e pericolosamente vicina alla sua criniera di riccioli corvini.
“Già, perché?” gli fece eco Duff, appoggiandosi alla spalla di Steven che si scostò, protestando per il caldo.
“Perché,” ripetè pazientemente Izzy, setacciando la strada con la stessa attenzione di un segugio a caccia, “ne vale la pena. E poi, ci lavora una persona che voglio presentarvi.” buttò lì vago, mentre con sollievo scorgeva in lontananza quello che sembrava essere il famoso sottopassaggio abbandonato.
Aveva lo stesso aspetto di una stazione della metro di New York, solo priva del classico cartello identificativo sopra le scale.

“Eccolo lì!” esclamò Steven riacquistando la sua solita vivacità all’idea di una bella pinta di birra.
Erano passate quasi due ore da quando aveva buttato giù l’ultima goccia di alcol, un vero record.
Si avviarono, tutti e cinque assieme, nella strada deserta e, quando raggiunsero l’imbocco delle scale, ostruito da una pesante transenna arruginita, di trovarono davanti ad un minuscolo vicolo, dal cui fondo provenivano, indistinte, le note di una chitarra.
Chiunque stesse suonando, constatò Izzy con una smorfia, non aveva fatto un gran lavoro nell’accordare lo strumento.
E a giudicare dall’espressione sconvolta e schifata di Slash, stava pensando anche lui la stessa identica cosa.
Si addentrarono nella stradina, talmente stretta che se avessero aperto le braccia sarebbero stati in grado di toccare le pareti di mattoni rossi dei condomini ai lati, fino a raggiungere l’ingresso di un minuscolo locale.

Underpass, recitava un’insegna scolorita sopra una porta socchiusa.
“Originale,” brontolò il bassista, “spero solo abbiano davvero della buona birra.”
Prima di varcare la soglia, Izzy si chiese se stesse facendo la cosa giusta, presentando il resto del gruppo a Roxanne.
La cosa poteva rivelarsi più rischioso del previsto, conoscendo i suoi amici.
Gettò un’occhiata ad Axl, che chiacchierava con Steven, e a Slash e Duff, che fumavano una sigaretta standosene appoggiati ad una parete.
Sembravano assolutamente innocui, ma sapeva quanto potessere essere indisponenti se proprio si impegnavano.
E con le ultime ragazze che aveva presentato loro –p ochissime se messe a confronto con quelle che entravano e uscivano dalla camera di Duff, ad esempio - si erano impegnati parecchio.
Troppo noiosa, troppo snob, troppo stupida, troppo perfettina.
I motivi che tiravano fuori per criticare erano uno più assurdo dell’altro.
Il peggio era stato quando Axl ne aveva liquidata una dicendo che era troppo intelligente. Poteva sempre cambiare idea, se proprio voleva.
Dire che non era quello il posto, inventare una balla qualunque e andare via, lasciare che Roxanne restasse sempre e solo sua.
Ma non poteva.
Non con la mezza idea che gli ronzava in testa e la nuova tournè in arrivo.
No, non poteva evitare quell’incrontro, doveva trovare la forza di andare avanti. Inspirò a fondo, sentendo l’impellente bisogno di farsi di qualsiasi cosa pur di allentare la tensione. Non che non si fidasse di lei, sapeva che i ragazzi l’avrebbero adorata e lei avrebbe adorato loro.
Era troppo speciale perché non se ne rendessero conto anche loro.

“Beh?” fece Slash, posandogli una mano sulla spalla e interrompendo il flusso dei suoi pensieri “Che succede? Attacco di panico? Sembra quasi che tu debba chiedere a un padre la mano della figlia!”
Izzy si voltò, sorpreso: l’altro chitarrista gli regalò un sorriso sbilenco, come a fargli intuire che non c’era nulla da preoccuparsi.
Sorpreso, studiò il volto dell’amico per qualche secondo, chiedendosi quanto realmente sapesse, le labbra strette in una linea nervosa che si sciolse quando l’altro scoppiò in una vivace risata.

“Vai tranquillo, Stradlin.” gli disse, posandogli una mano sulla spalla e sorpassandolo, per aprire la porta e scivolare nel locale, subito seguito dagli altri “Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti! È solo un pub, in fondo, e per quanto certi tuoi gusti musicali siano discutibili, la birra attenua le critiche.”
Calcandosi il cappello in testa, il ragazzo si fece coraggio e, in coda al gruppetto, varcò la soglia, ritrovandosi quasi a scongiurare un dio in cui non credeva perché tutto andasse per il meglio, e rimase senza fiato quando l’odore di fumo lo colpì in faccia con la stessa intensità di uno schiaffo: l’aria era talmente pregna dell’aroma amaro e soffocante del tabacco che una lieve vertigine lo colse, strappandogli tutto l’ossigeno che gli era rimasto nel petto per sostituirlo con catrame e nicotina.
Una cameriera con i capelli rossissimi e il viso spruzzato di lentiggini li condusse fino ad un tavolo che dava su un piccolo palco, occupato per lo più da una batteria e una lunga serie di amplificatori, senza dar segno di averli riconosciuti, e consegnò loro cinque menù rilegati in pelle scura.
“Posso portarvi qualcosa da bere, intanto?” chiese la ragazza con la fredda cortesia di chi è abituato a fare quella domanda centinaia di volte al giorno e non si preoccupa più di essere veramente gentile.
“Birra!” esordì pimpante Duff “Per tutti.”
Lei annuì, sorridendo, e sparì dietro il bancone, avvolto da una cupa penombra.
Seguendola con lo sguardo, Izzy la sentì scambiare qualche parola con un tizio basso, tarchiato, che asciugava energicamente dei bicchieri appena lavati.
Aveva un drago tatuato sul braccio destro che si arrotolava in pigre spire fino alla sua spalla.
Il tipo ricambiò il suo sguardo, accompagnandolo con un movimento brusco del capo che poteva essere tanto di saluto quanto intimidatorio.
Tornò a seguire le chiacchiere dei ragazzi con lui, infilandosi nella discussione.

“Secondo me cambia poco niente tra la versione acustica e quella normale.” commentò con noncuranza, accendendosi una sigaretta con l’accendino che Steven aveva abbandonato sul tavolo di mogano, graffiato dal tempo e dalla distrazione di chissà quanti clienti.
“Izzy, come sei arido.” replicò gelido Axl “Non hai un briciolo di poesia dentro di te.”
“Dipende da cosa intendi tu per poesia.” rispose serafico il chitarrista, con un sorriso innocente.
Prima che il cantante potesse replicare, arrivò la cameriera dai capelli rossi con un vassoio carico di birra chiara.

“Ecco qua.” esordì allegramente, posando le cinque pinte davanti a ciasciuno dei ragazzi.
“Grazie, dolcezza.” la ringraziò Slash con un mezzo ghigno che la fece arrossire.
“P-posso fare altro per voi?” proseguì lei, vagamente imbarazzata.
“Il tuo nome e il tuo numero di telefono, tesoro, e poi sono a posto.” prosegue il ragazzo, provocando una serie di risate più o meno nascoste agli altri musicisti.
Ci fu un attimo di silenzio, mentre la ragazza sembrava prendere veramente in considerazione l’idea di dirgli quello che voleva, interrotto da un’altra voce che fece fare una capriola al cuore di Izzy.

“Charlie!” strillò Roxanne, una nota irritata a ravvivare tra le parole “Perché non muovi il culo e vieni a darmi una mano?”
La rossa parve risvegliarsi e, con un sorrisetto appena abbozzato, si allontanò di tutta furia.
“E bravo Slash! Ma che ci fai tu alle ragazze per farle scappare così!” sghignazzò il bassista, provocando un eccesso di risate - che ben prestò si trasformò in un vero e proprio ululato - a Steven, che si accasciò sul tavolo con le lacrime agli occhi, presto seguito dallo stesso Duff.
Gli altre tre guardarono i due biondini ridere, senza batter ciglio: Axl vagamente perplesso, Slash offesissimo e Izzy immerso nei suoi pensieri.
Fu il comparire alle spalle del palco di Roxanne, con un amplificatore sotto un braccio e una tastiera sotto l’altro, il viso contratto in una smorfa e un’imprecazione prigioniera tra le labbra a farlo sobbalzare.

“Charlie, vacca ladra, datti una mossa!” strillò di nuovo, mentre una ciocca di capelli le ondeggiava pericolosamente davanti agli occhi e la rossa le correva incontro, saltando agilmente oltre i cavi disseminati sul palco.
Entrambe indossavano jeans stretti e scuri, una maglietta bianca a maniche corte e portavano un grembiule nero legato in vita.

“Scusa, Roxy,” la sentirono dire mentre le sfilava la tastiera di mano e la posizionava su un piedistallo, “ma un tipo identico a Slash ci stava provando con me.”
La mora sistemò l’amplificatore, ridendo sarcastica.
“Oh, si, come no. Figurarsi.” commentò gelida, con un cavo tra i denti, china su un groviglio di fili che andavano sistemati.
“Ma Roxy, non è una balla!” insistette Charlie “Guarda tu, è identico!”
Izzy trattenne il respiro.
Era il momento della verità: adesso lei li avrebbe visti, lo avrebbe riconosciuto e sarebbe andata da loro.
Li avrebbe conosciuti e allora avrebbe saputo cosa sarebbe stato di loro. La mano del destino avrebbe mostrato le sue carte, rivelando se sarebbero stato buone o cattive.

Ma non successe nulla di tutto questo: Roxanne liquidò la collega con un gesto della mano e continuò a sistemare varie attrezzature, sbraitando riguardo un tale Joe che, a sentirla, aveva incasinato tutto.
“Respira, Stradlin, sei cianotico.” la voce di Duff lo fece trasalire e gli permise di riempire i polmoni di aria, impedendogli di morire asfissiato a soli venticinque anni. Si voltò verso gli altri quattro ragazzi, che lo guardavano trattenendo a stento le risate.
“Beh?” li squadrò con un’occhiataccia, buttando giù un sorso di birra con la massima noncuranza, nonostante si sentisse bruciare il viso.
“Nulla, nulla.” lo rassicurò Axl, con una serie di leggere pacche in testa che lo fecero arrossire ancora di più, se possibile.
Bloccò sul nascere un ennesima risata sguaiata di Steven.

“Allora?” esclamò, stridulo come mai in vita sua “Che hai da ridere cazzone?”
Il batterista simulò un colpo di tosse, distogliendo lo sguardo, e si accese un’altra sigaretta.
Izzy si mise a fissare il fondo della sua pinta per un quarto vuota, rimuginando su quanto fosse stata una pessima idea portarli tutti lì, quando all’improvviso sentì una mano fredda e sottile posarsi sul suo collo, con fare possessivo.
Scattò su come se lo avesse marchiato, ritrovandosi a guardare gli occhi divertiti di Roxanne.

“Fai talmente tanto casino,” disse piano la ragazza, con un sorriso che andava via via assumendo sfumature sempre più ambigue, “che dovrò sbatterti fuori se continui così, sai?”
“E tu vieni con me?” ribattè, rilassandosi impercettibilmente.
“Quando stacco, non prima, perché io devo lavorare davvero per poter vivere.” Roxanne gli fece una linguaccia, prima di rivolgersi al resto del gruppo con un sorriso cordiale “Allora, volete ordinare adesso? È un po’ presto per l’inizio della serata, in genere non serviamo cene così presto, ma se preferite mangiare adesso non c’è problema.”
“Un hamburger.” esordì Slash, l’unico dei quattro che non aveva seguito la scenetta con gli occhi fuori dalle orbite e aveva continuato a sfogliare il menù con aria distratta “Che sia ben cotto. E un piatto di patatine.” proseguì disinvolto “E un’altra birra, già che ci siamo.”
“Hamburger ben cotto, patatine e un’altra birra.” elencò diligentemente la ragazza “Grande, immagino.” aggiunse poi, con una piccola smorfia.
“Grande che?” s’intromise Axl, che aveva seguito lo scambio di battute con un’orecchia sola, inseguendo un inesistente pensiero che si era perso tra un sorso di birra e l’altro.
“La birra.” risposero all’uninsono Izzy e Roxanne. Si guardarono di sottecchi, un mezzo sorriso sul viso, prima che la ragazza riprendesse.
“La birra. Allora, grande?”
“Mancasse altro, zucchero.” sorrise sornione il chitarrista, avvicinando pericolosamente la sigaretta che aveva in bocca ai capelli.
“Perfetto” la cameriera indugiò per qualche istante su di lui, prima di passare agli altri “Voi? Digiuno stretto?”
“Uno... no, due hot dog per me.” intervenne Duff, mentre Steven si picchiettava le labbra incerto e poi ordinava lo stesso.
Gli occhi scuri di Roxanne sfilarono su Axl, indagatori. Il cantante sostenne sfrontatamente il suo sguardo, facendola sogghignare.

“Io nulla. Solo un’altra birra grande.” disse alla fine, sollevando il mento con fare altezzoso. La ragazza sorrise.
“D’accordo, grazie ragazzi” si allungò tra Slash e Izzy per recuperare i menù, scoprendo una sottile porzione di pelle morbida sulla schiena che catturò immediatamente i due chitarristi.
Due piccole fossette, appena accennate, erano tagliate a metà dai jeans.

“E a lui non chiedi cosa vuole?” domandò alla fine Axl, mentre lei già si avviava verso il bancone.
Izzy, chiamato in causa, chiuse gli occhi, avvertendo nitida la sensazione che i giochi stavano per aprirsi, e si affidò alla ragazza, che si fermò e volse solo il capo in direzione del tavolo, scrollando i larghi riccioli castani allegramente.

“So già cosa vuole.” rispose semplicemente, mentre l’eco dei suoi passi si faceva più leggero man mano che si allontanava.
Quando tornò a guardare il tavolo, tre paia di occhi erano puntati su di lui, con un’unica domanda a cui rispondere.

 

Repeating back flashes
Remembering the name
Approaching visions of things
 

Stratovarius, The Kiss of Judas.

 

La prima cosa che pensò Slash, quando il vecchiò salì sul palco e prese in mano la chitarra, fu che avrebbe preferito morire piuttosto che ascoltare un supplizio del genere.
Lo strumento era buono, era una Gibson vecchia scuola, ma andava decisamente accordato, e alla svelta.
Il vecchio invece strimpellava tutto felice i suoi accordi stonati, come se fossero perfetti, in una mancata cover di una canzone di Elvis, esibendo un sorriso senza denti.

Il locale si andava riempiendo, frotte di ragazzi si ammassavano attorno al bancone e ai tavoli, tutti con una sigaretta tra le labbra e qualcosa da dire, al tavolo erano rimasti solo lui e Duff, intento a chiacchierare con la cameriera dai capelli rossi che era venuta a portar via i loro piatto vuoti, sostituendoli con un altro giro di birra, scura questa volta, mentre il resto del gruppo era fuori a respirare un po’ d’aria fresca.
Su quanto fosse fresca, aveva qualche dubbio, ma doveva ammettere che la stanza era troppo satura di fumo, perfino per uno come lui che senza nicotina non poteva vivere.

Strinse i denti, ad un ennesima stecca del vecchio, e battè le mani sul tavolo con decisione: era troppo.
Poteva sopportare una brutta canzone, ma non una chitarra scordata. Si alzò in piedi e fece per dirigersi verso il palco, quando una figurina veloce gli tagliò la strada e lo precedette, strappando di mano lo strumento all’anziano, che protestò animatamente.

“Roxy, ma ti pare il modo?” brontolò offeso, incrociando le braccia al petto mentre la ragazza metteva la chitarra a tracolla pizzicando delicatamente la corde.
“Joe stai buono cinque minuti che accordo questo affare.” replicò lei, il viso nascosto da una cascata di capelli scuri.
“Ma se è perfetto così!”
Slash sbiancò, nel sentire quell’affermazione, e si trattenne dall’uccidere seduta stante l’uomo.
C’erano cose che non poteva proprio sentire. Roxanne rise, una risata bassa e vibrante come le note che strappava alla chitarra, tirandone e allentandone le corde, battendo di tanto in tanto un diapason su un amplificatore e posandolo vicino all’orecchia.
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, posandosi contro una colonna di casse, quando Joe si accorse di lui.

“Ragazzo, dillo anche tu che era perfetta così! Dillo anche tu che le ragazze meno hanno a che fare con chitarre e affini, meglio è!”
“Joe!” protestò indignata la ragazza, sollevando il capo di scatto e fulminandolo con un’occhiataccia che fece sogghignare il chitarrista.
La cosa non sfuggì a Roxanne, che roteò gli occhi esasperata e sospirò, esattamente come faceva Izzy, e restituì lo strumento.

“Ecco qua, come nuova.” guardò la chitarra con un moto d’affetto, mentre passava dalle sue mani sottili a quelle rugose del vecchio “Trattamela bene, Joe.”
“Ci puoi contare, bambola!” le strizzò l’occhio, riprendendo a suonare dal punto in cui era stato interrotto.
La ragazza sorrise, riavviando una ciocca dietro le orecchie, e si avvicinò a Slash, fermandosi davanti a lui.

“Ti serve qualcosa?” chiese più per scrupolo che per altro.
Lui scosse i riccioli neri, gli occhi illuminati da uno scintillio divertito.
“Sai anche suonare, oltre accordare?” le chiese, ignorando completamente la sua domanda. Lei si strinse nelle spalle.
“Mi arrangio.” sorrise “Nulla di eccezionale, ma so cavarmela.”
“Pure chitarrista.” commentò con una risata vibrante il ragazzo, strappandole un sorriso.
“Così sembrerebbe.” la vide scavalcarlo con gli occhi per un istante e attraversare la sala con un’occhiata.
“Se cerchi Izzy, è fuori a fumare qualche sigaretta.”
Fu lei a ridere, questa volta.
“Io direi piuttosto che sta cercando di sopravvivere a un terzo grado!” gli occhi color cioccolata brillavano della consapevolezza di essere lei la causa dell’interrogatorio cui era sottoposto il suo ragazzo.
“Si, in effetti è molto più probabile.” Slash la squadrò per qualche attimo, mentre lei gli tendeva la mano destra e si presentava.
“Io sono Roxanne, comunque, piacere di conoscerti”
“Slash.” le strinse la mano, sorprendendosi della decisione con cui lei ricambiava la stretta.
“Slash.” ripetè con un mezzo sorriso che ricordava vagamente l’espressione sorniona di un gatto soddisfatto “E posso chiederti, Slash, come mai non sei anche tu fuori a torchiare il mio ragazzo?”
La risposta si fece attendere, mentre il ragazzo faceva scattare l’accendino e si accendeva una sigaretta, assaporando un paio di tiri in silenzio.
L’idea di offrire, sembrava non sfiorarlo nemmeno per sbaglio.

“Beh vedi, Roxanne, se devo essere sincero, non me ne frega un cazzo di stare lì fuori a torchiare il tuo ragazzo.” si strinse nelle spalle, ignorando l’occhiata inquisitoria di lei “Perché non mi importa sapere di come vi siete conosciuti, da quanto state insieme, se scopate e quanto scopate.” Sogghignò, vedendola arrossire suo malgrado e, approfittando del suo silenzio, continuò imperturbato, dopo una lunga boccata di fumo “E poi, so già tutto.”
Lei sgranò gli occhi impercettibilmente, ritraendosi con il busto quel tanto che bastava per far si che lui se ne accorgesse. .
“Dubito fortemente che Izzy te ne abbia parlato apertamente.” commentò Roxanne, cercando di capire se stesse bluffando o se dicesse la verità.
Izzy le aveva raccontato più volte e in più occasioni dello straordinario spirito di osservazione del chitarrista, quasi incredibile se messo in relazione con l’assoluta mancanza di tatto e sensibilità, ma non ne era del tutto convinta.

“Infatti, non ci ha mai detto di te fino a questa sera.” ribatté candidamente il chitarrista, incurante dei riccioli che gli ricadevano davanti al viso, danzando vicini alla sigaretta accesa.
Roxanne non seppe trattenersi e allungò una mano, scostandoli quel tanto che bastava per guardarli negli occhi senza doverli cercare attraverso quella folle cortina nera. Il giovane rimase in silenzio per qualche istante, come impietrito, arretrando a sua volta.
Lei rise, sommessamente.

“E allora come fai a saperlo?” indagò sogghignando “Nella tua chitarra nascondi una sfera attraverso sui vedi il futuro?”
“No, non è necessario.” fu lui a sogghignare, questa volta, alla faccia sorpresa della cameriera che non si preoccupava di nascondere lo stupore “Basta guardarlo per capire che ha qualcosa a cui tiene più della musica.”
E della droga, aggiunse silenziosamente, senza sentire il bisogno di andare a dirlo a quella ragazza dagli occhi grandi e pieni di luce.
Tirò un’ultima boccata e automaticamente lei agguantò un posacenere abbandonato vicino alla tastiera, alla sua destra.
Spenta la sigaretta, se ne accese subito un’altra.

“Si, insomma...” proseguì agitando una mano in aria “E’ felice. Certo, rimane il solito disadattato del cazzo che passa le ore in un angolo, chitarra tra le braccia e penna in bocca, in questo non è cambiato di una virgola.” la vide ascoltare in silenzio, a tradire il suo stato d’animo solo uno scintillio remoto negli occhi “Però è sereno. E alla fine non conta il perché, il come, il quanto, conta che lo sia e basta.” concluse bruscamente.
Per un attimo, un attimo soltanto, Roxanne credette di vederlo arrossire mentre nuvoloni neri di indifferenza si affrettavano ad oscurare quello squarcio azzurro di sensibilità e gentilezza.

“Aveva ragione su di te.” commentò dolcemente, socchiudendo gli occhi e aprendo la bocca in un sorriso “C’è molto più di quello che mostri.”
“Stronzate, sono quello che sono e basta.” brontolò lui, nuovamente scontroso.
La parentesi di umanità si era chiusa, il dialogo era arrivato alla sua ultima battuta.
La cameriera scrollò le spalle, lasciando cadere l’argomento e riavviò i capelli con un gesto stanco.

“E’ stato bello conoscerti, Slash.” disse con un mezzo sorriso, sistemandosi il grembiule e agguantando un blocchetto su cui aveva incastrato una penna “Ma il dovere mi chiama! Bella la vita del musicista, che fa solo quello che ama fare!” sospirò teatrale, sorpassando il chitarrista che rise, mentre veniva inghiottita dalla folla.
E mentre con un sorriso prendeva le ordinazioni di un gruppetto di amici, Izzy rientrò nel locale, chiacchierando con Axl e Steven.
Il trio si separò quando il batterista e il cantante tornarono a sedersi al loro tavolo, vicino a un più solitario che mai Duff e il chitarrista salì sul palco vicino a Slash.

“Beh?” gli chiese accendendosi una sigaretta “Che fai qui? Rifletti sull’immensità dell’universo?”
“Mh.” una smorfia “Veramente no. Pensavo ad altro.”
“A cosa?”
“A quella pazza che ha deciso di stare con te.” un sorriso sghembo gli illuminò gli occhi, mentre Izzy si voltava verso di lui.
“C’è da stabilire chi sia più pazzo tra i due,” si difese debolmente il giovane, appoggiandosi contro una pila di amplificatori.
“Lei, indubbiamente.” replicò fulmineo Slash, senza nemmeno pensarci su “Sa che non hai...”
“No.” lo interruppe Izzy, più duro di quanto in realtà non volesse apparire “Non lo sa. Intuisce, probabilmente, ma non ne è sicura. E stasera non deve assolutamente venire a saperlo, nemmeno per sbaglio.”
“Perché?” Slash soffiò fuori una boccata di fumo, dopo averla trattenuta per un tempo che pareva quasi innaturale.
“Perché stasera festeggia il suo compleanno, ecco perché.” commentò con un mezzo sorriso Izzy, rifugiandosi nell’amaro bozzolo di fumo della Malboro che teneva prigioniera tra le labbra.

 

You can lose yourself in pleasure
'Til your body's going numb
But will it ever be enough?
You know that it'll never be enough
 

Pandora’s Box, Original Sin.

 

Le undici e qualche minuto.
Izzy non aveva mai visto così tanta gente stipata in un così piccolo locale in tutta la sua vita: a frotte, le persone si ammassavano attorno al palco ancora deserto, unica isola in quel mare di teste e sigarette accese.
Dietro al bancone, Charlie e il vecchio con il drago tatuato sul braccio correvano da una parte all’altra con le mani sempre occupate da bicchieri pieni e vuoti, ma di Roxanne nemmeno l’ombra.
Era scomparsa da una mezz’ora buona, risucchiata da una minuscola porticina vicino al bagno su cui spiccava chiara una targhetta che dichiarava privata la stanzetta. Sospirò, appoggiando la schiena contro la panca e inspirando a fondo una lunga boccata di fumo.

“...niente male.” commentò Steven al suo fianco, tirando una lieve gomitata a Duff e indicandogli qualcosa nella sala gremita di gente.
“Eh?” domandò il bassista, prima di fischiare sommessamente e sghignazzare, richiamando l’attenzione di Axl, che a sua volta – dopo aver sgranato gli occh i- colpì Slash.
Uno dopo l’altro, i quattro ragazzi si voltarono a fissare Izzy.
Senza capire, il giovane li guardò, perplesso, per poi seguire la direzione dei loro sguardi e incontrare la figura sottile di una ragazza che rideva allegramente, attorniata da un gruppetto di persone che sembravano ancora convinte di vivere negli anni ’60.
La ragazza si voltò appena.
Indossava un minuscolo abito nero, che le fasciava il busto e un terzo scarso delle cosce bianche, una cascata di bracciali argentati le tintinnava ai polsi e ai piedi portava delle All Star alla caviglia, un tempo rosse.

“Mica male.” ripetè a bassa voce Seven.
Izzy annuì, cercando di vedere il volto della giovane che inclinò il capo all’indietro liberando una risata graffiata.
I capelli, morbidi riccioli sfatti, erano legali in una coda che le cadeva tra le scapole, due grandi occhi castani luminosi trattenenvano rimasugli di quella risata che si era spenta: il chitarrista per poco non si soffocò con il fumo che aveva in bocca, quando la vide voltarsi verso di lui e corrergli incontro.

Roxanne rise di nuovo, sedendosi sulle gambe del ragazzo che la fissava inebetito.
“Un gatto ti ha mangiato la lingua?” chiese divertita, posandogli un bacio sulla fronte. Automaticamente, Izzy le cinse la vita con le braccia, tirandola a se.
“Scusalo, ma quando è davanti a una bella ragazza perde ogni capacità di intendere e volere.” sghignazzò il bassista, catturando lo scintillio che brillava negli occhi di Roxanne.
“Un vero timidone.” rincarò Axl, il viso illuminato dalla vampata calda dell’accendino.
Una sottile striscia di fumo azzurognolo si arricciò davanti al viso del cantante, mentre scrutava la ragazza e riprendeva a parlare, come sovrapensiero.
“Penso che quando l’ho conosciuto faceva fatica a mettere in fila più di quattro parole, quando poi compariva Erin con quella sua amica... come si chiamava?” chiese maligno, guadagnandosi un’occhiata truce in tutta risposta, assieme a un brontolio che suonava tanto come Lucy “Lucy, giusto! Gran bella ragazza si. Ma comunque! Ogni volta che comparivano quelle due andava letteralmente in para!”

“Da allora ne è corsa di acqua sotto i ponti, però,” s’intromise bonariamente il batterista, allungando una mano verso la ragazza.
“Steven, piacere di conoscerti Roxanne” si presentò con un sorriso che si sposava perfettamente con il suo volto gentile, da bambinone.
Ricambiando la stretta, lei non potè fare a meno di incurvare le labbra a sua volta, contagiata da quella vivace ingenuità che vedeva negli occhi azzurri del ragazzo.

“Roxy, per gli amici.” precisò con una piccola smorfia.
“Mica siamo amici.” replicò ostile Axl, stringendo a sua volta la mano sottile della ragazza, senza sentire minimamente il bisogno di presentarsi.
“Gli amici di Izzy sono i miei amici, Mr. Rose.” scrollò le spalle, per nulla sorpresa, sorrise candida e si rivolse a Duff “E tu sei Duff, ovviamente.”
Il ragazzo abbozzò un sorriso.
“Così pare.”
Izzy la guardava in silenzio, mentre si destreggiava tra quegli sconosciuti di cui sarebbe stata capace di snocciolare date e luoghi di nascita, gruppo sanguigno, piatto preferito e numero di scarpe con la stessa facilità con cui avrebbe snocciolato il suo numero di telefono.
Era stupito.
Non tanto dalla reazione di Axl – già lo sapeva che sarebbe stato innegabilmente stronzo, era fatto così e c’era poco altro da fare -, quanto dalla semplicità con cui aveva scalfito quella bolla di fama che li avvolgeva e li separava dal resto del mondo.
O quantomeno ci aveva provato con semplicità, senza cercare grandi frasi ad effetto.
La sentì agitarsi appena sulle sue gambe e gridare qualcosa alla cameriera con i capelli rossi, prima di tornare a chiacchierare con Steven.

“Si, sono io la pazza che ha provato a salire sul palco, all’ultimo concerto.” raccontava, mentre il batterista e il bassista erano piegati in due dalle risate “E ci sarei anche risciuta, se quel cazzone di un figlio di buona donna non mi avesse preso per la caviglia!”
“E perché?” Duff sembrava davvero non concepire le ragione che potessero spingere qualcuno a sfidare un esercito di armadi armati di manganello per salire su un palco.
“Perché ci sono cose che se non le fai, poi ti resta il rimpianto fin che campi.” spiegò lei, facendosi accendere una sigaretta dal bassista, che si sporse sul tavolo allungando un accendino.
“Grazie. Dicevo, comunque, che se non l’avessi fatto, se non ci avessi provato, forse ora non sarei qui a raccontarvelo, forse non sarei qui a festeggiare il mio compleanno con i Guns n’ Roses, cazzo! Che poi in realtà le cose non siano andata come volevo, alla fine è relativo.” scrollò le spalle “Ovvio che, potendo scegliere, avrei preferito evitare tutte le botte che ho preso,” agitò una mano in aria, minimizzando.
Il bassista rise, mentre Izzy girava il viso e posava le labbra sulla spalla scoperta della ragazza, percependone il profumo di albicocca e fumo.
Silenzioso, non disse nulla, immersi in pensieri che nessuno dei presenti avrebbe anche solo lontanamente potuto intuire.
Che stesse per fare un madornale errore? Non ne aveva la più pallida idea.

“E se ci fossi riuscita, che avresti fatto?” domandò Slash con un guizzo di pura curiosità negli occhi.
Roxanne sbatté le palpebre, schiudendo appena la bocca e lasciando che i secondi passassero accumulando una giusta dose di suspence.

“Beh, mi pare ovvio!” esclamò alla fine, come se fosse la cosa più ovvia e banale di questo mondo “Me lo sarei scopato lì seduta stante, no?”
Suo malgrado, anche Axl si ritrovò con la fronte pigiata contro il tavolo, gli addominali doloranti per le troppe risate.
Più per l’espressione imbarazzata di Izzy, che non per le parole della cameriera, che si era chinata sul chitarrista e gli sussurrava qualcosa all’orecchio indicandogli il palco vuoto.

“Davvero?” domandò sorpreso il chitarrista, sperando disperatamente che il suo viso assumesse presto un colorito normale.
Lei annuì di nuovo e si alzò in piedi.

“Torno subito.” mormorò, e senza aggiungere altro si dileguò nella folla, inghiottita dal rumore delle chiacchiere e dalle nuvole di fumo.
Aggirò un gruppo di ragazzine strillanti e si rifugiò dietro il bancone, dove Charlie la guardò disperata.
Si strinse nelle spalle, fino a raggiungere il palco e, illuminata dalla calda luce dei riflettori, agguantò un microfono e si piazzò al centro della piccola pedana. Alle sue spalle, come se avessero sempre e solo aspettato lei, si materializzò quella che doveva essere la band: un gruppo di ragazzi attorno ai trent’anni che si sistemarono davanti agli strumenti, in attesa.

“Si sono fatti aspettare, eh?” esordì con una mezza risata Roxanne, scatenando un’ondata di urla d’assenso dalla piccola folla “Ma sappiamo già che ne vale la pena. Ragazzi, potrei passare ore a parlarvi di quanto adoro vederli salire su questo palco, di quanto vorrei poterli ascoltare più spesso, ma ahimè! Sappiamo tutti che è impossibile, se la tirano troppo...” la folla rise, i musicisti pure. Il bassista protestò, la voce si perse nella confusione crescente ma raggiunse la ragazza, che sghignazzò “Si, anche io ti voglio tanto bene Alan! Ma bando alle ciance. Solo per stasera, come ai vecchi tempi, i Kinslayer!”
Il boato fece tremare la sala, mentre Roxanne soffiava un bacio al cantante, un biondino dagli occhi acquamarina che ricambiò il gesto, prima di catturare la scena e lanciarsi in una cover di Black Dog, dei Led Zeppelin.
Come promesso, la ragazza tornò al tavolo, dove i ragazzi erano immersi in una coltre di chiacchiere e fumo.
Afferrò una mano di Izzy e lo trascinò via, giustificandosi con un sorriso carico di deliziose promesse cui il ragazzo non seppe opporsi, e sotto gli sguardi più o meno perplessi del resto del gruppo lo condusse nella folla senza lasciar andare le sue dita fino all’uscita del locale e poi fuori nella notte che abbracciava la città, oltre il chiarore delle stelle e dei lampioni fino all’oscurità delle scale abbandonate del sottopassaggio, in un corridoio polveroso e dimenticato dal mondo. Lì, in un angolo buio, lo tirò a se.

“Mi sei mancato.” sussurrò contro il suo collo, mordicchiandoglielo appena “Mi sei mancato per tutta la sera.”
“Ma se ero sempre vicino a te!” protestò senza troppa convizione lui, facendo scivolare le mani lungo la sua schiena, in una languida carezza.
Sentiva i brividi correrle lungo la spina dorsale.

“Ma non eri lì. Sei silenzioso, sta sera” la voce era poco più di un fioco sussurro, soffice come cotone “C’è qualcosa che non va, Izzy?”
Lui rimase in silenzio, mentre le note di una nuova canzone li raggiungevano in quel nido di polvere e tenebra.
Love of my life, dei Queen.

“Balla con me.” le disse senza rispondere alla sua domanda “Balla con me, Roxanne.” e la tirò via dal muro, per portarla nel cuore del sottopassaggio abbandonato, disegnando piccole spirali nella polvere di foglie morte e consumate dal tempo.
Era il momento perfetto.
Era l’occasione che aveva aspettato per tutta la sera, il momento perfetto per fare quello che si era ripromesso di fare.
Non era difficile in fondo, doveva solo fare un profondo respiro e inghiottire ogni paura, per aprirle il cuore e scoprire se davvero le carte del fato erano buone o no.
Fece per parlare, ma lei lo precedette.

“Sono bravi, vero?” chiese con un sussurro, mentre la voce del biondino si alzava e si abbassava con una dolcezza che sfiorava appena quella di Freddie Mercury ma era comunque notevole.
“Già.” commentò altrettanto piano lui, stringendola con più forza.
Di nuovo, quell’inspiegabile bisogno fisico di sentirla vicina, di sentire il suo calore sulla pelle.

“Ehi, piano che mi soffochi!” rise lei, sollevando le mani fino al suo collo, tra i capelli che scendevano disordinati a sfiorare le spalle.
“Li ho scovati io, sai?” c’era orgoglio, nella sua voce, si sentiva “Li ho conosciuti a scuola, quanto non erano niente più di un gruppo di disperati che nessuno prendeva sul serio. Li ho presi in massa e li ho portati qui, dove Alec ha dato loro una possibilità. E adesso guardali, viaggiano da costa a costa, concerto dopo concerto!”

Izzy vide gli occhi brillarle, e sorrise.
“Per merito tuo?”
“Oh, se non li avessi trovati io lo avrebbe fatto qualcun altro. Valgono troppo.”
Una piroetta, poi di nuovo i loro corpi appiccicati. Troppo appiccicati.
“Fanno cover solo perché glielo ho chiesto io, stasera.” riprese lei, il fiato corto “Solo per me. Sai perché?”
Lui annuì, facendola piroettare ancora e richiamandola con la schiena contro il suo petto. Dal punto dove erano, riuscivano a vedere uno sprazzo di cielo stellato, oltre le scale.
“Certo che lo so. E’ il tuo compleanno, no?”
Lei chiuse gli occhi, cullata dal suo respiro e dalle dolci note che uscivano dal locale.
“Pensavi me ne fossi dimenticato?” riprese lui, con un mezzo sorriso “Come avrei potuto? Non facevi che parlare di questa sera, da un mese a questa parte, come un disco rotto.” lei rise, stretta a lui con un sorriso sulle labbra e gli occhi pieni della luce delle stelle “Per questo suonano cover, per questo ci sono i ragazzi, per questo io...” s’interruppe, mentre la canzone sfumava nell’applauso di una folla in delirio.
“Per questo tu?” lei si scostò, voltandosi, e lo guardò dritto negli occhi, ammantata di una cheta bellezza che gli mozzò il fiato.
“...vuoi il tuo regalo?” le soffiò sul viso, con un sorriso sornione.
“No, voglio te.” replicò lei, spingendolo contro un muro e baciandolo con un impeto che non gli era nuovo, desiderio misto a divertimento.
Rise, contro la sua bocca.

“E allora prendimi.” la provocò con un sorriso storto, che lei subito coprì con le labbra, in un altro bacio.
Lottarono con il fiato corto, cercandosi e sfuggendosi, fino a quando non la spinse contro la parete del sottopassaggio, immobilizzandola sotto il suo corpo. E mentre si chinava a baciarle le spalle si disse che no, non era quello il momento.
Adesso volevo solo lei, il suo calore, il suo sapore dolceamaro sulle labbra, voleva perdersi e ritrovarsi in lei, rinascere come una fenice dalle sue ceneri.

“Vorrei essere una persona migliore.” le sussurrò piano, sollevandola e spingendola contro la parete.
Roxanne lo guardò, gli occhi nocciola annebbiati dal piacere.
Non sorrise, lottando contro quel sole che sembrava essersi staccato dal cielo solo per premerle tra le cosce.

“Sei quanto di più bello potesse mai capitarmi.” replicò altrettanto piano, mentre il sole rompeva la barriera della sua volontà e esplodeva in un mare di luce.

 

PARLA ROXANNE:

Io allora non lo sapevo, ma i grandi amori possono essere come un cancro se non vengono capiti subito.
Si installano dentro di te,fanno del tuo cuore il nucleo del loro male e si ingrandiscono, risucchiano le tue energie, i tuoi pensieri, le tue forze senza che tu possa fare nulla.
Ti accorgi di loro solo quando è troppo tardi, solo quando il male è troppo male per essere contrastato.

Se il nostro fosse un cancro, ancora non lo so.
Non l’ho mai capito, in tutti questi anni, forse è destino che non lo capisca mai.
Ti ho detto che sono felice, prima, non è vero?
Beh, non è vero.
Non è niente vero, non sono felice come lo ero allora, temo che non potrò più esserlo con la stessa libertà, la stessa frenesia, una felicità pura, calda come il fuoco e assolutamente priva di inibizioni.

La gioia dei bambini, che non temono il dolore nascosto dietro l’angolo.
Pensavo che sarebbe durata per sempre, è vero.
Pensavo che niente e nessuno si sarebbe potuto frapporre tra me e te, che eravano legati da qualcosa che andava oltre ogni cosa, che trascendeva la stessa idea di amore.
Pensavo tante cose, avevo le mie paure, ma sbadivano di fronte alla luce che volevo vedere e vedevo in noi.
Tipico dei grandi amori: si vede quello che si vuole vedere, ci si illude, si cercano segni di grandi verità anche nelle cose più scontate, ci si perde in un mondo di sogni.
Ma quando i grandi amori in realtà non sono altro che un cancro, allora c’è ben poco da fare. Allontanarsi non serve, perché l’unica cosa che può salvare è la stessa che uccide.
Il filo che ci legava, Izzy.
Io lo sento ancora, lo ho sentito per anni e lo sentirò fin tanto che avrò forza per far battere il cuore.
Lo stesso è per te, lo so.
Non può essere diversamente.

   
 
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