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Autore: Moiraine    23/12/2012    1 recensioni
Salve a tutti :)
La protagonista, Estel, è una ragazza dal passato oscuro e misterioso del quale apparentemente non ricorda nulla. Vive una vita difficile o, almeno, vive una vita difficile fino all'incontro con un ragazzo speciale.
Questa è la prima storia che pubblico; quindi non fatevi scrupoli e commentatemi o criticatemi.
Buona lettura :) Spera che la storia vi piaccia :)
Genere: Fantasy, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Intrusa
 
Era ormai notte fonda e le poche luci che c’erano provenivano dalla luna che, placidamente se ne stava immobile in mezzo al cielo, e dai pochi lampioni sparsi per la strada. Non un rumore, non un fruscio rompevano il silenzio che la notte aveva portato con sé calando sulla terra.
Tutti, ormai da tempo, erano al caldo sotto le coperte dei propri letti. L’unica che, come sempre controcorrente, in quel momento non era a casa sua, era Estel.
Camminava lentamente tra le strade di Dragville, senza fretta, poiché non aveva una meta ben precisa da raggiungere. Poteva andare ovunque volesse, tranne che a casa sua. Anzi, sinceramente parlando, lei non aveva una casa propria; non l’aveva mai avuta.
I suoi genitori erano sempre stati abbastanza severi con lei e non soltanto sul piano dell’educazione. L’ultimo abbraccio che le aveva dato suo padre.. sinceramente non ricordava che suo padre l’avesse mai abbracciata. E sua madre poi.. era la donna più cattiva che avesse mai visto sulla faccia della terra. Non la ascoltava, non le prestava attenzione, non le importava nulla di lei; era soltanto una figura come il padre che occupava quell’edificio che loro chiamavano casa.
Sinceramente, non aveva mai realmente accettato il fatto di essere figlia loro, eppure, purtroppo, la natura spesso giocava brutti scherzi e lei era stata una delle sue vittime. Si era ritrovata in una famiglia che la odiava, con delle orecchie a punta che le facevano odiare il resto del mondo. L’unico raggio di sole nella sua vita erano Aira e Shaza, le sue due migliori amiche con le quali sapeva di poter fare qualunque cosa, e Mahtar che per lei rappresentava il vero padre.
Lo conosceva da quando era bambina e le era sempre stato accanto, soprattutto nei momenti di difficoltà. La ascoltava, le parlava, le raccontava le fiabe e giocavano sempre insieme. Insomma, lui le voleva bene davvero. Una volta compiuti dieci anni, Mahtar, dato che lei non studiava, si comportava male e spesso scappava di casa, era diventato il suo tutore; così lei, fortunatamente, venne obbligata a passare tutti i pomeriggi, una volta uscita da scuola, insieme a lui. In questo modo, restava lontana dai suoi genitori, fonte di sofferenza, e poteva godersi il pomeriggio insieme al suo paparino adottivo. Questo però spesso, a causa del suo lavoro (un lavoro incredibile..), era costretto a non poterle fare compagnia, allora lei si sdraiava su uno dei divanetti della sua biblioteca e passava le giornate a leggere. 
A pensarci bene comunque, Mahtar aveva sempre avuto un atteggiamento paterno e, ogni volta che lei doveva lasciarlo per tornare in quella che era definita la sua vera casa, si rabbuiava come se non volesse che tornasse dai suoi genitori. Spesso, lei aveva sperato che Mahtar la costringesse a restare con lui o che magari le chiedesse l’affidamento per allontanarla da quella casa che odiava, da quelle persone che la odiavano. Eppure non era mai successo; o almeno, non era ancora successo.
Estel continuò a camminare con lo zaino in spalla, guardando il cielo, fin quando non inciampò nel marciapiede. Alzandosi notò di essere arrivata di fronte ad un’abitazione familiare. Forse il suo inconscio l’aveva portata lì, perché adesso che era a pochi metri di distanza dal portone, sapeva che era proprio lì che voleva andare.
Si avvicinò all’entrata e, dopo qualche esitazione, suonò il campanello. Qualche minuto di attesa, qualche imprecazione e la porta si aprì. Passarono alcuni secondi, prima che Estel si rendesse conto di chi effettivamente avesse davanti. Che cavolo ci faceva lui, lì?!
«Estel?» le chiese Anar confuso, sbadigliando. Indossava soltanto un paio di boxer, per l’esattezza grigi.
«Ti sembra questo il modo di presentarsi?» gli chiese lei, colpendolo con un pugno.
«Ma sei scema?!» le urlò lui, bloccandole il polso pronto a colpirlo di nuovo.
«Che ci fai qui?!» si urlarono a vicenda. Rimasero in silenzio per qualche secondo, guardandosi negli occhi con sguardi infuocati. Poi però sbuffarono entrambi.
«Ci vivo» le rispose Anar lasciandole libero il braccio. Lei sollevò un sopracciglio, incredula.
«Non ti ho mai visto prima..» gli disse, incrociando le braccia.
«Solo perché di pomeriggio non sono mai a casa» gli disse lui scrollando le spalle, sbadigliando e incrociando le braccia a sua volta. E in quel momento, per la prima volta, Estel li vide. I suoi muscoli sui cui tanto aveva fantasticato, erano lì in bella mostra proprio davanti a lei; ed erano esattamente come li aveva immaginati: asciutti e abbastanza sviluppati, e gli davano l’aria di essere forte.
Davanti allo sguardo imbambolato della ragazza, Anar tossicchiò con una risatina, alla quale lei reagì arrossendo leggermente.
«Tu che ci fai qui?» le chiese, sorridendo di un sorriso veramente bello. A quelle parole lei abbassò istintivamente lo sguardo, sospirando.
«Sono scappata di casa..» sussurrò, sperando che quello non la sentisse; non perché il pensiero di aver abbandonato i suoi genitori la rattristasse, ma poiché Anar era uno sconosciuto, non conosceva la sua storia, e lei non aveva nessuna intenzione di parlarne.
Rimasero in silenzio per qualche secondo dopodichè, Anar sospirò.
«Vieni dentro; Mahtar non è in casa quindi puoi dormire nel suo letto per stanotte» le disse spostandosi per lasciarla passare. Gli occhi di Estel si accesero di gioia e gratitudine, e con un sorriso verso quel ragazzo che l’aveva aiutata, di nuovo, entrò dentro casa lasciando cadere lo zaino accanto al divano. Si lasciò sfuggire un sospiro e si sdraiò sul tappeto accanto al caminetto acceso.
 
Anar la guardò con un sorriso divertito. Quella ragazza si dimostrava sempre più strana eppure con lei, per quel poco tempo che avevano passato insieme, si divertiva, anche se due volte su tre trovavano il pretesto per litigare. Era strana; sicuramente aveva la sindrome del dover sembrare forte a qualunque costo, anche se non ne conosceva il motivo; e questo invece gliela rendeva sicuramente più fragile. Non sapeva bene il motivo, ma vedeva in quella ragazza qualcuno di cui doversi prendere cura. Ovviamente quelle cose non gliele avrebbe mai dette, dato che lei, sicuramente, era convinta di essere forte; e sotto un certo punto di vista forse lo era davvero, anche se essere forte significa troppe cose per essere riassunto brevemente nel riuscire a sorridere di fronte a qualunque problema in modo da affrontare lucidamente la questione, o nell’essere in grado di aiutare i più deboli e punire i prepotenti. 
Anar scosse la testa e osservò attentamente la ragazza dalle orecchie appuntite. In quel momento le sembrava quasi una bambina, che stanca, si addormenta persino sul tappeto, certa del fatto che sarebbe stata portata a letto, in braccio, dal proprio papà.
 
«Perché ti sei sdraiata per terra?» le chiese il rosato, incuriosito.
«Vatti a mettere un paio di pantaloni» gli rispose lei, chiudendo gli occhi e poggiando il viso sulle braccia incrociate. Quella casa era davvero degna di essere chiamata in quel modo; ogni volta che Estel ci metteva piede si sentiva sempre al sicuro e amata; avrebbe trascorso volentieri il resto della sua vita lì insieme al suo “vero” padre; e, magari sì, anche in compagnia di Anar.
Questo sbuffò e si allontanò dalla stanza, per poi ritornare con indosso un paio di pantaloncini neri.
«Allora?» le chiese sedendosi accanto a lei, sul tappeto.
«Allora cosa?» gli chiese quella curiosa, restando con gli occhi chiusi.
«Allora perché ti sei sdraiata sul tappeto?» le chiese con un sorrisetto. Aveva quasi la tentazione di carezzarle la testa.
«È più caldo qui..» sussurrò quella, soffocando un leggero sbadiglio. Stava quasi per addormentarsi. Il tappeto su cui era sdraiata, era talmente caldo e sicuro che non riusciva a non avere sonno.
«Hai sonno?» le chiese Anar in un sussurro.
«Si..» sussurrò lei, sempre più vicina all’addormentarsi.
Anar la guardò e si fece sfuggire un sorriso addolcito. Quella ragazza riusciva a sorprenderlo come non ci era riuscito mai nessuno. Sapeva essere così spontanea che a volte sembrava davvero una bambina.
«Mi dispiace» le sussurrò con un sorrisetto.
«Di cosa?» gli chiese lei curiosa, con un tono di voce bassissimo.
«Non puoi dormire» le disse scuotendola e facendola voltare.
«Perché?» gli chiese sedendosi di botto con gli occhi spalancati.
«Perché non hai fatto dormire me» le disse scrollando le spalle.
«Ma non era mia intenzione svegliarti!» esclamò lei, spalancando la bocca.
«Ah giusto, ti aspettavi che venisse ad aprirti un fantasma?» le chiese ridacchiando.
Estel sbuffò e incrociò le braccia sul petto.
«No..» disse senza guardarlo. «Mi aspettavo che mi aprisse Mahtar».
Anar sospirò.
«Mi dispiace» le disse. «Ma ci sono io, quindi dovrai accontentarti di me». La ragazza sbuffò nuovamente, guardando le fiamme che scoppiettavano dentro al camino. Ad un tratto le parole di Anar parvero incuriosirla. Perché Anar viveva lì? Alla fine sì era sotto la custodia di Mahtar, ma questo non significava che doveva vivere insieme a lui.
«Perché vivi qui?» gli chiese allora, incuriosita. A quella domanda a bruciapelo, Anar strinse i pugni e si soffermò a guardare le frange del tappeto. Estel ebbe l’impressione di aver osato troppo e cercò quindi di scusarsi, ma il ragazzo le sorrise intenerito.
«I miei genitori.. loro mi hanno abbandonato. Quando sono nato, sono rimasti spaventati dalle mie orecchie. Pensavano che fossi un demonio e quindi hanno tentato di uccidermi annegandomi nel fiume» sussurrò con lo sguardo perso nel suo passato, con un tono di voce bassissimo e pacato. «Per fortuna Mahtar mi ha visto cadere nell’acqua così si è tuffato, mi ha salvato e mi ha tenuto con sé, come se fosse davvero mio padre. Mi ha insegnato a camminare, a scrivere e a parlare anche se l’educarmi si è rivelato un compito complicato» continuò, lasciandosi sfuggire una risatina all’affiorare di un ricordo d’infanzia.
«Perché?» le chiese Estel con un sorriso incuriosito.
«Perché dice che quando dovevo scrivere, scrivevo simboli strani anziché le lettere giuste e che spesso anziché camminare correvo e saltavo come se fossi davvero un demone; però lui non si è mai fatto scoraggiare. Mi ha tenuto con sé, mi ha raccontato tante storie, mi ha aiutato a diventare forte, mi ha spiegato tutto sul suo lavoro e mi ha aiutato affinché potessi lavorare con lui; mi ha cresciuto facendomi diventare ciò che sono oggi» le disse soddisfatto, facendole l’occhiolino. Lei lo guardò stupita, all’idea che anche lui facesse lo stesso lavoro incredibile di Mahtar. Ma per ora decise di lasciar perdere quest’argomento e di concentrarsi sulle ultime parole del ragazzo.
«E cosa sei oggi?» gli chiese lei con un sorrisetto, provocandolo.
«Sicuramente, non sono un demone» le rispose ridendo e scuotendo la testa.
«Ne sei sicuro?» gli chiese ridacchiando, sollevando un sopracciglio.
«Certo!» le rispose quello dandole una spintarella e facendola cadere distesa sul tappeto. Iniziarono a ridere entrambi e ogni risata era quasi come uno sfogo; alla fine, quasi stanchi per il troppo ridere, cercarono di tranquillizzarsi con un respiro profondo. Rimasero a sorridere in silenzio per qualche secondo ancora, prima di iniziare nuovamente a parlare. 
«Sei felice?» chiese ad un tratto Estel ad Anar, guardando le fiamme che scoppiettavano dentro al camino. Il ragazzo la guardò per qualche secondo, con uno strano tipo di espressione. Poi sospirò e sorrise.
«Si» le rispose convinto. «Probabilmente, quelli che hanno tentato di annegarmi non erano neanche i miei veri genitori» le disse, scrollando le spalle.
«Come fai a dirlo?» gli chiese curiosa, sorridendo e guardandolo di sottecchi.
«Lo so e basta» le disse ed Estel sospirò.
«Antipatico» sussurrò e lui le sorrise.
«Tu invece? Perché sei scappata di casa?» le chiese curioso, con un tono di voce attento. Estel rimase zitta per qualche secondo. Non aveva mai parlato, con nessuno, dei suoi genitori ; a parte con Mahtar, ovviamente. Però le riusciva quasi spontaneo parlarne con Anar.
«Io» sussurrò, stringendo i pugni. Voleva dire tante cose, ma non sapeva come fare dato che Anar era la prima persona, estranea, con cui stava per parlare dei suoi genitori. «Odio i miei genitori» disse, infine, scrollando le spalle, con un sospiro. «Se avessero potuto, mi avrebbero gettato nel fiume» sussurrò stringendo i pugni. «Loro mi odiano; mi credono strana e pericolosa e soltanto perché ho queste orecchie a punta che gli ricordano Ainur! Vorrebbero sbarazzarsi di me, ne sono sicura.. non lo fanno solo perché c’è Mahtar che mi sorveglia.. se non ci fosse stato lui non so dove sarei in questo momento..» sussurrò con lo sguardo basso.
Il rosato la guardò per qualche secondo in silenzio; dopodichè sorrise e scrollò le spalle.
«A quanto pare, il nostro Mahtar raccoglie sotto la sua custodia tuti i ragazzi con le orecchie a punta e con una storia difficile» disse alla ragazza con un sorrisetto.
«A quanto pare sì» sussurrò quella con un sorriso timido.  
«Ma tu.. tu ci credi a quella favola?» le chiese Anar curioso, a bruciapelo, conscio già dentro di sé della risposta. La ragazza lo guardò stupita.
«Mi stai chiedendo se credo nell’esistenza di una bambina che se ne va in giro con un coniglio diabolico che le ordina di uccidere?» gli chiese incredula.
«Esatto..» le rispose quello come se nulla fosse.
«No» gli rispose convinta.
«Io si..» le disse lui, serio.
«Perché?» gli chiese curiosa.
«Perché la ragazza di oggi è stata assassinata proprio da quel coniglio». 
  
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